La posizione di Mario Draghi sulla crisi economica

Vivit sub pectore vulnus.

Virgilio - Eneide


I rischi per l’economia mondiale, fino all’estate scorsa solo paventati, si sono materializzati. In tutti i principali paesi l’attività economica è in forte diminuzione. La crisi di fiducia è la più grave dal dopoguerra.
Le previsioni per il 2009 sono state ripetutamente riviste verso il basso. Il Fondo monetario internazionale stima ora che il prodotto si contrarrà dell’1,6 percento negli Stati Uniti, del 2,0 nell’area dell’euro, del 2,6 in Giappone. I dati recentemente pubblicati sull’andamento del quarto trimestre del 2008 e gli ultimi indicatori congiunturali fanno presagire ulteriori revisioni al ribasso delle previsioni. La crisi si è estesa alle economie emergenti, colpite dalla diminuzione della domanda mondiale e dal prosciugarsi dei flussi netti di capitale.
In Europa e in Italia la contrazione è iniziata nel secondo trimestre. Nel 2008 il prodotto è cresciuto dello 0,7 per cento nell’area dell’euro; è diminuito di quasi un punto nel nostro paese. Hanno pesato il peggioramento delle esportazioni e degli investimenti, in misura minore la debolezza della spesa delle famiglie.
In Italia gli indicatori degli ordinativi, delle giacenze di magazzino, dell’utilizzo della capacità produttiva, del mercato del lavoro segnalano tutti il protrarsi dell’andamento negativo dell’economia nei prossimi trimestri. Le ripercussioni sull’occupazione non si sono ancora pienamente manifestate; gli indicatori disponibili per i mesi più recenti prefigurano un netto deterioramento.
Al calo della produzione si associa un repentino aumento del ricorso alla Cassa integrazione guadagni. Le imprese si attendono una flessione dell’occupazione nei prossimi mesi.
La caduta della domanda può colpire con particolare intensità le fasce deboli e meno protette, i lavoratori precari, i giovani, le famiglie a basso reddito. Per più di dieci anni l’occupazione è cresciuta in Italia a ritmi sostenuti. Tra il 1995 e il 2008 si erano creati tre milioni e mezzo di posti di lavoro, soprattutto grazie all’andamento moderato delle retribuzioni e alla maggiore flessibilità del lavoro. Sono più che raddoppiate le posizioni temporanee: nel terzo trimestre del 2008 l’insieme dei lavoratori a termine, interinali e a progetto sfiorava i tre milioni. Per circa quattro quinti di questi lavoratori il contratto giunge a scadenza entro un anno; su di loro grava un rischio particolare.
Le azioni di politica economica
Spezzare la morsa della recessione è compito delle politiche economiche. Vi è consapevolezza della necessità di interventi globali, di ampia portata, il più possibile coordinati. L’azione deve essere contemporaneamente incentrata sui tre pilastri delle politiche di bilancio, monetarie, per la stabilità del sistema finanziario. L’uscita dalla recessione sarà tanto più rapida quanto prima si ristabilirà la fiducia nelle prospettive di lavoro e di reddito, nel ritorno a una crescita equilibrata, nella solidità del sistema finanziario.
