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L'Italia, un paese malato

Dall’estate 2007 il Pianeta è stato investito da una crisi epocale, ma lentamente le economie dei vari stati iniziano a riprendersi. Penso che per l’Italia questa crisi sia il banco di prova per mettere in evidenza il suo stato di coma.
La tigre economica degli anni cinquanta e sessanta, quando vennero bruciate le tappe, secondo un modello di sviluppo centrato sulla produzione di beni di consumo durevoli (negli anni '60 l'Italia è al primo posto in Europa nella produzione di frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie), sulla costruzione delle infrastrutture di base, sull'edilizia, sull'industria petrolchimica e sulla produzione dell'acciaio; quando anche la politica monetaria fu premiata, nel gennaio del 1960 il Financial Times attribuì l'Oscar della moneta più stabile alla lira italiana, oggi, è caduta in uno stato di torpore che potrebbe portarla a un’irreversibile agonia.
Le finanze pubbliche sono gravate da uno stock del debito che né governi politici, né governi tecnici riescono a ridurre, le politiche economiche italiane sono decise a Bruxelles e dal binomio Germania-Francia, il valore dello spread tra Btp e Bund tedeschi è in grado di far dimettere un governo in carica, non si realizzano opere pubbliche importanti da decenni. Nella politica si avvicendano uomini sempre meno rilevanti, sempre meno consistenti, sempre più grigi, con la crisi sono emersi il vuoto e il deficit della politica e la sua sottomissione a interessi finanziari e a poteri locali. La corruzione tra gli amministratori è un cancro che si irradia da Roma verso Provincie e Comuni. La Pubblica Amministrazione drena il 52% del prodotto interno lordo restituendo servizi spesso insufficienti e offerti con sufficienza. Il costo della politica è aberrante. Il Quirinale costa cinque volte il costo della Corona britannica, un europarlamentare italiano due volte il costo del collega svedese, il capo della polizia guadagna tre volte più del capo dell'Fbi. Il Corriere ha pubblicato un articolo che informa come uno stenografo del Senato guadagni come il Re di Spagna e che al lordo delle tasse e dei tagli recenti, un commesso o un barbiere possono arrivare a 160 mila euro, un coadiutore a 192 mila, un segretario a 256 mila, un consigliere a 417mila. «Nel frattempo, chi esce dal Senato ha la strada lastricata d'oro. Il consigliere parlamentare «X» (alla larga dalle questioni personali, ma parliamo di un caso con nome e cognome) ha lasciato il Senato a luglio del 2010 a 58 anni. Da allora, finché non è entrato in vigore il contributo triennale di solidarietà per i maxi assegni previdenziali, palazzo Madama gli ha pagato una pensione di 25.500 euro lordi al mese: venticinquemila cinquecento». A fronte di queste retribuziioni da nababbi, Eurostat informa che con poco più di 23mila euro lorde in media l'anno, i lavoratori dipendenti italiani guardano da molto lontano i colleghi lussemburgesi che per la stessa tipologia di lavoro percepiscono più del doppio. Prima ancora di trovare il nostro Paese nella classifica Eurostat dei redditi bisogna scorerre passando per i Paesi del Nord, tutti sopra i 40 mila euro lordi l'anno. E davanti troviamo anche francesi, irlandesi, finlandesi e austriaci, i quali coprono la fascia di redditi compresa tra 33 mila e 39 mila euro. Quel che sorprende è che più dei dipendenti italiani guadagnano anche i lavoratori di Grecia (con quasi 30 mila euro), Spagna (poco più di 26 mila euro) e Cipro, con quasi 25mila euro. Mi piace ricordare cosa ha scritto Gianpaolo Pansa nel suo Poco o niente a proposito della situazione degli italiani alla fine dell'ottocento. "Un altro nemico dei poveri era il governo. Qualunque decisione prendesse, cadeva con la forza di una bastonata sulle schiene di chi possedeva poco o neiente". E' lecito un modesto raffronto con la situazione degli italiani oggi, bastonati dalle tasse di governi che non ci considerano cittadini, ma sudditi?
Il Paese, in Europa, è secondo solo alla Grecia per l’incapacità di attrarre capitali stranieri in imprese di produzione, d’altra parte, secondo Economist intelligence unit (specializzata nell’analisi economica dei vari paesi del Pianeta), l'Italia figura solo al ventitreesimo posto nella classifica della produttività e con queste referenze è difficile invogliare capitali di investimento. Esiste un altro grave problema: il debito della pubblica amministrazione verso le imprese private. Lo Stato non fornisce dati su questa cifra perchè significherebbe ampliare ufficialmente il valore del debito, ma ricerche in merito, condotte da associazioni di categoria, attestano questa cifra attorno ai 100 miliardi di euro, la più alta dell'eurozona. In un circolo perverso, le amministrazioni locali si trincerano dietro la scusa del patto di stabilità. Inoltre, il costo e il peso della burocrazia sulle imprese è intollerabile; basta sfogliare il Doing Business 2012 della Banca Mondiale per scoprire che, su 183 paesi presi in considerazione, siamo al 98/mo posto per l’accesso al credito, al 96/mo per la concessione delle licenze edilizie, al 158/mo per la soluzione di controversie commerciali; abbiamo un arretrato di 5,5 milioni di cause civili. La magistratura è in balia di correnti e del delirio di onnipotenza di magistrati di parte o incapaci, in compenso ogni anno cadono in prescrizione circa 170 mila cause. Le professioni sono chiuse nel corporativismo delle loro lobby. Il territorio è al dissesto idrogeologico, esondazioni e frane sono all’ordine del giorno in caso di piogge e neve.
Non va meglio nel campo dell'innovazione. La classifica IUS2011 (Innovation Union Scoreboard 2011) ha diviso i 27 paesi dell'UE in quattro grandi fasce: i "leader dell'innovazione", gli "inseguitori", gli "innovatori moderati" e quelli "modesti". È la Svezia a guidare il quartetto di testa, seguita da Danimarca, Germania e Finlandia. Solo sedicesima l'Italia, nel gruppo degli innovatori moderati: l'unico grande paese a collocarsi nell'area medio bassa, con Spagna e Grecia. Una serie ininterrotta di errori ha fatto sì che la nostra dipendenza energetica dall'estero (tra acquisto di combustibili e di energia elettrica) superi l'80% del fabbisogno, con questo fardello sarà molto difficile abbattere il debito, Last but not least secondo dati dell'Istat e della Guardia di Finanza l'evasione fiscale, in Italia, si colloca tra il18% e il 25% del Pil, valori da record mondiale e la Corte dei Conti stima in 60 miliardi il costo della corruzione.
In compenso gli italiani aspettano con trepidazione le parole del santone Celentano che promette rivelazioni profetiche al prossimo Festival di San Remo. A questi artisti che si improvvisano guru, a questi oracoli della protesta, giova ricordare che le incursioni di attori e flaggellatori dei costumi nella politica hanno poca fortuna. 2.500 anni fa, gli ateniesi tributarono un succeso strepitoso ad Aristofane, ma rielessero Cleone oggetto delle invettive e dell'irrisione del commediografo greco.

