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Uso delle energie rinnovabili alternative alle fonti fossili, un diritto un dovere. Capitolo 5.


Piccole anime mantengono l'ordine, grandi anime dominano il caos.
Anonimo


Questo è il quinto di una serie di articoli mirati a illustrare i vantaggi per l’impresa e per il territorio  di un forte orientamento all’utilizzo delle energie rinnovabili


 I modelli di benessere sociale ottenuti grazie alla riduzione di emissione di CO2 e la richiesta italiana di tolleranza.
Come convincere le aziende del Belpaese a percorrere la strada del benessere Californiano?

La capacità di imporre determinate scelte, che poi in alcuni contesti coincidono con delle statuizioni regolamentari, è uno degli aspetti  dell’attività della Comunità Europea che ad alcuni piace molto. Senza dubbi, ad altri meno. Così la penserà il presidente del Consiglio italiano, dopo il netto rifiuto della Commissione Ue ad una richiesta del Premier su un tema molto attuale. L’oggetto della lettera arrivata a Bruxelles riguarda un dibattito già aperto tra Governo italiano e Commissione, e di cui si è già ampiamente parlato nei precedenti articoli: le quote limite di emissione di CO2 concesse ai paesi della Comunità Europea.  A differenza di quanto scritto in precedenza però, stavolta non si commenta il dato percentuale della Spagna nel fotovoltaico (sempre più impressionante), né tantomeno la capacità della Germania di attirare finanziamenti nel settore fotovoltaico. Recentemente infatti, il governo Italiano ha dovuto chiedere uno “sconto” sulla quantità di anidride carbonica emessa dalle aziende italiane (al di sopra del limite europeo consentito).
Dopo  il  rifiuto della portavoce della Commissione presieduta da Barroso, Barbara Hellfrich, giustificato dal fatto che la quota d’emissione fissata trova la sua ragione d’essere nella legislazione comunitaria, che impone misure uniche e non ritrattabili per tutti i paesi Membri, il Consiglio dei Ministri italiano ha tenuto a precisare la natura meramente analitica della sua lettera di richiesta. La richiesta non sarebbe finalizzata ad ottenere un ampliamento della quota d’emissione italiana, ma ad attirare l’attenzione della Commissione Ue sulla situazione italiana. Una lettera per gridare all’Europa l’incapacità italiana, nonostante gli sforzi investiti nella promozione delle energie alternative. Si tratta di una giustificazione? Non si capisce però,  se la fine  di questa inchiesta dovrebbe, secondo chi ha inviato la lettera, portare comunque a una maggiore tolleranza verso le imprese italiane.
Ad ogni modo, la lettera di richiesta si è trovata in un contesto quantomeno controcorrente. Le stringenti pressioni della Comunità Europea, e degli stessi paesi membri, per un gestione energetica quasi totalmente orientata al rinnovabile, non hanno permesso alcuna considerazione verso la situazione Italiana.
