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Al minimo la fiducia delle imprese, peggiora la bilancia commerciale, negativo l'andamento del PIL, allarme su disoccupazione, calo degli alimentari.

 Peggiora a gennaio la fiducia delle imprese manifatturiere, con l'indice sulla fiducia, considerato al netto dei fattori stagionali, che cala a 65,5 da 66,8 di dicembre, confermandosi così ai minimi da quando viene effettuata la rilevazione. Lo riferisce l'ISAE, l'Istituto di studi e analisi economica, che fornisce anche un altro segnale della crisi in corso: il grado di utilizzo degli impianti produttivi, nel quarto trimestre, è sceso da 75,4 a 69,9 punti, attestandosi sui minimi storici, da quando esiste la rilevazione.


L’allarme viene subito trasformato in cifre da Confindustria: "Duecentocinquantamila posti di lavoro a rischio nei prossimi sei mesi, a partire dagli operai". Lo fanno sapere le organizzazioni datoriali del settore delle costruzioni e dell'impiantistica. E chiedono al governo di aprire un confronto per mettere a punto insieme un "piano straordinario di rilancio infrastrutturale", che hanno già impostato, e che intendono presentare al ministro Altero Matteoli. Come "misura di emergenza", indica il vicepresidente di Confindustria per il settore, Cesare Trevisani, le imprese del settore chiedono l'avvio in tempi strettissimi delle opere immediatamente cantierabili. Un pacchetto di interventi che richiede 7-8 miliardi di spesa pubblica, pari allo 0,5% del prodotto interno lordo, per aprire subito 167 cantieri (al 30-35% grandi opere, per il resto medio-piccole). Ogni miliardo di spesa pubblica - è stato spiegato nel corso di una conferenza stampa - può salvare 23mila posti di lavoro.

Nel primo mese dell'anno, afferma l'Isae, peggiorano sia la componente interna sia quella estera della domanda. Restano invece costanti, su livelli comunque negativi, le valutazioni relative alle scorte di magazzino e alle prospettive a breve termine della produzione. Differenze si riscontrano tuttavia a livello settoriale e territoriale: l'indice continua a scendere nei beni intermedi e di consumo e recupera leggermente nelle imprese produttrici di beni di investimento.

A livello territoriale l'indice scende nel Nord Est, Nord Ovest e nel Centro ed è in lieve miglioramento invece nel Mezzogiorno. Segnali leggermente meno negativi vengono infine dalle domande relative alle condizioni di accesso al credito.

Insieme al calo dell'utilizzo degli impianti l'Isae registra anche un crollo delle ore lavorate e un aumento della quota di quanti giudicano più che sufficiente l'attuale livello della capacità produttiva. Calano inoltre l'afflusso di nuovi ordinativi e la durata della produzione assicurata sulla base del portafoglio ordini. Cedono anche bruscamente le attese a breve termine sul volume delle esportazioni e cala la percezione delle imprese circa la propria posizione concorrenziale. Segnali leggermente meno negativi vengono infine dalle domande relative alle condizioni di accesso al credito, con una diminuzione della quota di imprese che le ritiene peggiorate rispetto allo scorso mese.


L’ISTAT comunica i dati degli scambi commerciali del mese di dicembre 2008, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; con i paesi extra Ue sono aumentati del 5,4 per cento per le esportazioni, mentre per le importazioni sono diminuiti del 3,3 per cento. Nello stesso mese il saldo commerciale con i paesi extra Ue è risultato negativo per 66 milioni di euro, in significativo miglioramento rispetto al disavanzo di 1.118 milioni di euro registrato a dicembre del 2007. Rispetto al mese di novembre 2008, al netto della stagionalità, a dicembre le esportazioni sono aumentate del 2,1 per cento, mentre le importazioni sono diminuite del 2,3 per cento. Nell’anno 2008, rispetto al 2007, le esportazioni sono aumentate del 6,1 per cento e le importazioni del 9,4 per cento. Il saldo è stato negativo per 21.420 milioni di euro, in peggioramento rispetto al deficit di 15.193 milioni di euro dell’anno precedente. Un forte contributo al deficit è venuto dall’elevato prezzo dei combustibili fossili che ha caratterizzato i primi nove mesi dell’anno.