Le politiche di bilancio
Nei principali paesi la politica di bilancio ha assunto un orientamento fortemente espansivo, con misure di sostegno della domanda che si aggiungono a quelle messe in atto per salvaguardare il sistema bancario e finanziario. Gli Stati Uniti hanno deciso interventi per 800 miliardi di dollari, con un impatto complessivo sul disavanzo nel triennio 2009-2011 del 5 per cento del prodotto annuo. In Giappone gli interventi per il 2009-2010 sono commisurati al 2 per cento del PIL; al 3 per cento in Canada. In Europa, la Germania ha approvato azioni di stimolo per oltre 3 punti del PIL tra il 2009 e il 2010; la Spagna per poco meno di 2 punti in un solo anno; il Regno Unito per quasi 1,5 punti; la Francia per circa tre quarti di punto. Le maggiori spese e riduzioni di entrate approvate in Italia per finalità anticicliche sono pari a circa mezzo punto percentuale del PIL, finanziate da interventi di segno opposto. Ulteriori azioni hanno indirizzato risorse già stanziate verso impieghi più efficaci a stimolare la domanda aggregata. La struttura degli interventi riflette la prudenza indotta dalle dimensioni del debito pubblico. La scelta delle forme che assumono gli interventi pubblici a sostegno della domanda non è meno importante della loro dimensione. Pur differenziati fra paesi a seconda degli effetti specifici della recessione e delle condizioni dei bilanci pubblici, essi devono sostenere il consumo delle fasce più deboli e rafforzare, nella componente d’investimento, la capacità di crescita dell’economia. Opportunamente il Governo ha esteso temporaneamente a gran parte delle tipologie di lavoratori atipici la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali. Il finanziamento di questi interventi è stato di recente ampliato grazie all’intesa tra Stato e Regioni. Resta l’esigenza di una riforma organica, che copra l’insieme dei lavoratori tutelandoli dal rischio della disoccupazione, favorendone il rientro nell’attività produttiva. I crediti commerciali che le imprese vantano nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, connessi con dilazioni e ritardi nel pagamento di beni e servizi, sono molto elevati: circa il 2,5 per cento del PIL, oltre il 30 per cento della spesa annua delle Amministrazioni per consumi e investimenti. Un’accelerazione dei pagamenti darebbe sostegno alle imprese senza appesantire strutturalmente i conti pubblici. In paesi come l’Italia, dove sono alti risparmio privato e debito pubblico, interventi di breve periodo ampi e incisivi vanno compensati da misure strutturali che diano subito la certezza del riequilibrio del bilancio nel medio periodo. Allungare lo sguardo è essenziale: la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo è fondamentale anche per assicurare l’efficacia delle politiche di breve.
Le politiche monetarie
Le banche centrali hanno risposto alla crisi con prontezza e coordinazione. I tassi ufficiali sono stati abbassati rapidamente; in molti paesi sono prossimi a zero. La preoccupazione di avvicinarsi troppo al limite inferiore dei tassi di interesse nominali non può essere motivo di inazione. L’esperienza degli Stati Uniti negli anni trenta e del Giappone negli anni novanta suggerisce che è necessario contrastare, nelle fasi iniziali delle crisi, la tendenza all’aumento dei tassi di interesse reali. La rapida disinflazione non deve trasformarsi in deflazione. Il tasso di riferimento della BCE è stato ridotto di 225 punti base dall’ottobre 2008. Nell’area dell’euro il tasso reale a breve termine si colloca oggi al di sotto dell’1 per cento; se i tassi ufficiali non fossero stati abbassati, sarebbe salito considerevolmente, a causa della caduta dell’inflazione. Nell’ambito del Consiglio direttivo resta elevata l’attenzione per il costo reale del denaro. Le maggiori banche centrali hanno iniettato liquidità in misura che non ha precedenti; hanno ampliato la gamma dei propri strumenti di azione. In taluni casi sono intervenute direttamente acquistando passività delle imprese, riattivando circuiti del credito che erano ostruiti, contribuendo al finanziamento del settore privato. Possono agire per influenzare i tassi di interesse a lungo termine. La valutazione dell’efficacia di queste misure è fino a questo momento favorevole. Quando le condizioni macroeconomiche torneranno alla normalità, la liquidità iniettata nell’economia dovrà essere prontamente riassorbita. L’adozione di una strategia di rientro è prematura finché produzione e occupazione non avranno smesso di cadere: ma, come per la politica fiscale, prevederla fin da oggi è importante per assicurare efficacia all’espansione monetaria, ancorando saldamente le aspettative di inflazione di lungo periodo, contrastando possibili bolle speculative nei prezzi delle attività finanziarie e reali.