Riporto solo quattro esempi recentissimi per ribadire questa mia teoria sul paese malato.
Costa Concordia, la più grande nave della Costa Crociere, facente parte del gruppo Carnival, vanta il più grande centro benessere a bordo di una nave, 1 500 cabine, di cui 87 all'interno dell'area benessere e 505 con balcone privato, 70 suite con balcone privato, quattro piscine salate, due delle quali con copertura semovente e una dotata di scivolo toboga, cinque vasche idromassaggio, un campo polisportivo, un percorso jogging, 5 ristoranti e 13 caffetterie. Questo quando era ancora “viva” perché il 13 gennaio 2012 un capitano insipiente e sciagurato per fare l’”inchino” all’isola del Giglio, cioè il passaggio sottocosta per salutare con luci e segnali acustici gli abitanti della zona, si avvicina troppo alle rocce e fa affondare la nave. La telefonata tra il comandante e la guardia costiera fa il giro del mondo e copre di ridicolo il Paese; la telefonata mette in mostra da una parte la vigliaccheria e l’ignavia, dall’altra l’arroganza militaresca e l’incapacità di interloquire con un uomo spaventato e vile.
Nella prima settimana di febbraio un’ondata di freddo gelido, dopo aver colpito i paesi più a Nord investe l’Italia. Scoppia il cataclisma e il caos. Città e paesi restano privi di luce, acqua e telefono, treni sono bloccati dalla neve con il loro carico di passeggeri tenuti al freddo e alla fame, alcune autostrade del Centro-Sud sono bloccate, l’Italia è tagliata in due, Roma resta paralizzata per due giorni senza piani di allerta, nonostante che i meteorologi avessero previsto tutto. Corpi dello Stato, strutture burocratiche e costose, disseminate sul territorio, come la Protezione Civile e le associazioni di volontariato che ogni anno incassano cospicui contributi pubblici, sono latitanti. E, come al solito, quando c’è un’emergenza, un’alluvione, una forte nevicata, oppure occorre rimuovere i rifiuti, o naufraga una nave o i boschi s’incendiano, allora si chiamano i militari e accorrono frotte di volenterosi. L’attuale emergenza lo ha messo in luce in modo drammatico. Comunità isolate raggiunte da plotoni di soldati attrezzati e con zaini pieni di generi di prima necessità. Le cucine da campo attivate nel cuore della notte per produrre pasti caldi da distribuire a persone infreddolite o quasi assiderate rimaste isolate senza energia elettrica né riscaldamento. Ma se nei casi dell’emergenza i problemi sono risolti dai militari a cosa servono le elefantiache organizzazioni preposte, a cosa serve il fiume di denaro che fluisce ininterrottamente nella PA?
Sul quotidiano di Napoli Il Mattino è apparso questo articolo. A Napoli le cose stanno così: un vigile su quattro è un dirigente sindacale, 700 sono ultra cinquantacinquenni, 590 inidonei, circa un migliaio per vari motivi - tutti codificati, blindati e protetti da leggi - possono chiedere di essere esentati totalmente o parzialmente dal lavoro. Ne esce fuori un’alchimia matematica fuori dalla realtà. Tanto che in un corpo che conta sulla carta 2075 agenti potrebbero chiedere in 2187 di non lavorare.
In Italia esistono ben 331 progetti di infrastrutture, importanti per lo sviluppo (in particolare nel settore energetico) e per l'occupazione, fermi in attesa di superare i lacci e lacciuoli posti dalla nostra PA, i ricorsi ai Tar e l'opposizione degli indigeni locali legati ai loro totem e alla sacralità inviolabile della loro terra. Per non parlare delle vicissitudini della TAV in Val di Susa, è di questi giorni la decisione di British Gas di abbandonare il progetto del rigassificatore di Brindisi dopo 11 anni di torture e sofferenze. Un progetto gemello partito in Galles 11 anni fa è stato realizzato da BG ed è operativo dal 2009. La stessa decisione sembra voler prendere la spagnola Gas Natural Fenosa in attesa da sette anni per la realizzazione del rigassificatore di Trieste. La francese Veolia ha abbandonato definitivamente il progetto di termovalorizzatori in Calabria. La ragione è sempre la stessa: c'è sempre qualche Savonarola che punta l'indice contro i profanatori del sacro suolo e che promettono ai propri fighli un futuro di povertà.
Eugenio Caruso
8 febbraio 2012


