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Una montagna di soldi per salvare le banche.

Il segreto del successo è la costanza del proposito.

Disraeli.


Da circa un anno i giornali e gli inserti economici parlano dei continui interventi delle banche centrali e dei governi per salvare banche in tutto il pianeta. Finalmente, aggiornato a giugno, è uscito un rapporto di ReS Mediobanca che valuta in circa 1.700 miliardi di euro la somma stanziata per il salvataggio dei principali Istituti internazionali dall’inizio della crisi dei mutui subprime.
Il massiccio intervento degli stati ha cambiato gli assetti azionari del credito nel mondo,  i dipendenti delle banche passati sotto la mano pubblica  sono lievitati da 41.000 a 366.000 unità, gli attivi in mano pubblica sono saliti da 1,5 a 6 miliardi.
La fotografia del Rapporto di Mediobanca  descrive uno scenario internazionale delle banche molto cambiato e l’elemento più importante è rappresentato, proprio, dal gigantesco intervento dei governi.
Le cifre messe a disposizione tra interventi diretti, impegni a erogazioni e garanzie prestate mostrano notevoli differenze tra Usa ed Europa. Negli Usa, a fine 2008 il governo aveva sottoscritto azioni privilegiate per 119,6 miliardi e, in totale, i piani di salvataggio hanno raggiunto, oggi,  i 561,5 miliardi, spalmati, però, su ben 702 banche.
In Europa è tutto più concentrato; dai governi sono affluiti nelle banche 52 miliardi, i salvataggi hanno raggiunto i 1.000 miliardi su soli 45 istituti e la parte del leone la fa la GB con 747 miliardi su solo 6 banche e la Germania con 261 miliardi su 8 banche. Seguono l’Olanda con 53 miliardi per 3 Istituti, la Francia, con 13,5 miliardi su 7, il Benelux con 12,7 miliardi su 4 banche, l’Italia con 9,85 miliardi su 5, la Spagna con 9 miliardi su una e poi le altre per un totale  di 1.671,9 miliardi su 747 Istituti.
Nonostante gli interventi, però, sono ancora incombenti nei portafogli bancari i titoli “illiquidi”, cioè la finanza derivata. A esempio, la franco-belga Dexia ha attività di questo tipo pari al 650% del patrimonio netto tangibile, Deutsche Bank al 398%, Ing al 275%, Ubs al 204% e Credit Suisse al 200%. Nelle banche europee, selezionate da Mediobanca, il rapporto medio è pari al 97% mentre negli Usa oscilla tra il 118% e il 78%. Fra le principali banche italiane la situazione è molto diversa: per esempio  per Intesa la percentuale è dell11%.
Il Rapporto, inoltre, mette in evidenza una maggiore fragilità delle banche europee rispetto a quelle Usa.
Nel 2008 la leva, come rapporto tra passività (provvista per erogare crediti e acquistare titoli) e patrimonio netto, è salita da 34,6 a 43,3 volte, mentre negli Usa  è calata da 26,5 a 20,9. Proprio la leva, cresciuta in modo costante dal 1998, poteva essere, secondo il rapporto di Mediobanca un indicatore più valido dello stato di salute delle banche rispetto ai coefficienti di solvibilità. L'analisi non doveva essere lontano dalla portata dei cosiddetti esperti se, agli iinizi del 2008, mio fratello Luciano ed io parlavamodella leva come una "furbata" dele banche che non avrebbe prodotto nulla di buono. Giova notare   che nel giugno 2008, negli Usa, tra gli Istituti meglio piazzati sotto il profilo dei coefficienti di solvibilità c’era la Washington Mutual, fallita tre mesi dopo. Inoltre in Europa i crediti dubbi hanno fatto un balzo dal 9,2 al 15,9 sul patrimonio.
La caduta dei ricavi e il deterioramento della qualità degli attivi hanno portato le principali banche europee, nel 2008, a chiudere i bilanci con un rapporto tra utili e fatturato negativo per il 6%. In Italia, invece, i profitti hanno tenuto; per le due banche maggiori (Unicredit e Intesa) il rapporto con i fatturati è  stato pari al 14,6%, mentre tra le top 9 è stato del12,1%.
Il rapporto di Mediobanca calcola anche gli effetti dei benefici fiscali (pacchetto anti crisi) e delle deroghe internazionali al “fair value”; senza queste misure le banche italiane avrebbero chiuso con un utile complessivo non di 8, ma di circa 1 miliardo.

Eugenio Caruso
22 giugno2009

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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Tratto da Rapporto Mediobanca

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