16. L'arte della comunicazione d'impresa. Come relazionarsi agli altri e creare valore insieme


Felice colui che ha potuto penetrare nell’essenza delle cose.
Virgilio


Allacciare una relazione che sia duratura, sincera e in grado di creare valore insieme non è sempre un'impresa facile, specialmente se i soggetti non sono preparati psicologicamente a creare un rapporto. D'altra parte questa capacità può essere considerata, forse, la più importante nel mondo dell'impresa, specialmente oggi, nell'era del villaggio globale. Imprenditori e manager devono saper creare il tessuto relazionale e pertanto devono, necessariamente, imparare le tecniche del relazionamento attraverso l'ottimizzazione della capacità comunicativa e persuasiva. Sostiene Dale Carnegie «C'è un solo modo per ottenere da qualcuno quello che vogliamo. Fare in modo che l'altra persona sia indotta a desiderare quello che vogliamo noi». Ma di solito la gente che cosa vuole? La maggior parte degli psicologi sostiene che il bisogno più sentito della natura umana, soddisfatti i bisogni materiali, è "il desiderio di essere importante"; questo concetto deve essere tenuto sempre a mente ed è pregnante nello sforzo che ciascuno compie per creare relazioni costruttive. Pertanto, « … dobbiamo cercare di essere prodighi di apprezzamenti onesti e sinceri che vengano direttamente dal cuore, mentre dobbiamo evitare l'adulazione perché è falsa e come il danaro falso ci può procurare guai se continuiamo a spacciarlo». Un altro principio guida, volto a fluidificare le relazioni, è stato espresso da Henry Ford il quale scrisse: «Se esiste un segreto del successo nel campo dei rapporti sociali, direi che sta tutto nel riuscire a vedere dal punto di vista dell'altra persona, a mettersi nell'angolo di visuale altrui». Questa regola che sembrerebbe semplice e ovvia è, nella maggior parte dei casi, disattesa, eppure solo grazie ad essa è possibile suscitare negli altri la nostra stessa volontà. Allacciare una relazione che sia duratura, sincera e in grado di creare valore non è sempre un'impresa facile, specialmente se i soggetti non sono preparati psicologicamente a far nascere, sviluppare e mantenere un rapporto. Gli specialisti della comunicazione hanno inventato diversi modelli volti a definire le condizioni necessarie alla creazione di valore tra due soggetti, modelli che si muovono tutti sul labile confine tra conscio e inconscio; ma, analizzando le basi di queste proposizioni notiamo che tutte sottendono un approccio comune. Per poter creare valore insieme ad un altro è necessario attivare un processo comunicativo, a volte anche complesso, mirato alla persuasione della controparte.
Di questo processo sono stati individuate tre fasi.

• Superare le difficoltà del primo contatto.
• Persuadere il nostro interlocutore della bontà delle nostre proposte e delle nostre intenzioni.
• Convincerlo a "stare con noi".

Ipotizziamo una condizione "difficile", e cioè di aver fissato un appuntamento con un potenziale partner, che già sappiamo essere prevenuto nei nostri confronti. Perché dal primo contatto si stabilisca un canale comunicazionale attivo ed efficace l'esperienza e le ricerche condotte in proposito propongono di seguire alcune regole base.

