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Impresa Sociale

Le migliori speranze di una nazione riposano nell'educazione adeguata dei suoi giovani
Erasmo


1. Forma giuridica

La forma giuridica dell'impresa sociale comprende tutte quelle imprese private, comprese le cooperative, in cui l'attività economica d'impresa principale è stabile e ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale. Una definizione autorevole, a cui si sono ispirati i legislatori che si sono occupati di questa nuova forma organizzativa, è quella proposta nel 2001 da Borzaga e Defourny (1).
A partire dagli anni 80 si sono venute sempre più affermando forme imprenditoriali e organizzative volte al perseguimento di finalità sociali pur all'interno del mercato concorrenziale. Le ragioni della comparsa di questo tipo di imprese sono molteplici (2).  In primo luogo le imprese sociali sono nate per rispondere ai nuovi bisogni trascurati dall'impresa tradizionale e ai quali le politiche governative non erano in grado di fare fronte in maniera adeguata. In Italia, la loro comparsa coincide con la chiusura di grandi strutture residenziali pubbliche o parapubbliche come risposta alla conseguente deistituzionalizzazione, con il generico obiettivo di reinserire nella società i soggetti precedentemente istituzionalizzati. In diversi paesi, le imprese sociali si sono configurate come esperienze di mutuo-aiuto fra portatori di bisogno e varie espressioni delle comunità locali, che si sono dedicate in maniera diretta alla produzione. Tuttavia, la definitiva consacrazione dell'impresa sociale, viene causata dalla generalizzata crisi dei sistemi di welfare e dall'orientamento al decentramento dei poteri pubblici, che permette a queste imprese di ritagliarsi nuovi spazi.
Con l'introduzione della figura giuridica dell'impresa sociale si è distinto definitivamente il concetto di imprenditoria da quello di finalità lucrativa: si è riconosciuta cioè l'esistenza di imprese con finalità diverse dal profitto . Il valore aggiunto rispetto a un'impresa tradizionale sta nel tentativo di produrre servizi ad alto contenuto relazionale, nel cercare di fare "rete" con esperienze del terzo settore, nel produrre esternalità positive per la comunità; fondamentali sono la promozione dello sviluppo locale, l'adozione di valori quali la giustizia sociale, la garanzia di democraticità dell'organizzazione e di un coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione, le pari opportunità e la riduzione delle diseguaglianze. La disciplina di questi enti contenuta nella legge 118/05 è stata resa organica e attuale tramite il d.lgs.155/06  (vedi sotto).

Possono conseguire il titolo di impresa sociale "le organizzazioni private, ivi comprese gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale" (art.1,d.lgs. 155/06) Possono quindi acquisire la qualifica:

  • associazioni riconosciute e non, fondazioni, comitati.
  • società (di persone e di capitali), le cooperative, i consorzi.

Le imprese sociali devono comunque mantenere finalità di interesse generale che vengono favorite dal legislatore sul piano civilistico con la possibilità di potersi organizzare in qualsiasi forma di organizzazione privata e con qualsiasi tipo societario con la possibilità di formare anche un gruppo. L'importante è che questo tipo di impresa non abbia mai come fine ultimo o principale lo scopo di lucro. Non possono essere considerate imprese sociali le amministrazioni pubbliche o quelle che erogano servizi e beni solo in favore dei soci.

Le imprese sociali godono del privilegio di poter limitare alcuni aspetti delle responsabilità patrimoniali dei partecipanti anche quando per la forma societaria utilizzata prevarrebbe la responsabilità personale e illimitata di questi soggetti (società in nome collettivo).

  • se l'impresa sociale è dotata di un patrimonio netto di ventimila euro al momento dell'iscrizione nel registro delle imprese risponde delle obbligazioni assunte solo l'organizzazione con il suo patrimonio.
  • se il patrimonio diminuisce per delle perdite al di sotto di 1/3 dei ventimila euro, delle obbligazioni rispondono in solido tutti coloro che hanno agito per nome e per conto dell'impresa.

