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Esame del DPEF 2010 - 2013 da parte dell'Isae.

Bisogna scoprire il demone in ogni cosa

De Chirico


ECONOMIA INTERNAZIONALE

L’adozione su larga scala e in tutti i principali paesi di misure fiscali e monetarie di contrasto del ciclo economico e di sostegno dei sistemi bancari ha contribuito a frenare la crisi economica: quella che nelle premesse si configurava come una caduta dell’economia globale di proporzioni comparabile alla Grande Depressione, potrebbe risultare negli esiti, grazie al massiccio intervento pubblico, “solo” una pesantissima recessione, la più grave sperimentata dalla gran parte dei sistemi dopo la seconda guerra mondiale.

L’azione dei governi è stata di portata differenziata: negli Stati Uniti e in Cina superiore rispetto all’Europa, dove frammentazione e insufficienze di coordinamento hanno limitato dimensione ed efficacia degli interventi. Tuttavia, i provvedimenti hanno pressoché ovunque, anche nell’area europea, funzionato nell’erigere una diga rispetto a un’evoluzione che appariva, dopo l’estate del 2008, in crescente peggioramento. Ciò è stato possibile anche grazie agli effetti di spillover delle politiche economiche consentiti dalla globalizzazione produttiva e commerciale che ha sostanzialmente retto nel periodo di crisi, segnando un’altra importante differenza rispetto all’esperienza degli anni ‘30.
Le misure di rilancio continueranno a espletare i loro effetti nella seconda metà dell’anno e l’intonazione espansiva verrà preservata, come ribadito nel recente G8 dell’Aquila, finché il ciclo non sarà tornato su un sentiero stabilmente positivo; ciò garantirà il mantenimento dei necessari puntelli al processo di ripresa. Dopo la nuova, forte flessione registrata nei primi tre mesi dell’anno, la recessione mondiale è, dunque, andata attenuandosi. Tendenze più incoraggianti si sono manifestate nei mercati finanziari e in quello del credito. Le borse delle principali piazze hanno registrato consistenti rialzi; sui mercati interbancari, in particolare in Europa, i tassi a tre mesi sono tornati suilivelli pre-crisi. Valutazioni meno negative sono emerse dalla primavera nelle indagini sulla fiducia di imprenditori e consumatori. Anche sulla base di tali segnali, il Composite Leading Indicator dell’Ocse ha cominciato a evidenziare segni tangibili di miglioramento, prospettando tra l’estate e l’autunno il superamento di un punto di minimo nel ciclo di crescita di diverse economie.
Alle informazioni di tipo qualitativo hanno cominciato, di recente, ad aggiungersi indicazioni quantitative meno sfavorevoli. La caduta dell’attività industriale è rallentata in Europa e negli Stati Uniti. Nell’economia americana sembra accennarsi una stabilizzazione, nelle quantità, del mercato immobiliare. Consistenti sono soprattutto i segni di rafforzamento ciclico in Asia. In Cina, la forte azione di stimolo fiscale e monetario ha sospinto la domanda interna (soprattutto gli investimenti) e riportato l’attività economica verso elevati ritmi di espansione. Miglioramenti congiunturali significativi si osservano anche nelle altre economie emergenti dell’Estremo oriente (Corea e Singapore, in particolare), in India e nello stesso Giappone.
Questi andamenti, quasi uniformemente positivi, non conducono, però, a una prospettiva di rapida ripresa, soprattutto nei paesi avanzati. Le recenti dinamiche produttive appaiono dipendenti, in parte, dal ciclo delle scorte, dopo il pesante decumulo di fine 2008 e inizio 2009, e, in parte, dalle azioni di sostegno fiscale dei governi. Non vi sono, invece, indicazioni significative di rialzo nelle componenti autonome della spesa interna. Quest’ultime rimangono appesantite dall’inasprimento, nella quantità e nei prezzi, dei flussi creditizi all’economia.