1. Sorridiamo: il sorriso dice più di mille parole. Non quello forzato, falso e stereotipato che non inganna nessuno, ma il sorriso semplice, spontaneo, cordiale. La millenaria saggezza cinese ci ha tramandato un proverbio «L'uomo che non sa sorridere non apra mai un negozio». D'altra parte gli antropologhi e i semiologhi affermano che il sorriso è una delle prime forme di comunicazione usate dall'uomo e che esso deriva dall'atteggiamento di sottomissione al più forte. Il significato primordiale lo portiamo scritto nel nostro dna, ecco perché il sorriso è la chiave più importante per aprire un canale di comunicazione con l'altro.
2. Mostriamo il nostro interesse per l'interlocutore. Durante i primi approcci dobbiamo dimostragli che lo conosciamo, conosciamo la sua azienda, conosciamo il suo settore merceologico, la qualità dei suoi prodotti, la sua concorrenza. Per fare questo dobbiamo preparare accuratamente l'incontro e fare uno sforzo per acquisire il massimo delle informazioni. Non è superabile una barriera di scetticismo che possa nascere da questa considerazione «Come pensa di propormi una collaborazione questo signore che non conosce nulla di me e della mia impresa?».
3. Ricordiamoci che per ogni persona il proprio nome è il suono più importante e più dolce. I nomi distinguono gli individui e li rendono unici tra gli altri. La capacità di ricordare nome e cognome di tutti i propri dipendenti e di darne dimostrazione pubblica è, ad esempio, un potente strumento nelle mani di un imprenditore che voglia fidelizzare i propri dipendenti. Non diversamente pronunciare frequentemente il nome del nostro interlocutore, durante il colloquio, è un mezzo potente per stabilire con lui un buon contatto. La condizione ideale sarebbe quella di potersi dare subito del tu e chiamarsi con il proprio nome di battesimo.
4. Dobbiamo essere buoni ascoltatori e incoraggiare l'interlocutore a parlare di se stesso; questo ci permetterà di ricavare una quantità enorme di informazioni. Dopo aver dimostrato la nostra disponibilità a creare un clima empatico e collaborativo il nostro interlocutore sarà portato a dare informazioni di sé che noi non possediamo, come l'inizio della sua attività, i problemi superati, i successi conseguiti e il discorso potrebbe anche scivolare sugli hobby e la vita privata e sociale. Quando un giovane mi chiede consigli su come comportarsi durante un colloquio di assunzione il mio suggerimento è «Avrai successo se riuscirai a far parlare il tuo esaminatore più di quanto lui riuscirà a far parlare te. Con il tempo conoscerai l'importanza di essere ascoltati nel modo corretto».
5. Parliamo di quello che inorgoglisce il nostro interlocutore o che lo faccia sentire importante; prima dell'incontro dovremmo fare dell'intelligence per poter ricavare qualche informazione, anche di tipo personale. In alternativa potremmo utilizzare le informazioni che lui stesso ci avrà dato, se la tattica indicata al punto quattro avrà avuto successo. Se siamo venuti a sapere che l'interlocutore è impegnato nel sociale o nel volontariato o nel settore sportivo, o nell'amministrazione del piccolo comune in cui vive, dobbiamo dargliene attestato. Ricordiamo che un imprenditore o un manager che, oltre alle incombenze aziendali, si dedica ad altre attività, generalmente, ricava grande soddisfazione dal fatto che qualcuno lo riconosca e lo ammiri per questo impegno.

Una volta che siamo riusciti a stabilire un contatto che possa rivelarsi potenzialmente utile il passo successivo è riuscire a convincere la controparte della bontà della nostra proposta e delle nostre intenzioni. Anche in questo caso l'esperienza e le ricerche condotte ci vengono in soccorso con alcune regole.