quindi le agevolazioni poste dal legislatore sono valide solo per l'impresa sociale in bonus. Importante è da ricordare che sul patrimonio di questo tipo di imprese grava un vincolo di indisponibilità in quanto non è mai possibile, nemmeno in caso di scioglimento, distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che ne fanno parte bensì l'intero patrimonio deve essere devoluto in altre associazioni non lucrative indicate nello statuto. L'assenza dello scopo di lucro e dello smobilizzo del patrimonio è tenuta costante anche in caso di scissione, fusione o trasformazione dell'impresa sociale. Bisogna precisare che le società commerciali devono inserire il vincolo di non distribuzione degli utili per diventare imprese sociali. Non possono essere considerate impresa sociale gli enti pubblici e quegli enti privati il cui scopo sociale vada a solo vantaggio dei soci e non della generalità dei cittadini.
L'impresa sociale deve soddisfare i seguenti requisiti:

  • essere costituita con un atto pubblico.
  • avere una struttura democratica.
  • destinare utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio, e pertanto non distribuirli, neanche indirettamente.
  • tenere libro giornale e inventario.
  • redigere e depositare presso il registro delle imprese un documento che rappresenti lo stato patrimoniale e finanziario dell'impresa.
  • redigere il bilancio sociale.
  • coinvolgere lavoratori e destinatari delle attività nella gestione.
  • avere la maggioranza degli amministratori soci.

I settori di attività in cui possono operare le imprese sociali sono definite all'articolo 2 del d.lgs. 155/06:

  • assistenza sociale
  • assistenza sanitaria e socio sanitaria
  • educazione
  • istruzione
  • tutela ambientale
  • tutela dei beni culturali
  • formazione universitaria
  • formazione extrascolastica
  • turismo sociale
  • servizi strumentali alle imprese sociali resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un'impresa sociale.

Possono inoltre diventare imprese sociali le organizzazioni che, indipendentemente dall'ambito di attività, svolgono attività di impresa per l'inserimento di lavoratori disabili e svantaggiati se questi costituiscono almeno il 30% del personale. L'attività non deve avere prioritariamente finalità mutualistica, ovvero non può essere rivolta esclusivamente a soci.

I vantaggi principali si riscontrano nella responsabilità patrimoniale (in caso di patrimoni superiori a 20.000 euro, delle obbligazioni assunte risponde solo l'organizzazione, non i soci) e nella possibilità di avvalersi di volontari nel limite del 50% dei lavoratori.

2. Nuove politiche del welfare
Il dibattito sulla riforma del welfare che ci accompagna da decenni, è diventato cruciale dal momento che la recente crisi economica ha fatto sorgere dei dubbi sulla solidità del sistema capitalistico. La crisi ha mostrato in modo inequivocabile che gran parte dei meccanismi sociali ed economici, che nella seconda metà del XX secolo hanno garantito una distribuzione del reddito sufficientemente accettabile, sono oggi poco efficaci.
Lo scontro in atto è, pertanto, tra una visione “tradizionale” del welfare, visto come costo sociale che può essere assunto laddove si realizza una crescita economica, e una visione che lo interpreta come un investimento produttivo. Ciò che è certo è che un welfare, post-fordiano, centrato su politiche di promozione delle capacità individuali, costituisce l’antidoto più efficace contro possibili derive antidemocratiche e pertanto fattore decisivo per lo sviluppo economico.
In questa prospettiva si valorizza appieno l’economia del terzo settore, del non profit, della cooperazione, della responsabilità sociale, della partecipazione agli utili, della finanza etica, di un capitalismo capace di coniugare le esigenze della competitività e del mercato con quelle delle persone, delle famiglie, delle comunità. Di qui la necessità di un progetto di rinnovamento delle politiche sociali che risponda alla crescita dei bisogni, alla necessità di un miglior controllo della spesa pubblica (l’aver aiutato le banche a ricapitalizzarsi, senza chiedere in cambio una revisione del trattamento economico dei bancari, a partire dall’alto ha, a esempio, tolto risorse alle famiglie), al miglioramento della qualità degli investimenti (privilegiare, a esempio, il miglioramento di tutta la rete viaria e ferroviaria al ponte sullo stretto), all’attuazione del federalismo fiscale, che dia reali responsabilità ai politici e amministratori locali. Le determinanti dello scenario che ci si presenta sono molte: le famiglie povere si sono attestate attorno all’11% della popolazione, la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza in Italia è marcata, il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45% della ricchezza totale, il rapporto tra la popolazione non attiva e quella attiva si è attestato al 51,6% nel 2007.
Come il dibattito stia investendo settori, fino a ieri, liberisti lo dimostrano le conclusioni del G20 finanziario di Londra. Il 5 settembre 2009, Giulio Tremonti ha affermato «Non è possibile che le banche comandino sui governi e sulla politica. Non ha senso che esse abbiano in mente il loro bilancio e non il bilancio di insieme». Questo «è un problema mondiale: abbiamo, specie in Italia, un'economia fatta di piccole e medie imprese e abbiano un eccesso di concentrazione di banche a dimensione industriale che guardano troppo poco al territorio, alle famiglie agli imprenditori, alle persone e troppo al proprio utile». Per Tremonti le banche «non sono un'industria qualsiasi, ma hanno una funzione pubblica e, quindi, sociale». Secondo il ministro dell'Economia esiste «un problema di credito» alle imprese e, se, in materia, il «governo italiano ha fatto la sua parte, le banche non ancora».Giova notare che le grandi banche non hanno approfittato dei Tremonti Bond, fose, proprio perchè questi erano destinati al credito alle imprese. In merito ai bonus dei banchieri, poi, Tremonti ha spiegato che è stata raggiunto «un testo che va più o meno bene a tutti e che combina le diverse anime», anche se le decisioni verranno prese a Pittsburgh. «Il bonus - ha aggiunto - è un modo per porre un problema che non è limitato a quanto guadagna un banchiere, ma al rapporto tra i governi e le banche. Tra le cause della crisi c'è stata, indubbiamente, anche, l'avidità dei banchieri».