Sulla velocità dell’uscita dalla crisi pesa, inoltre, il venire meno della domanda di ampi segmenti del settore privato dell’area industriale, i consumatori americani in primo luogo, alle prese col rientro dagli eccessi di indebitamento degli anni passati. La dinamica della spesa per consumi è inoltre rallentata, in misura più o meno incisiva nelle diverse economie, dalle ricadute (ritardate) della recessione sul mercato del lavoro, atteso ovunque in deterioramento; l’entità di questo effetto risulterà tanto maggiore quanto più lento sarà il processo di recupero, nel medio periodo, dei livelli di attività economica e di capacità produttiva precedenti l’esplodere della crisi.
Sulla prospettiva di medio periodo si addensano i maggiori interrogativi. Il graduale superamento della parte peggiore della crisi economica e l’apertura della discussione circa le strategie di uscita dalle politiche di emergenza messe in campo per contrastarla riporta in primo piano la questione dei grandi squilibri globali, temporaneamente accantonata per i timori di collasso finanziario. Il riassorbimento degli sbilanci dei paesi in deficit (in primo luogo Stati Uniti, ma anche Regno Unito, Spagna e Irlanda), a fronte della riduzione dei surplus delle economie caratterizzate da eccesso di risparmio (in primo luogo Cina, ma anche Giappone e Germania) non si annuncia come un percorso lineare. Tanto più se si tiene conto che, nel contesto post-crisi, diverse economie si troveranno nella condizione di dovere correggere contemporaneamente l’aumento dei disavanzi pubblici originato dalle misure discrezionali adottate. Negli Stati Uniti si è avviato, come detto, un rientro dall’eccesso di debito da parte delle famiglie attraverso l’innalzamento del tasso di risparmio. Ciò è stato in notevole misura compensato dalla riduzione del risparmio del settore pubblico per contrastare la crisi economica. L’azione di stimolo fiscale e il conseguente peggioramento del deficit federale non possono, però, fungere permanentemente da supplenza alla più bassa domanda interna, pena l’espansione del debito pubblico, effetti avversi sulla stessa crescita economica statunitense e ripercussioni negative sui mercati finanziari. Una volta avviata la ripresa, dopo il 2010, si porrà quindi l’esigenza di un aggiustamento di finanza pubblica negli Stati Uniti. Secondo alcune simulazioni, una correzione che cercasse di ridurre in maniera apprezzabile il deficit federale produrrebbe una minore crescita di entità non irrilevante, un’accentuata volatilità ciclica (con una nuova caduta recessiva sull’impatto dell’azione correttiva e ripercussioni per la ripresa internazionale. Ciò rimanda all’altro corno del dilemma degli squilibri globali: il comportamento dei paesi con eccesso di risparmio, a partire dalla Cina; un problema che è altrettanto, se non più, importante della riduzione degli eccessi di spesa. Un aggiustamento verso un maggiore equilibrio internazionale richiederebbe, per non incidere sulla crescita, che il gigante asiatico(ma, in proporzione, anche le altre economie in surplus strutturale di partite correnti) abbandonasse il modello di sviluppo incentrato esclusivamente sulle esportazioni.
Nell’emergenza della crisi economica ciò è avvenuto per necessità: le autorità cinesi, per garantire lo sviluppo del paese, hanno dovuto stimolare la domanda interna a fronte del crollo del commercio mondiale. Il dubbio è se, col normalizzarsi della situazione internazionale, tale approccio verrà mantenuto e, possibilmente, migliorato, spostando l’intervento pubblico dal sostegno diretto degli investimenti all’approntamento di un’adeguata rete di sicurezza sociale (salute e previdenza) che favorirebbe l’abbassamento della propensione al risparmio dei cittadini cinesi.
