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Evoluzione dell'impresa - Capitolo 5 - Come contrastrane il declino


10 La customer satisfaction

Che lo scopo principale di un'impresa sia creare e conservare una clientela è un assioma che è oramai nel dna di tutte le aziende. In un mercato ipercompetitivo lo sforzo dalle imprese è rivolto all'ottimizzazione di due parametri:

  • la customer retention, cioè la percentuale di clienti che compiono l'acquisto presso l'impresa, ovvero il tasso di fedeltà praticata,
  • la customer loyalty, cioè la percentuale di clienti che, consapevolmente sono fedeli, ovvero il tasso di fedeltà voluta.

L'impresa è consapevole che un cliente trattenuto non è un cliente fedele, mentre è fedele il cliente che vuole comprare dall'impresa e non dalla concorrenza perché non è un cliente semplicemente soddisfatto, ma molto soddisfatto.

E' evidente che monitorare costantemente il livello della customer satisfaction è forse l'attività dalla quale dipende prioritariamente la sopravvivenza dell'impresa. L'impegno non è facile, anzi ha gradi di difficoltà notevoli, specie perché la qualità della fornitura, percepita dal cliente non sempre corrisponde alla qualità che l'impresa ritiene di erogare.
La soluzione, specie se non si è in presenza di beni di largo consumo, sta nella "casa degli stakeholder", nella quale, tutti e quindi anche il cliente, concorrono a definire la qualità del prodotto e l'impresa è in grado di conoscere, del cliente, i bisogni impliciti, quelli espressi, ma anche quelli latenti.

Grazie a questa conoscenza l'impresa potrà erogare la propria fornitura in base a tre tipologie di qualità.

  • La qualità implicita che è propria delle prestazioni che i clienti considerano normale ricevere e che quando vengono erogate producono uno stato di non-insoddisfazione.
  • La qualità espressa che deriva da quelle prestazioni che i clienti apprezzano se le riscontrano.
  • La qualità latente che è correlata a prestazioni inattese dal cliente e hanno un'influenza molto positiva sulla customer satisfaction.

Va comunque detto che la qualità latente diventa presto una qualità implicita (il cliente si aspetta quello che prima era una sorpresa) e se l'impresa vuole mantenere elevato il grado di soddisfazione del cliente dovrà inventarsi un'altra qualità latente, mantenendo il pendolo della qualità in continua oscillazione tra qualità latente e qualità implicita.

Si è detto che quantificare la customer satisfaction è un'attività molto complessa, esistono, comunque, una serie di elementi, come quelli indicati nel riquadro, la cui analisi può dare informazioni su di essa.

 

Effettuare consegne precise e corrispondenti agli ordini.
Rispettare i tempi di consegna.
Adottare termini di pagamento flessibili e a misura del cliente.
Avere una discreta gamma di prodotti.
Imballare i prodotti in modo razionale, funzionale e gradito al cliente.
Usare imballaggi ecologici.
Essere capaci di adattarsi alle esigenze della commercializzazione.
Sostenere i prodotti con un'efficace attività di marketing.
Organizzare azioni promozionali.
Avere personale con adeguato grado di autonomia.
Avere prodotti con ciclo di vita adeguato.
Curare i contatti interpersonali.
Avere personale cortese e gradevole nei rapporti interpersonali.
Fornire spiegazioni e materiali, esaurienti e completi.
Avere procedure di comunicazione tecnologicamente avanzate.
Proporre soluzioni di servizio innovative.
Disporre di un adeguato servizio assistenza clienti.

Questi indicatori di customer satisfaction possono essere modificati o integrati, in funzione della tipologia di business dell'azienda, ma sarebbe opportuno che ciascuna impresa compili un elenco di parametri, come quello del riquadro, e su di esso faccia, periodicamente un attento monitoraggio. Per quantificare in un dato numerico la customer satisfaction, l'imprenditore, in funzione della tipologia del proprio business, potrebbe assegnare a ciascun parametro una scala di valori e definirne, quindi, con un "voto", il valore.

11 La competenza emotiva

Fino a pochi anni fa l'intelligenza di una persona veniva misurata attraverso il QI; da qualche anno si misura anche l'EQ, il quoziente di intelligenza emotiva (Goleman, 1998), che rappresenta appunto un altro aspetto dell'intelligenza.

L'EQ comporta le seguenti doti.

