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La forchetta

Una forchetta d'oro scatenò lo scandalo a Venezia.
Anno 1003, laguna veneta. La principessa bizantina Maria Argyropoulaina sposa il doge Giovanni Orseolo in un matrimonio che unisce due mondi.
Durante il banchetto nuziale, la sposa estrae un oggetto mai visto prima. Una forchetta d'oro a due rebbi luccica tra le sue dita aristocratiche.
I veneziani restano a bocca aperta. Fino a quel momento avevano mangiato solo con le mani o con il coltello, come faceva tutta l'Europa.
Ma è il clero a infiammarsi davvero. Considerano quell'utensile uno "strumento demoniaco", segno di superbia contro Dio.
Secondo i religiosi, rifiutare di toccare il cibo con le "sante mani" era un affronto alla natura divina. La raffinatezza eccessiva puzzava di peccato.
La principessa Maria aveva portato con sé un'abitudine dell'Impero bizantino, dove l'aristocrazia usava la forchetta già dal X secolo. Una tradizione che a Venezia fece scandalo.
Piano piano, le nobildonne lagunari iniziano a imitarla. Nel XII e XIII secolo, forchette pregiate a due o tre punte diventano status symbol delle grandi famiglie mercantili.
Mentre Venezia abbraccia l'innovazione, il resto d'Europa resta indietro. Francia, Germania e Inghilterra ignoreranno la forchetta per altri due-tre secoli.
Anzi, nelle corti europee usarla sarà considerato "poco virile" o "una bizzarria orientale". Mangiare con le mani significava buona educazione.
Solo nel XV-XVI secolo l'Europa occidentale scoprirà quello che Venezia già sapeva da tempo. La forchetta non era diabolica, era semplicemente il futuro.
Oggi inforchiamo la pasta senza pensarci due volte. Eppure quel gesto quotidiano nasconde secoli di resistenze e pregiudizi culturali che le veneziane hanno spezzato per prime.
Ancora oggi chiamiamo la forchetta "piròn", dal greco "peirao" che significa "infilzare". Un ponte linguistico che ci riporta a quell'antica Bisanzio.
Quel che non sapevi, in breve
La forchetta arrivò dal matrimonio bizantino del 1003
Il clero la considerava uno strumento del diavolo
Venezia anticipò l'Europa di oltre due secoli
"Piròn" deriva dal greco antico "infilzare"

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Una forchetta del XVII secolo.

STORIA

L'origine della forchetta non è chiara, ma è probabilmente serba, bizantina o comunque mediterranea; restano avvolti nel mistero i collegamenti con gli utensili d'osso trovati in alcune tombe della cultura cinese Qijia (risalenti al 2400 - 1900 a.C.).
In ogni caso romani e i greci normalmente facevano uso a tavola, come avviene ancora per alcune pietanze, delle sole mani; spesso nelle famiglie nobili e ricche si utilizzavano invece, con lo scopo di non scottarsi o sporcarsi le dita, dei "ditali" d'argento. Oltre ai ditali, si usava anche la forchetta. Numerosi ritrovamenti archeologici di esemplari molto curati con due o tre rebbi di epoca tardo-imperiale sono conservati nei musei archeologici di Padova e Torcello.
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente e la conseguente invasione barbarica, anche la forchetta, oggetto comunque raffinato, scomparve quasi completamente. Nell'Impero d'Oriente, invece, questo "oggetto lussuoso" rimase in uso, per poi essere reintrodotto in Italia dai veneziani.
Le prime forme di forchetta furono degli spiedi a due punte chiamati "lingula" o "ligula", utili per infilzare i datteri.
Nel 1003 la forchetta giunse in Occidente grazie alla principessa bizantina Maria Argyropoulaina, nipote di Costantino VIII, che venne data in sposa al diciannovenne Giovanni Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II Orseolo, le cui abitudini, compreso l'uso della forchetta, furono oggetto di critica da parte di Pier Damiani perché considerate esempio di mollezza.
La storica e accademica Chiara Frugoni, specialista del Medioevo e di storia della Chiesa, osserva inoltre: "Gli uomini di Chiesa ritennero la forchetta strumento di mollezza e perversione diabolica. San Pier Damiani (1007-1072) non ebbe alcuna pietà per la povera principessa bizantina Teodora, andata sposa al doge Domenico Selvo, che usava la forchetta e si circondava di raffinatezze cercando di ingentilire le maniere dell'Occidente: «Non toccava le pietanze con le mani ma si faceva tagliare il cibo in piccolissimi pezzi dagli eunuchi. Poi li assaggiava appena portandoli alla bocca con forchette d'oro a due rebbi»; la terribile morte della giovane donna, le cui carni andarono lentamente in gangrena («corpus eius computruit»), è vista come una giusta punizione divina per un così grande peccato.".
A Firenze era sicuramente in uso nella famiglia Pucci, come testimonia il dipinto di Sandro Botticelli sulle nozze di Nastagio degli Onesti, commissionato come regalo di nozze da Lorenzo il Magnifico nel 1483. Secondo una leggenda popolare, in Francia le forchette furono portate dalla corte di Caterina de' Medici, tuttavia l'uso della forchetta è stato dimostrato nell'antica Gallia, e anche in tutto il Medioevo in Francia con testimonianze archeologiche del XIV secolo.
La sua lenta diffusione in Occidente fu favorita anche dalla corte di Carlo V, il quale ne aveva addirittura una piccola collezione; a Parigi rientrava fra le curiosità locali di una locanda, il Tour d'Argent, dove Enrico III di Valois (1551-1589), la adoperò per la prima volta (una testimonianza resa però almeno in parte inattendibile dal fatto che non vi sono testimonianze della Tour d'Argent risalenti a prima dell'Ottocento).
L'uso della forchetta rimaneva però malaccetto: era considerata segno di eccessiva stravaganza, a tal punto che persino il Re Sole preferiva le dita, e si convinse a usarla soltanto quando la corte si trasferì a Versailles nel 1684.
La forchetta incontrò difficoltà non solo in Francia ma anche negli altri Paesi soprattutto per l'atteggiamento della Chiesa: le superstizioni religiose opposero la più strenua resistenza all'avanzare del progresso e della forchetta. Solo nel 1700 le autorità ecclesiastiche riconsiderarono la dibattuta questione dell'infernale strumento, che era ancora interdetto fra le mura dei conventi.
Nel 1770, secondo la ricostruzione di Vincenzo Buonassisi, sotto il Regno di Napoli di Ferdinando IV di Borbone, si adotta un modello più corto a quattro rebbi, a opera del ciambellano di corte Gennaro Spadaccini, che modificò l'allora esistente forchetta a tre rebbi con una a quattro rebbi.

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