Per il Fondo Monetario Internazionale, FMI,  "l'economia mondiale sta attraversando la peggior crisi del dopoguerra". Lo dimostra soprattutto il fatto che il Pil globale nel 2009 crescerà appena dello 0,5%, secondo le stime pubblicate nel World Economic Outlook: il tasso più basso da oltre 60 anni. Ma all'Italia, come è stato anticipato anche da altri studi di previsione, tra i quali quello Ue, andrà molto peggio: -2,1% nel 2009 e -0,1% nel 2010. Le stime dell'Fmi sono state tutte riviste al ribasso rispetto alle previsioni pubblicate a novembre. In particolare per l'Italia in novembre il Fondo aveva stimato una contrazione dell'economia dello 0,6% nel 2009.  L'andamento italiano nel 2009 è analogo a quello dei Paesi più industrializzati: per tutti, si prevede un saldo negativo pari al 2%, "la prima contrazione annuale del dopoguerra", con una perdita cumulata comparabile a quelle registrate tra il 1974 e il 1975 e tra il 1980 e il 1982. Qualche speranza resta però accesa per il 2010 con un rimbalzo dell'1,1%.

Nel dettaglio, tra le maggiori economie, il Pil statunitense scenderà dell'1,6% quest'anno per poi guadagnare l'1,6% il prossimo, l'Eurozona scenderà del 2% nel 2009 e risalirà dello 0,2% nel 2010, la Germania perderà il 2,5% prima di recuperare lo 0,1%, la Francia vedrà il prodotto scendere dell'1,9% e poi avanzare dello 0,7%. Doppio segno negativo per la Spagna: -1,7% e -0,1%. La Gran Bretagna sarà il peggiore tra i Paesi del G7 quest'anno con -2,8% seguito da un +0,2% nel 2010. Sembra tenere il Canada: -1,2% quest'anno e +1,6% il prossimo. Per il Giappone -2,6% e +0,6%.

Tra le economie emergenti precipita in territorio negativo la Russia, che vedrà il Pil scendere dello 0,7% quest'anno con un taglio del 4,2% rispetto a novembre. Mosca perde anche il 3,2% sul 2010 che resta però in positivo dell'1,3%. Revisioni al ribasso pesanti anche per India e Cina il cui Pil rimarrà comunque ampiamente positivo. Il prodotto del subcontinente asiatico salirà del 5,1% (-1,2%) quest'anno e del 6,5% (-0,3%) il prossimo, il Paese del Dragone rispettivamente del 6,7% (-1,8%) e dell'8% (-1,5%).

Gli strascichi della crisi saranno difficili da recuperare anche a causa delle conseguenze dei piani di stimolo dell'economia che sono già stati e che verranno varati dai governi: i vari pacchetti anticrisi allo studio nei Paesi del G20 raggiungeranno infatti l'1,5% del Pil nel 2009. "Anche il deficit è destinato a esplodere - sostiene l'Fmi - spinto dalle operazioni di stabilizzazione e dall'impatto sui ricavi della svalutazione dei prezzi degli asset così come dai costi del salvataggio del sistema finanziario".


L'ONU prevede dai 18 ai 30 milioni di disoccupati in più, nella migliore delle ipotesi. E, se la situazione deteriorasse ulteriormente, fino a 50 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero perdere il posto a causa della crisi. È la previsione dell'Ilo, l'organizzazione internazionale del lavoro, nel Rapporto «Global employment trends». Il numero di persone che rischia di finire in povertà, in questo scenario, potrebbe salire a 200 milioni. di cui gran parte nei paesi più sviluppati. Lo studio sottolinea anche che il numero dei lavoratori poveri, cioè quelle persone che, pur lavorando, non sono in grado di provvedere alle proprie famiglie potrebbe arrivare a 1,4 miliardi di persone (il 45% di tutti i lavoratori dal 40,6% registrato nel 2007). Sarebbero inoltre in crescita anche gli impieghi precari. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro nel 2009 i lavori «vulnerabili» potrebbero riguardare il 53% della popolazione occupata crescendo in modo significativo rispetto al 50,6% del 2007.  La disoccupazione quindi potrebbe crescere dal 5,7% al 6,1% secondo lo scenario più favorevole (18 milioni in più portando il totale dei senza lavoro a 198 milioni) ma anche toccare quota 7,1% secondo lo scenario più pessimista con una crescita dei disoccupati globali di 50 milioni di unità. Inoltre 200 milioni di lavoratori, molti dei quali nelle economie in via di sviluppo, potrebbero essere trascinati nella povertà.