  • Buona conoscenza e consapevolezza di sé.
  • Autocontrollo.
  • Facilità nelle relazioni.
  • Empatia,
  • Comunicativa.
  • Capacità di trasmettere nell'interlocutore entusiasmo e fiducia.
  • Automotivazione.
  • Capacità di comprendere i sentimenti e gli stati d'animo altrui.

 Tutte caratteristiche che fanno il profilo ideale di un leader.

Questo spiega, anche, perché, generalmente, un alto QI, da solo, non crea un leader. La competenza emotiva nasce dalla consapevolezza della propria intelligenza emotiva; potremmo dire che la competenza emotiva nasce dalla propria consapevolezza e dalla propria intelligenza emotiva.
La presenza nell'impresa della competenza emotiva risulta particolarmente importante quando l'impresa è in una fase di transizione.

Durante i cambiamenti, in azienda, è noto che si sviluppano ansia, paura e sfiducia, forze negative che possono bloccare il processo in corso; solo la presenza della competenza emotiva permette alla leadership di illustrare uno scenario positivo e di far comprendere alle persone che l'impresa richiede loro responsabilità, iniziativa, lealtà, impegno, fiducia.

Essa è altresì fondamentale quando il valore di un'impresa è il tessuto delle sue relazioni e la capacità di creare, mantenere e sviluppare relazioni è un must aziendale.
E' opportuno notare che la competenza emotiva è l'ingrediente per ottimizzare anche i parametri visti prima.
La competenza emotiva permette di sviluppare energia positiva in situazioni ad elevato potenziale conflittuale, quando la comprensione dei sentimenti e delle aspettative altrui e la capacità relazionale giocano un ruolo importante.
La competenza emotiva, attraverso le capacità relazionali, permette di valorizzare i processi di comunicazione interna ed esterna per la trasmissione di un insieme di valori che costituiscono l'identità e l'immagine aziendale.
Il capitale intellettuale si sviluppa, se all'interno dell'impresa cadono confini e barriere organizzative, permettendo la libera diffusione della conoscenza; questo comporta accordare fiducia ai collaboratori, operazione facilitata se esiste una sintonia, tra i soggetti dell'impresa, che scaturisca da affinità emotiva, sensibilità ed entusiasmo.
La costruzione, nell'impresa, della cultura dell'innovazione comporta la diffusione e l'interiorizzazione di una tensione emotiva verso nuovi modelli mentali e una predisposizione verso la rottura di rendite di posizione e vecchi schemi.
La competenza emotiva è uno strumento fondamentale per mettere in atto i giusti comportamenti tesi al raggiungimento della soddisfazione dei collaboratori e dei clienti. Con riferimento ai collaboratori, rivestono particolare importanza le relazioni interpersonali e la percezione, da parte dei collaboratori, dell'esistenza di una particolare attenzione alle proprie esigenze, elementi profondamente influenzati da comportamenti che derivano dalla dimensione emotiva.
La customer satisfaction dipende dalla capacità dell'impresa di saper cogliere i bisogni espressi e latenti dei clienti e di soddisfarli, trasformando il contatto in un'esperienza memorabile. La dimensione critica sulla quale agire per raggiungere quell'obiettivo è la relazione ad elevato tasso di intelligenza emotiva per "incantare" il cliente e convincerlo ad essere fedele.

12 Alcuni esempi di cambiamento nelle Pmi

Più volte è stato sottolineato che alla base del successo di un'impresa e della sua leadership c'è una forte propensione al cambiamento del core business, particolarmente nel momento in cui i segnali premonitori, analizzati nei precedenti paragrafi, possano indicare una potenziale crisi, anche non imminente.
A questo punto è interessante citare come alcune Pmi, note all'autore, abbiano interpretato, in modo esemplare, il modello del cambiamento.

Un'impresa leader nel campo della realizzazione di forni industriali per trattamenti metallurgici in atmosfere controllate, inizia a rendersi conto che, dopo aver disseminato i propri prodotti in quasi tutto il mondo, le aziende sono restie ad effettuare investimenti in forni di nuova generazione. L'imprenditore decide, quindi, di sfruttare il proprio know-how nel campo delle atmosfere e della chimica e si applica con successo alla realizzazione di impianti per lo smaltimenti di rifiuti, tramite pirolisi.

