Giornalismo e partigianeria

Mi corre l’obbligo citare un episodio televisivo cui ho assistito dopo gli ottavi di finale del campionato del mondo di calcio. Durante una trasmissione molto seguita dagli appassionati di calcio un gruppetto di giornalisti, opinionisti ed ex calciatori (vedi nota) sta discutendo su quale squadra avrebbe vinto il campionato mondiale. Considerando l’aleatorietà della domanda mi sarei aspettato una trasmissione pacata basata su fatti, valori in campo, capacità degli allenatori. Nulla di tutto ciò ogni interlocutore ha come obiettivo principale quello di contraddire quanto sta dicendo l’altro; dopo un po’ riesco a capire che i presenti non sono lì solo per discutere ma per difendere una propria casacca sportiva: il milanista, l’interista, lo juventino, il tifoso della Roma o della Lazio. Dopo un’ora di dichiarazioni, dogmi, insulti, sfregi orribili alla lingua italiana, battute che offenderebbero qualunque bar sport se volessi fare riferimento ad esso, i sei disperati arrivano a una conclusione: le due finaliste saranno sicuramente Brasile e Argentina. Il presentatore arriva alla provocazione di chiedere il risultato finale; dopo altre durissime discussioni si arriva a ipotizzare un 2 a 1 per il Brasile, oppure il Brasile ai calci di rigore. Come alcuni sanno, il Brasile viene sconfitto dall’Olanda ai quarti di finale e la stessa sorte capita all’Argentina, sconfitta dalla Germania; le due finaliste sono Olanda e Spagna. Qualcuno dirà ma questi sono giornalisti sportivi che trattano argomenti leggeri; se si dovesse discutere di economia invece …. Nulla di più sbagliato se leggiamo le firme della grande stampa o assistiamo a programmi televisivi o radiofonici scopriamo che ogni giornalista e ogni conduttore indossa una casacca e che, pertanto, suo compito principale è screditare l’avversario (in realtà, l’odiato nemico)
Il giornalista scrive, inoltre, quello che il lettore vuole sentirsi dire, perché una lettura settaria dà un piacere di tipo viscerale, una lettura critica non dà certezze, ma può insinuare il tarlo del dubbio. Più la polemica é partigiana e ideologica più essa, non potendo sempre disporre della forza del ragionamento, deve ricorrere all'insulto per screditare l'avversario, deve ricorrere alla sua squalifica morale. Il dibattito politico molto spesso assume i tipici toni di un'intolleranza che non accetta nemmeno che l'avversario esprima delle opinioni. Nell'immaginario si vorrebbe anzi che quelle opinioni neanche esistessero, pertanto, la discussione mira alla soppressione, all'annientamento fisico del nemico portatore di quelle opinione e quindi di errore. Questo produce un effetto a catena o effetto branco, gruppi contro gruppi, giornali contro giornali, giornalisti contro giornalisti; in Italia, decenni di consociativismo hanno disabituato a convivere con le differenze, con l'altro. La tolleranza è figlia del dubbio, l'inquadramento culturale rende le persone politicamente intolleranti e culturalmente sterili. Diceva Salvemini «I dottrinari sono la gente più rispettabile e più disastrosa di questo mondo»; quando poi i dottrinari si annidano tra coloro che dispongono dei mezzi di formazione del consenso e del dissenso, non meraviglia che vengano privilegiate le forme che permettono di eccitare, fomentare, spaventare, sedurre, lusingare, suggestionare, piuttosto che consigliare, convincere, incoraggiare, tollerare, far riflettere. La cultura è il riflesso della società in cui essa vive: ebbene, anche se le generalizzazioni possono essere sbagliate o pericolose, il giornalismo in Italia non fa eccezione a questa legge: nessuno si illude che dal mondo dell'informazione e della cultura potrà partire il rinnovamento della società, ma il processo potrà essere solo inverso, dal rinnovamento della società potrà nascere il rinnovamento della cultura.

NOTA Da alcuni anni è abitudine di radio e televisioni l' abbinare, per telecronache e siparietti sportivi, ai giornalisti uno o più ex- calciatori. In pochissimi casi la cosa funziona nella maggior parte no. L'ex-calciatore per il solo fatto di aver giocato si crede portatore della verità su tutto quanto concerne il mondo del calcio; ne risultano comportamente isterici, offensivi e irrazionali, spesso con poco rispetto di lessico e grammatica.

Eugenio Caruso
6 luglio 2010

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