«Il messaggio dell'Ilo - ha detto il direttore generale dell'Organizzazione, Juan Somavia - è realistico, non allarmistico. Siamo di fronte a una crisi globale del lavoro. Molti governi sono consapevoli e stanno intervenendo ma sono necessarie azioni internazionali più decise e coordinate per evitare una recessione globale». L'Ilo segnala anche che nel 2008 l'aumento più consistente di disoccupazione rispetto al 2007 è stato registrato nei paesi sviluppati; nell'Unione europea (dal 5,7% al 6,4%) il numero di senza lavoro è cresciuto di 3,5 milioni di unità (toccando quota 32,3 milioni di disoccupati). I tassi più alti di disoccupazione sono sempre in Nord Africa (10,3%) e Medio Oriente (9,4%) mentre i più bassi sono sempre in estremo Oriente (3,8%).

I dati delle vendite nei supermercati e negli ipermercati confermano il calo dei consumi anche alimentari. Secondo l'indagine bimestrale novembre-dicembre 2008 effettuata da Unioncamere, sulla grande distribuzione organizzata, gli acquisti nei punti vendita sono scesi dell'0,2%, anche se i fatturati, complessivamente, hanno fatto registrare un aumento del 3,5 per cento. Frutto, però, spiegano, dell'aumento dei prezzi dei prodotti (+3,7% rispetto allo stesso periodo 2007). Insomma, il tradizionale incremento delle spese di fine anno non è riuscito a dare vigore alle vendite di iper e supermercati, penalizzate, soprattutto, dall'incertezza sui tempi della ripresa economica che fa tenere chiuso il portafoglio della spesa alle famiglie italiane o, quanto meno, aperto, ma in modo molto oculato. Tuttavia, secondo il rapporto Unioncamere, i fatturati reggono, anche se non mancano eccezioni, specie al Sud. Sardegna (-0,3%), Basilicata e Calabria (entrambe, –2%), fanno registrare i risultati peggiori. A differenza, invece, della Campania, che segnala il tasso di incremento del fatturato più elevato nel bimestre (pari al 5.3 per cento). Nel complesso, i risultati migliori li fa registrare il Trentino Alto Adige (6,2%), mentre le altre regioni del Nord-Est mostrano tassi di incremento inferiori. Nel Veneto, per esempio, l'andamento tendenziale è pari all'1,8%, mentre in Emilia Romagna arriva al 2,6 per cento. La Lombardia, poi, è la regione che registra la minor crescita dell'aggregato complessivo (+1,6%) del Nord-Ovest. Ma oltre alle performance, più o meno positive, degli esercizi commerciali una buona notizia per i consumatori c'è. L'aumento dei prezzi registrato nell'ultimo bimestre 2008 (+3,7%) è inferiore di un punto rispetto al valore registrato nel bimestre precedente (+4,7 per cento). A diminuire, soprattutto, i prezzi nei reparti alimentari (da +5.2% a +4.1 per cento). Anche se la drogheria mostra, ancora una volta, l'incremento più elevato, superiore al 6 per cento. Colpa, principalmente, degli aumenti dei prezzi della pasta di semola (+26,6%), degli oli di semi (+24,3%), delle barrette di cioccolato (+7,7%) e dei biscotti (+7,3 per cento). Non mancano, però, prodotti che registrano variazioni negative anche se, spesso, tale performance è più legata alle promozioni commerciali del periodo natalizio che a cali di prezzo veri e propri. In diminuzione, poi, anche i prodotti freschi, con un rallentamento dei prezzi che fa segnare, a fine 2008, +2,1%, rispetto al +4% di settembre-ottobre 2008. In particolare, il costo di prodotti come burro e latte, fra i più rappresentativi del gruppo e che per primi avevano segnato variazioni in aumento, registrano delle diminuzioni (rispettivamente del -3,5% e 0,9 per cento). La crescita dei prezzi delle bevande si mantiene, invece, sopra il 3% tendenziale, con la vetta toccata dal vino comune italiano, che sale oltre il 9 per cento.

28 gennaio 2009

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda a
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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