3. L’impresa sociale in Italia

L’impresa  sociale in Italia ha un forte potenziale di crescita; almeno mezzo milione di soggetti, attualmente operanti con veste giuridica commerciale oppure con altre forme non profit, avrebbero le caratteristiche  della legge 108/05 e dei successivi provvedimenti di attuazione. A fine agosto 2009, però, erano solo 508 le imprese effettivamente iscritte nelle apposite sezioni dei registri camerali. Questo perché la scarsa conoscenza della nuova disciplina e l’assenza di benefici specifici hanno disincentivato l’emersione di quelle organizzazioni, per esempio le cooperative sociali, che già operano con modelli imprenditoriali.
Iris Network, la rete nazionale degli istituti di ricerca  sull’impresa sociale, ha predisposto un’analisi dettagliata che mostra come il settore, già allo stato attuale, presenti una buona strutturazione: 15 mila imprese, 350 mila addetti, fatturato per dieci miliardi di euro e circa 10 milioni di utenti. Occorre poi considerare, sullo sfondo, i potenziali di crescita; al di fuori del bacino originario delle istituzioni non profit, occorre considerare, infatti, quelle imprese che operano con veste giuridica commerciale; non meno di 540 mila unità possono rientrare nell’ambito delle iniziative imprenditoriali con finalità sociale.
A frenare il decollo resta la scarsa informazione. Secondo i dati dell’osservatorio Isnet, riferiti a un campione di 400 cooperative sociali, oltre il 60% non conosce o conosce poco la nuova normativa, anche se, nel 2009 è salita dal 18,5% al 21% la quota di organizzazioni  per le quali la legge è applicabile e rappresenta un’opportunità. E’ prematuro parlare di fallimento ma sembra che l’impatto sia fin qui limitato a motivazioni di opportunità contingenti, mentre la scelta dovrebbe partire da valutazioni strategiche  e prospettiche e la ragione di fondo per aderire all’impresa sociale dovrebbe risiedere nella valenza culturale di questo strumento.

4. Non bisogna avere fretta

L’impresa sociale sta vivendo una fase interlocutoria, ma l’impianto della legge è valido e, alla luce della crisi in atto, il futuro non potrà che riservare una maggiore attenzione verso modelli imprenditoriali differenziati rispetto a quello capitalistico classico.
Sostiene Borzaga, uno degli ispiratori della disciplina “Sono convinto che un’impresa si afferma se è in grado di interpretare meglio di altre le esigenze di un mercato e di un territorio. E’ chiaro che gli incentivi possono essere di aiuto, ma la condizione fondamentale è che sia valido il modello proposto. Per esempio, la cooperazione ha avuto successo anche se, contrariamente a ciò che di solito si sostiene, non ha goduto di una disciplina realmente agevolata. Restano però i numeri modesti  e la scarsa conoscenza della disciplina ad attestare la lentezza nell’avvio dell’impresa sociale. Manca una politica di contesto e vi sono dei ritardi in fase di attuazione delle norme. Questi fattori hanno determinato uno scarso interesse al cambio della veste giuridica,  nel senso che chi già opera con caratteristiche di impresa sociale, ma in forma diversa, continua a farlo come prima. Attualmente ci sono molte spa o srl gestite senza fini di lucro, così come vi sono molte onlus  che erogano servizi avvalendosi di personale  dipendente ma che, non avendo l’obbligo di qualificarsi come impresa sociale, mantengono la loro conformazione che consente anche vantaggi di natura fiscale.  Di qui la necessità di un intervento pubblico  che incoraggi l’emersione dei nuovi soggetti che operano senza distribuzione di utili. L’impresa sociale ha già innovato molto, in primo luogo nei prodotti, riuscendo a utilizzare risorse di diversa natura  e, al tempo stesso, anche nei processi  per esempio costruendo esempi di governance  aperti al contributo dei diversi portatori di interessi.  Ora è importante fare emergere questa capacità di innovazione anche al di fuori  dei settori tradizionali”.