L’insieme di queste considerazioni conduce a ipotizzare una ripresa mondiale molto graduale. A un primo semestre 2009 negativo per l’attività economica internazionale, farebbe seguito dapprima un assestamento e poi un lento recupero a partire dai mesi estivi. Lo scenario ISAE è sotto questo profilo molto simile a quello adottato nel DPEF. Nella media del 2009, il prodotto lordo mondiale si contrarrebbe dell’1,7% per poi accelerare al 2,5% nel 2010. Nel corso di quest’anno, alla recessione dei sistemi industrializzati (-3% negli Stati Uniti, -6% in Giappone, -4,7% nell’area euro), si accompagnerebbe il sensibile rallentamento delle economie emergenti. Nel 2010, sarebbero i paesi emergenti dell’Asia (+6,4%) a fornire la spinta principale alla ripresa internazionale. Le economie avanzate sarebbero al rimorchio di questa locomotiva, conseguendo in media d’anno risultati di crescita ancora sostanzialmente modesti: negli Stati Uniti, il PIL aumenterebbe dello 0,6%, nell’area euro rimarrebbe sostanzialmente stagnante; in Giappone, più vicino geograficamente ed economicamente al volano della ripresa, il rialzo dell’attività economica potrebbe sfiorare l’1 per cento.
Il commercio internazionale, ridottosi molto più del prodotto lordo mondiale nel 2009 (-14% circa nelle nostre stime), dovrebbe fornire segni più consistenti di risveglio; forse più di quelli ipotizzati nel DPEF. Il profondo vuoto d’aria prodottosi alla fine del 2008 e all’inizio del 2009 (quasi -20% tra ottobre 2008 e marzo 2009) sembra essersi esaurito nel corso del secondo trimestre. Su una caduta così rapida e concentrata nel tempo hanno influito diversi elementi.
Il fatto che la recessione abbia colpito soprattutto le industrie manifatturiere contribuisce a spiegare la maggiore caduta degli scambi di merci rispetto a un indicatore di attività economica, quale il prodotto mondiale, che include i servizi. Un ulteriore elemento di appesantimento potrebbe essere stato costituito dall’intenso processo di de stoccaggio verificatosi in tale periodo nelle economie industrializzate; un fenomeno che, implicando una riduzione della domanda di componenti e semilavorati di origine esterna, potrebbe avere amplificato l’elasticità di risposta degli scambi mondiali alla variazione della produzione. Infine, la maggiore avversione al rischio degli intermediari finanziari potrebbe avere penalizzato, nella fornitura di credito, soprattutto le imprese a elevato orientamento internazionale più esposte, nell’attuale frangente, al deterioramento ciclico.
Alcuni di questi fattori, in particolare quelli legati all’indebolimento dell’attività manifatturiera, si sono attenuati durante gli ultimi mesi nell’area delle economie avanzate; si sono, nel contempo, evidenziate esigenze di ristoccaggio dando luogo, presumibilmente, a effetti opposti a quelli prima segnalati circa l’elasticità dei traffici all’attività produttiva. Il rafforzamento della congiuntura asiatica ha inoltre fornito un nuovo, significativo stimolo agli scambi. Queste considerazioni conducono a prevedere un’accelerazione del commercio mondiale relativamente più rapida di quella ipotizzata per il prodotto, con un aumento di circa il 4% nella media del 2010. La propulsione per il rafforzamento della domanda mondiale verrebbe dalla regione asiatica, caratterizzata peraltro da intensi legami produttivi e commerciali e da una elevata propensione agli scambi intra-area. Le economie industrializzate potranno avvantaggiarsi di riflesso del traino asiatico; la possibilità di aumentare i benefici derivanti dal maggiore sviluppo di quella regione resteranno affidate alle capacità delle singole imprese di inserirsi nelle relazioni produttive dell’area e di intercettare i gusti di un’ampia porzione di popolazione in via di progressivo arricchimento.