Un'impresa operava da una decina di anni nel campo della carpenteria su disegni costruttivi realizzati dal cliente, il fatturato era soddisfacente, i clienti fidelizzati, i dipendenti integrati. L'imprenditore aveva però compreso che era necessario un cambiamento culturale perché la forte competizione sui prodotti finali avrebbe condotto i clienti a scaricare economie di spesa su fornitori e terzisti. In pochi anni l'impresa ha cambiato il proprio core business diventando un'impresa di progettazione di componenti di carpenteria, con la realizzazione relegata ad una fase secondaria ed, eventualmente, esternalizzabile nel caso di picchi negli ordinativi. La conoscenza accumulata nella lavorazione della lamiera di ferro aveva consentito di proporre al cliente soluzioni progettuali mirate alla riduzione dei costi, alle quali il cliente non sarebbe mai arrivato. Grazie a questo cambiamento il fatturato è più che raddoppiato.

Un'impresa ha una posizione di leadership nella produzione di motori elettrici, settore nel quale la concorrenza in tutta Europa e fortissima. L'imprenditore aveva analizzato per anni soluzioni che potessero proteggere l'impresa da possibili crisi ed era arrivato alla conclusione che sarebbe stato opportuno entrare in qualche settore nel quale l'uso dei propri motori elettrici avrebbe consentito di operare in una sorta di captive market. L'imprenditore ha individuato nel motoscooter elettrico un prodotto con buone prospettive e ha creato una joint venture con un fabbricante di motoscooter convenzionali. Le prospettive economiche sono molto interessanti, anche per gli incentivi del governo a favore dell'uso di mezzi a trazione elettrica.

Un'impresa nasce quarant'anni fa per la produzione di resistori di precisione a filo avvolto; questa produzione di nicchia consente all'imprenditore di entrare in contatto con società multinazionali che, lavorando con elevati standard di qualità, hanno bisogno di componenti che rispondano a quegli standard.  A questo punto avviene il primo cambiamento del core business, l'impresa avvia la produzione di schede elettroniche ad elevatissimo standard qualitativo. Questo tipo di produzione consente all'impresa di acquisire, come clienti, multinazionali operanti nel settore elettromedicale, in particolare la società leader mondiale nella produzione di macchine per anestesia. L'incontro con questa grande società fa compiere all'imprenditore il secondo cambiamento del core business, la progettazione e realizzazione, per conto della multinazionale, di apparecchiature elettromedicali. Da piccola impresa artigiana, l'impresa citata è diventata un'impresa moderna e con un fatturato di tutto rispetto.

Due imprenditori operanti nel settore delle macchine utensili e della saldatura hanno sentore di una crisi della propria impresa per i continui attriti, con un terzo socio, nella definizione delle strategie aziendali. Operando nel settore della lavorazione meccanica si rendono conto che in Italia non ci sono molte aziende che lavorano nel campo delle applicazioni laser per i trattamenti superficiali e per la marcatura e fondano una seconda impresa per entrare in questo core business. Una volta acquisite le competenze sui laser e approfondite le potenzialità del mezzo si rendono conto che gli impianti acquisiti per lavorazioni per conto terzi possono essere utilizzati per la realizzazione di prodotti artistici in cristallo, prodotti che consentono margini più elevati delle lavorazioni per conto terzi, lavorazioni d'altra parte insidiate da tecniche a minor costo. Avviene quindi una seconda trasformazione del core business e gli imprenditori sono in una fase di forte espansione della produzione.

Un'impresa opera da più di trent'anni nel campo della produzione di matrici per rotocalco; la nuova leadership aziendale si rende conto che gli indicatori del settore mostrano competitor sempre più agguerriti, ritorni sul capitale calanti, crescita zero. Gli imprenditori, convinti che «la molla del progresso consiste nell'accumulazione della conoscenza e che il cambiamento è vita», avviano una nuova stagione creando una società alla quale affidare il compito di sviluppare R&S per l'individuazione di nuovi prodotti, partendo dal capitale iniziale di un know-how trentennale nel settore. Nel giro di tre anni la nuova struttura realizza un nuovo cilindro, scardinando l'antico giudizio secondo il quale "il cilindro di qualità deve essere pesante", l'impresa di produzione registra un incremento di fatturato del 30%. Dopo due anni viene inventato un cilindro ancora più rivoluzionario, che consente di ridurre del 50% i costi di produzione, il fatturato registra un altro 30% di incremento. In questo caso si può affermare che il cambiamento di business è consistito nel passare dalla cultura dell'ottimizzazione delle performance attraverso miglioramenti incrementali dei processi di produzione alla cultura dell'innovazione di prodotto.

