Intervento di Mario Draghi al 17 congresso degli operatori finanziari


Se un dio ha creato questo mondo non vorrei essere quel dio: la miseria del mondo mi spezzerebbe il cuore.

Shopenhauer


L’economia
La ripresa dell’economia mondiale prosegue, pur tra molte incertezze. Nella media del 2010 il prodotto mondiale è cresciuto del 5 per cento; l’anno precedente era diminuito di quasi un punto percentuale. È valutazione diffusa che l’espansione continui quasi ai ritmi dello scorso anno. Negli Stati Uniti il prodotto ha accelerato a poco meno del 3 per cento alla fine del 2010; si è rafforzato l’aumento dei consumi. Per l’anno in corso si prevede una crescita analoga. Nelle economie emergenti lo sviluppo stimato per quest’anno e per il 2012 è dell’ordine del 7 per cento in media. Nell’area dell’euro l’impulso più forte alla crescita è impresso dalla economia tedesca, grazie ai forti incrementi delle esportazioni e degli investimenti in macchinari e attrezzature. In Italia i tassi di sviluppo sono attorno all’1 per cento. L’espansione produttiva si concentra nelle aziende esportatrici, in particolare in quelle grandi, rivolte alle economie emergenti. La domanda interna rimane debole, specie nella componente dei consumi, su cui gravano più che in altre economie dell’area le incerte prospettive dell’occupazione e un perdurante ristagno dei redditi reali delle famiglie. Al miglioramento del quadro macroeconomico mondiale, al superamento del disordine finanziario creato dalla crisi, si accompagnano tuttavia vecchie e nuove fragilità. Tassi di crescita molto difformi possono facilmente accrescere la volatilità dei cambi e dei tassi di interesse, mettendo a repentaglio la solidità della ripresa. Le interconnessioni fra economie rendono il sistema vulnerabile anche a shock circoscritti. Le dimensioni umane e l’esito ancora incerto della sollevazione popolare che scuote la Libia preoccupano la comunità internazionale. L’impatto immediato di eventuali difficoltà di approvvigionamento di fonti energetiche dall’Africa settentrionale può essere contenuto dall’ampia capacità inutilizzata negli altri paesi produttori, ma le drammatiche vicende a cui stiamo assistendo possono indebolire gli investimenti nell’industria petrolifera in quell’area, far rincarare l’energia, con ripercussioni sulla crescita mondiale. Nella nostra economia, un aumento del 20 per cento del prezzo del petrolio determina, ceteris paribus, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell’arco di tre anni.
Le politiche economiche
I margini a disposizione delle politiche economiche si vanno riducendo. Nell’ultimo triennio la crisi ha ampliato il disavanzo pubblico nell’insieme dei paesi avanzati di oltre 6 punti percentuali di PIL e il debito pubblico di quasi 25, fino a sfiorare il 100 per cento del prodotto. Negli Stati Uniti e in Giappone un piano di consolidamento delle finanze pubbliche è difficilmente procrastinabile: l’OCSE valuta che solo per stabilizzare il rapporto debito/PIL di quei paesi entro i prossimi quindici anni sarebbe necessaria una correzione del saldo primario dell’ordine di 8-9 punti. In Europa già ci si adopera a ridurre gli squilibri nelle finanze pubbliche. Le tensioni che hanno colpito i titoli sovrani di alcuni paesi dell’area dell’euro hanno acuito l’attenzione verso i rischi di prolungati squilibri. Il disavanzo pubblico nell’area dovrebbe segnare nell’anno in corso un netto miglioramento, dal 6,3 al 4,6 per cento del PIL secondo le stime più recenti della Commissione europea. Rispetto al prodotto il debito pubblico continuerebbe a salire anche nel 2011, ma a un ritmo molto più contenuto che nell’ultimo biennio. In Italia il rapporto fra debito pubblico e PIL, vicino al 120 per cento, dovrebbe iniziare a flettere nell’anno venturo, quando il Governo intende riportare il disavanzo annuo sotto il 3 per cento del prodotto. Nel decennio precedente la crisi, la spesa corrente al netto dei pagamenti di interessi sul debito pubblico aumentava in media del 4 per cento l’anno in termini nominali, ben più rapidamente del PIL. La Decisione di Finanza Pubblica dello scorso settembre prevede per il biennio 2011-12 un contenimento della sua dinamica all’1 per cento l’anno. Il contenimento dovrà