17. L'arte della comunicazione d'impresa. Come persuadere. Parte 1


Se è permesso paragonare le cose piccole alle grandi.
Virgilio


Il nostro cervello è costruito con un'architettura complessa che organizza le risposte agli stimoli provenienti dal mondo esterno in maniera imprevedibile. Un singolo impulso iniziale può dar luogo a molte risposte tra loro molto differenziate; il cervello decide di prendere una strada piuttosto che un'altra su base non cosciente, né del tutto spiegabile. I nostri organi di senso sono colpiti da un'infinità di stimoli, ma le cellule nervose che li compongono scelgono di portarne all'interno solo alcuni, ciò significa che il nostro cervello lavora solo su una parte della realtà che ha colpito gli organi di senso; inoltre questa porzione di realtà viene ulteriormente filtrata nel passare dall'inconscio al conscio. Freud ha reso questo fenomeno con un'immagine efficace: la realtà della nostra coscienza è come la parte emersa di un iceberg, mentre la parte sommersa, di gran lunga di maggior volume, contiene il nostro inconscio. Questa introduzione è per comprendere che per realizzare una comunicazione dobbiamo produrre un messaggio, che viene selezionato dal cervello ricevente e che mette in moto una catena di connessioni tra neuroni che coinvolgono aree diverse del cervello stesso; la risposta ad uno stimolo non sempre è prevedibile, e, spesso, ci appare regolato dalle leggi del caso. Un nostro messaggio raggiunge, quindi, gli organi di senso di una persona e di lì passa nel cervello scatenando una fitta serie di connessioni tra idee, attivando ricordi, emozioni, sensazioni (musica, profumi, colori). Noi pensiamo per analogie e per ricordi, che attivano tante più emozioni quanto più i messaggi che abbiamo ricevuto riescono a scatenarle. Ecco allora che per far passare un messaggio nella mente di una persona con una certa forza di persuasione bisognerà capire quale messaggio sarà in grado di scatenare in lui le reazioni e le associazioni di cui abbiamo parlato; giova notare che una persona poco dotata nella comunicazione interpersonale difficilmente sarà in grado di inviare messaggi dotati della forza della persuasione. Un altro aspetto importante da ricordare è che l'insieme delle competenze cognitive inconsce costituisce la maggior parte della conoscenza dell'uomo. A esempio, quando formuliamo un discorso quante sono le regole sintattiche e grammaticali che siamo coscienti di seguire? Ben poche rispetto alle notevoli costruzioni che effettuiamo sulla base delle competenze cognitive inconsce profondamente radicate in noi. L'acquisizione di queste competenze cognitive inconsce è funzione della storia evolutiva di ogni singola civiltà, di specifiche condizioni poste dall'ambiente esterno, del ristretto ambito nel quale l'individuo ha sviluppato la propria vita. L'uomo ha accumulato, con l'evoluzione, un insieme di nozioni e di conoscenze che non appartengono né emergono a livello della sfera cosciente, e che sono quindi assolutamente non esprimibili attraverso il linguaggio. Un ruolo fondamentale per comprendere quale sia lo stato dei processi del pensiero cosciente e non cosciente è stato svolto dalla neurofisiologia. Le ricerche condotte sui cervelli destro e sinistro mostrano che l'emisfero sinistro è dominante per le funzioni linguistiche e classificatorie, prettamente concettuali, e che l'emisfero destro, invece, risulta debole nelle facoltà logiche e, in particolare, non è in grado di organizzare il linguaggio. Pare quindi che un ipotetico centro della coscienza non possa risiedere in questo emisfero. L'emisfero destro risulta, peraltro, dominante sul sinistro nell'ambito della percezione visiva, dell'apprezzamento della musica, degli stati emozionali, inoltre, esso presiede alla percezione dello spazio e fornisce il senso complessivo della forma. Attraverso il corpo calloso il cervello sinistro riesce a prendere conoscenza di parte delle funzioni dell'emisfero destro; pare quindi che le capacità proprie dell'emisfero sinistro siano fondamentali per la costituzione di ciò che viene comunemente chiamata "autocoscienza". L'emisfero sinistro, tuttavia, non è in grado di cogliere la totalità dei processi che avvengono nell'emisfero destro, pertanto, le facoltà razionali (l'autocoscienza) lavorano su materiale filtrato dall'emisfero destro (in modo sconosciuto all'emisfero sinistro) e portato a livello cosciente nell'emisfero sinistro. Lo scienziato Marvin Minsky semplifica questo concetto affermando. «Quali che siano le azioni da noi scelte, esse non possono cambiare ciò che altrimenti avrebbe potuto essere, perché le inesorabili leggi naturali avevano già causato gli stati mentali che ci hanno fatto decidere in quel modo. Ogni azione che compiamo scaturisce da processi interni alla nostra mente, ma per la maggior parte, essi superano di molto la nostra comprensione». Questa introduzione sul funzionamento del nostro cervello risulta importante per spiegare perché dagli anni '50 - '60 un gran numero di psicologi, psichiatri, neurofisiologi e neuropsichiatri siano stati assoldati dalle maggiori agenzie di marketing e di comunicazione. In questo articolo verrà analizzato il difficile compito della persuasione. Il contesto studiato è quello della comunicazione tra due persone, ma molte delle regole e dei principi presi in considerazione vengono, comunemente, applicati alla comunicazione tra un soggetto e una molteplicità di soggetti. Platone sosteneva che, dal momento che il fine del discorso è guidare le anime, l'oratore deve conoscere le varie anime; infatti un certo tipo di ascoltatore sarà persuaso da determinate argomentazioni e un altro tipo da altre argomentazioni. La comunicazione pubblicitaria, oggi, è orientata ad individuare segmenti di mercato ai quali inviare messaggi personalizzati, ma, strutturare una comunicazione pubblicitaria senza conoscere i punti sui quali fare leva con le parole, con le immagini, con gli strumenti non verbali, espone al rischio di sicuro insuccesso. È ovvio che la capacità della comunicazione interpersonale è un valore fondamentale all'interno dell'impresa. Essa consente di avere venditori efficaci ed efficienti, di godere di una grande fluidità nella circolazione delle informazioni tra gli stakeholder, di facilitare il lavoro di gruppo. È interessante chiudere questa premessa rifacendoci, ancora, ai grandi retori del passato. I tre cardini sui quali la retorica dell'età classica fondava la propria capacità persuasiva erano.