Revisione del 13 settembre 2012 sulla Costa Concordia.
Il naufragio della Costa Concordia fu causato da una serie di errori a catena, non tutti imputabili al comandante Schettino. Dalla relazione dei periti del gip di Grosseto che hanno analizzato i dati della scatola nera emerge che, in uno dei momenti di tensione in plancia negli attimi appena precedenti alla collisione della nave con lo scoglio delle Scole, all'ordine di accostare a sinistra il timoniere virò dalla parte opposta, a destra. Secondo i periti la causa dell'impatto della Costa Concordia con lo scoglio dell'Isola del Giglio fu "una manovra estremamente azzardata" ma le conseguenze del naufragio potevano essere più contenute, specie in termini di vittime, se le procedure fossero state rispettate. Invece, quella notte in plancia di comando - e non solo - ci fu caos e una lunga sequenza di ritardi e errori, descritti in una minuziosa relazione di 270 pagine. Secondo quanto emerso dall'analisi della scatola nera l'allarme scattò in notevole ritardo e, quando finalmente venne lanciato, si scoprì che "parte dell'equipaggio destinato a incarichi chiave non conosceva i propri compiti in caso di emergenza" e che "ai mezzi collettivi di salvataggio erano stati assegnati membri dell'equipaggio che non erano in possesso del certificato di idoneità". Non solo "non tutto l'equipaggio era in grado di capire le istruzioni in caso di emergenza nella lingua di lavoro (italiano)". Sulla plancia della nave da crociera regnava insomma il caos. Quando il comandante Francesco Schettino cerca di evitare lo scoglio di cui si è improvvisamente accorto ordina una serie di manovre. Ad un certo punto ordina al timoniere i 10 gradi a sinistra per contrastare la rotazione della poppa verso lo scoglio. Subito dopo accentua la correzione ordinando 20 gradi a sinistra e poi tutta la barra a sinistra. In base alle registrazioni Vdr, però, emerge, secondo i periti, che il timoniere non solo "non esegue prontamente quanto ordinato", ma addirittura "sbaglia la direzione di accostata, cioé quando il comandante decide di passare da barra al centro fino a 20 gradi barra a sinistra, il timoniere va a dritta arrivando fino a circa 20 gradi, come se avesse inteso dritta al posto di sinistra, per poi riportare la barra a sinistra, come ordinato, con un ritardo significativo". Ma sui ritardi nell'abbandono della nave, sottolineano i periti, anche il Fleet Crisis Coordinator di Costa Crociere, Roberto Ferrarini, non è immune da colpe. Dopo la collisione, Ferrarini, che aveva la responsabilità di gestire da terra le prime fasi della crisi, venne informato da Schettino del fatto che c'erano tre compartimenti allagati. Erano le 22.27. A quel punto, secondo i periti, Ferrarini "avrebbe dovuto suggerire prontamente al Comandante di diramare l'emergenza generale e il successivo abbandono nave. Se questi appropriati suggerimenti ci fossero stati i tempi per attivare le procedure di emergenza sarebbero stati più celeri". L'abbandono nave, invece, venne lanciato con più di 50 minuti di ritardo.


Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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Tratto da

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www.impresaoggi.com