proseguire anche oltre il 2012; la composizione della spesa primaria deve essere orientata a favore della crescita. Non vi sono altre strade per ridurre il disavanzo visto che la pressione fiscale già supera di 3 punti quella media dell’area dell’euro. Maggiori entrate che si rendano disponibili grazie a recuperi di evasione dovranno essere usate per ridurre la pressione sui contribuenti che già pagano il dovuto. Potranno inoltre doversi compensare a livello centrale eventuali aumenti del prelievo decentrato conseguenti al federalismo fiscale. Gli aiuti finanziari concessi lo scorso anno alla Grecia e all’Irlanda dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale (FMI) sono stati condizionati all’adozione di severi piani di consolidamento fiscale e di incisive riforme economiche e istituzionali. Un contributo importante alla prevenzione di nuove crisi di debitori sovrani dovrà venire dalla riforma, attualmente in discussione, della governance europea, volta a potenziare la sorveglianza multilaterale sulle politiche economiche nazionali. È importante che, in caso di deviazioni dai parametri concordati, siano applicate regole semi-automatiche, di modo che il rischio di una loro elusione sia drasticamente ridotto. I fondi di salvataggio devono servire solo per le emergenze ed essere condizionati, come suggerisce l’esperienza del FMI, a rigorosi programmi di risanamento. Le politiche monetarie fronteggiano scenari diversi nelle diverse aree del mondo. Nei paesi emergenti le buone prospettive di crescita, i rendimenti elevati, attraggono ingenti capitali privati dall’estero; nel 2010 ve ne sono stati per circa 900 miliardi di dollari, equivalenti a quasi il 5 per cento del prodotto di quei paesi. Gli afflussi, in presenza di una già forte espansione della domanda e di sistemi finanziari ancora non ben sviluppati, possono ingenerare inflazione e bolle finanziarie. La vivace dinamica dei prezzi che già si osserva in quelle economie, intorno al 6 per cento in media e ben oltre il 4 in Cina, è in parte riconducibile al rincaro dei prodotti alimentari ed energetici, ma gioca anche l’accelerazione della domanda interna, essa stessa alla base dei rialzi nelle quotazioni internazionali delle materie di base. Questi aumenti, che penalizzano in particolare i più poveri, potrebbero essere contrastati da apprezzamenti del tasso di cambio, peraltro necessari a ridurre gli squilibri globali nelle bilance dei pagamenti. In loro assenza, le politiche monetarie in quei paesi si fanno più restrittive. Nelle economie avanzate l’inflazione è per ora frenata dagli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata. Negli Stati Uniti la Riserva federale ha recentemente confermato il programma di ampliamento della liquidità attraverso l’acquisto di titoli del Tesoro annunciato lo scorso novembre. Nell’area dell’euro l’inflazione al consumo, sospinta dai forti rincari delle materie di base, è salita in gennaio ben al di sopra della definizione di stabilità dei prezzi fissata dal Consiglio direttivo della BCE. L’inflazione di fondo rimane contenuta, in presenza di una dinamica dei costi interni moderata e di una ripresa ciclica che prosegue senza accelerazioni di rilievo. Le aspettative di inflazione nel medio periodo rimangono ancorate. L’emergere di tensioni inflazionistiche richiede però di valutare attentamente i tempi e le modalità di una normalizzazione delle condizioni monetarie, dei tassi d’interesse. La politica monetaria deve prevenire un deterioramento delle aspettative per evitare che l’impulso proveniente dai prezzi internazionali si trasmetta a quelli interni e ai salari oltre il breve periodo. D’altronde, tassi reali a breve termine ampiamente negativi, come quelli osservati negli ultimi due anni, non sono stati sufficienti a rialzare le prospettive di crescita delle economie meno dinamiche. L’esaurimento della fase espansiva delle politiche economiche non pregiudicherà necessariamente la crescita: soprattutto nei paesi più deboli, il costo del credito potrà beneficiare della riduzione degli spread sui titoli di debito sovrano determinata dalla correzione delle politiche di bilancio e del contenimento dei premi al rischio consentito dal controllo delle aspettative di inflazione.