• Logica
• Emotività
• Etica.

Possiamo vedere che questi princìpi dell'arte di persuadere sono tuttora validi. In una riunione un dirigente d'impresa apre i lavori esponendo dati tecnici, cifre, proiezioni, statistiche; in breve i partecipanti sono aggrediti dalla noia, la loro capacità di concentrazione entra in crisi, l'irritazione verso il relatore sale con lo stesso andamento con cui scende la volontà di approvazione. Quando un discorso teso alla persuasione di altri si basa solo sulla logica ha poche probabilità di essere accettato. Un altro dirigente parla ai collaboratori di responsabilità, senso di appartenenza, lavoro di squadra, cita aneddoti ed esempi che toccano il cuore dei presenti, ma, alla fine, non ottiene nessun consenso perché il suo pathos è privo di argomentazioni logiche. A volte sono i venditori a cadere in questo tranello della retorica persuasiva. Solo se si è in grado di coniugare la concretezza della razionalità con la "leggerezza frizzante" dell'emotività è possibile persuadere un interlocutore. Il terzo cardine della persuasione dei retori classici è l'etica, intendendo con etica la forza morale del persuasore. Se il comunicatore è in buona fede e vuole arrivare a uno stato di soddisfazione per sé e per l'interlocutore, vedrà nascere, spontaneamente, nella relazione una congruenza tra messaggi verbali e messaggi psicologici, congruenza che è una forza della persuasione. Anche oggi, quindi, se in un'interlocuzione sono presenti logica, emotività ed etica il successo nell'azione di persuasione è garantito.

I canali della comunicazione
Se avviamo un confronto dialettico con qualcuno i messaggi che ci trasmettiamo reciprocamente avvengono attraverso tre canali:

• il contenuto delle parole espresso da nomi, verbi, aggettivi, avverbi, ecc.,
• la voce caratterizzata da un volume, da un timbro, da una velocità, da un ritmo,
• l'espressione del volto, il movimento delle mani, la posizione del corpo.