 

  1. Borzaga C.,Defourny J. (a cura di), L'impresa sociale in prospettiva europea, Trento, Edizioni 31, 2001
  2. Borzaga C.,Ianes A. (a cura di), Economia della solidarietà. Storia e prospettive della cooperazione sociale, Donzelli, Roma, 2006

Eugenio Caruso 27 agosto 2009


 

Decreto Legislativo 24 marzo 2006 n° 155
Costituzione;
Visto l’articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione;
Vista la legge 13 giugno 2005, n. 118, recante “Delega al Governo concernente
la disciplina dell’impresa sociale”;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella
riunione del 2 dicembre 2005;
Acquisito il parere dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, reso nella seduta del 9
febbraio 2006;
Sentite le rappresentanze del terzo settore;
Acquisito il parere delle competenti Commissioni della Camera dei Deputati e
del Senato della Repubblica, reso nelle sedute del 15 febbraio 2006;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del;
Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro delle
attività produttive, del Ministro della giustizia, del Ministro per le politiche
comunitarie e del Ministro dell’interno;
EMANA
il seguente decreto legislativo:
Articolo 1.
(Nozione)
1. Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private,
ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile
e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello
scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse
generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4 del presente decreto.
2. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le organizzazioni
i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei
servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non acquisiscono la qualifica di
impresa sociale.
3. Agli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato
ha stipulato patti, accordi o intese si applicano le norme di cui al presente
decreto limitatamente allo svolgimento delle attività elencate all’articolo 2, a
condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di scrittura
privata autenticata, che recepisca le norme del presente decreto. Per tali attività
devono essere tenute separatamente le scritture contabili previste dall’articolo
10. Il regolamento deve contenere i requisiti che sono richiesti dal presente
decreto per gli atti costitutivi.
Articolo 2.
(Utilità sociale)
1. Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei
seguenti settori:
a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328,
recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali”;
b) assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazione di cui al decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, recante
“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, e successive modificazioni;
c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2001, recante “Atto di indirizzo e
coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie”;
d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo
2003, n. 53, recante “Delega al Governo per la definizione delle norme
generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione e formazione professionale”;
e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge 15 dicembre
2004, n. 308, recante “Delega al Governo per il riordino, il coordinamento
e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione”, con esclusione delle attività, esercitate abitualmente, di
raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;
f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai
sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”;
g) turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo
2001, n. 135, recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo”;
h) formazione universitaria e post-universitaria;
i) ricerca ed erogazione di servizi culturali;
l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della
dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;
m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura
superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano
un’impresa sociale.
2. Indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori di cui al
comma 1, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che
esercitano attività di impresa al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che
siano:
a) lavoratori svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f),
punti i, ix e x, del regolamento (CE) n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002
della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del
trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione;
b) lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del
regolamento (CE) n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002 della Commissione
relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di
Stato a favore dell’occupazione.
3. Per attività principale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, si intende quella per la
quale i relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi
dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale. Con decreto del Ministro delle
attività produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sono definiti i
criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del settanta per
cento dei ricavi complessivi dell’impresa.
4. I lavoratori di cui al comma 2 devono essere in misura non inferiore al trenta