Regole e controlli internazionali sulla finanza
Lo scorso anno sono stati compiuti sostanziali progressi nella costruzione di un sistema finanziario internazionale più robusto e resistente alle crisi. È stato definito il quadro regolamentare di Basilea III, con nuovi requisiti di capitale e di liquidità, limiti alla leva finanziaria; la gradualità nell’entrata in vigore impedirà che sia danneggiata la ripresa delle economie. I mercati dei derivati overthe- counter avranno basi più sicure e trasparenti, con una maggiore standardizzazione delle operazioni, obblighi di utilizzare controparti centrali per i contratti standardizzati, l’accesso pieno e tempestivo ai dati da parte delle autorità. Abbiamo identificato e avviato a correzione molti degli incentivi perversi che spingevano all’assunzione di rischi eccessivi: nei metodi di remunerazione dei manager bancari, nel ruolo delle agenzie di rating, nelle norme contabili. Ma il lavoro davanti a noi è ancora cospicuo. L’attività del Financial Stability Board (FSB) si sta ora concentrando, su mandato del G20 di Seul, sul problema dell’azzardo morale presentato dalle istituzioni finanziarie di importanza sistemica (SIFI): quelle istituzioni che, nell’ultima crisi come in altre del passato, sono state considerate troppo grandi, o troppo complesse e interconnesse, per essere lasciate fallire, ma che anzi hanno spesso ricevuto iniezioni di capitale pubblico. La consapevolezza di non poter fallire le induce a prendere rischi maggiori, mentre i mercati le finanziano a tassi più bassi di quelli che applicano a intermediari esposti al rischio di fallimento. Capacità di liquidare queste istituzioni senza minare il funzionamento dei mercati e senza attingere al denaro pubblico; certezza che esse possano assorbire perdite maggiori di quelle sopportabili da intermediari di minore importanza; una vigilanza più estesa e più penetrante; sono questi i tre pilastri su cui si baseranno le raccomandazioni dell’FSB. Entro quest’anno il Board pubblicherà: le caratteristiche essenziali che le norme nazionali per la liquidazione delle SIFI dovranno possedere; uno schema dei piani di ristrutturazione e liquidazione che ogni SIFI dovrà adottare; una prima analisi delle questioni attinenti al coordinamento internazionale delle leggi su questa materia. La parola passa ora ai legislatori, ai governi. Entro la metà di quest’anno intendiamo definire i parametri che identificano le SIFI globali, a cui iniziare ad applicare regole prudenziali più rigorose. I criteri terranno conto non solo della dimensione, ma anche del grado di interconnessione con altri intermediari e della rilevanza in specifici segmenti del mercato finanziario. La necessaria discrezionalità da lasciare alle autorità nazionali nell’applicazione dei criteri dovrà essere bilanciata da peer reviews, da avviare alla fine del 2012. Occorre migliorare la capacità delle SIFI di assorbire perdite, in modo da ridurre al massimo la probabilità, o l’impatto sistemico, di una crisi; le misure a questo fine comprendono requisiti aggiuntivi a quelli previsti da Basilea III. Gli accorgimenti tecnici possibili sono vari: ratios di capitale ordinario più elevati, la partecipazione di alcuni creditori alle perdite (bail-in), strumenti di debito che si convertono in capitale al verificarsi di specifici eventi (contingent capital). Un altro campo di azione per l’FSB riguarda il “sistema bancario ombra”. Siamo impegnati a definire una mappa di quelle attività e di quegli intermediari che, originando credito e trasformazione di scadenze al di fuori del sistema bancario regolato, necessitano di regole e supervisione non dissimili da quelle che si applicano a quest’ultimo. Le nuove istituzioni di vigilanza europee sono ora operative. L’impegno più ravvicinato, che vedrà in particolare coinvolta l’Autorità bancaria europea (European Banking Authority), saranno le prove di stress sulle principali banche. Le prove dovranno possedere quattro requisiti: severità degli scenari ipotizzati; vaglio rigoroso dei risultati con una metodologia comune e un’attenta peer review; piena trasparenza; pronta