Tra i molti altri esempi che l'autore potrebbe portare, esiste una trasformazione del core business che è comune a moltissime aziende. Imprese commerciali, agenti di produttori esteri, che, costituendo strutture per l'assistenza tecnica ai clienti, gradualmente acquisiscono le competenze per realizzare in proprio il prodotto commercializzato, eventualmente privo di quei difetti che richiedevano la presenza di un centro di assistenza. In questi casi il cambiamento di core business è la transizione da attività prettamente commerciali ad attività di produzione.

Da questo piccolo gruppo di casi esemplari si comprende come il cambiamento, fonte di longevità delle imprese, nasce, fondamentalmente, da due elementi chiave per l'eccellenza imprenditoriale, la capacità di anticipare una potenziale crisi e la creatività nel modificare il core business dell'impresa.

13 Sintesi delle azioni volte alla salvaguardia dell'impresa

Riassumendo, l'esplicitazione operativa delle azioni che la leadership aziendale dovrebbe seguire per la vitalità dell'impresa può essere descritta in una serie di azioni che riguardano cultura, organizzazione, processi di business, sistemi e metodologie.

Cultura e organizzazione

  • Diffondere cultura imprenditoriale nel sistema degli stakeholder
  • Diffondere un elenco di valori nel sistema degli stakeholder
  • Curare l'empowerment delle risorse umane
  • Sviluppare gli asset immateriali
  • Definire le responsabilità
  • Adeguare il sistema organizzativo alle vision e mission aziendali
  • Creare un'identità e un'immagine aziendali
  • Diffondere la cultura dell'organizzazione

 

Processi di business

  • Sviluppare prodotti e servizi con la "collaborazione" del cliente
  • Essere creativi nelle innovazioni di prodotto/servizio, di processo, di marketing, di management
  • Creare il sistema degli stakeholder
  • Preoccuparsi della soddisfazione di tutti gli stakeholder
  • Puntare sull'innovazione continua
  • Programmare accuratamente la produzione o la fornitura del servizio
  • Curare la logistica in uscita
  • Assistere il cliente
  • Monitorare la customer satisfaction
  • Essere creativi nelle attività di marketing

 

Sistemi e metodologie

  • Organizzare il total quality management
  • Puntare su flessibilità ed elasticità
  • Curare metodologie e strumenti gestionali
  •  Curare la qualità della comunicazione
  • Gestire per processi
  • Rilanciare l'impresa nelle fasi di forte energizzazione
  • Assicurarsi della remunerazione del capitale investito, inteso come bene comune per l'impresa e per gli uomini.

 

Bibliografia.

D'Egidio F., La vitalità d'impresa, Sperling&Kupfer, 1999.
Goleman D., Lavorare con l'Intelligenza Emotiva, RCS Libri, 1998.
Johnson R., D. Redmond, L'arte dell'empowerment, FrancoAngeli, 2000.
Merli G., C. Saccani, L'azienda olonico-virtuale, Il Sole 24 Ore Libri, 1999.

Eugenio Caruso
15 luglio 2008


Integrazione del 28 settembre 2008

A integrazione dell’articolo è interessante analizzare un Rapporto Istat su Tasso di sopravvivenza delle imprese, in Italia, che conferma i dati statunitensi.
Quasi la metà delle nuove imprese non regge alla prova del mercato e, dopo cinque anni, sono costrette a chiudere.
Un giro vorticoso fra imprese che nascono e che muoiono che ogni anno coinvolge, secondo l’Istat, circa 600 mila imprese e un numero consistente di occupati: il tasso lordo di turnover occupazionale, cioè il complesso di posti di lavoro coinvolti da nascite e cessazioni  di imprese è pari al 5,8% del totale dell’occupazione e movimenta più di 900mila posti di lavoro.