1. Mostrare rispetto per le opinioni dell'interlocutore e non fare mai affermazioni che potrebbero apparire agli occhi dell'altro come un «Lei ha torto». La prima reazione alla maggior parte dei discorsi che sentiamo da altri, secondo i criteri della cultura occidentale, che secondo Schopenauer opera a suon di "martellate argomentative", è una valutazione o un giudizio. Dobbiamo invece imparare a permettere a noi stessi di capire con precisione il significato di quello che l'altro vuole dire e, fondamentalmente, qual è la genesi della sua convinzione. Seguendo questa regola ci accorgiamo che la conversazione diventa più piacevole, la "serenità" con cui presentiamo le nostre idee ha come conseguenza una ricezione più pronta e meno prevenuta. Un esempio di interlocuzione che non giudica l'opinione della controparte potrebbe essere "Riteniamo che la sua intenzione di favorire un nostro concorrente può avere una propria coerenza, ma vediamo di valutare insieme la nostra proposta".
2. Dimostriamo che siamo lì con l'intenzione di instaurare un rapporto del tipo vinco io/vinci tu e mostriamogli un atteggiamento amichevole. Dobbiamo insistere sul principio che la nostra impresa cerca soggetti con i quali creare una partnership sulla base del rispetto, della valorizzazione delle competenze reciproche e della necessità di fondare rapporti amichevoli. Famoso, nella storia delle imprese, è lo sciopero che nel 1915 coinvolse i lavoratori delle miniere di John D. Rockefeller Jr. Era intervenuto l'esercito, c'erano state decine di morti e feriti, i macchinari erano stati distrutti, eppure Rockefeller, contro il parere di tutti, volle parlare personalmente con gli scioperanti per far capire il suo punto di vista. Durante il discorso Rockefeller affermò di essere orgoglioso di trovarsi tra i suoi minatori, di considerarli come amici, che, insieme, avrebbero dovuto risolvere la disputa con spirito di reciproca amicizia; presentò i fatti in modo talmente amichevole che gli scioperanti tornarono al lavoro rinunciando all'aumento di salario per il quale stavano scioperando da due anni.
3. Facciamo in modo che il nostro interlocutore sia indotto a rispondere sì, fin dall'inizio. Per questa regola ci viene in soccorso il metodo socratico. Socrate diceva forse a qualcuno che stava sbagliando? Mai! La sua tecnica si basava sul fare domande alle quali l'interlocutore non poteva che rispondere sì. Continuava guadagnandosi le risposte positive una dopo l'altra finché, quasi senza accorgersene, i suoi potenziali oppositori si trovavano ad approvare una decisione alla quale si sarebbero opposti all'inizio della discussione se questa fosse stata impostata direttamente sul problema che Socrate aveva in animo di trattare. Affrontando di petto un problema corriamo il rischio di ricevere un secco No! E, in tal caso, far cambiare parere al nostro interlocutore è impresa ardua. Esempi di domande che portano al sì da parte di un imprenditore o di un manager possono essere: "Ritiene che investire sullo sviluppo sia un compito fondamentale?". "Non pensa che il principio della comunicazione sia essenziale per far conoscere la sua azienda?". "Non pensa che i soldi spesi nella comunicazione siano un investimento e non solo un costo?", "Ha notato come le performance della ditta Caio siano migliorate da quando ha investito nella comunicazione?"
4. Lasciamo che l'interlocutore parli quanto desidera. Se facciamo in modo che l'altro possa parlare liberamente, senza essere interrotto o contraddetto, lo autorizziamo a soppesare la bontà delle sue posizioni, a vederne gli aspetti negativi ed eventualmente venire dalla nostra parte. Lasciando parlare l'interlocutore, infatti, lo incoraggiamo a pensare a voce alta, a seguire un filo logico e probabilmente ad arrivare inconsciamente ad ammettere la validità delle nostre idee. Se siamo di fronte ad un logorroico, che parla per narcisismo e per il piacere di ascoltarsi è necessario ricorrere alla psicologia e inviare dal nostro Io Genitore al suo Io Bambino messaggi del tipo «Sei una persona di valore, ne terrò conto», e tentare poi di portare la discussione sul piano Adulto Adulto.
5. Diamo all'altro la sensazione che abbia avuto lui per primo l'idea giusta. Se avremo ben condotto le fasi 3 e 4, il nostro interlocutore sarà portato a valutare positivamente qualche nostra idea; facciamo in modo che sia convinto che sia sua la paternità. Quando conobbi il nuovo direttore generale di un'azienda con la quale la mia Divisione aveva da anni modesti rapporti d'affari mi resi conto che il sistema migliore per spronarlo ad offrirci importanti commesse era quello di sfruttarne l'eccesso di autostima e portalo alla convinzione che ogni nuova idea fosse parto della sua creatività. Con questa tecnica riuscii a trasformare un cattivo cliente nel miglior cliente della Divisione.
6. Cerchiamo di vedere le cose dal punto di vista del nostro interlocutore. Giova tener presente che c'è sempre un motivo se gli altri si comportano in un certo modo o ragionano in un certo modo; scovare questo motivo significa avere in mano la chiave della loro personalità. In una conversazione diamo all'altro la possibilità di guidare il dialogo nella direzione da lui voluta e facciamo attenzione più a quello che ascoltiamo che a quello che diciamo. Mettendoci dal punto di vista dell'interlocutore, induciamo l'altro a fare altrettanto quando ascolterà le nostre considerazioni.
7. Cerchiamo di essere comprensivi nei confronti dei desideri altrui. Il bambino quando si fa male corre piangendo da papà e mamma mostrando il piccolo livido per avere comprensione e suscitare l'interesse da parte dei grandi. Questo desiderio di comprensione e di attenzione ci accompagna per tutta la vita; se riusciamo soddisfarlo in modo adeguato nel nostro interlocutore sarà facile portarlo dalla nostra parte.
8. Facciamo appello ai motivi più nobili. In maniera molto grossolana possiamo affermare che ogni uomo è spinto ad agire per due motivi: quello vero e quello che appare buono e nobile. Durante una conversazione conosciamo bene i motivi veri dei comportamenti e delle affermazioni altrui ma dobbiamo fingere di credere alle motivazioni buone e nobili. Se vogliamo portare l'interlocutore dalla nostra parte dobbiamo fare appello a queste motivazioni. L'esperienza insegna che non conoscendo la personalità di un interlocutore è sempre buona prassi dare per scontato che sia sincero, onesto, degno di fiducia, rispettoso degli accordi presi. È il modo più sicuro per riuscire a toccare le corde dei suoi sentimenti più nobili.
9. Drammatizziamo le nostre idee. La verità da sola non basta. Deve essere resa vivida, interessante, paradossale, drammatica, deve essere utilizzato lo stile "spettacolo". Gli spot televisivi drammatizzano, a beneficio dell'acquirente potenziale, i vantaggi offerti dal prodotto reclamizzato e invogliano la gente ad acquistarlo. Lo stesso dobbiamo fare con le nostre idee se vogliamo che i nostri interlocutori ne siano attratti. A tutti sarà capitato uno di quei momenti magici nei quali lo sgorgare impetuoso e spettacolare di qualche nostra idea abbia coinvolto, positivamente, l'intelligenza emotiva del nostro interlocutore, portandolo a stabilire con noi un forte legame, anche affettivo. Dobbiamo ritornare con la memoria a quei momenti magici e scoprire le cause che determinarono quegli episodi.
10. Se non riusciamo in nessuno dei modi descritti potremmo portare dalla nostra parte l'interlocutore lanciando una sfida. Giova ricordare che ciò che piace ad ogni persona è il desiderio di sentirsi importante; dobbiamo, pertanto, sfidare il nostro interlocutore dimostrandogli che se sta con noi potrà esprimersi al meglio, eccellere e vincere.