per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa; la relativa
situazione deve essere attestata ai sensi della normativa vigente.
5. Per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, le disposizioni di cui ai commi 3 e 4
si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui al presente
articolo.
Articolo 3.
(Assenza dello scopo di lucro)
1. L’organizzazione che esercita un’impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di
gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.
2. A tale fine è vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi
di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di
amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Si considera
distribuzione indiretta di utili:
a) la corresponsione agli amministratori di compensi superiori a quelli
previsti nelle imprese che operano nei medesimi o analoghi settori e
condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire
specifiche competenze, ed in ogni caso con un incremento massimo del
venti per cento;
b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o
compensi superiori a quelli previsti dai contratti o accordi collettivi per le
medesime qualifiche, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di
acquisire specifiche professionalità;
c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote,
a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati,
superiori di cinque punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento.
Articolo 4.
(Struttura proprietaria e disciplina dei gruppi)
1. All’attività di direzione e controllo di un’impresa sociale si applicano, in quanto
compatibili, le norme di cui al capo IX, titolo V, libro V e l’articolo 2545-septies
del codice civile. Si considera, in ogni caso, esercitare attività di direzione e
controllo il soggetto che, per previsioni statutarie o per qualsiasi altra ragione,
abbia la facoltà di nomina della maggioranza degli organi di amministrazione.
2. I gruppi di imprese sociali sono tenuti a depositare l’accordo di partecipazione
presso il registro delle imprese. I gruppi di imprese sociali sono inoltre tenuti a
redigere e depositare i documenti contabili ed il bilancio sociale in forma
consolidata, secondo le linee guida di cui all’articolo 10.
3. Le imprese private con finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, non possono esercitare attività di direzione e detenere
il controllo di un’impresa sociale.
4. Nel caso di decisione assunta con il voto o l’influenza determinante dei
soggetti di cui al comma 3, il relativo atto è annullabile, e può essere impugnato
in conformità delle norme del codice civile entro il termine di 180 giorni. La
legittimazione ad impugnare spetta anche al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
Articolo 5.
(Costituzione)
1. L’organizzazione che esercita un’impresa sociale deve essere costituita con
atto pubblico. Oltre a quanto specificamente previsto per ciascun tipo di
organizzazione, secondo la normativa applicabile a ciascuna di esse, gli atti
costitutivi devono esplicitare il carattere sociale dell’impresa in conformità alle
norme del presente decreto, ed in particolare indicare:
a) l’oggetto sociale, con particolare riferimento alle disposizioni di cui
all’articolo 2;
b) l’assenza di scopo di lucro, di cui all’articolo 3.
2. Gli atti costitutivi, le loro modificazioni e gli altri fatti relativi all’impresa
devono essere depositati entro trenta giorni a cura del notaio o degli
amministratori presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è
stabilita la sede legale, per l’iscrizione in apposita sezione. Si applica l’articolo 31,
comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340.
3. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai fini di cui all’articolo 16,
accede anche in via telematica agli atti depositati presso l’ufficio del registro delle
imprese.
4. Gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, sono tenuti al deposito del solo
regolamento e delle sue modificazioni.
5. Con decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali sono definiti gli atti che devono essere depositati e le
procedure di cui al presente articolo.
Articolo 6.
(Responsabilità patrimoniale)
1. Salvo quanto già disposto in tema di responsabilità limitata per le diverse
forme giuridiche previste dal libro V del codice civile, nelle organizzazioni che
esercitano un’impresa sociale il cui patrimonio è superiore a ventimila euro, dal
momento della iscrizione nella apposita sezione del registro delle imprese, delle
obbligazioni assunte risponde soltanto l’organizzazione con il suo patrimonio.
2. Quando risulta che, in conseguenza di perdite, il patrimonio è diminuito di
oltre un terzo rispetto all’importo di cui al comma 1, delle obbligazioni assunte
rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome
e per conto dell’impresa.
3. La disposizione di cui al presente articolo non si applica agli enti di cui
all’articolo 1, comma 3.
Articolo 7.
(Denominazione)
1. Nella denominazione è obbligatorio l’uso della locuzione «impresa sociale».
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli enti di cui all’articolo 1,
comma 3.
3. L’uso della locuzione «impresa sociale» ovvero di altre parole o locuzioni
idonee a trarre in inganno è vietato a soggetti diversi dalle organizzazioni che
esercitano un’impresa sociale.