Di fatto, stando ai dati Istat sulla demografia d’impresa, per ogni dieci imprese nate  nel 2001 solo 5,5 erano ancora operative alla fine del 2006. L’emorragia, però, è lenta quanto inesorabile: nel quinquennio 2002 – 2005, le imprese che sono riuscite a superare l’anno di vita variano da un minimo dell’86,9% (per le nate nel 2002 e 2004) a un massimo del 90,2% (per quelle registrate nel 2001).
Ma aver superato il primo anno di vita non è affatto una garanzia di sopravvivenza; infatti nel secondo anno la sopravvivenza minima scende dall’87% al 75%, nel terzo al 66%, nel quarto al 59% e nel quinto al 55%.
I tassi più elevati si registrano nel Nord Est (60% dopo 5 anni) e nel Nord Ovest con il 56%; Centro e Sud hanno percentuali di sopravvivenza del 54%.
Il tasso di mortalità delle imprese italiane è alto, attorno al 7,5% anno, poco sotto quello di natalità, confermando una vivacità demografica delle imprese italiane.
Nel quinquennio preso in considerazione dall’Istat  sono scomparse, mediamente, 290 mila imprese l’anno. Con punte più elevate per il settore delle costruzioni (9,1%) e del commercio (7,7%), mentre nei settori dell’industria  in senso stretto e dei servizi il tasso di mortalità è, relativamente, più contenuto.
La vita delle nuove imprese nate, almeno in questo ultimo decennio, è certamente più a rischio nel commercio, dove, dopo cinque anni dalla nascita, solo il 51,9% delle nuove imprese risulta ancora in attività, circa il 6,5% in meno rispetto alle imprese industriali.

D’altra parte nemmeno dopo cinque anni di attività l’impresa può ritenersi al sicuro dalla mortalità; in genere l’impresa cresce lentamente, lavora con pochi addetti e la struttura è ancora molto fragile. Infatti le imprese ancora operanti nel 2006 e nate 5 anni prima, avevano, mediamente, poco più di tre addetti: insomma si tratta di microimprese esposte ai marosi del mercato e della globalizzazione.
Ma la situazione varia in funzione della tipologia di business: il numero degli addetti aumenta per tutti sin dal primo anno di vita, mentre nell’industria  la crescita risulta più elevata, passando da 2,3 a 4,7 addetti medi.
Nel commercio la vita è meno facile e si cresce pochissimo sin dall’inizio. La dimensione media è la più bassa, sia alla nascita, (1,4 addetti) sia dopo 5 anni (2,2 addetti). E, mentre alla nascita la dimensione media è sostanzialmente indifferenza  territorialmente, dopo il triennio emergono le prime differenze significative e dopo cinque anni la dimensione media è di 4,3 addetti nel Nord Ovest contro i 2,8 nel resto d’Italia.
Sono differenze importanti: il rapporto Istat mostra, infatti, che crescita e sopravvivenza  sono legate; le imprese più piccole hanno infatti, mediamente, una probabilità di sopravvivenza più bassa.

Rapporto ISTAT (settembre 2008)


Le imprese e la crisi del 2008/2009

«Fino ad ottobre 2008 gli impianti hanno lavorato al 95 per cento. Poi, di botto, il rallentamento. Solo a gennaio 2009, gli ordinativi sono crollati del 40 per cento», sostiene il presidente di Federacciai, Giuseppe Pasini. Il mantra obbligato è diventato tagliare i costi, nella grande provincia manifatturiera italiana provata dalla crisi mondiale. In ogni piega del conto economico. Come? «Lavorare di notte e nei weekend permette, a esempio, di sfruttare la tariffa elettrica più bassa (fino al 20%)». Ha cominciato l'Alfa Acciai di San Polo, adesso nel bresciano lo fanno praticamente tutti. «Anche la mia Feralpi», conferma Pasini che aggiunge: «In questo modo abbiamo riportato in house la manutenzione che facciamo durante il giorno, quando gli impianti sono fermi».
Meccanica
Dalla siderurgia bresciana alla meccanica reggiana, per Fabio Storchi e la sua Comer industries «l'obiettivo è tornare ai costi 2007. Tagliando le spese generali e la pubblicità del 10%, e alcune fiere non strategiche. D'altronde il crollo dei prezzi delle materie prime, che sul nostro business incide per il 50%, è stato un salasso, perché arriva a valle di una bolla che aveva drogato la domanda. Risultato: magazzini al massimo delle scorte da riassorbire insieme al calo di produzione». In molti casi c'è chi ha comprato a prezzi esorbitanti, e oggi si trova esposto con magazzini pieni che valgono poco. Che fare allora? Tagliare. Sperando di scavallare la crisi senza chiudere. «Si punta alla sopravvivenza, accantonando investimenti, strategie di espansione e spin-off», ragiona Giampaolo Vitali del Ceris-Cnr. «La recessione colpisce tutti e le imprese sono costrette a ridurre i costi fissi per abbassare il punto di break even: su produzione, vendita, commercializzazione e molto spesso R&S».