Questi tre canali sono chiamati rispettivamente:

• comunicazione verbale,
• comunicazione paraverbale,
• comunicazione non verbale,

la prima è una comunicazione di tipo digitale, le altre sono di tipo analogico.
L'elemento costitutivo della comunicazione verbale è il vocabolario linguistico di ciascuno; questo dipende dalla lingua parlata, dal livello di scolarizzazione dell'individuo, dalla sua cultura, dalla familiarità al colloquio con altre persone, dalla capacità di memorizzare parole nuove. A tutti sarà capitato di verificare come sia, a volte, difficile trasferire un messaggio verbale ad una persona dotata di un vocabolario molto limitato. La comunicazione inviata attraverso la modulazione della propria voce, che può esprimere interrogazione, comando, richiesta, emozione, dolore, gioia può diventare l'elemento fondamentale per aiutarci a trasferire un messaggio nel caso in cui la comunicazione verbale fallisca. La comunicazione paraverbale, però, potrebbe essere in disaccordo con la comunicazione verbale; in tal caso la comunicazione paraverbale è detta psicologica, essa infatti esprime uno stato d'animo che la persona cerca di mascherare con la comunicazione verbale. Di comunicazione non verbale si è parlato molto in un mio precedente libro, che ha avuto un buon successo nel settore dell'impresa, Apologia del venditore. In questa categoria di comunicazione rientra il linguaggio del corpo con le sue varie tipologie: espressione facciale, mimica, abbigliamento, atteggiamento, postura, sguardo, gestualità, movimento. Gli psicologi affermano che il corpo non mente; infatti se è possibile mentire con la comunicazione verbale, e a volte con quella paraverbale, è difficilissimo dissimulare il proprio pensiero con la comunicazione non verbale. Imparare a leggere i segnali del corpo è un impegno fondamentale se vogliamo conoscere la reale disposizione di un nostro interlocutore. A maggior ragione imparare a conoscere quello che pensa a dispetto di quello che dice ci dà un vantaggio incommensurabile nei suoi riguardi. Inoltre, conoscere alcune regole fondamentali del linguaggio del corpo permette a noi per primi un uso del nostro corpo in sintonia e in armonia con la comunicazione verbale e paraverbale. Alcuni studi condotti da psicologi del lavoro hanno mostrato che nella fase iniziale della conoscenza di una persona, sul processo comunicativo, il linguaggio del corpo gioca per un 50 - 55 %, le componenti paraverbali per un 35 - 38 %, mentre le componenti verbali giocano, solo, per un 7 - 15 %. Questi risultati confermano statisticamente che, nell'abilità di influenzare qualcuno, il "come" si dicono le cose conta più del "che cosa" diciamo. Torna ancora, prepotentemente, l'osservazione di McLuhan «il medium è il messaggio». A proposito della comunicazione paraverbale o non verbale è interessante leggere alcune testimonianze portate da noti psicologi della pubblicità. Può capitare che uno spot televisivo costato milioni di euro, realizzato da un regista prestigioso e trasmesso dai grandi network nelle ore di punta non riesca a conseguire l'obiettivo dell'aumento delle vendite, ma causi, addirittura, un ridimensionamento della percezione del marchio o dell'impresa da parte dei clienti abituali. L'analisi di questi spot fallimentari mostra che se registi e tecnici sono stati molto attenti alle luci e alle sofisticazioni consentite dalla tecnologia, non hanno curato il messaggio analogico inviato dal testimonial. Analizzando, infatti, dal punto di vista dei messaggi inconsci il comportamento del testimonial o dell'attore si può "leggere" che a lui quel prodotto non interessa minimamente. La sua indifferenza al prodotto, nonostante la veemenza della comunicazione verbale, è tradita dalla mimica, dalla gestualità e dai movimenti del corpo; questi trasmettono al pubblico un messaggio negativo che, ovviamente, rovina o depotenzia l'efficacia del messaggio. A seguito di queste esperienze, spesso disastrose, molte agenzie pubblicitarie hanno introdotto la tecnica di utilizzare come testimonial lo stesso imprenditore, che pur non avendo la voce calda e curata del l'attore professionista trasmette, anche con i propri segnali analogici, entusiasmo e passione. In sostituzione di testimonial che potrebbero rovinare uno spot, i pubblicitari ricorrono a vari altri soggetti: cani e gatti parlanti, orsacchiotti, fumetti, patatine che parlano, il titolare stesso dell'impresa o un vip che assolutamente non accenni al prodotto. Prima di addentrarci nella pratica su come migliorare la comunicazione d'impresa è necessario accennare, sinteticamente, alle basi teoriche della comunicazione, elaborate da Paul Watzlawick, studioso statunitense esperto di cibernetica, che ha impostato il suo studio sulla base di assiomi logici.