Articolo 8.
(Cariche sociali)
1. Negli enti associativi, la nomina della maggioranza dei componenti delle
cariche sociali non può essere riservata a soggetti esterni alla organizzazione che
esercita l’impresa sociale, salvo quanto specificamente previsto per ogni tipo di
ente dalle norme legali e statutarie e compatibilmente con la sua natura.
2. Non possono rivestire cariche sociali soggetti nominati dagli enti di cui
all’articolo 4, comma 3.
3. L’atto costitutivo deve prevedere specifici requisiti di onorabilità,
professionalità ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali.
Articolo 9.
(Ammissione ed esclusione)
1. Le modalità di ammissione ed esclusione dei soci, nonché la disciplina del
rapporto sociale sono regolate secondo il principio di non discriminazione,
compatibilmente con la forma giuridica dell’ente.
2. Gli atti costitutivi devono prevedere la facoltà dell’istante che dei
provvedimenti di diniego di ammissione o di esclusione possa essere investita
l’assemblea dei soci.
Articolo 10.
(Scritture contabili)
1. L’organizzazione che esercita l’impresa sociale deve, in ogni caso, tenere il
libro giornale e il libro degli inventari, in conformità alle disposizioni di cui agli
articoli 2216 e 2217 del codice civile, nonché redigere e depositare presso il
registro delle imprese un apposito documento che rappresenti adeguatamente la
situazione patrimoniale ed economica dell’impresa.
2. L’organizzazione che esercita l’impresa sociale deve, inoltre, redigere e
depositare presso il registro delle imprese il bilancio sociale, secondo linee guida
adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita
l’agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in modo da
rappresentare l’osservanza delle finalità sociali da parte dell’impresa sociale.
3. Per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano limitatamente alle attività indicate nel regolamento.
Articolo 11.
(Organi di controllo)
1. Ove non sia diversamente stabilito dalla legge, gli atti costitutivi devono
prevedere, nel caso del superamento di due dei limiti indicati nel comma 1
dell’articolo 2435-bis del codice civile ridotti della metà, la nomina di uno o più
sindaci, che vigilano sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile.
2. I sindaci esercitano anche compiti di monitoraggio dell’osservanza delle finalità
sociali da parte dell’impresa, avuto particolare riguardo alle disposizioni di cui agli
articoli 2, 3, 4, 6, 8, 9, 10, 12 e 14. Del monitoraggio deve essere data risultanza
in sede di redazione del bilancio sociale di cui all’articolo 10, comma 2.
3. I sindaci possono in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e di
controllo; a tale fine, possono chiedere agli amministratori notizie, anche con
riferimento ai gruppi di imprese sociali, sull’andamento delle operazioni o su
determinati affari.
4. Nel caso in cui l’impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei
limiti indicati nel comma 1 dell’articolo 2435-bis del codice civile, il controllo
contabile è esercitato da uno o più revisori contabili iscritti nel registro istituito
presso il Ministero della giustizia o dai sindaci. Nel caso in cui il controllo
contabile sia esercitato dai sindaci, essi devono essere iscritti all’albo dei revisori
contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia.
Articolo 12.
(Coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività)
1. Ferma restando la normativa in vigore, nei regolamenti aziendali o negli atti
costitutivi devono essere previste forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei
destinatari delle attività.
2. Per coinvolgimento deve intendersi qualsiasi meccanismo, ivi comprese
l’informazione, la consultazione o la partecipazione, mediante il quale lavoratori e
destinatari delle attività possono esercitare un’influenza sulle decisioni che
devono essere adottate nell’ambito dell’impresa, almeno in relazione alle
questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei
beni e dei servizi prodotti o scambiati.
Articolo 13.
(Trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda e devoluzione
del patrimonio)
1. Per le organizzazioni che esercitano un’impresa sociale, la trasformazione, la
fusione e la scissione devono essere realizzate in modo da preservare l’assenza
di scopo di lucro di cui all’articolo 3 dei soggetti risultanti dagli atti posti in
essere; la cessione d’azienda deve essere realizzata in modo da preservare il
perseguimento delle finalità di interesse generale di cui all’articolo 2 da parte del
cessionario. Per gli enti di cui di cui all’articolo 1, comma 3, la disposizione di cui
al presente comma si applica limitatamente alle attività indicate nel regolamento.
2. Gli atti di cui al comma 1 devono essere posti in essere in conformità a linee
guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita
l’agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
3. Salvo quanto previsto in tema di cooperative, in caso di cessazione
dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo le
norme statutarie. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli
enti di cui all’articolo 1, comma 3.
4. Gli organi di amministrazione notificano, con atto scritto di data certa, al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’intenzione di procedere ad uno degli
atti di cui al comma 1, allegando la documentazione necessaria alla valutazione
