CAPIRE IL CAOS SIRIANO
Dove arriva la longa manus dell'occidente, in un modo o nell'altro, il risultato è sempre il caos. Non fa eccezione la Siria, in cui il regime di Al-Jolani, nonostante tutti gli sforzi USA-UE per sostenerlo, è già alle corde. L'ennesimo casus belli è scoppiato nel sud del paese, attizzato da scontri tra clan drusi e beduini, nella città di Suweida.
Gli incidenti hanno innescato un meccanismo di interventi e contro-interventi che sta facendo salire la tensione, ma che soprattutto mettono in luce l'estrema fragilità del nuovo regime.
Dalla capitale siriana, infatti, a seguito degli scontri tra clan sono state inviate forze dell'HTS, che però hanno colto l'occasione per mettere in atto azioni repressive nei confronti della comunità drusa.
A ciò ha fatto seguito l'intervento israeliano, dapprima colpendo alcuni tank siriani in avvicinamento a Suweida, e poi con un attacco aereo su Damasco, che ha colpito il Palazzo Presidenziale e il Quartier Generale militare.
L'IDF, inoltre, ha consentito ad alcune decine di riservisti drusi di passare il confine del Golan, per andare a dar man forte a quelli della città siriana.
Al momento, la situazione sul terreno segnala il pieno controllo delle forze druse su Suweida, ma sono comunque segnalate colonne di miliziani del governo in marcia verso la città.
In termini più generali, le forze che agiscono oggi in Siria seguono sostanzialmente le seguenti linee operative.
I clan drusi, che hanno legami anche con quelli presenti in territorio israeliano, non sono in buoni rapporti col governo di Damasco, per via degli atteggiamenti settari delle milizie governative.
Tra l'altro, furono proprio questi clan, nei giorni del collasso del governo di Assad, a prendere la capitale siriana, per poi cederne il controllo alle formazioni jihadiste.
Attualmente, i drusi siriani si avvalgono dell'appoggio israeliano, e puntano a diventare una sorta di regione semi-autonoma, che faccia da cuscinetto tra Siria ed Israele.
A sua volta, Tel Aviv vuole sia annettersi definitivamente le alture strategiche del Golan, sia appunto mantenere una fascia di sicurezza in territorio siriano.
L'appoggio ai drusi è quindi da intendere come assolutamente strumentale.
Israele però non vuole la caduta di Al-Jolani, col quale sta segretamente trattando la cessione del Golan e l'adesione agli Accordi di Abramo, quindi le attuali azioni militari non sono da intendere come volte a rovesciarlo, ma semplicemente a ribadire chi comanda.
Gli USA, che infatti hanno chiesto ad Israele di esercitare moderazione verso le forze di Damasco, hanno sostanzialmente gli stessi obiettivi, ed anche loro vedono di buon occhio un regime debole e divisivo, assai più facile da manovrare.
A tal fine, mantengono una sia pur simbolica presenza militare, che vale da pied-à-terre in caso di necessità.
Più a nord, le forze curde non sciolgono il nodo della loro integrazione. A parte la simbolica fiammata di qualche decina di armi leggere, per attestare la scelta del disarmo da parte del PKK, le milizie SDF mantengono i propri armamenti ed il controllo sull'area petrolifera di Raqqa, mentre i colloqui di Damasco per farle confluire nelle nuove forze armate siriane non fanno passi avanti.
I curdi, benché pressati dai loro sponsor statunitensi, sono comprensibilmente restii a cedere le armi e/o a disperdersi nelle varie unità dell'esercito siriano, e vogliono mantenere la capacità di difendere la propria comunità.
Sia i curdi che i drusi, quindi, rappresentano forze centrifughe, che minano la stabilità del regime e l'unità territoriale del paese. E tutto questo, a sua volta, preoccupa non poco la Turchia, per la quale la non frammentazione della Siria è fondamentale. Ragion per cui sicuramente Ankara guarda con impazienza e preoccupazione quanto sta accadendo nel sud, con nuovi focolai di secessione latente, e la tensione con Tel Aviv non fa che crescere.
Il debole governo del jihadista in cravatta fa ancora comodo a molti, ma è sempre più traballante.

San Giovanni Damasceno, Dottore della Chiesa.
MICHELE TERZI DI SANTAGATA
C'era una volta un paese, la Siria, che per mezzo secolo è stato governato dalla famiglia Assad, prima il padre e poi il figlio.
Si trattava di una dittatura? Secondo i canoni occidentali, ammesso che l'Occidente abbia ancora titolo per ergersi a guida e maestro di qualcosa, indubbiamente sì.
Era una dittatura che però garantiva un pluralismo etnico e religioso per molti aspetti unico. In Siria convivono sciti , sunniti, alawiti, drusi, curdi, cristiani. Questo equilibrio perdurava, sotto varie forme, da millenni e non era stato messo in discussione da nessuno: non da Alessandro Magno , non da Cesare Augusto, non da Giustiniano, non da Maometto, non dall'impero Ottomano. In epoca moderna questo equilibrio, piaccia o meno, è stato garantito dalla famiglia Assad.
Con la caduta del regime su di essa imperniato, dopo una guerra civile criminalmente alimentata e foraggiata dagli Stati Uniti, da Israele e dall'Unione Europea, era evidente che il paese sarebbe sprofondato nel caos.
Il contrasto non è mai stato tra dittatura e democrazia , come hanno spesso ripetuto idioti di varie tendenze, in buona e in cattiva fede, ma tra ordine plurietnico e violenza tra bande, sul modello della Bosnia degli anni Novanta e della Libia di oggi.
Le notizie che giungono dalla Siria non devono quindi stupire. Si raccoglie quanto si è seminato. Si puntava alla disgregazione dello stato e alla guerra civile permanente e questo si è ottenuto.

SILVIO DELLA TORRE
(NDR Giova notare che il caos è iniziato quando è scemata l'influenza della Russia).
ISRAELE ATTACCA LA SIRIA
17 luglio 2025
Impresa Oggi

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