La forza dei distretti industriali

I distretti industriali non sono più quelli di dieci anni fa. Nel bene o nel male hanno completamente cambiato faccia e se oggi devono fare i conti con la crisi, che dall'ultimo trimestre del 2008 ne ha fortemente ridimensionato le esportazioni, le ragioni del loro malessere non dipendono da un'insufficiente competitività aziendale ma dal crollo della domanda internazionale. Oggi l'effetto distretto si è ridotto: la propensione all'export resta alta ma, al di là delle distorsioni indotte dall'euro forte, la dinamica delle esportazioni e il fatturato non sono più significativamente superiori a quello delle imprese non distrettuali e la redditività industriale (Roi) è addirittura inferiore, anche se l'uso del capitale resta più efficiente. Ma quel che colpisce nella metamorfosi dei distretti industriali sono soprattutto due elementi: il salto dimensionale e l'ampliamento del numero delle medie imprese sia dentro che fuori i distretti e la profonda differenza di velocità che si riscontra sia tra i distretti che all'interno dei distretti stessi. Tutto questo emerge dal primo Rapporto annuale sui bilanci delle imprese dei distretti industriali italiani condotto dal Servizio Studi di Intesa Sanpaolo. Una ricerca di grande portata, compiuta su 103 distretti e 8.500 imprese distrettuali confrontate in un campione di 45mila imprese, che colma un vuoto informativo e che rappresenta uno spaccato molto interessante dell'impresa italiana. Il primo a sorprendersi dei risultati è l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, che è da sempre appassionato dei distretti e che ha commissionato la ricerca. Commenta: «Dall'analisi del triennio 2005-7 emerge un tessuto imprenditoriale in grande attivismo, che ha aumentato la propria competitività, come dimostrano i buoni risultati economici e un forte sviluppo internazionale (50% di export sul fatturato), e che è cresciuto anche dimensionalmente (+14% le aziende tra 50 e 250 dipendenti e +27% le aziende con oltre i 250 dipendenti». Ma, secondo Passera, quello che più impressiona è l'affermarsi di «una generazione di nuove aziende leader in quasi tutti i distretti, non sempre ancora conosciuta al grande pubblico ma con grandi potenzialità» che contribuirà ad affrontare meglio l'emergenza di oggi. In effetti, i numeri parlano chiaro. Secondo le rilevazioni del Rapporto nel biennio 2006-7 la platea delle medie imprese è notevolmente cresciuta sia nell'universo manifatturiero (1.200 in più) sia nei distretti (oltre 200 in più), dove le medie imprese sono in aumento in tutti i settori ma in particolare nei Beni di consumo del sistema moda e nella Meccanica e sono fortemente presenti (almeno il 50% della loro asset class) nei Beni per l'edilizia del sistema casa, nel Mobile e nel sistema moda. Naturalmente il rafforzamento del numero e della solidità delle medie imprese non significa che le aziende di altre classi dimensionali siano rimaste immobili. Tutt'altro. Anche se i dati vanno presi con le pinze perché l'attendibilità dei bilanci non è omogenea, nel biennio 2006-7 sono le micro imprese a registrare il maggior balzo in avanti del fatturato, seguite dalle medie e dalle piccole aziende, mentre a ritmi più contenuti sono cresciute le imprese di grandi dimensioni. Il fatto che si assista però a una crescente differenziazione delle performance, non solo tra le aziende dello stesso distretto ma anche tra distretti del medesimo settore produttivo, conferma che la differenza la fa il posizionamento competitivo delle singole imprese ma che su questo l'effetto territorio conta oggi più dell'effetto distretto. È vero che alcune produzioni (come nel caso dell'attività conciaria e dei suoi alti costi per gli impianti di depurazione e smaltimento) si possono realizzare con profitto solo nei distretti, ma se l'industria del mobile della Brianza ha margini operativi netti migliori di quelli del mobile imbottito della Murgia o il polo fiorentino della pelle ha una redditività più alta di quella delle aziende di calzature sportive di Montebelluna una ragione c'è. Vince chi si rinnova continuamente ma anche chi può godere e sa meglio sfruttare le esternalità positive che dipendono dal patrimonio di competenze e know produttivo del territorio e dalle sue infrastrutture materiali e soprattutto immateriali. La vicinanza dei produttori di macchinari oppure la presenza di un ricco tessuto di designer possono fare la differenza. Distretto o no, nel 2009 ci sarà da soffrire soprattutto perchè soffrono i naturali mercati di sbocco delle nostre aziende, ma chi si è rafforzato investendo in innovazione e qualità uscirà prima dalla tempesta e uscirà più forte.

IMPRESA OGGI

25 gennaio 2011

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