Oltretutto, prima che il piano nazionale di assegnazione delle emissioni di anidride carbonica fosse approvato da Bruxelles nel maggio del 2007, il governo italiano aveva chiesto di potere attribuire all’industria 209 tonnellate di CO2. Una richiesta respinta dall’Europa, che ha fissato per il periodo 2008-2012 un tetto massimo di 195,8 milioni di tonnellate, oltre il sei per cento in meno della soglia che la lettera respinta sperava di ottenere.
Purtroppo, sul ritardo dell’industria italiana nel ringiovanimento delle fonti energetiche utilizzate, grava anche la presenza dei fantasmi eco-compatibili, veri e proprio mostri sacri del riciclaggio e del reinvestimento di sostanze a ciclo chiuso. Un esempio può essere la California. Ebbene, oltre a riciclare star di Hollywood, lo Stato Californiano è diventato modello di approvvigionamento da fonti energetiche rinnovabili, costruendosi e pianificando obbiettivi addirittura più ambiziosi di quelli di Obama, maestro della promozione dell’energie alternative. La quota-traguardo che la California si è, infatti, imposta è, entro il 2020,  raggiungere il 33% dell’energia ottenuta da  fonti rinnovabile sul totale, contro il 20% imposto dal Climate Bill del Governo Centrale. Per chiarezza bisogna precisare che l’Italia punta al 25%. Tuttavia, diversi istituti tecnici, come la Fondazione Sviluppo Sostenibile,  hanno condotto studi organizzativi e previsionali, e hanno evinto che in Italia è a rischio anche il raggiungimento dell’obiettivo comunitario del 17%.
Una varietà di obiettivi che lasciano presupporre una forte motivazione. Eppure gli incentivi delle strutture imprenditoriali stentano a produrre effetti. Non è un problema di divergenza di obiettivi o di piani che blocca l’avvio definitivo all’utilizzo di energie alternative, ma di elementi che vengono presi in considerazione nei dibattiti instaurati per portarle avanti.
I governi dei paesi in cui si stenta ancora a promuovere definitivamente un’industria eco-compatibile, non hanno ancora diffuso il concetto che la riduzione dell’utilizzo dell’energia elettrica può portare a un aumento del benessere economico sociale. E infatti, l’imposizione di quote di energia rinnovabile è vista come una costrizione che aumenta i costi per la comunità.
Questo da un lato presuppone una scarsa considerazione dell’impatto sul nostro benessere complessivo e economico delle condizioni ambientali in senso lato, dal mare pulito all’assenza di catastrofi naturali. D’altro canto evidenzia una visione poco disposta ad accettare il cambiamento e l’innovazione come motori dello sviluppo.
In California l’obiettivo del 33% si è unito alla scelta di porre un limite alle importazioni di energia pulita per stimolare i produttori locali. La decisione è stata assunta per favorire gli investimenti delle aziende californiane delle rinnovabili nei deserti degli stati vicini. Tradotto in teoria, sono state create imposizioni governative che hanno generato condizioni recepite dal tessuto imprenditoriale come necessarie e di supporto allo sviluppo economico, non di beneficio esclusivamente di pochi e quindi da temere. Tradotto in pratica, sono state create le condizioni per un aumento del benessere sociale, ma anche la Commissione Europea ci sta provando, e non si è trattato certo di un sogno americano.