Una volta che siamo riusciti a portare l'interlocutore a condividere una nostra opinione il passo successivo è fare in modo che esso si convinca a creare una rapporto che consenta di creare valore, insieme a noi. Anche in questo caso vediamo quali sono le regole suggerite dall'esperienza.

1. Lodiamo il nostro interlocutore per qualcosa di concreto e reale, che sia emerso durante le fasi 1 e 2, e dimostriamogli un apprezzamento sincero. Una lode o un apprezzamento sono un aggancio molto valido nel caso in cui il nostro interlocutore abbia un atteggiamento negativo sulla possibilità di creare valore con noi. Questa è una fase delicata perché prevede che l'interlocutore, consapevolmente o meno, cambi la propria posizione iniziale.
2. Nel caso di atteggiamento negativo rispetto alla nostra proposta è fondamentale far emergere l'errore dell'interlocutore in modo indiretto. Ad esempio, dando una inequivocabile dimostrazione della superiorità del nostro prodotto rispetto a quello della concorrenza, mostrando il successo ottenuto dal suo concorrente Caio grazie al nostro prodotto o l'insuccesso cui è andato incontro il concorrente Tizio nel momento in cui ci ha abbandonato, richiamando il comportamento di una persona terza della quale l'interlocutore abbia stima, spostando l'attenzione su più moderni stili di gestione di impresa. Dobbiamo usare la tecnica dell'aneddotica con il racconto di episodi reali, significativi e carichi di positività per la nostra proposta.
3. Prepariamo il terreno attenuando l'importanza della nostra azione nei riguardi della sua scelta di accettare la collaborazione con la nostra impresa. Nessuno nasce maestro, pertanto, prima di tentare di chiudere l'affare è una buona tecnica rammentare qualche nostro errore o nostre convinzioni sbagliate, ad esempio "Pensi che quando ho iniziato questa attività ho impiegato del tempo prima di capire l'importanza che ha per le imprese un investimento nella comunicazione".
4. Facciamo domande invece di suggerire subito soluzioni. Potremmo scoprire che l'interlocutore non ha bisogno di quello che gli volevamo proporre ma di qualcosa d'altro che gli risolve un problema più importante. Il sistema socratico delle domande salva l'orgoglio e la reputazione della controparte e non sminuisce la sua importanza; incoraggia, invece, lo spirito di collaborazione ed evita la ribellione di una controparte che si senta forzata a prendere una decisione.
5. Senza cadere nella piaggeria e nell'adulazione, lodiamo ogni piccolo progresso che la controparte fa muovendosi nella nostra direzione. Giova tenere sempre a mente che gli apprezzamenti devono nascere dal cuore e che la possibilità di coinvolgere l'altro appassisce sotto la critica e fiorisce con l'incoraggiamento e la stima.
6. Facciamo in modo che la persona sia felice della soluzione presa. Se la controparte accetta di stringere un patto d'alleanza con noi accertiamoci che sia soddisfatta della scelta, che la sua importanza in quel business sia riconosciuta, che sia consapevole dei benefici che ne ricava. Ricordarsi sempre che chiudere un contratto con la formula del vinco io/perdi tu fa vincere una battaglia ma fa perdere, definitivamente, il cliente.

