Confindustria: assise annuale

Stabilità dei conti pubblici e crescita economica, per Marcegaglia, sono le emergenze «da affrontare contemporaneamente». Intorno a queste «due priorità occorre estendere la consapevolezza dell'opinione pubblica». Per Marcegaglia «consapevolezza, unità e capacità di risposta sono le tre condizioni che oggi mancano. Serve un progetto condiviso. L'opera riformatrice dev'essere di lunga lena e costante nel tempo per essere credibile e non destabilizzare le aspettative delle famiglie e delle imprese con annunci estemporanei a cui spesso non sono seguiti passi concreti». Il taglio della spesa pubblica indicato dal Governo per il pareggio nel 2014 (al netto degli interessi del 7% in termini reali) impone «un ripensamento complessivo della funzione dello Stato e riforme profonde. Non si possono risolvere i problemi con i tagli lineari nelle spese correnti e la scure sugli investimenti pubblici». Per Marcegaglia occorrono interventi «che non siano solo di quantità ma siano soprattutto di qualità, per aiutare la crescita. Occorre coinvolgere tutte le forze politiche e sociali». «Sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l'agenda di Confindustria», ha detto Marcegaglia quando nel suo intervento ha affrontato il tema dei contratti al centro del confronto tra l'associazione degli industriali e Fiat. Tutti gli associati sono uguali, ha detto. «Non esistono soci di serie A e soci di serie B. Non agiamo sotto la pressione di nessuno, non pieghiamo le regole che vuole la maggioranza per le esigenze di un singolo». Oggi la situazione è diversa. «Abbiamo appena fatto delle assise in cui ci siamo dati un obiettivo molto chiaro anche sulle relazioni sindacali. Questa è la stella che io seguirò, questa è l'azione che noi faremo. Ho il grande orgoglio di guidare un'associazione fatta da 150mila inmprese che credono ancora in questo Paese e vogliono continuare a investire qui». La riforma dei contratti ha modernizzato le regole della contrattazione, rendendo possibili anche deroghe al contratto nazionale, ora «vogliamo assolutamente, in tempi brevi, arrivare a un accordo condiviso sulla rappresentanza e sulla esigibilità dei contratti» ha detto la presidente di Confindustria. Occorre anche andare avanti con lo Statuto dei lavori, già all'attenzione delle parti sociali. «Per un'Italia in cui ai giovani sia riservato un futuro meno incerto, dobbiamo riprendere in mano le leggi sul lavoro». «Esiste una parte riformista dell'opposizione che è d'accordo su uno schema di riforma complessiva che considera anche la flessibilità in uscita. Queste proposte hanno in comune il riequilibrio delle tutele tra i lavoratori troppo garantiti e i giovani dal futuro sospeso. Occorre proteggere i lavoratori dalla perdita di reddito, non dalla perdita del posto di lavoro». «...occorre ridurre ciò che lo Stato fa oggi, lasciando più spazio ai privati e al mercato, visto che oggi la presenza pubblica diretta dell'economia si è estesa in questi anni in ambiti sempre più impropri, con vere derive patologiche». «Rimane attuale il problema dell'arretratezza del Mezzogiorno. Al Sud – ha sottolineato la Marcegaglia - serve una buona amministrazione, che oggi manca - tranne qualche eccezione - del tutto. La politica ha invaso la PA affermando pratiche clientelari». «... serve proseguire con la massima determinazione nella lotta alla criminalità organizzata, che ci vede in prima fila. E ringraziamo il ministro Maroni, le forze dell'ordine, la magistratura e tutti gli imprenditori che collaborano su questo tema.» L'Italia deve guarire dalla «malattia della bassa crescita». Marcegaglia ha sottolineato che in termini di benessere, l'Italia ha già vissuto il suo decennio perduto e che «tutti gli organismi internazionali concordano che l'Italia ha bisogno di un incisivo programma di riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita. Fondamentali sono le liberalizzazioni e la riforma della pubblica amministrazione».
Il commento de Il Giornale." ... uno legge le parole studiatissime della relazione e capisce subito che dietro ci sono notti insonni di collaboratori, litigate su qualche virgola, discussioni su un termine. ... Le domande che dovremmo porci sono queste ... Nella relazione, particolarmente quando è l'ultima di un mandato presidenziale, ci si dovrebbe chiedere se si è fatto abbastanza per il proprio mondo di riferimento, per le imprese, per il mercato. Non se si è chiesto abbastanza o se si è criticato abbastanza, ma se si è fatto abbastanza. C'è una sostanziale differenza. E invece no, la solita pappa politica condita con la minaccia di una specie di super discesa in campo collettiva. Una cosa un po' puerile, un «vi facciamo vedere noi» ingenuo e mal presentato: se fosse una cosa seria sarebbe alla fine di una relazione, così buttato lì? No, non è una cosa seria. È un diversivo. Criticata, al suo interno, per l'organizzazione ormai troppo costosa e mastodontica; sotto pressione per l'abbandono, semplicemente affidato ai suoi tempi naturali ma per nulla smentito, da parte della Fiat: a Confindustria resta solo la politica. Niente da fare neanche sui vari fronti interni, anche perché non ci si