La povertà relativa in Italia nel 2007.

Con la concordia le cose piccole diventano grandi, con la discordia le grandi vanno in rovina.

Sallustio.


L'annuale rapporto ISTAT sulla povertà mostra che in Italia, le famiglie che nel 2007 si trovano in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni 653 mila e rappresentano l’11,1% delle famiglie residenti; nel complesso sono 7 milioni 542 mila gli individui poveri, il 12,8% dell’intera popolazione. La stima dell’incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere sul totale delle famiglie e persone residenti) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è rappresentata dalla spesa media mensile per persona, che nel 2007 è risultata pari a 986,35 euro (+1,6% rispetto alla linea del 2006). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa media mensile pari o inferiore a tale valore (986,35 euro) vengono quindi classificate come relativamente povere. Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando un’opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti. La soglia di povertà relativa è calcolata sulla base della spesa familiare rilevata dall’indagine annuale sui consumi condotta su un campione di circa 28 mila famiglie, estratte casualmente in modo da rappresentare il totale della famiglie residenti in Italia. Per l’interpretazione delle stime è quindi opportuno tener conto dell’errore che si commette osservando solo una parte della popolazione (errore campionario) e costruire un intervallo di confidenza intorno alla stima puntuale ottenuta. Tali considerazioni sono fondamentali nella valutazione dei confronti spazio-temporali: limitate differenze tra le stime osservate possono non essere statisticamente significative in quanto attribuibili alla natura campionaria dell’indagine.

Nel 2007 la stima dell’incidenza di povertà relativa, calcolata sul campione delle famiglie, è risultata pari all’11,1%, valore che, con una probabilità del 95%, oscilla sull’intero collettivo tra il 10,5% e l’11,7%. Negli ultimi cinque anni l’incidenza di povertà relativa è rimasta sostanzialmente stabile e immutate sono le caratteristiche delle famiglie povere. Il fenomeno continua ad essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno, dove l’incidenza di povertà relativa è quattro volte superiore a quella osservata nel resto del Paese e, tra le famiglie più ampie, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni. E’ inoltre più diffuso tra le famiglie con componenti anziani - nonostante il miglioramento osservato negli ultimi anni - che presentano valori di incidenza superiori alla media, soprattutto se si tratta di più anziani conviventi tra loro o con altre generazioni (famiglie con due o più anziani o con membri aggregati).

La povertà è infine fortemente associata a bassi livelli di istruzione, a bassi profili professionali (working poor) e all’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di povertà tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione (35,8%) è di quasi quattro volte superiore a quella delle famiglie dove nessun componente è alla ricerca di lavoro (9,9%). Il fenomeno della povertà relativa, oltre che attraverso la misura della sua diffusione, può essere descritto anche rispetto alla sua gravità. L’intensità della povertà, che indica in termini percentuali di quanto la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di povertà, nel 2007, è risultata pari al 20,5%: le famiglie povere hanno una spesa media equivalente pari a 784 euro al mese (l’1,9% in più rispetto al 2006 quando era di 769 euro).