Ebbene esiste in letteratura un famosissimo e splendido pezzo di arte oratoria che ha proprio l'obiettivo di convincere qualcuno. Il discorso di Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare. Antonio deve convincere la plebe, sobillata dai tribuni e convinta da Bruto che l'azione dei congiurati ha salvato la libertà dei romani, che Cesare non meritava di essere ucciso perché le argomentazioni dei congiurati sono false.
Seguendo lo sviluppo del discorso di Antonio riconosciamo le tre fasi del processo che conduce alla persuasione.

1. Fase della costruzione di un canale di comunicazione tra Antonio e la plebe. Antonio esordisce affermando "Amici romani, prestatemi orecchio" facendo uso della funzione fàtica del linguaggio e mettendo in chiaro di non avere intenzioni polemiche: «Sono venuto a seppellire Cesare non a tesserne l'elogio». Antonio non fa affermazioni che possano apparire di accusa nei confronti dei congiurati e dei romani, non aggredisce verbalmente Bruto e i congiurati, ma il suo linguaggio è un alternarsi di negazioni usate per affermare (ad esempio «Io non parlo per smentire ciò che Bruto ha detto», «Non farò torto loro; preferisco fare torto al morto, fare torto a me stesso») e di ironia (ad esempio, la continua ripetizione della frase «Bruto è un uomo d'onore»). In questa fase Antonio si limita ad elencare alcuni fatti che nessuno può smentire: l'ambizione di Cesare è un male virtuale perché, se era nelle intenzione non lo fu mai nei fatti, l'amore di Cesare per il popolo, i benefici materiali guadagnati da Roma, grazie a Cesare, il fatto che Cesare avesse più volte rifiutato di essere incoronato re. Accenna all'esistenza di un testamento di Cesare, facendo nascere curiosità e aspettative nei romani. Antonio non legge subito il testamento, ma continua a muovere la passione del popolo facendogli addirittura dimenticare il testamento. È tutto un gioco di ipotesi e di smentite, di negazioni (non voler sconfessare i congiurati, non voler leggere il testamento, non voler sobillare il popolo, non essere un buon oratore, non saper parlare), che sono altrettante affermazioni, nel quale Antonio dà sempre la sensazione di essere trascinato dal popolo al di là di quanto lui stesso vorrebbe. Nel mescolarsi alla folla Antonio chiede un preventivo permesso che il popolo concede nell'ingenua presunzione di sovranità.
2. La fase della persuasione dell'innocenza di Cesare e della colpevolezza dei congiurati è introdotta dalla celebre frase «Se avete lacrime preparatevi a versarle adesso». Antonio con il mantello di Cesare in mano, mostra i buchi, le lacerazioni e il sangue, percorre tutti i momenti dell'assassinio soffermandosi sullo stupore di Cesare alla scoperta della presenza di Bruto tra i congiurati e, infine, mostra il corpo sfigurato di Cesare. Ricorda che Bruto era come un figlio per Cesare, minimizza la propria abilità dialettica rispetto a quella di Bruto, ma afferma che se avesse l'abilità oratoria di Bruto allora vi sarebbe un Antonio capace di infiammare gli animi dei romani, di far smuovere i sassi di Roma e farli insorgere in aperta ribellione.
3. Fase dell'incitamento dei romani, irritati ma non ancora sufficientemente motivati, alla ribellione contro i congiurati. La frase che introduce l'ultimo atto è «Ascoltatemi cittadini. Ho da dirvi ancora qualcosa……Avete dimenticato il testamento di cui vi ho parlato»; Antonio annuncia che Cesare ha lasciato ai romani gran parte dei suoi beni. È interessante notare che Antonio sapeva dall'inizio quale fosse il contenuto del testamento di Cesare ma tiene nascosta la notizia finché non è convinto di aver stabilito un canale di comunicazione emotiva con la plebe e di averli persuasi delle proprie ragioni e del torto dei congiurati.