può criticare e scontrare all'interno della stessa associazione (almeno non si può farlo in pubblico) e si è costretti a conciliare, nel silenzio, i contrasti micidiali tra le varie parti del sistema produttivo. Tra il largo consumo e la grande distribuzione, tra tutti e le aziende energetiche, tra quasi tutti e il sistema della logistica, tra quasi tutti e il mondo del credito. Insomma, se non si può parlare di questi problemi e se incombono critiche (e allusioni a una specie di «casta confindustriale») e abbandoni traumatici resta solo il fantoccio polemico classico di chi in Italia la butta un po' sul generico: la politica, che non decide e che non realizza ciò che promette. E, in subordine, resta qualche super-classico attacco alla burocrazia opprimente e al fisco. E figuriamoci se non c'è, tuttora, un problema di adempimenti eccessivi e di oppressione burocratica. Gli associati, quando agiscono da imprenditori, ne sanno qualcosa e più di qualcosa. Ma l'associazione, prima di parlarne, dovrebbe porsi qualche domanda sulla burocratizzazione al proprio interno. E dare magari un buon esempio."
Il commento de La Stampa. "L’ultimo discorso è sempre complicato però Emma sembrava davvero accerchiata, racconta un pezzo grosso di Confindustria. ... Tutto il gotha dell’economia e della politica italiana schierato, tranne i convitati di pietra Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi, impegnati all’Ocse e al G8. Applausi scroscianti per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e per Mario Draghi presidente in pectore della Bce. E qualche polemica per l’inserimento di Faccetta nera nella colonna sonora che fa da sfondo ai tre minuti di video, molto bello, sui 150 anni di industria italiana. Accerchiata perché ognuna delle spine che hanno accompagnato Emma Marcegaglia in questi tre anni di mandato al vertice di viale dell’Astronomia (scade la prossima primavera) è saltata fuori qua e là nel suo discorso, durante l’assemblea annuale: la fuga in avanti, se non lo strappo di Fiat, che sta facendo penare la Confindustria, rintuzzato da una battuta secca della signora di Mantova contro il Lingotto («non ci sono soci di serie A e di serie B, noi continueremo a modernizzare le regole sindacali senza strappi»); l’autocritica obbligata alla macchina interna («Confindustria non deve più servire per ottenere sussidi o incentivi che drogano il mercato»), dopo le critiche agli imprenditori attaccati al borsellino di «Pantalone»; ma soprattutto il rapporto schizofrenico con questo governo, in teoria amico, guidato da un collega imprenditore, votato dalla gran parte della base confindustriale che però, ahimè, «ha deluso le aspettative», «pensa ad altro e non mette al centro la crescita». Viale dell’Astronomia da qualche tempo ha alzato la testa, non senza un certo orgoglio industriale, ma ogni volta sembra non affondare il coltello. Questo è il vero non detto che grava sugli industriali italiani ai tempi della grande crisi, fiaccandone la rappresentanza. «C’è grande delusione», raccontano in platea, ma poi il richiamo della foresta fa allargare lo sguardo a tutta la politica, tirando nel mazzo le divisioni della sinistra e il suo scarso profilo riformista. Lo si capisce intercettando un capannello di imprenditori emiliani, «deluso e frustrato». Perché «la politica è ferma e distante, a destra come a sinistra». Questo pomeriggio gli industriali trevigiani, nella provincia più leghista d’Italia, marceranno per protestare a loro volta contro l’immobilismo della politica. Una cosa mai vista. «La nostra non vuol essere un’iniziativa antigovernativa», mettono le mani avanti. Ovviamente lo è, visto che in questi «dieci anni perduti» ben 8 hanno visto al governo il centrodestra. Ma c’è sempre un certo pudore a dirlo. Nei discorsi informali dell’auditorium si parla anche del ciclone Fiat. Alcuni imprenditori protestano: «C’era il Capo dello Stato, i panni sporchi non si lavano in piazza…». Anche la successione in casa Confindustria sembra già partita. Il vice presidente Alberto Bombassei che lancia Gianfelice Rocca, il gran borghese a capo della Techint; la presidente uscente che punterebbe invece sul patron di Mapei, Giorgio Squinzi, meno falco sulle relazioni industriali (in molti hanno notato le parole di apprezzamento di Susanna Camusso al discorso di Marcegaglia); le ambizioni di Aurelio Regina e dei romani e la smentita del capo di Eni, Paolo Scaroni. Candidato alla presidenza io? «Quello mai». Fino alle solite suggestioni politiche, perché quando si finisce un mandato confindustriale si ha sempre paura dell’horror vacui. Luca di Montezemolo nel 2010 da Santa Margherita invitò i giovani industriali ad avere coraggio e scendere in campo. Allora Marcegaglia disse che «ognuno deve fare il proprio mestiere». È passato qualche mese e ieri è stata lei a scuotere la platea, in contrasto con quanto aveva detto allora. Un invito letto da alcuni come l’antipasto di una sua discesa in campo. Anche se, sopra ogni speculazione, ieri colpiva l’impotenza per un paese che non cresce da troppi anni e per l’immobilismo della casta.

Eugenio Caruso - 26 maggio 2011


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