individuazione delle azioni di correzione. Questi requisiti sono essenziali per la credibilità dell’esercizio e per la valutazione che i mercati faranno del sistema bancario europeo. L’armonizzazione delle regole prudenziali è l’altro urgente obiettivo da conseguire. Un insieme di regole comuni (il single rulebook) contribuirà a evitare che regole e prassi di vigilanza meno severe in un paese possano compromettere la stabilità del sistema finanziario europeo, ripercuotersi sulle economie di altri paesi, implicare distorsioni della concorrenza. Un primo banco di prova sarà l’attuazione in Europa delle norme di Basilea III. Tutti i paesi europei si sono impegnati a recepirle con principi rigorosi, che già caratterizzano il nostro modello di vigilanza, la cui validità è stata confermata durante la crisi. Il Consiglio europeo per il rischio sistemico (European Systemic Risk Board), chiamato a segnalare aree di rischio e a formulare raccomandazioni, dovrà poter affiancare all’attività di analisi strumenti di intervento efficaci. Si avvarrà di valutazioni dei rischi per la stabilità sistemica condivise con le autorità di vigilanza microprudenziali.
Le banche italiane e l’azione della Vigilanza
I mercati monetari e finanziari stanno recuperando funzionalità, ma il ritorno alla piena normalità richiederà tempo. Le banche, in particolare quelle europee, incontrano difficoltà nell’approvvigionarsi di fondi sui mercati; dal lato degli attivi di bilancio, sono esposte a rischi significativi, per gli strascichi della recessione e per le tensioni sui mercati dei titoli pubblici, che generano rischi di liquidità e di perdite in conto capitale. Con la crisi finanziaria, il contesto globale in cui operano le banche italiane è cambiato. La competizione nella raccolta di fondi, anche nei confronti di debitori sovrani, si è fatta più accesa. Il calo strutturale del volume di attività su alcuni segmenti del mercato dei capitali comprime in via permanente i ricavi. Nello scorcio del 2010 la posizione netta di liquidità a un mese dei principali gruppi bancari italiani è rimasta mediamente positiva ma si è contratta. In gennaio essi hanno tuttavia emesso obbligazioni per un ammontare – circa 10 miliardi – pari a un quinto delle scadenze all’ingrosso di quest’anno; anche la capacità di raccolta a breve termine mostra miglioramenti, sebbene il volume e la durata dei collocamenti restino inferiori a quelli osservati prima della crisi dei debiti sovrani. Mantenere adeguate riserve di liquidità è vitale per preservare la stabilità e per continuare a finanziare l’economia reale, specie in un periodo in cui il mercato resta soggetto a repentine crisi di fiducia. La prudenza non deve essere sacrificata a considerazioni di redditività. Nel 2008, in piena crisi finanziaria, il calo degli utili delle banche italiane dovuto a svalutazioni di titoli, perdite su negoziazioni, riduzioni delle commissioni, era stato modesto rispetto alle gravi perdite subite da banche di altri paesi. Ma dal 2009 la situazione è cambiata: sui loro profitti pesano la contrazione del margine d’interesse e il deterioramento della qualità dei crediti, conseguenza della grave recessione. Nei primi nove mesi dello scorso anno gli utili dei cinque maggiori gruppi si sono ridotti dell’8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009; il rendimento del capitale e delle riserve, espresso su base annua, è sceso sotto il 4 per cento. Il margine d’interesse è sceso in due anni dal 2,0 allo 0,9 per cento del totale dell’attivo, a causa del rallentamento dei volumi intermediati e del calo del mark-down sui depositi a vista determinato dal basso livello dei tassi d’interesse. Le rettifiche di valore su crediti, pur diminuite rispetto al picco del 2009, continuano ad assorbire più della metà del risultato di gestione; il tasso medio di copertura in bilancio delle posizioni deteriorate rimane al di sotto dei livelli di lungo periodo. Il recupero dei margini è frenato anche dall’intensificarsi della concorrenza nella raccolta al dettaglio. Negli ultimi mesi si è aggiunto l’effetto del rischio-paese: oggi