Politiche per la stabilità del sistema finanziario, per la ripresa del credito
Riattivare l’intermediazione finanziaria resta essenziale per superare la recessione e tornare a una crescita duratura. Il ruolo di supplenza delle banche centrali non può che essere temporaneo. Gli interventi attuati negli Stati Uniti e in Europa nell’autunno 2008 (tra cui garanzie sui depositi e su titoli bancari) hanno riguardato il passivo dei bilanci delle banche. Hanno evitato il collasso del sistema, riattivando alcuni mercati. La loro funzione si sta progressivamente esaurendo; diviene, pertanto, pressante procedere a nuove ricapitalizzazioni mirate allo sviluppo, a interventi di sostegno degli attivi bancari. Il Fondo monetario internazionale stima ora che nel mondo le perdite complessive di banche e altre istituzioni finanziarie ammontino a 2.200 miliardi di dollari; solo cinque mesi fa la stima era di 1.400 miliardi. A livello globale, per le banche le perdite finora evidenziate in bilancio superano gli 800 miliardi di dollari; gli interventi per ricostituirne il capitale sono stati all’incirca equivalenti, quasi la metà di essi provengono da fondi pubblici. È chiaro che il fabbisogno di capitale degli intermediari non può essere soddisfatto solo dagli interventi pubblici: si deve riattivare il mercato dei capitali privati. Ne è condizione l’assoluta trasparenza degli attivi bancari. Investitori e mercati restano scettici sui bilanci di molte istituzioni finanziarie; ne sono conseguenze la forte diminuzione dei flussi di risorse verso l’industria bancaria, l’innalzamento dei livelli di patrimonializzazione che il mercato richiede alle banche, una pressione sulle banche stesse a ridurre gli attivi. Un’azione coordinata a livello internazionale da parte delle autorità di vigilanza dei maggiori centri finanziari, che assicuri valutazioni uniformi delle attività nei bilanci bancari può accrescerne credibilità e certezza. I provvedimenti annunciati da vari paesi nelle ultime settimane, quali la delimitazione dei titoli più problematici nei bilanci bancari o il loro trasferimento a enti separati (bad banks), sono da accogliersi con favore perché incentivano l’emersione dei titoli più rischiosi. Ma, soprattutto nei sistemi bancari solo marginalmente appesantiti dall’eredità del passato, occorre ricreare le condizioni per lo sviluppo futuro. Si potrebbe considerare, analogamente a quanto in alcuni paesi si prevede per i titoli “tossici” esistenti, l’emissione di garanzie pubbliche sulle senior tranches di insiemi di nuovi crediti: trattenuta sui propri bilanci una parte del rischio, le banche potrebbero più agevolmente collocarli sul mercato, ridando vita a un importante canale di finanziamento oggi inaridito.
Mantenere i mercati aperti al libero scambio
Nel quarto trimestre del 2008 gli scambi mondiali sono diminuiti circa del 20 per cento, su base annua, rispetto al terzo; per il 2009 l’FMI prevede una diminuzione attorno al 3 per cento, la prima caduta del commercio internazionale dopo quella del 1982. Il calo del commercio, che rappresenta un terzo del valore del prodotto globale, ha ripercussioni pesanti sulla crescita. Il ricorso al protezionismo è una sirena potente durante una crisi. Nell’immediato può offrire qualche beneficio e alleviare vere situazioni di disagio sociale. Ma è certamente illusoria e distruttiva nel medio periodo, come senza dubbio lo fu negli anni trenta. Nel novembre 2009 i paesi del G20 si sono impegnati a mantenere i loro mercati aperti al libero scambio commerciale, impegno riaffermato con forza nell’incontro dei ministri e governatori del G7 tenutosi a Roma il 13 febbraio 2009. Ma negli ultimi mesi sono emersi segnali preoccupanti. A dicembre 2008 è fallito il tentativo di raggiungere un accordo per concludere il negoziato di liberalizzazione commerciale multilaterale del Doha Round. Alcuni paesi emergenti hanno innalzato dazi commerciali o avviato azioni antidumping. Finora gli interventi sono stati limitati, per lo più contenuti nei margini concessi dalla normativa multilaterale. Una loro moltiplicazione potrebbe avere effetti deleteri, innescando un ciclo di ritorsioni commerciali. È importante che la nuova Amministrazione statunitense sappia resistere con decisione alle richieste di protezione commerciale; cruciale che gli appelli al libero scambio non siano contraddetti da comportamenti all’interno della stessa Unione europea. La Commissione europea e la BCE si stanno adoperando, in collegamento con il Consiglio Ecofin, per giungere a linee condivise di azione nel campo dell’intermediazione finanziaria e in altri settori oggetto di aiuti di Stato.
Il lavoro, in corso nelle sedi internazionali, per costruire un sistema di vigilanza macroprudenziale, da affiancare alla tradizionale supervisione sulle singole istituzioni.