di conformità alle linee guida di cui al comma 2, ovvero la denominazione dei
beneficiari della devoluzione del patrimonio.
5. L’efficacia degli atti è subordinata all’autorizzazione del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, sentita l’agenzia per le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, che si intende concessa decorsi novanta giorni dalla ricezione della
notificazione.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano quando il
beneficiario dell’atto è un’altra organizzazione che esercita un’impresa sociale.
Articolo 14.
(Lavoro nell’impresa sociale)
1. Ai lavoratori dell’impresa sociale non può essere corrisposto un trattamento
economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti e accordi collettivi
applicabili.
2. Salva la specifica disciplina per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, è
ammessa la prestazione di attività di volontariato, nei limiti del cinquanta per
cento dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell’impresa sociale. Si applicano
gli articoli 2, 4 e 17 della legge 11 agosto 1991, n. 266.
3. I lavoratori dell’impresa sociale, a qualunque titolo prestino la loro opera,
hanno i diritti di informazione, consultazione e partecipazione nei termini e con le
modalità specificate nei regolamenti aziendali o concordati dagli organi di
amministrazione dell’impresa sociale con loro rappresentanti. Degli esiti del
coinvolgimento deve essere fatta menzione nel bilancio sociale di cui all’articolo
10, comma 2.
Articolo 15.
(Procedure concorsuali)
1. In caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano un’impresa sociale sono
assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16
marzo 1942, n. 267. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli
enti di cui all’articolo 1, comma 3.
2. Alla devoluzione del patrimonio residuo al termine della procedura concorsuale
si applica l’articolo 13, comma 3.
Articolo 16.
(Funzioni di monitoraggio e ricerca)
1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuove attività di raccordo
degli uffici competenti, coinvolgendo anche altre amministrazioni dello Stato,
l’agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale e le parti sociali, le
agenzie tecniche e gli enti di ricerca di cui normalmente si avvale o che siano
soggetti alla sua vigilanza, e le parti sociali, al fine di sviluppare azioni di sistema
e svolgere attività di monitoraggio e ricerca.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avvalendosi delle proprie
strutture territoriali, esercita le funzioni ispettive al fine di verificare il rispetto
delle disposizioni del presente decreto da parte delle imprese sociali.
3. In caso di accertata violazione delle norme di cui al presente decreto o di gravi
inadempienze delle norme a tutela dei lavoratori, gli uffici competenti del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, assunte le opportune informazioni,
diffidano gli organi direttivi dell’impresa sociale a regolarizzare i comportamenti
illegittimi entro un congruo termine, decorso inutilmente il quale, applicano le
sanzioni di cui al comma 4.
4. In caso di accertata violazione delle norme di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4, o di
mancata ottemperanza alla intimazione di cui al comma 3, gli uffici competenti
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dispongono la perdita della
qualifica di impresa sociale. Il provvedimento è trasmesso ai fini della
cancellazione dell’impresa sociale dall’apposita sezione del registro delle imprese.
Si applica l’articolo 13, comma 3.
5. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali svolge i propri compiti e assume
le determinazioni di cui al presente articolo sentita l’agenzia per le organizzazioni
non lucrative di utilità sociale.
Articolo 17.
(Norme di coordinamento)
1. Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale e gli enti non commerciali di
cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, che acquisiscono anche la
qualifica di impresa sociale, continuano ad applicare le disposizioni tributarie
previste dal medesimo decreto legislativo n. 460 del 1997, subordinatamente al
rispetto dei requisiti soggettivi e delle altre condizioni ivi previsti.
2. All’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 dopo la
parola «strumentali» sono aggiunte le seguenti «, delle imprese sociali».
3. Le cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n.
381, i cui statuti rispettino le disposizioni di cui agli articoli 10, comma 2, e 12
del presente decreto, acquisiscono la qualifica di impresa sociale. Alle cooperative
sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, che
rispettino le disposizioni di cui al periodo precedente, le disposizioni di cui al
presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle
cooperative.
4. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai soli
fini di cui al comma 3, le cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8
novembre 1991, n. 381, possono modificare i propri statuti con le modalità e le
maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria.
Articolo 18.
(Disposizione di carattere finanziario)
1. All’attuazione del presente decreto le amministrazioni competenti provvedono
avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

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