Il linguaggio evocativo
Come abbiamo già visto, se durante un'interlocuzione dobbiamo fare in modo che l'interlocutore cambi la propria idea originaria per condividere la nostra non è consigliabile affrontare l'argomento in modo diretto ma è necessario ricorrere ad alcuni stratagemmi linguistici. Uno di questi è il linguaggio evocativo (D'Ambra, 2003); esso infatti consente di arrivare all'inconscio delle persone mediante l'uso delle metafore, delle similitudini, degli aneddoti. Il meccanismo è quello della proiezione e dell'identificazione che le persone tendono ad attuare nei confronti dei personaggi e delle situazioni di un racconto reale o di fantasia.
L'uso della metafora. Essa consente di trasferire ad un soggetto o ad un concetto le caratteristiche proprie di un altro soggetto o di un altro concetto. Nella famosa favola di Fedro, I due topi, al topo di città vengono trasferite le caratteristiche dell'uomo di potere che vive tra insidie e tranelli, al topo di campagna le caratteristiche dell'uomo mite che non ama correre rischi; nel leggere la favola, la persona ambiziosa si identifica con il topo di città, la persona tranquilla con il topo di campagna. La metafora diventa molto efficace se allude all'esperienza del soggetto al quale essa è diretta. Supponiamo che il nostro interlocutore sia un appassionato di calcio, metafore calcistiche troveranno un riscontro felice. Molto sinteticamente potremo usare una frase di questo tipo. «Vede ingegnere se diamo il calcio di avvio ad un progetto di collaborazione che impegni le nostre rispettive squadre potremo diventare i primi in classifica nella nostra nicchia di mercato». Se invece ci troviamo di fronte ad un amante della montagna, troveranno riscontro le metafore alpinistiche. «Vede ingegnere se procediamo in cordata in questo progetto potremo arrivare ai vertici nella nostra nicchia di mercato e l'orizzonte si presenterà roseo». Se ci troviamo di fronte ad un appassionato di formula uno useremo una frase di questo tipo. «Vede ingegnere se realizziamo questo progetto ci troveremo in pole position rispetto ai concorrenti e potremo superare le aziende che finora non ci hanno dato strada». Occorre ricordare che il linguaggio metaforico ha un potere regressivo, fa tornare cioè fanciulli con tutte le potenzialità positive di curiosità, di creatività, di fantasia e di entusiasmo. Come visto, la metafora può essere lanciata con alcune parole chiave, oppure può essere un vero e proprio racconto. «Vede ingegnere, se il Manzoni non avesse tradotto in perfetto italiano I promessi sposi, il romanzo non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Manzoni aveva capito che sul piano della comunicazione la sua prima versione era carente, ha progettato una sorta di piano di marketing modificando e adeguando il suo "prodotto" per un pubblico più vasto ». La comunicazione per metafora, poiché affronta i temi in discussione in modo indiretto e velato, viene vissuta in modo sereno, pertanto un nostro affondo nel cuore del problema non viene percepito come aggressivo o minaccioso.
L'uso della similitudine. Come visto, nella metafora il riferimento al soggetto o al concetto avviene in modo indiretto o sottile. Con la similitudine il riferimento è diretto e inequivocabile.
«Dobbiamo impostare questo progetto come se dovessimo giocare una partita di calcio».
«Lei è più solido di una montagna».
«Per battere la concorrenza dobbiamo essere più veloci di una macchina di formula uno».
L'uso dell'aneddoto. Se la metafora e la similitudine vogliono colpire l'inconscio del nostro interlocutore, l'aneddoto è utilizzato, preferibilmente, per affrontare in modo indiretto un argomento senza dare la sensazione all'interlocutore che riteniamo la sua impostazione errata. Supponiamo che dobbiamo persuadere un prospect reticente ad utilizzare i nostri media di comunicazione; si potrebbe raccontare il seguente aneddoto. «Ingegnere le voglio raccontare questa storiella. Il nuovo direttore marketing della Sempronio, un bel giorno, mi comunica che non è più interessato ai nostri servizi di comunicazione e pubblicità, preferendo affidarsi esclusivamente al mezzo televisivo. Per due anni il nome della menzionata azienda scompare dal nostro sistema comunicazionale. La Sempronio, dopo questa esperienza negativa, anche in termini di fatturato, è ritornata da noi con un budget raddoppiato». La critica, mediata dall'aneddoto, diventa più garbata e accettabile perché chi ne è l'oggetto può prendere il racconto per il suo valore letterale, se il significato implicito gli è sgradito. Giova, peraltro, affermare che anche l'aneddoto, raccontato con riferimenti simbolici ed emozionali, può essere utile per toccare le corde dell'inconscio.