Questa nuova prospettiva ha importanti conseguenze sull’estensione e sull’applicazione della regolamentazione. Tra queste: ogni entità finanziaria capace di generare un rischio sistemico sarà soggetta a vigilanza; le autorità vorranno conoscere sia la correlazione esistente fra le esposizioni di varie istituzioni finanziarie, sia come il rischio viene trasferito nel tempo e nello spazio; sarà considerata la possibilità di creare buffer di capitale e di liquidità che si espandano nei periodi di crescita e si contraggano nelle fasi discendenti del ciclo, nonché l’istituzione di un leverage ratio che limiti la crescita della leva finanziaria; verranno applicate misure per ridurre i rischi connessi ai prodotti OTC tramite la costituzione di controparti centrali. Va in questa direzione l’annuncio dell’adesione da parte degli intermediari alla costruzione di una piattaforma centralizzata per lo scambio di CDS. Essa porterà chiarezza in un mercato oggi visto, per la sua opacità ed estensione, come fonte di potenziale amplificazione delle crisi. È previsto che a livello internazionale la governance delle istituzioni finanziarie, la remunerazione dei manager, gli specifici doveri degli intermediari nella tutela degli investitori al dettaglio, siano esplicitamente soggetti alla vigilanza. Viene inoltre generalizzata la costituzione di collegi dei supervisori per i grandi intermediari globali.
Le banche italiane
A un anno e mezzo dall’inizio della crisi del sistema finanziario mondiale, le banche italiane sono in condizioni migliori rispetto ai maggiori intermediari internazionali. Le hanno difese un grado contenuto di leva finanziaria; un modello imprenditoriale saldo nel proprio ancoraggio alla tradizionale attività creditizia, radicato nel rapporto con la clientela, famiglie e imprese; un quadro regolamentare e una vigilanza prudenti. Il 2008 ha visto, nei maggiori centri della finanza internazionale, insolvenze repentine di grandi istituzioni e vasti, reiterati interventi di salvataggio pubblico. La turbolenza finanziaria ha pesato sui bilanci delle nostre banche, ma in misura relativamente contenuta: dall’inizio della fase di instabilità finanziaria fino al terzo trimestre del 2008, l’ultimo periodo per il quale sono note le relazioni trimestrali consolidate, i maggiori gruppi bancari italiani hanno registrato svalutazioni connesse con la crisi per circa 4,5 miliardi di euro, un ammontare significativo ma inferiore a quello delle principali banche estere. I profitti complessivi, pur riducendosi, sono rimasti positivi nei primi nove mesi del
2008. Il capitale si è mantenuto su livelli nel complesso superiori ai minimi regolamentari. Le modalità di calcolo dei ratios patrimoniali dei gruppi italiani rispondono a criteri più prudenziali rispetto a quelli vigenti presso altri ordinamenti. Soprattutto dopo il fallimento del gruppo Lehman, il maggior rischio immediato per la stabilità del sistema finanziario internazionale è stato costituito dalla carenza di liquidità. L’Italia non ha fatto eccezione. Nel mercato delle transazioni interbancarie non collateralizzate gli scambi si sono ridotti su tutte le scadenze, quasi annullandosi su quelle oltre la settimana. I premi al rischio sono aumentati repentinamente. In questo momento le condizioni della liquidità sono meno tese. Lo spread tra il tasso sui prestiti interbancari a tre mesi senza garanzia e con garanzia, che aveva toccato i 185 punti base il 10 ottobre 2008, si è progressivamente ridotto, portandosi negli ultimi giorni attorno a 90 punti base. Si sono riattivate le contrattazioni su scadenze leggermente più lunghe. Si intravede, anche oltre il breve termine, la riapertura di alcuni canali di finanziamento che si erano bloccati; nel gennaio 2009 vi è stato qualche segno del riavviarsi del mercato delle obbligazioni, fatto importante in una fase in cui giungono a scadenza prestiti obbligazionari emessi dalle banche nel corso degli ultimi anni. Ma la ripresa è fragile, esposta a forti incertezze. Fornire liquidità al sistema perché in nessun momento si interrompesse il flusso del credito e dei pagamenti è stata per molte settimane la preoccupazione più urgente delle autorità. Le banche centrali hanno agito in modo rapido e coordinato; l’Eurosistema è stato uno degli attori chiave. Le garanzie introdotte
dal Governo e dalla Banca d’Italia hanno sostenuto la fiducia nel sistema e aiutato la ripresa del mercato interbancario. Il 2 febbraio 2009 è stato avviato – in collaborazione con l’Associazione Bancaria Italiana e la società e-MID – il Mercato interbancario collateralizzato, che permette agli intermediari di negoziare fondi interbancari in forma anonima e garantita dai rischi di illiquidità e insolvenza delle controparti. I tassi applicati in questo mercato sono risultati inferiori rispetto al segmento palese dell’e-MID e al fixing Euribor, riflettendo il contenimento dei premi per il rischio. Oltre che alle banche italiane, il MIC è aperto alle altre banche europee che rispettino i medesimi requisiti previsti per quelle italiane, previa intesa con le banche centrali dei rispettivi paesi. Non giova compiacersi del pericolo scampato fin qui; occorre guardare avanti. In prospettiva la recessione dell’economia europea finirà inevitabilmente per pesare sui bilanci delle nostre banche. Rischi di credito emergono sia nei settori di attività tradizionale, sia nelle economie emergenti, al cui deterioramento il nostro sistema, come altri, è esposto. L’aumento degli accantonamenti a fronte di perdite su crediti peserà sui conti economici delle banche in tutto il 2009. I mercati scontano questo peggioramento nelle loro valutazioni. Occorre provvedere rafforzando i presidi prudenziali di fronte al deteriorarsi della congiuntura; creando al tempo stesso le condizioni per garantire flussi
adeguati di credito, per evitare l’avviarsi di una spirale tra restrizione creditizia e peggioramento dell’economia. Al di là del breve termine, la ripresa dell’economia reale è condizione essenziale per la solidità delle banche.