ECONOMIA ITALIANA

All’inizio del 2009, l’attività economica italiana ha sperimentato una nuova, marcata flessione, prolungando la fase di contrazione avviata nel secondo trimestre del 2008. Il calo produttivo è risultato diffuso a tutti i settori, ma l’impatto più pesante ha ancora riguardato l’industria manifatturiera, direttamente esposta al collasso del commercio internazionale. Dal lato della spesa, la flessione è stata guidata, come già nell’ultima parte del 2008, dalle esportazioni e dagli investimenti; i consumi delle famiglie, pur meno negativi rispetto alle altre componenti di domanda, sono diminuiti nuovamente in misura apprezzabile. Anche in Italia, il miglioramento degli indicatori congiunturali segnala l’attenuazione della caduta produttiva. Le condizioni congiunturali sembrano in via di progressiva stabilizzazione nell’industria. La fiducia delle imprese, rilevata dall’ISAE, ha arrestato nel mese di marzo la discesa che durava da oltre un anno, riportandosi sui valori medi di novembre-dicembre 2008; si tratta di livelli storicamente bassi, ma l’inversione della tendenza è evidente.
Sul rialzo del clima di opinione hanno influito giudizi più favorevoli sul livello del magazzino prodotti e aspettative meno negative su produzione (e ordini) a breve termine. Queste valutazioni conducono a fare ritenere che si sia probabilmente esaurito il decumulo delle scorte che aveva amplificato negli ultimi mesi la dimensione della caduta produttiva. A partire da marzo, la fiducia è andata migliorando soprattutto nelle industrie produttrici di beni intermedi che solitamente anticipano il ciclo economico complessivo; anche i settori dei beni di consumo e di investimento hanno evidenziato aumenti. Meno negativo è inoltre risultato il punto di vista degli imprenditori circa l’evoluzione generale dell’economia in prospettiva.
I migliori segnali di tipo qualitativo nell’industria manifatturiera sono stati affiancati, nei mesi primaverili, da prime indicazioni meno sfavorevoli anche sotto il profilo quantitativo. La profonda caduta della produzione industriale si è interrotta in aprile-maggio. Ciò non impedirebbe un secondo trimestre ancora in discesa, ma potrebbe preludere a un rimbalzo tecnico nel periodo luglio-settembre. Successivamente, date le condizioni di lenta ripresa internazionale, l’evoluzione dell’attività manifatturiera dovrebbe tornare a moderarsi, mantenendo comunque un’intonazione positiva.
Sulla base del sondaggio condotto mensilmente dall’ISAE, è apparsa in diminuzione a inizio estate la percentuale di imprese industriali che dichiara avere sperimentato un peggioramento delle condizioni generali di accesso al credito a seguito di contatti con le banche per richiedere o rinegoziare un prestito: nei dati campionari, circa il 13% rileva in giugno un peggioramento; tale quota era circa il 19% tra febbraio e aprile, il 9% a marzo dello scorso anno. La situazione appare meno favorevole per quanto riguarda il fenomeno del razionamento quantitativo, con un aumento delle imprese che si trovano in condizioni più sfavorevoli: a giugno l’8% degli intervistati dichiara che la richiesta di credito, per rifiuto dell’impresa o della banca, non ha avuto buon fine; a inizio anno questa quota era pari al 6,5%, al 4% nel marzo del 2008. Si rilevano differenziazioni a seconda delle dimensioni dell’impresa: il razionamento quantitativo sembra attenuarsi nei confronti delle grandi imprese, risultando, invece, in crescita per le piccole e medie. Le grandi imprese, d’altro canto, sembrano risentire, nell’ottenere credito, di condizioni più gravose rispetto ai mesi precedenti, in termini di richiesta di maggiori garanzie (in particolare, di tipo reale), maggiori spese accessorie e, soprattutto, tassi di interesse più elevati.
Sul fronte della fiducia delle famiglie, le rilevazioni ISAE di giugno evidenziano la prosecuzione della tendenza al rialzo in atto da alcuni mesi. Sono risultate in aumento le valutazioni dei consumatori sul quadro economico generale e sull’andamento futuro. Si sono attenuate le preoccupazioni degli intervistati sulle condizioni del mercato del lavoro, dopo il notevole aumento verificatosi dalla metà dello scorso anno. Si sono confermate, al contempo, in discesa le attese delle famiglie circa il ridimensionamento della dinamica inflazionistica.