le banche italiane, anche le più efficienti, sono penalizzate nella provvista sui mercati all’ingrosso; pagano circa 70 punti base più di quelle tedesche. La bassa redditività delle banche italiane risente, oltre che della lenta ripresa della nostra economia, anche del loro tipico modello di attività: credito prevalentemente alla clientela retail (famiglie e piccole imprese), raccolta al dettaglio, bassa leva finanziaria, contenute operazioni per conto proprio sui mercati mobiliari, minore trasformazione di scadenze rispetto a banche di altri sistemi, anche per il prevalere di finanziamenti a tasso variabile. Questo modello rende le nostre banche meno esposte alla volatilità dei mercati finanziari e le ha protette durante la crisi. Il rovescio della medaglia è che le rende fortemente dipendenti dal margine d’interesse e dall’andamento della congiuntura macroeconomica; ne irrigidisce i costi operativi. Occorre agire, con determinazione, per ridurre l’incidenza dei costi sui ricavi complessivi. Negli anni passati le maggiori banche italiane hanno accresciuto l’efficienza operativa, avvicinando il rapporto tra costi e ricavi a quello dei competitori europei: 62 per cento a fronte di una media del 58 per il complesso delle banche della UE nel primo semestre dello scorso anno. Occorre ancora migliorare, con decisione: razionalizzando le reti di vendita, estendendo e affinando l’uso della tecnologia, semplificando le strutture produttive, cedendo ulteriori attività non strategiche, adeguando le politiche di remunerazione ai vari livelli. Il contenimento dei costi consentirà quel recupero dei profitti che è necessario per il rafforzamento patrimoniale richiesto dai mercati e dalle nuove norme sul capitale: in presenza di persistenti difficoltà di reperimento di capitale di rischio, è necessario generare un adeguato volume di risorse interne. I ratios patrimoniali dei cinque maggiori gruppi bancari italiani stanno in media salendo. Alla fine di settembre il tier 1 ratio era al 9,0 per cento; il patrimonio di migliore qualità al 7,9 per cento delle attività rischiose; si collocava solo al 5,7 alla fine del 2007. Le banche italiane di minore dimensione hanno già oggi livelli di patrimonio mediamente in linea con i nuovi minimi regolamentari stabiliti da Basilea III. Esse coprono oltre metà delle occorrenze di credito delle piccole e medie imprese. Per le alle piccole e medie imprese. Anche quest’anno valuteremo la capacità di resistenza degli intermediari italiani a scenari particolarmente avversi, nell’ambito del nuovo ciclo di prove di stress sul sistema bancario europeo. L’esperienza già maturata consentirà agli intermediari e alla Vigilanza di interagire fruttuosamente per la migliore riuscita di questo nuovo esercizio. Per giungere preparati al momento della piena entrata in vigore delle nuove regole sul capitale delle banche, il rafforzamento patrimoniale deve continuare, innanzitutto attraverso la capitalizzazione degli utili. Ci aspettiamo che, come per il 2009, gran parte dei profitti conseguiti lo scorso anno venga destinata ad accrescere la dotazione patrimoniale. Appare comunque inevitabile, non appena le condizioni lo consentiranno, che si ricorra anche al mercato dei capitali. Un’altra trasformazione del contesto strutturale con cui le banche italiane si devono confrontare riguarda la tutela del cliente, oggi ben più incisiva che in passato. Negli anni recenti la Banca d’Italia ha intensificato l’impegno a migliorare i rapporti tra intermediari e clienti. Abbiamo agito su più fronti: nuove norme, maggiori controlli, nuovi strumenti di tutela. Siamo sempre stati favorevoli a una rimozione delle distorsioni che penalizzano l’industria bancaria italiana rispetto alla concorrenza: le recenti iniziative del Governo in materia di fiscalità sulle banche vanno in questa direzione e accolgono auspici da tempo da noi formulati. Ma siamo altresì convinti che il nostro modello di banca, per la natura della clientela, ha più di altri bisogno che il rapporto con essa sia basato sulla trasparenza: ogni passo indietro su questo fronte ci vedrà contrari.