Differenze territoriali
La povertà relativa risulta diversamente diffusa sul territorio ed è particolarmente concentrata nel Mezzogiorno. In tale ripartizione, che ospita un terzo delle famiglie residenti nel paese, è povero ben il 22,5% delle famiglie e vi risiede quindi il 65% del totale delle famiglie povere. Nel centro-nord, dove meno di 7 famiglie su 100 si trovano in condizione di povertà (5,5% nel Nord e 6,4% nel Centro), vive il 35% delle famiglie povere e il 67,8% delle residenti. Nel Mezzogiorno, inoltre, a una più ampia diffusione del fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie povere presentano una spesa media mensile equivalente di circa 774 euro (l’intensità è del 21,6%), rispetto ai 797 e 818 euro osservati per il Nord e per il Centro (19,2% e al 17,1% rispettivamente).
Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale, il Veneto appare la regione con la più bassa incidenza di povertà, pari al 3,3%, seguono la Toscana, la Lombardia e il Trentino-Alto Adige, con valori inferiori al 6%. Nelle restanti regioni del Nord e del Centro, le percentuali di famiglie povere oscillano dal 6,2% dell’Emilia Romagna e 6,3% delle Marche al 9,5% della Liguria e non risultano statisticamente diverse tra loro. In tutte le regioni del Mezzogiorno la povertà è significativamente più diffusa rispetto al resto del Paese. Fanno eccezione l’Abruzzo e il Molise, dove i valori dell’incidenza di povertà (13,3% e 13,6% rispettivamente) si avvicinano un po’ alla media nazionale e risultano significativamente più bassi rispetto alla media della ripartizione. La situazione più grave, con oltre un quarto di famiglie povere, è infine quella delle famiglie residenti in Basilicata (26,3%) e in Sicilia (27,6%) che presentano valori significativamente più elevati della media osservata per il Mezzogiorno.

Le caratteristiche delle famiglie povere
Oltre un quinto (il 22,4%) delle famiglie con cinque o più componenti si trova in condizione di povertà relativa, proporzione che sale a un terzo (il 32,9%) se residenti nel Mezzogiorno. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati, tipologie familiari tra le quali l’incidenza è pari rispettivamente al 22,8% e al 18% (32,3% e 30,3% nel Mezzogiorno). La presenza di più figli minori all’interno della famiglia si associa a un disagio economico ancor più evidente: l’incidenza di povertà, pari al 14% tra le coppie con due figli e al 22,8% tra quelle con almeno tre, sale al 15,5% e al 27,1% se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, appare particolarmente concentrato nel Mezzogiorno, dove oltre terzo (il 36,7%) delle famiglie con tre o più figli minori vive in condizioni di povertà. L’incidenza di povertà relativa, che si attesta su valori prossimi alla media nazionale tra le famiglie con un solo componente anziano (11,8%), sale al 16,9% se ve ne sono almeno due. La povertà tra gli anziani appare, inoltre, relativamente più diffusa nel Centro-Nord dove l’incidenza di povertà tra le famiglie con almeno un componente ultrasessantaquattrenne supera di oltre un quarto quella media ripartizionale: da valori medi dell’incidenza del 5,5% nel Nord e del 6,4% nel Centro, si sale al 7,6% e all’8% rispettivamente se nella famiglia vi é almeno un anziano (nel Mezzogiorno l’incidenza osservata tra le famiglie con almeno un ultrasessantaquattrenne è appena il 14% superiore alla media ripartizionale: 25,8% contro il 22,5%). Nel Nord, anche le famiglie di monogenitori mostrano una povertà relativamente più diffusa: l’incidenza è più elevata della media ripartizionale (6,1% rispetto a 5,5%), quando invece nel Mezzogiorno risulta identica e pari al 22,5%. Questa tipologia, insieme a quella degli anziani soli, caratterizza in maniera evidente le famiglie con a capo una donna: il 48% e il 23% delle famiglie povere con a capo una donna sono anziane sole e monogenitori. Nel centro-nord quindi, dove la povertà tra queste tipologie familiari è relativamente più diffusa, l’incidenza tra le famiglie con a capo una donna è prossima o più elevata di quella rilevata tra le famiglie con a capo un uomo; nel Mezzogiorno invece, dove l’incidenza della povertà tra gli anziani soli e le famiglie monogenitori è prossima o inferiore alla media, si ottiene che l’incidenza di povertà tra le famiglie con persona di riferimento donna è leggermente inferiore a quella osservata tra le altre famiglie. La povertà risulta, infine, meno diffusa tra i single e tra le coppie senza figli di giovani e adulti (di età inferiore ai 65 anni): l’incidenza è pari al 3,8% tra i primi e al 4,1% tra le seconde. Nell’individuare i profili delle famiglie povere, molto importanti sono le caratteristiche della persona di riferimento: oltre all’età e al sesso, il livello di istruzione, a sua volta legato alla partecipazione al mercato del lavoro, alla condizione e alla posizione professionale, è un fattore strettamente associato alla condizione di povertà.
Anche la difficoltà di trovare un’occupazione o un’occupazione qualificata determina livelli di povertà più elevati: è povero il 27,5% delle famiglie con a capo una persona in cerca di lavoro (il 38,1% nel Mezzogiorno). Le situazioni più difficili appaiono, inoltre, quelle delle famiglie in cui non vi sono occupati né ritirati dal lavoro; quasi la metà di queste famiglie (48,5%) è povera, si tratta soprattutto di anziani soli (senza una storia lavorativa pregressa), di coppie con figli e di monogenitori. Meno grave, ma con un livello di povertà ancora molto elevato (30,6%), è la condizione delle famiglie senza occupati che, al loro interno, hanno componenti ritirati dal lavoro e almeno un componente alla ricerca di occupazione: nella maggior parte dei casi si tratta di coppie con figli adulti e di famiglie con membri aggregati; famiglie dove la pensione proveniente da una precedente attività lavorativa rappresenta l’unica fonte di reddito familiare.