Nell’insieme, le indicazioni congiunturali segnalano, anche per l’Italia, che la fase peggiore del ciclo dovrebbe essere stata superata. L’avvio della ripresa avverrà tuttavia con molta gradualità, evidenziandosi nelle cifre medie annue solo a partire dal 2010. L’inerzia che caratterizzerebbe il recupero ciclico italiano riflette quella prevista per la domanda internazionale, che dovrebbe fornire la spinta all’accelerazione del nostro Paese. In particolare, il secondo trimestre del 2009 sarà ancora negativo, a causa del trascinamento derivante dalla caduta di gennaio-marzo. Un segno positivo nell’evoluzione del prodotto lordo dovrebbe tornare a evidenziarsi a partire dal terzo trimestre. Il rialzo consentirebbe di portare l’attività economica nel secondo semestre sui livelli medi che hanno caratterizzato i primi sei mesi. Nella media dell’anno in corso il PIL si ridurrebbe, secondo i dati aggiustati per il calendario, del 5,3% (del 5,2% in termini grezzi). Sulla dinamica del 2010 influirebbe il progressivo rafforzamento del commercio mondiale. I provvedimenti decisi dal Governo nella manovra estiva contribuirebbero a dare sostegno alla domanda interna. Il PIL aumenterebbe nel prossimo anno dello 0,2%, nei dati corretti per il numero di giorni lavorativi (dello 0,3%, non effettuando l’aggiustamento per il calendario). I consumi si ridurrebbero del 2,2% quest’anno, per poi rimanere quasi stagnanti nel successivo (+0,2%). Il reddito disponibile delle famiglie verrebbe penalizzato dal peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro. Le misure di bilancio a favore delle fasce più deboli consentirebbero di attenuare il peggioramento; il calo del tasso di inflazione concorrerebbe, nel 2009, a limitare la diminuzione in termini di potere d’acquisto. Il prevalere nel corso di quest’anno di atteggiamenti precauzionali legati all’incertezza e l’esigenza di ricostituire la ricchezza finanziaria dovrebbero condurre a un nuovo aumento della propensione al risparmio che tenderebbe poi a stabilizzarsi nel 2010.
Gli investimenti diminuirebbero quest’anno in misura significativa (-11,2%), risentendo del deterioramento del ciclo economico, della diminuzione dei profitti e delle più onerose condizioni di finanziamento. Il calo a minimi storici del grado di utilizzo della capacità produttiva costituirebbe un ulteriore fattore di ostacolo all’ampliamento degli impianti. Le agevolazioni fiscali per l’acquisto di macchinari introdotte con la manovra di luglio entrerebbero gradualmente in funzione, incidendo sulle dinamiche a partire dell’ultima parte dell’anno e andando a impattare sul 2010, quando un maggiore stimolo alla spesa dovrebbe provenire anche dal miglioramento delle prospettive congiunturali e da un abbassamento dei costi di finanziamento. In media d’anno gli investimenti totali aumenterebbero dello 0,7%, quelli in macchinari, attrezzature e beni immateriali dell’1,4% (- 15,5% nel 2009).
Le esportazioni di beni e servizi approfondirebbero notevolmente la caduta nel 2009, con una riduzione del 18,5%, risentendo del drastico ripiegamento del commercio internazionale. Il risultato fortemente negativo in media d’anno sottenderebbe comunque il ritorno delle vendite all’estero su un sentiero positivo nel secondo semestre, a riflesso del processo di stabilizzazione e poi di recupero della domanda mondiale. Tale dinamica più favorevole dovrebbe manifestarsi nei dati medi del 2010, quando l’export aumenterebbe del 2%. La caduta della quota in volume sui mercati internazionali, accelerata nel 2009, si attenuerebbe il prossimo anno, riflettendo la ripresa del percorso di recupero competitivo delle imprese italiane che aveva preso a manifestarsi prima dello scoppio della crisi.