La crescita
Obiettivo essenziale rimane la crescita, una crescita socialmente equa e rispettosa della qualità della vita. Senza crescita non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa, nel nostro paese. L’Unione monetaria potrà superare la crisi dei debiti sovrani di alcuni suoi paesi membri se, oltre che i modi di assicurare la disciplina fiscale, saprà concordare le riforme strutturali necessarie per sospingere la crescita in modo duraturo e definire forme di controllo reciproco sul loro stato di attuazione. In Italia la crescita stenta da quindici anni. Sulle cause di fondo e sulle linee di un’azione di riforma ci siamo soffermati più volte in varie sedi, sulla base delle analisi che abbiamo condotto negli ultimi anni. Ne ricordo qui alcune. A beneficio della crescita di tutta l’economia andrebbe un assetto normativo ispirato, pragmaticamente, all’efficienza del sistema. Se la legislazione non è trasparente, di qualità, stabile, se gli oneri amministrativi non sono proporzionati alle attività che si devono regolare, l’economia alla lunga declina. Nonostante i passi in avanti, l’Italia si segnala ancora in tutte le classifiche internazionali per l’onerosità degli adempimenti burocratici, specie quelli addossati alle imprese. Il sistema di istruzione è decisivo. Si è ridotto, ma resta ampio, il divario di apprendimento dei nostri studenti rispetto a quelli di altri paesi, particolarmente grave nelle scuole del Sud. La scuola deve premiare il merito e il rigore negli studi, assicurare un livello soddisfacente di istruzione a tutti gli allievi, indipendentemente dalla loro origine sociale e geografica. Il nostro sistema universitario è ancora lontano, tranne pur notevoli eccezioni, dagli standard di qualità prevalenti nella maggioranza dei paesi avanzati. Le nostre istituzioni di ricerca non riescono ad attrarre a sufficienza studiosi, tecnici e manager di valore, italiani e non. La valorizzazione del merito è fra i principi centrali della riforma recentemente approvata; è un primo passo nella giusta direzione. 13 I salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. La recessione ha reso più difficile la situazione. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30 per cento. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Vi contribuisce fortemente la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà all’altro. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l’efficienza del sistema produttivo. La propensione all’innovazione e la proiezione internazionale delle nostre imprese sono insufficienti a sospingere la crescita, in ultima analisi perché troppe imprese, anche di successo, rimangono piccole. I comportamenti degli imprenditori risentono anche di incentivi impropri a non crescere: un sistema fiscale con meno evasione e aliquote più basse favorirebbe la decisione di aumentare la dimensione dell’impresa. Come abbiamo mostrato in varie occasioni, il divario che separa il Sud dal Nord dipende in larga misura dalle politiche nazionali e dalla loro applicazione territoriale. Possiamo guardare con ragionevole fiducia alla possibilità di un’azione di riforma. L’Italia dispone di grandi risorse, ha molte aziende, una grande capacità imprenditoriale, la sua gente è laboriosa e parsimoniosa. Si tratta di liberare lo spirito degli imprenditori e degli individui da molti vincoli. Si è già cominciato, ma azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita.

Mario Draghi

17 Congresso AIAF - ASSIOM FOREX
26 febbraio 2011

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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