Il perché della resistenza
Spesso durante un colloquio d'affari ci sorprendiamo della tenace resistenza che l'interlocutore oppone ad una proposta che è oggettivamente per lui vantaggiosa. Spesso la risposta la troviamo in quel meccanismo che la psicoanalisi chiama vantaggio secondario, meccanismo che appare contraddittorio: infatti quale vantaggio può derivare al nostro interlocutore dal perdere un affare vantaggioso? Gli psicologi rispondono al quesito osservando che il vantaggio secondario spesso non è gestito consapevolmente e che la persona può non essere cosciente del processo che sta vivendo. Nelle aziende sono abbastanza frequenti casi di vantaggio secondario, come quello che descriverò. Un dipendente lavora duramente, con determinazione ed efficienza perché gli vengano riconosciuti i suoi meriti. Nel momento in cui gli viene proposto un miglioramento della sua posizione professionale, rifiuta la promozione per la quale si era tenacemente impegnato. Spesso il rifiuto deriva da un'inconscia paura di stati d'ansia e preoccupazioni che potrebbero derivare da una maggiore responsabilità. In questi casi, entra in gioco il vantaggio secondario, con la sua apparente contraddittorietà. Un imprenditore che rifiuta un affare vantaggioso, molto probabilmente, è sotto scacco da parte di qualche vantaggio secondario: il desiderio di non rischiare, la preoccupazione di doversi ampliare, la necessità di dover cercare un collaboratore. Se ci rendiamo conto dell'esistenza di qualche vantaggio secondario che ostacola una presa di decisione da parte dell'interlocutore dobbiamo operare con garbo e discrezione: se riusciamo a portare alla luce l'esistenza di remore dovute a qualche vantaggio secondario, potremo evitare il muro di impedimenti che bloccano ogni possibilità di intesa. D'altra parte, ogni comportamento umano si basa sugli impulsi di assicurarsi un piacere ed evitare un dolore; psicologicamente sono gli stimoli dell'avvicinamento e della fuga. Un imprenditore intraprende un nuovo business in cerca di nuove soddisfazioni ed emozioni (stimolo dell'avvicinamento), oppure perché quello che sta facendo non gli permette di raggiungere degli obiettivi minimi o perché quel mercato sta diventando troppo competitivo (stimolo della fuga). L'analisi di questo meccanismo del comportamento umano è un altro strumento utile per entrare in sintonia con un interlocutore restio. Se l'interlocutore opera con una strategia comportamentale orientata all'avvicinamento dobbiamo anche noi adottare un'analoga strategia, viceversa, se l'interlocutore è orientato alla fuga. Ad esempio, supponiamo di domandare ad un imprenditore. «Ha letto le recenti disposizioni ministeriali sull'incentivazione al commercio con i paesi dell'Est? » e che la risposta sia del tipo «No, comunque non esiste governo che faccia realmente gli interessi delle imprese»; in tal caso siamo di fronte ad una persona che sta vivendo una situazione di fuga, pertanto, se stiamo proponendo un prodotto o un servizio dovremo adottare anche noi una psicologia di fuga. Il prodotto o il servizio offerto "deve servire" ad evitare qualcosa: una competizione troppo forte, i rischi di incidenti in fabbrica o ai lavoratori, oneri finanziari troppo onerosi, elevati costi del lavoro o altro. Se non ci si mette in sintonia con l'interlocutore si rischia una resistenza ad oltranza alle nostre proposte. Un'altra categoria di meccanismi che orientano il comportamento è quella che distingue chi guarda ai doveri e chi alle possibilità. Ci sono persone che organizzano la propria vita in base a ciò che si deve fare, poiché sono attratti da ciò che è conosciuto e certo; ad esempio se praticano uno sport è perché glielo ha detto il medico. Queste persone, sono riconoscibili perché, generalmente, parlano di doveri e obblighi, la loro vita è caratterizzata dall'autodisciplina e da autolimitazioni. Gli imprenditori orientati ai doveri prendono le loro decisioni abbastanza rapidamente perché davanti a determinate evidenze non vedono molte possibilità di scelta e sono pungolati dalla necessità di dover fare qualcosa. Di