Elsa Cariello
6 ottobre 2009


Notizie Varie

L'AltoAdige punta allo "zero combustibili fossili entro il 2020 (14 ottobre 2009).

In vista della conferenza sui cambiamenti climatici di Copenhagen, le regioni alpine giocano la carta dell'autarchia energetica. Ad assumere a tutti gli effetti la leadership è l'Alto Adige che ha annunciato oggi ai Colloqui di Dobbiaco, storico evento di dialogo culturale e scientifico sull'ecologia che ha preso il via nella località altoatesina, che la Provincia intende eliminare l'utilizzo di fonti fossili entro il 2020. "Attualmente abbiamo già un bilancio intermedio che evidenzia che il 56% del fabbisogno energetico è raggiunto utilizzando fonti rinnovabili - spiega l'assessore all'ambiente e energia della Provincia autonoma, Michl Laimer - il nostro piano è quello di raggiungere il 75% nel 2013 e il 100% entro il 2020. Per fare un raffronto nel 2005 la quota delle rinnovabili in Svezia era al 39,8%, in Finlandia al 28,5%, in Austria al 23,3%, in Germania al 5 e in Italia al 5,2%". Il consumo energetico in Provincia di Bolzano è costituito per il 29% da elettricità, integralmente coperta dalla produzione idroelettrica (930 centrali in tutto, 784 da 220 KW, 116 da 220-3000 KW e 30 oltre 2000 kW per una produzione netta superiore del 50% alle esigenze locali) e per il 71% da domanda termica coperta ad oggi per il 27% con le rinnovabili e il 44% dalle fonti fossili che l'Alto Adige sostituirà integralmente entro il 2013. "Non si tratta di un obiettivo ambizioso ma assolutamente realistico - ha continuato l'assessore Laimer davanti alla platea dei Colloqui di Dobbiaco - che la Provincia intende perseguire con l'utilizzo delle biomasse (legname da coltivazioni forestali), l'eolico, il solare e l'idrogeno. Oggi in Alto Adige sono in funzione 63 centrali a biomasse che producono annualmente 350 MWh che serve 10.600 utenze allacciate con un taglio di emissioni pari a 48 milioni di tonnellate pari a 139000 tonnellate di CO2: il 15% arriva da legname delle foreste locali e il resto dagli scarti delle segherie ma intendiamo incrementare fortemente la quota derivante dalla coltivazione forestale e per questo l'Associazione per le biomasse sta mettendo a punto un piano per risanare parte del patrimonio boschivo favorendo il taglio delle piante più vecchie e l'avvio di nuova forestazione. Gli altri asset sui quali puntiamo sono il biogas e il fotovoltaico termico". Oggi in Alto Adige sono in funzione 31 impianti che trattano deiezioni animali e rifiuti organici, producono elettricità per 13 milioni di KWh e garantiscono minori emissioni per 9300 tonnellate CO2 risparmiate e 930 di metano. Sul fronte del solare grazie al conto energia negli ultimi due anni si è arrivati a 1068 impianti di pannelli per la produzione di energia elettrica, pari ad un installato di 29.000 kW installato, e 17.700 installazioni di solare termico: oggi il 50% di tutti i collettori solari in Italia è in Alto Adige per 195.000 mq, pari a 40 mq ogni cento abitanti. La Provincia sta siglando un accordo con la Lega dei coltivatori per installare tetti fotovoltaici su tutti i masi dell'Alto Adige. La logica che ispira l'azione in tutto il territorio provinciale è quello che i cittadini producono la loro energia, si abituano anche ad amministrarla e distribuirla. Il caso più emblematico è quello di Dobbiaco dove la centrale a biomasse è di proprietà di una cooperativa costituita dalle 700 famiglie e imprese del comune: tutti sono collegati alla centrale che produce 600.000 euro di utili l'anno e l'obiettivo della cooperativa è di acquistare la centrale idroelettrica oggi nelle mani di privati. Nella Provincia operano anche 291 piccoli impianti geotermici e 7 siti che hanno passato la valutazione ambientale strategica dove saranno installate 5000 sonde in grado di intercettare il calore del suolo. Nel migliore dei mondi ambientalmente possibili del nostro Belpaese non manca un piano specifico per l'idrogeno: è stata posata la prima pietra per l'impianto che a Bolzano produrrà il nuovo combustibile utilizzando energia elettrica idroelettrica mentre a Rovereto sarà utilizzato il fotovoltaico e sul valico l'eolico grazie ad un progetto con Tirolo austriaco e Baviera che prevede che distributori di idrogeno in tutte le aree di servizio del tratto dell'autostrada del Brennero da Verona a Monaco.


Eugenio Caruso

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La classifica dei produttori nel fotovoltaico (9 novembre 2009).

La società di consulenza PRTM Management Consultants Inc., esaminate le prime 21 imprese del settore fotovoltaico quotate in borsa, ha raccolto sinteticamente i loro dati in una classifica intitolata " PRTM Photovoltaic Sustainable Growth Index". Tutte le società sono state analizzate sotto i profili dello sviluppo e dell'efficienza conseguita, parametri giudicati particolarmente significativi del grado di competitività raggiunto. Il voto migliore è andato al gigante statunitense della produzione di film sottili First Solar Inc., mentre al secondo posto si è piazzata la norvegese Renewable Energy Corp. ASA, seguita dall'altra statunitense Sunpower Corp. e, al quarto posto, dalla cinese Trina Solar Co.Ltd.; la tedesca Solarworld AG si è attestata al quinto posto. Le fonti informative finanziarie sono state pubblicate tra il 2004 e il secondo trimestre del 2009; non vi figurano le imprese giapponesi a causa dei pochi dati disponibili. I dati PRTM mostrerebbero, quindi, che l'industria europea e tedesca in particolare, sta rischiando di perdere terreno rispetto alla concorrenza Usa e cinese, fatto impensabile fino a qualche anno fa.

Eugenio Caruso

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