In generale, le famiglie con componenti occupati presentano le incidenze di povertà più contenute, ma se all’interno vi sono persone in cerca di occupazione, il disagio assume una forte rilevanza; ben il 19,9% di queste famiglie, costituite per lo più da coppie con due o tre figli, vivono in condizione di povertà. In tutte le situazioni considerate, dunque, si tratta di una povertà legata alla difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, in cui la presenza di occupati (e quindi di redditi da lavoro) o di ritirati dal lavoro (e quindi di redditi da pensione provenienti da una passata occupazione) non è sufficiente ad eliminare il forte disagio dovuto alla presenza di numerosi componenti a carico.
I livelli più bassi di incidenza si osservano per le famiglie dove tutti i componenti sono occupati (3,6%) e per quelle dove la presenza di occupati si combina con quella di componenti ritirati dal lavoro (7,6%). Nel primo caso si tratta di single giovani e di giovani coppie entrambi occupati; nel secondo di famiglie di monogenitori e di famiglie con membri aggregati dove la pensione di vecchiaia dei genitori si combina con l’occupazione dei figli. E’ infine povero il 13,9% delle famiglie con a capo un operaio o assimilato, un’incidenza doppia rispetto a quella osservata tra le famiglie con a capo un lavoratore autonomo (6,3%) e quasi quadrupla se ci si limita alle famiglie di liberi professionisti (3,7%). Nel Mezzogiorno solo l’incidenza osservata per le famiglie di imprenditori e liberi professionisti (8,8%) è inferiore alla media nazionale; anche per le famiglie di dirigenti e impiegati, infatti, il valore è superiore (13,1% ) e sale al 27,1% per gli operai e assimilati.