• Primo assioma. Ogni persona non può prescindere dall'avere un comportamento che viene percepito dall'esterno come un messaggio. Non si può non comunicare.
• Secondo assioma. La comunicazione trasmette sempre un'informazione (un contenuto); il comportamento è, invece, dettato dalla relazione tra i due comunicanti. L'impostazione e la natura di tale relazione corrisponde al tipo di messaggio che viene trasmesso; la relazione, pertanto, definisce il contenuto e si pone, quindi, ad un livello superiore rispetto al messaggio stesso. Ogni comunicazione presenta un aspetto di contenuto ed uno di relazione, ove il secondo classifica il primo ed è quindi una metacomunicazione (comunicazione sulla comunicazione).
• Terzo assioma. L'interazione tra due persone A e B, che comunicano, è una sequenza di scambi, stimolo/risposta; ma ogni risposta può diventare uno stimolo, pertanto tra i due interlocutori si instaura un meccanismo di feedback che determina un "gioco di ruoli". In una conversazione può capitare che il ruolo preponderante venga assunto, talvolta da A, talvolta da B; si dice che cambia il modo in cui A e B interagiscono. In altre parole in ogni relazione A e B stabiliscono tra loro modelli di scambio, ossia le "regole di ruolo". La natura di una relazione dipende dal modo in cui gli interlocutori interagiscono e si pongono l'uno nei confronti dell'alto.
• Quarto assioma. Quando si comunica si hanno due possibilità per riferirsi agli oggetti della comunicazione: o descriverli verbalmente o rappresentarli con un'immagine o un gesto. La prima modalità prevede di stabilire un rapporto tra l'oggetto che si vuole indicare e la sua denominazione, dettata da una convenzione linguistica stabilita arbitrariamente; chiamo acqua la molecola H2O. Questa è la comunicazione digitale fatta di simboli connessi tra loro da convenzioni linguistiche. La seconda modalità è più diretta ed evidente; se sono vicino ad un lago e voglio riferirmi all'acqua posso indicarla senza nominarla. Questa è la modalità di comunicazione di tipo analogico. Gli esseri umani comunicano sia con il modulo digitale, che con quello analogico.
• Quinto assioma. Le relazioni umane presuppongono sempre un'uguaglianza o una differenza tra i due comunicanti. La relazione simmetrica può essere vissuta come gradevole, positiva, vincente, perché basata sulla somiglianza tra i due interlocutori; l'eccesso di somiglianza potrebbe, però, portare allo scontro nel caso di disaccordo su qualche argomento. Nella relazione complementare le posizioni dei due comunicanti sono differenti; uno assume una posizione, l'altro una posizione complementare. Quando è vissuta in armonia (le due posizioni accettano, cioè, l'una il comportamento dell'altro) questa modalità di relazione può essere equilibrata ed efficace. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che essi siano basati sull'eguaglianza o sulla differenza tra gli interlocutori.

Come migliorare la comunicazione
Negli articoli precedenti abbiamo scoperto che:
• Le persone non vivono in una realtà oggettiva, ma, attraverso cancellazioni, distorsioni e filtri, creano una percezione e un'interpretazione di realtà, assolutamente soggettiva. Ciò significa che la realtà nella quale siamo immersi, e della quale crediamo tutti facciano parte, esiste solo nella nostra mente e pertanto non è corretto fare riferimento a essa nel momento in cui comunichiamo con altri. Ma allora come è possibile instaurare una comunicazione efficace? La risposta sta implicitamente nella domanda. È necessario impegnarsi per creare canali di comunicazione. Innanzitutto, secondo il modello dell'iceberg, sappiamo che solo circa 1/9 di ciò che costituisce la nostra esperienza è reso esplicito a livello cosciente, mentre i restanti 8/9 restano celati nel nostro inconscio. Purtroppo la comunicazione deve necessariamente partire basandosi su quel misero nono reso "visibile", ma l'obiettivo deve essere quello di accedere a quell'insieme celato di informazioni, esperienze ed emozioni. Per ovviare ai fraintendimenti che sovente caratterizzano i primi contatti è necessario che ci convinciamo che la "realtà esterna" è diversa dalla "realtà interna" e che dobbiamo rispettare la genesi del comportamento altrui, pur non condividendone gli effetti.
• Le persone comunicano fondamentalmente attraverso la comunicazione paraverbale e non verbale, rendendo ancora una volta difficile un'interlocuzione utile ed efficace. Un approccio funzionale è quello che tende a creare sintonia e cioè un terreno comune sul quale costruire la relazione. Il processo richiede un ascolto e un'osservazione attenti dell'altro e un progressivo adattamento al suo stile comunicazionale, tecnica comunemente chiamata "calibrazione". Per calibrare è necessario allertare i nostri sensi per cercare di capire tutti i segnali che l'altro ci sta trasmettendo. Gli elementi del linguaggio del corpo che consentono di sviluppare sintonia sono quelli di "apertura". Se il nostro interlocutore, all'inizio del colloquio, mantiene le braccia conserte, le gambe accavallate e le spalle alzate, possiamo sapere che, qualunque cosa ci stia dicendo verbalmente, la sua comunicazione non verbale è di completa chiusura. Noi non dobbiamo creare forti distonie, possiamo partire da una condizione vicina alla sua, ma leggermente aperta: ad esempio, braccia conserte, gambe accavallate e spalle chinate in avanti. A questo punto il nostro interlocutore sarà portato a fare un passo verso di noi, ad esempio imitandoci nella posizione delle spalle. Continuando la conversazione, potremo quindi aprire le braccia e poi scavallare le gambe facendo sì che il nostro interlocutore ci segua e si apra progressivamente. Seguendo il metodo della calibrazione della postura sarà facile arrivare ad una posizione di piena apertura reciproca, presupposto fondamentale per concludere positivamente l'incontro. Contemporaneamente dovremo calibrare anche il canale paraverbale adottando uno stile di conversazione simile, con il medesimo timbro di voce, ritmo, volume; impercettibilmente anche il nostro interlocutore tenderà ad eliminare eventuali distonie, ad esempio, discorrendo in modo meno concitato, o con un volume della voce più basso, o prendendosi delle pause tra un periodo e l'altro. Se saremo riusciti a calibrare i canali paraverbale e non verbale dovremo addentrarci nella calibrazione verbale. Questa può avvenire, ripetendo e valorizzando, durante il nostro discorso, parole ed espressioni che il nostro interlocutore cita frequentemente; ciò potrebbe consentirci di aprire qualche spiraglio su quegli 8/9 di realtà che è nascosta nell'inconscio del nostro interlocutore e che ci consentirebbe di avviare una vera e proficua interlocuzione.