Spiega Federico Bonanni, responsabile ristrutturazioni aziendali di Kpmg, che oggi il focus è tutto finanziario, perché è crollata la domanda e insieme la stretta creditizia fa mancare liquidità. Dunque le imprese lavorano sul lato costi: «Cassa integrazione in quelle imprese che dipendono molto dall'intesità degli addetti impiegati, mobilità, riduzione dei temporary, internalizzazione del lavoro, dilatazione dei pagamenti ai fornitori, blocco delle spese di marketing e pubblicità (la stima sul 2009 prevede un taglio del 5% sulle tv e 10% sulla stampa, ma nel primo bimestre ha sfiorato il 20%)». E per chi è messo peggio, «riduzione del ciclo vendite e produzione acquisti». In sostanza: «Produco solo su ordinativi e non più per il magazzino, riducendo il volume di affari e acquisti massimizzando le code degli incassi». Tutte misure che hanno impatto sulla cassa a breve, in attesa del ritorno ai ricavi. «Certo manca una visione industriale di medio lungo - precisa Bonanni - non ci sono in corso veri piani di ristrutturazione». Richiederebbero tempo e soldi che oggi non ci sono.
Artigianato
«L'altro giorno - spiega Massimo Ferlini, presidente della Compagnia delle Opere di Milano - un artigiano mio associato si è tagliato il reddito, insieme alle spese di rappresentanza e alle piccole sponsorizzazioni. D'altronde quando nella meccanica prima si ruotava con il magazzino a due mesi mentre oggi si arriva a sette o a otto mesi, è davvero dura». Alessandro Cappeller produce, a Cartigliano nel vicentino, minuterie metalliche di precisione (17 milioni di fatturato 2008), tra cui le molle per i soffietti di gomma degli ammortizzatori auto (lavorano al 50% per l'automotive). «Per ora - dice - me la cavo giocando sulle scorte di magazzino: attingendo da lì, non ho costi e recupero liquidità, visto che le banche non fanno il proprio mestiere. E poi stiamo attenti alla cassa. Ad esempio sull'energia, che incide per il 3% sul nostro fatturato, ho organizzato un corso in azienda per sensibilizzare i miei dipendenti. Anche un risparmio di mezzo punto vale oro in questi mesi».
Tessile-abbigliamento
Nella moda, la Diesel di Renzo Rosso ha appena aperto uno store in San Babila a Milano. L'azienda veneta continua a investire sulla distribuzione, sulla rete retail e sulla comunicazione di brand. Però i ricavi sono in flessione per tutti, quindi si taglia: a esempio da qualche settimana in Diesel si vola solo low cost e si prenotano alberghi meno cari, risparmiando sulle trasferte. «Siamo in una fase attendista, al di là dei tagli ai centri di costo. Le imprese vogliono prima capire la profondità della crisi», ragiona Giorgio Airaudo, gran capo della Fiom di Torino. «I più avveduti, puntano a non distruggere capitale sociale». Anche per non sprecare l'aggiustamento avvenuto attraverso lo sviluppo di attività non strettamente manifatturiere (investimenti in asset intangibili e aumento del peso dei white collars nella forza lavoro) e il cambio delle linee di produzione interne, che secondo l'Isae spiega il 30% dell'aumento di produttività 2000-2005 nel manifatturiero italiano.

La mia esperienza di questi mesi di crisi mi porta ad affermare che le imprese che hanno seguito le regole di De Geus, in particolare:

  • Alta refrattarietà ad intraprendere operazioni finanziarie a rischio.
  • Sensibilità e attenzione ai cambiamenti in atto nel mondo esterno all'impresa.
  • Consapevolezza dell'identità aziendale, a tutti i livelli.
  • Predisposizione al cambiamento del proprio core business.

stanno emergendo dalla crisi più forti di prima.

Eugenio Caruso

Revisione del 18 marzo 2009

Per una panoramica più ampia sull'impresa moderna si rimanda a E. Caruso, L’impresa in un mercato che cambia Tecniche Nuove 2003

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