Il credito
I prestiti erogati dal sistema bancario italiano, ancora in vivace espansione nella prima parte del 2008, hanno rallentato nel corso dell’anno; la decelerazione si è fatta brusca negli ultimi mesi. Nel quarto trimestre la crescita del credito al settore privato è scesa al 4,2 per cento su base annua, la metà di quella dei tre mesi precedenti. Nell’anno la consistenza è cresciuta del 7,4 per cento, oltre 3 punti in meno rispetto al 2007. Secondo le informazioni provvisorie relative al campione di banche che fornisce statistiche decadali, in gennaio la consistenza del credito complessivo avrebbe ristagnato; se confermato, tale andamento comporterebbe in un solo mese una flessione dell’ordine di mezzo punto del tasso di crescita sui dodici mesi. Il rallentamento è comune agli altri maggiori paesi europei e ha interessato tutte le aree del nostro paese e tutte le categorie di debitori. Il tasso di crescita è modesto soprattutto per le piccole imprese, l’industria manifatturiera; le costruzioni hanno avuto un rallentamento particolarmente marcato. Il calo della produzione e le prospettive congiunturali incerte hanno depresso la domanda di fondi per investimenti fissi e circolante. La domanda di prestiti delle famiglie risente della flessione dell’attività nel mercato immobiliare e della caduta dei consumi di beni durevoli. Nel 2008 i prestiti al settore sono cresciuti del 6 per cento, contro incrementi superiori al 10 per cento negli anni precedenti. Rimane vivace la crescita dei prestiti personali. Sull’andamento del credito hanno influito anche politiche di offerta più caute adottate delle banche in seguito all’aumento del costo della provvista, alla parziale chiusura dei canali di raccolta sui mercati internazionali, al deterioramento del merito di credito della clientela, alla necessità di rafforzare il rapporto tra patrimonio e attivo per far fronte alle pressioni provenienti dai mercati, in una fase di elevata incertezza. Nel 2008 la raccolta presso banche e fondi comuni monetari residenti all’estero si è ridotta di circa il 10 per cento. Era cresciuta del 20 per cento nel 2007 e del 34 nel 2006, quando aveva contribuito per quasi la metà all’espansione della provvista. Le banche hanno fatto fronte al minor afflusso dall’estero aumentando la raccolta presso le famiglie italiane, soprattutto sotto forma di obbligazioni. Nella media del 2008 il costo della raccolta complessiva è salito di 40 punti base rispetto all’anno precedente; da ottobre ha iniziato a calare in seguito alle riduzioni dei tassi ufficiali e al parziale rientro delle tensioni sul mercato interbancario. La qualità del credito bancario sta risentendo della recessione. Dal terzo trimestre del 2008 il flusso di nuove sofferenze è in rapido aumento. Il rapporto tra nuove sofferenze e impieghi si è portato nell’ultimo trimestre dell’anno sul valore più alto dal 1999, se si esclude il picco toccato nello stesso periodo del 2003 a seguito del fallimento di Parmalat. Il deterioramento è continuato nel gennaio di quest’anno, quando il valore complessivo del debito della clientela entrata in sofferenza è risultato superiore del 70 per cento rispetto a un anno prima. Vi è un importante elemento di robustezza del sistema: in Italia l’indebitamento privato è considerevolmente inferiore a quello di altri paesi. Per le imprese, il rapporto fra debiti finanziari e prodotto è pari al 75 per cento; la media europea è più elevata di circa 12 punti. Il leverage delle imprese italiane è oggi di sette punti più basso che all’inizio degli anni novanta, alla vigilia della