La programmazione neuro linguistica
Negli anni settanta esercitava la professione di terapeuta un medico di grande esperienza, che aveva un grande successo e aveva raggiunto una notevole fama. I suoi colleghi gli mandavano i pazienti che non riuscivano a guarire; questi entravano nel suo studio con gravi problemi di depressione, ansia, difficoltà a relazionarsi e dopo poche sedute se ne andavano guariti. Un matematico, Richard Bandler e un linguista John Grinder filmarono migliaia di sedute del dottor Milton Erickson e scoprirono che la "magia " di questo dottore stava nella sua abilità di entrare in sintonia perfetta con i propri pazienti. Bandler e Grinder si accorsero che il dottor Erickson riusciva ad instaurare un legame con l'inconscio dei suoi pazienti utilizzando al meglio la calibrazione dei tre canali comunicazionali, verbale, paraverbale e non verbale. In particolare la sua tecnica comunicativa si articolava in tre fasi:

• instaurazione di un rapporto profondo con il paziente,
• distrazione della sua mente logica,
• dialogo diretto con l'inconscio.

I due scienziati si accorsero che durante la fase di costruzione del rapporto il dottor Erickson prestava molta attenzione alla comunicazione non verbale, cercando di assumere, con discrezione, la postura e i gesti più rappresentativi dei pazienti. L'esperienza di Erickson lo portava a calibrare anche i micromovimenti dei pazienti, come la respirazione e il battito delle palpebre. Dal punto di vista paraverbale il contatto era stabilito imitando, il più possibile, il tono e il ritmo della voce; infine egli rafforzava il messaggio di fiducia, prestando attenzione alle parole più significative usate dal paziente, e riutilizzandole prontamente nel corso del colloquio. La comunicazione verbale era ricca di truismi, volti ad ottenere il consenso del paziente e costruire un campo positivo e amichevole come base della relazione. Il ricalco dei canali comunicazionali del paziente e l'uso dei truismi consentiva ad Erickson di distrarre la mente logica e di instaurare un legame profondo con la mente inconscia del paziente e tale legame costituiva la base per effettuare profondi interventi terapeutici. Gli studi condotti consentirono ai due studiosi di proporre il metodo di Erickson, come tecnica per trasformare il processo comunicativo in un processo volto alla persuasione dell'interlocutore. Il modello proposto è chiamato PNL o Programmazione neurolinguistica; esso pone l'accento sull'importanza del potere suggestivo della parola e di come questa possa influenzare gli stati mentali dei nostri interlocutori.

Per il precedente articolo clicca QUI.

Eugenio Caruso
10ottobre 2011

Tratto, parzialmente, da E. Caruso Comunico quindi esisto Tecniche Nuove 2005

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