converso, ci sono persone che sono decisamente motivate nel cercare molte possibilità nella gestione di una scelta e sono mosse non tanto da quello che si deve fare ma, piuttosto, dal bisogno di esplorare, provare, conoscere. Gli imprenditori orientati alle possibilità cercano nuove opportunità di business e, normalmente, amano i rischi e le sfide. Giova osservare che non esistono comportamenti, in assoluto, positivi o negativi, ma solo funzionali ad un determinato contesto, oppure no, pertanto, è opportuno astenersi da qualunque giudizio di merito. È, invece, importante, per essere buoni persuasori, riuscire a percepire quale dei due comportamenti caratterizza il nostro interlocutore. Infatti, se parleremo di doveri, regole, norme ad uno spirito "libero" ci troveremo di fronte ad un muro di ostilità. La stessa cosa potrà capitarci, viceversa, se dovessimo parlare di necessità di cambiare, di dover correre dei rischi, di affrontare l'incognita del futuro, di rischio imprenditoriale, di operare con una certa dose di spregiudicatezza, ad una persona che abbia cari i valori della fedeltà, della metodicità e della costanza. I meccanismi che orientano il comportamento e quindi la resistenza che potrà opporci un interlocutore, sono, naturalmente, più numerosi di questi che abbiamo analizzato e alcuni sono anche più complessi. Lo studio della motivazione e del comportamento considera molte altre variabili di carattere sociale, psicologico, culturale. Questa analisi verrà condotta con maggior dettaglio nel quarto capitolo dove si parlerà di caratteristiche motivazionali e caratteristiche operazionali.
L'ironia per vincere le resistenze
L'ironia nella comunicazione interpersonale è uno strumento che va gestito con estrema attenzione poiché potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio ; sicuramente essa è una componente dei rapporti umani e in alcuni ambienti è un ingrediente base della relazione. Nella fase di presa di contatto con l'interlocutore la battuta ironica può servire a "rompere il ghiaccio" del primo incontro, a creare un clima amichevole, a stimolare una simpatia immediata, a far nascere un sorriso spontaneo, ad allentare le tensioni; grazie alla sua doppia valenza di significato può diventare un linguaggio in codice. Occorre fare molta attenzione al rischio che l'ironia non sfiori il sarcasmo o la canzonatura e va assolutamente evitata l'ironia creata ad arte o preparata; essa è stereotipata e forzata e può sortire effetti negativi. Nella fase della presa di contatto vanno assolutamente evitate le barzellette e le battute comiche o salaci; l'interlocutore potrebbe avere la sensazione che vogliamo fargli perdere del tempo. L'ironia deve essere una risposta immediata e spontanea ad uno stimolo che proviene dall'altro; giova ricordare che essa è uno strumento di facile utilizzo per le persone che hanno dimestichezza con il pensiero laterale e creativo (De Bono, 1969 - 1991). L'ironia è costruttiva soprattutto se lo stato mentale che vi sta alla base non è rivolto alla svalutazione di qualcosa o di qualcuno; ricordiamo con quale capacità e fine retorica Socrate usava questo strumento e il fine di Socrate era quello di promuovere la conoscenza, non di colpire l'interlocutore. L'ironia apre la mente e ci permette di vedere altre facce della realtà e quindi di scoprire qualcosa che ci era nascosto e che non ci consentiva un giudizio più aperto. Come abbiamo detto, infatti, l'ironia nasce dal pensiero laterale che consente una dissociazione ovvero un distanziamento dall'evento; siamo, cioè, dentro la realtà e contemporaneamente possiamo osservarla da fuori. Se durante un colloquio riusciamo a fare dell'autoironia otteniamo due risultati, facilitiamo l'autoriflessione e la lettura di aspetti di noi nascosti e predisponiamo il nostro interlocutore ad un rapporto empatico nei nostri riguardi. Lo stato mentale positivo dell'ironia crea maggiori possibilità di interazioni serene, equilibrate, gradevoli e produttive, l'ironia ci libera dall'intolleranza e dall'arroganza, ci dà modo di governare la realtà anziché esserne governati, ci consente di sgretolare il muro della resistenza più tenace all'azione del nostro processo comunicativo.

Per il precedente articolo clicca QUI.

Eugenio Caruso
19 settembre 2011

Tratto, parzialmente, da E. Caruso Comunico quindi esisto Tecniche Nuove 2005

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