precedente recessione; è maggiore rispetto ad allora il grado di copertura degli oneri finanziari con le fonti interne di finanziamento. Per le famiglie, i debiti finanziari, benché cresciuti rispetto al passato, sono il 49 per cento del reddito disponibile, contro oltre il 90 dell’area dell’euro, il 150 circa del Regno Unito e degli Stati Uniti. Secondo i dati più recenti, nel terzo trimestre del 2008 gli accantonamenti e le rettifiche di valore dei principali gruppi bancari italiani hanno assorbito il 30 per cento del risultato di gestione. Il rapporto, pur lontano dai livelli degli Stati Uniti, è in forte crescita. Non dimentichiamo che al termine della fase recessiva degli anni novanta, ben meno grave dell’attuale, aveva superato il 70 per cento. Come si richiede alle banche di far piena luce sulle poste problematiche presenti nei loro bilanci dall’inizio della crisi, così è importante che esse provvedano a una valutazione prospettica realistica e severa delle perdite su crediti che inevitabilmente si produrranno nel corso dei prossimi mesi; che su questa valutazione basino le politiche di bilancio, le decisioni di ricapitalizzazione, la distribuzione dei dividendi, la remunerazione del management.
Rafforzare le banche per sostenere l’economia
Mantenere un’offerta adeguata di credito preservando al tempo stesso criteri sani e prudenti di erogazione dei prestiti: questa è la sfida per il sistema bancario nel 2009. Una stretta creditizia aggraverebbe la recessione; una minore prudenza rischierebbe di riflettersi sulla stabilità delle banche, con gravi conseguenze per la capacità di erogare credito nel medio periodo, per la stessa economia. La disponibilità di finanziamenti all’economia non va perseguita allentando gli standard di valutazione del merito di credito, ma con un irrobustimento del patrimonio che rimuova vincoli indebiti all’espansione dell’attivo. L’approccio al rafforzamento patrimoniale delle banche deve essere pragmatico: le banche devono adottare tutte le misure necessarie e cogliere tutte le occasioni opportune. Alcuni gruppi hanno già cominciato ad agire con la dismissione di attività non essenziali, con la destinazione degli utili al rafforzamento del capitale, con il ricorso al mercato. Saranno presto disponibili, con il perfezionamento dei provvedimenti attuativi, i fondi pubblici previsti dalla legge n. 2 del 2009. Anche in proficuo dialogo con il sistema bancario, gli strumenti offerti dallo Stato sono stati affinati, nei margini concessi dalle regole comunitarie, al fine di offrire una gamma di strumenti adattabile alle esigenze di ciascuna banca o gruppo. Se i fondi messi a disposizione dallo Stato sono di dimensione adeguata, se le condizioni che accompagnano gli interventi sono ragionevoli e concrete, tese a ottenere l’obiettivo, senza ingerenze amministrative nelle scelte imprenditoriali, non bisogna esitare a utilizzarli. È altresì opportuno riconsiderare il trattamento fiscale delle perdite su crediti. In Italia banche e intermediari finanziari possono dedurre le svalutazioni dei crediti solo entro lo 0,3 per cento degli impieghi; le svalutazioni eccedenti questo limite sono rateizzate in 18 anni. In Francia, Germania e Regno Unito è riconosciuta l’immediata e completa deducibilità delle rettifiche di valore indicate in bilancio. La normativa italiana ha effetti prociclici: se le sofferenze aumentano, gli oneri a carico del sistema finanziario si aggravano in quanto cresce l’ammontare delle svalutazioni che non è possibile dedurre. Essa è particolarmente penalizzante nell’attuale fase ciclica.