Il confronto tra il 2006 e il 2007
La sostanziale stabilità della povertà tra il 2006 e il 2007, osservata sia a livello nazionale sia a livello di ripartizione, caratterizza in generale anche le diverse regioni. Segnali di miglioramento si osservano, infatti, solo per le famiglie toscane, tra le quali l’incidenza di povertà da 6,8% è scesa al 4%. Se oltre al territorio si analizzano specifici sottogruppi di famiglie, emerge, a livello nazionale, un peggioramento tra le tipologie familiari che tradizionalmente presentano una bassa diffusione del fenomeno e tra le quali, comunque, i livelli di povertà continuano a collocarsi al di sotto o in prossimità della media nazionale: famiglie di tre componenti (l’incidenza dal 10% è salita all’11,5%), in particolare coppie con un figlio (dall’8,6% al 10,6%), e famiglie con persona di riferimento di età compresa tra 55 e 64 anni (dal 7,5% al 8,9%). Un incremento dell’incidenza di povertà si osserva anche tra le famiglie con due o più anziani (da 15,3% a 16,9%), siano essi in coppia o membri aggregati. Segnali di miglioramento si osservano, invece, tra le famiglie di monogenitori (dal 13,8% scende all’11,3%), in particolare tra i monogenitori anziani; questo risultato che va messo in relazione al generale miglioramento osservato, anche negli anni precedenti, tra le famiglie con un anziano (dal 13% all’11,8%), per le quali l’incidenza rimane comunque leggermente superiore alla media. L’incidenza di povertà scende, infine, tra le famiglie con a capo un lavoratore autonomo (da 7,5% a 6,3%), in particolare se lavoratore in proprio (da 9,6% a 7,9%), tipologie che già presentavano livelli decisamente contenuti.
Nel Nord il peggioramento della povertà tra le coppie con un figlio (da 3,2% a 5%) e tra le famiglie con un figlio minore (da 3,9% a 5,7%) è particolarmente evidente e si accompagna a quello delle famiglie con cinque e più componenti (da 8,1% a 12,2%), in particolare famiglie con tre o più figli minori (da 8,2% a 16,4%) e famiglie con membri aggregati (da 9,1% a 13,4%). Gli unici segnali di miglioramento si osservano tra le coppie con due figli (da 6,2% a 4,6%) e tra le famiglie con due figli minori (da 8,4% a 5,6%).
E’ nelle regioni del Centro che appare più evidente la diminuzione della povertà tra le famiglie con un solo anziano, in particolare famiglie con membri aggregati (dal 16,5% al 12%) o con a capo una persona con basso titolo di studio (dal 12,4% al 10,3%).
Nel Mezzogiorno si osservano segnali di deciso miglioramento tra le famiglie con cinque e più componenti (da 37,5% a 32,9%), in particolare coppie con tre o più figli (da 38% a 32,3%) e con tre o più figli minori (da 48,9% a 36,7%). L’incidenza di povertà diminuisce, inoltre, tra le famiglie con a capo un lavoratore autonomo (da 16,4% a 13,8%), in particolare se lavoratore in proprio (da 19,7% a 16,3%). In questa stessa ripartizione si rileva, al contrario, un peggioramento delle condizioni delle famiglie di tre componenti (da 20,9% a 24,7%), in particolare coppie con un figlio (da 19,4% a 23,5%), delle famiglie con persona di riferimento di età compresa tra 55 e 64 anni (da 16,4% a 19%) e di quelle con due e più anziani (da 29,3% a 33,2%).

Le famiglie a rischio di povertà e quelle più povere
La classificazione delle famiglie in povere e non povere, ottenuta attraverso la linea convenzionale di povertà, può essere maggiormente articolata utilizzando soglie aggiuntive, come quelle che corrispondono all’80%, al 90%, al 110% e al 120% di quella standard. Tali soglie permettono di individuare diversi gruppi di famiglie, distinti in base alla distanza della loro spesa mensile equivalente dalla linea di povertà.
Nel 2007, circa 1 milione 170 mila famiglie - il 4,9% del totale delle famiglie residenti – risultano sicuramente povere, hanno cioè livelli di spesa mensile equivalente inferiori alla linea standard di oltre il 20%. Circa i due terzi di queste famiglie risiedono nel Mezzogiorno. Il 2,7% delle famiglie residenti, pur essendo povero, presenta livelli di spesa per consumi molto prossimi
alla linea di povertà (inferiori di non oltre il 10%). Nel Centro-nord le famiglie povere tendono a collocarsi in misura fortemente maggiore vicino alla linea di povertà: quelle che hanno livelli di spesa inferiori alla linea di povertà di non oltre il 10% sono circa il 34% e il 38% delle famiglie povere del Nord e del Centro mentre nel Mezzogiorno la percentuale scende al 29%. Anche tra le famiglie non povere esistono sottogruppi a rischio di povertà; si tratta delle famiglie con spesa per consumi equivalente superiore ma molto prossima alla linea di povertà: il 3,7% delle famiglie residenti, che rappresentano il 4,1% delle non povere, presenta valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%. Nel Mezzogiorno la quota di tali famiglie sale al 6,4% e rappresenta l’8,2% delle famiglie non povere. Le famiglie “sicuramente non povere”, infine, sono l’81% del totale e si passa da valori prossimi al 90% nel Nord e nel Centro (rispettivamente 89,6% e 86,6%) al 64,7% del Mezzogiorno. Ne deriva che circa i due terzi delle famiglie sicuramente non povere (il 69,7%) risiedono al Centro-nord.