Le importazioni di beni e servizi dovrebbero diminuire del 13,8% nel 2009, per poi crescere del 2% nel 2010, a riflesso dell’evoluzione più positiva dell’attività economica interna e delle esportazioni, che attiverebbero maggiori acquisti di input di origine esterna. A seguito di questi andamenti il contributo della domanda estera netta alla variazione del PIL sarebbe negativo (per 1,3 punti percentuali) nell’anno in corso, per poi annullarsi nel 2010.
Le ripercussioni della crisi sul mercato del lavoro, già visibili nel deterioramento della dinamica occupazionale nel corso del 2008, si manifesteranno in pieno nel 2009, per poi perdurare, in misura meno accentuata, fino alla prima metà del 2010. La diminuzione dell’input di lavoro, nel 2009 sarà diffusa a tutti i comparti dell’economia; essa riguarderà in misura maggiore l’industria dove si stima una contrazione delle unità di lavoro del 5,3%. Il forte ricorso alla CIG e il notevole aumento registrato nel 2008 alle forme di lavoro part-time contribuirebbero ad attutire l’impatto della crisi sui posti di lavoro effettivamente persi, dando invece luogo a una più rilevante flessione del monte-ore lavorate. In particolare, si prevede che, nella media del 2009, a fronte di un calo complessivo delle unità di lavoro equivalenti a tempo pieno del 2,7% nel totale (pari a circa 664.000 unità in meno rispetto al 2008), il numero di persone occupate dovrebbe flettere dell’1,3% (circa 300.000 posti di lavoro in meno). I risultati del 2010 risentiranno del trascinamento negativo ereditato dall’anno in corso e del normale ritardo con cui il mercato del lavoro reagisce agli andamenti del ciclo; la flessione dell’input di lavoro proseguirebbe quindi anche nel prossimo anno, pur se in misura meno marcata rispetto all’anno precedente (-0,8%). Le informazioni di contabilità nazionale sul primo trimestre segnalano come, sul fronte del mercato del lavoro, la crisi economica si stia riflettendo non solo nella riduzione dell’utilizzo del fattore lavoro, ma anche in una brusca battuta d’arresto nella crescita delle retribuzioni di fatto, nonostante la dinamica ancora sostenuta di quelle contrattuali. Questi andamenti risentirebbero del virtuale azzeramento dello slittamento salariale e, nei settori industriali, degli effetti indotti sulla massa retributiva dal forte ricorso alla CIG. Questi fenomeni dovrebbero condizionare le dinamiche salariali anche nei mesi seguenti. Nella seconda metà del 2009 giungono, inoltre, a esaurimento gli effetti retributivi della stagione contrattuale 2007-08, in presenza di uno scarso numero di rinnovi attesi per quel periodo. L’insieme di questi effetti porterebbe a una sostanziale moderazione della dinamica delle retribuzioni lorde per dipendente nel 2009 (+1,3%). Nel 2010 le retribuzioni lorde per dipendente, pur rimanendo su tassi di crescita storicamente molto bassi, dovrebbero iniziare a manifestare qualche segnale di ripresa (+1,5%), principalmente a causa di alcuni importanti rinnovi contrattuali e del progressivo rientro dei lavoratori dalla CIG.
Nella media del 2009 la dinamica dei prezzi al consumo risulterebbe pari all’1%, 2,3 punti percentuali in meno rispetto al 2008. Dopo avere sperimentato un andamento prossimo allo zero nei mesi estivi, l’inflazione si porterebbe verso valori più elevati dall’autunno, con il ritorno a fine 2009 a ritmi di incremento più vicini a quelli d’inizio anno. Nel 2010, dopo le escursioni decisamente ampie sperimentate da metà 2007, lo scenario inflazionistico dovrebbe risultare maggiormente regolare. Nel quadro di una ripresa della componente estera dei costi e di un lento rafforzamento del tono congiunturale, si assisterebbe, nel 2010, a una graduale risalita dell’inflazione. In media d’anno l’incremento dei prezzi al consumo sarebbe pari al 2%. Il differenziale inflazionistico con i partner dell’area euro risulterebbe sfavorevole all’Italia in entrambi gli anni della previsione e pari rispettivamente a sette e a otto decimi di punto percentuale.


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