La reputazione delle banche, presidio di stabilità
Sempre, ma soprattutto in periodi di crisi, valore prezioso per una banca è il suo buon nome, fondamento di un solido rapporto con la clientela. Salvaguardare e accrescere la reputazione del sistema bancario richiede comportamenti concreti irreprensibili, non meno che norme rigorose. Alla Banca d’Italia la correttezza del comportamento delle banche preme perché è condizione di stabilità. Questo è particolarmente vero in momenti come l’attuale, in cui il ricorso al risparmio della clientela si è dimostrato strumento essenziale per consentire al sistema bancario di supplire, in tempi rapidi e per
importi significativi, al contrarsi di altre fonti di provvista. Vigilare sulla trasparenza e correttezza di chi offre prodotti finanziari eservizi di investimento spetta alla Consob. Per le operazioni tipicamente bancariela tutela è affidata dalla legge alla Banca d’Italia. Tra poche settimanesaranno sottoposte a consultazione pubblica nuove norme, che si vanno mettendo apunto anche in collaborazione con le associazioni delle banche, degli altriintermediari e dei consumatori. I documenti per la clientela saranno resi più chiari,
sintetici e confrontabili. Saranno utilizzati strumenti particolarmente incisivi per i prodotti di più ampio utilizzo, mutui e conti correnti. Anche trasparenza del governo societario e apertura degli assetti proprietari sono condizioni del buon nome delle banche e della loro efficienza. Un tempo il sistema bancario, stretto nei vincoli di un’estesa proprietà pubblica e di una rete di norme che ne condizionava tutta l’attività, era concentrato e chiuso nella proprietà, scarsamente concorrenziale nei comportamenti. I progressi degli ultimi decenni sono stati enormi. Il sistema delle banche pubbliche è stato smantellato. Il consolidamento dell’industria bancaria ne ha rivoluzionato gli assetti proprietari. Le fondazioni bancarie, ceduto quasi ovunque il controllo, si sono trasformate in investitori attenti alle prospettive di lungo periodo. L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha recentemente attratto l’attenzione su alcuni aspetti strutturali relativi al sistema: concentrazione della proprietà, legami partecipativi fra intermediari, presenza di amministratori in comune fra più aziende. Questi aspetti meritano attenzione. È doveroso tuttavia osservare che la concentrazione della proprietà, tratto comune delle società quotate italiane, è per le banche meno pronunciata che per le società di altri settori. L’intensità dei legami partecipativi tra le principali banche appare inferiore a quella che caratterizza altri paesi dell’Europa continentale. Per quanto riguarda la presenza di amministratori in più aziende, questione di competenza dell’Autorità antitrust per i profili concorrenziali, spetta in primo luogo al Governo e al Parlamento, cui le segnalazioni dell’Autorità si indirizzano, valutare se e quali misure adottare.
Quando si ostruiscono i canali dell’allocazione del capitale, il normale funzionamento dell’economia si inceppa, lo sviluppo è impedito. È necessario ricostruire la fiducia nel sistema finanziario, nella solidità delle banche, dei mercati. Dalle banche, dalle autorità monetarie, dai governi la società si attende un’azione decisiva di sostegno per uscire dal gorgo della crisi senza perdere di vista la sponda da raggiungere. Alla prontezza dell’agire immediato deve accompagnarsi una forte strategia di lungo periodo. Alle banche si chiede chiarezza, prudenza; ma anche la lungimiranza necessaria per non far mancare il credito ai clienti meritevoli. Le autorità monetarie hanno la responsabilità di assicurare la creazione di liquidità adeguata e la sua propagazione attraverso i canali più adatti alle strutture finanziarie nelle quali esse operano, ma anche di ancorare sempre con fermezza le aspettative di inflazione di medio periodo. I governi sono chiamati a una pronta, forte azione per sostenere l’economia. È l’occasione per riforme di struttura che consentano al nostro paese di crescere di più e meglio in futuro. I margini per una politica anticiclica di bilancio vanno creati intervenendo con decisione sui meccanismi di fondo della spesa, assicurando in modo credibile la sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo e nel lunghissimo termine. A livello globale si dovranno mobilizzare le risorse e le capacità delle istituzioni finanziarie internazionali, in specie dell’FMI e della Banca mondiale. Nell’Unione europea vi sono gli strumenti e le istituzioni per dare concreto sostegno ai paesi più vicini, che a essa guardano come a un’àncora di stabilità. Non c’è motivo di farsi vincere dalla sfiducia. È piuttosto l’occasione in cui il Paese, tutti noi, possiamo dar prova della capacità di proteggere i più deboli, di aprire nuove strade per il futuro.

10 marzo 2009

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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