GLOSSARIO
Spesa media familiare: è calcolata al netto delle spese per manutenzione straordinaria delle abitazioni, dei premi pagati per assicurazioni vita e rendite vitalizie, rate di mutui e restituzione di prestiti.
Spesa media per persona (procapite): si ottiene dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti.
Soglia di povertà relativa: per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media procapite nel paese. Nel 2007 questa spesa è risultata pari a 986,35 euro mensili.
Scala di equivalenza: insieme dei coefficienti di correzione utilizzati per determinare la soglia di povertà quando le famiglie hanno un numero di componenti diverso da due. A esempio, la soglia di povertà per una famiglia di quattro persone è pari a 1,63 volte quella per due componenti (1.607,75 euro), la soglia per una famiglia di sei persone è di 2,16 volte (2.130,52 euro).
Incidenza della povertà: si ottiene dal rapporto tra il numero di famiglie con spesa media mensile per consumi pari o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti.
Intensità della povertà: misura di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà.

4 novembre 2008


Commento di Impresa Oggi

Con il termine povertà relativa si intende una condizione di deprivazione inserita all'interno di una vasta rete di relazioni sociali, cioè di disuguaglianze che caratterizzano una data società in un dato momento. L'idea di base di questa povertà è che la condizione del povero non dipenda solo dal reddito individuale (come nel caso della povertà assoluta), ma, piuttosto, dal contesto nel quale il reddito viene percepito. Infatti per il calcolo di questa povertà è necessario riferirsi al reddito individuale che, a sua volta, deve essere confrontato con quello della comunità a cui l'individuo appartiene.

Si definisce povera in senso relativo quella famiglia di due persone il cui reddito è inferiore al 50% del reddito individuale medio della comunità di riferimento; per i nuclei familiari diversi da due si applicano coefficienti di scala. In questo modo la metà del reddito della comunità individua quella che è la linea di povertà relativa. Pertanto la linea della povertà relativa non corrisponde a un valore costante, ma varia da contesto a contesto. Infatti con il termine relatività ci si riferisce a un contesto che è insieme geografico, storico e socio-culturale e che riguarda contemporaneamente l'insieme delle risorse disponibili in una data società e gli stili di vita che in essa vengono attuati.

Giova ricordare, quindi, che l'indicatore della soglia di povertà relativa è molto contestato; infatti se tutti fossero ricchi con questo indicatore ci sarebbero, comunque dei "relativamente" poveri. Di ben diversa portata è l’indagine sulla povertà assoluta, laddove la soglia è definita come il ‘valore monetario di un paniere di beni e servizi indispensabili affinchè una famiglia di data ampiezza possa raggiungere un livello di vita socialmente accettabile’. Ma la stima di quest’ultima, da parte dell'Istat, è ferma da anni, da quando il sindacato maggiormente rappresentativo nell’Istat, l'Usi/RdB Ricerca, con un documento datato 1° luglio 2004 (disponibile nella pagina inchieste del sito www.usirdbricerca.it) dal titolo "Revisione critica della metodologia di stima della povertà assoluta in Italia", ha dimostrato l'assoluta inattendibilità dei numeri forniti dall'Istituto di statistica, che per il 2002 aveva sottostimato il fenomeno di ben 800.000 unità”.


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