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Rischio di chiusura per l'Ilva di Taranto


Colui che può, fa. Colui che non può insegna.
G. B. Shaw


Accelera il pressing politico e istituzionale per evitare lo stop di uno dei più grandi impianti industriali italiani. Con voto unanime del Consiglio regionale diventa infatti legge la nuova norma che introduce in Puglia una stretta sulle emissioni industriali inquinanti attraverso la Valutazione del danno sanitario (Vds). Pensata per i poli di Taranto e Brindisi, la legge, che vale anche per le altre aree a rischio, ha avuto un'accelerazione negli ultimi giorni. Quando, cioè, si è fatto più concreto il rischio che l'Ilva di Taranto (12mila occupati) possa subire un sequestro da parte della Magistratura a seguito della conclusione dell'inchiesta sul reato di disastro ambientale con cinque persone indagate fra cui gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, e l'ex direttore del siderurgico pugliese, Luigi Capogrosso. In verità, il sequestro degli impianti (area a caldo e parchi minerali) continua a essere dato per imminente. Forse è questione di giorni. Non a caso, infatti, il presidente del Consiglio regionale, Onofrio Introna, auspica che il «voto unitario possa aiutare anche la Magistratura, fornendo elementi per un'adeguata valutazione». Confindustria guarda con preoccupazione alla nuova legge. «Non è un no a priori - dice Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto -. Vogliamo valutare gli effetti del provvedimento e capire soprattutto come funzionerà la valutazione del danno sanitario. Non vorremmo che alla fine si arrivasse al ridimensionamento dell'industria a Taranto e Brindisi con vincoli che portano a chiudere chi opera e allontano nuovi investitori. In tanti in questi giorni stanno chiedendo responsabilità affinchè - sottolinea Cesareo - non si arrivi al sequestro dell'Ilva. Giusto. Ma la responsabilità deve riguardare tutti i soggetti coinvolti e non solo la Magistratura». La Vds sarà un rapporto che Ares, Asl e Arpa dovranno redigere ogni anno, tenendo conto dei dati del Registro tumori e delle mappe epidemiologiche delle principali malattie a carattere ambientale. Se il rapporto Vds - dice la Regione - dovesse evidenziare delle criticità, gli stabilimenti responsabili dovranno essere dotati di sistemi che evitino la diffusione delle polveri e degli inquinanti. Oltre alla diffida è anche prevista la sospensione dell'esercizio dell'impianto in caso di inadempienza. Domani a Roma ci sarà un vertice fra ministeri dell'Ambiente, dello Sviluppo e della Coesione territoriale e Regione Puglia per mettere in pista un piano per la bonifica dell'area di Taranto, dove c'è da fronteggiare un inquinamento dovuto a 50 anni di industrializzazione "selvaggia", ben prima, dunque, della privatizzazione dell'Ilva. L'incontro dovrebbe rendere spendibile una prima dote di 300 milioni tra fondi nazionali e regionali. I parlamentari pugliesi (a partire dall'ex ministro Pdl Raffaele Fitto e dal senatore Pd Nicola Latorre) chiedono che il Governo riconosca «la specificità e l'emergenza di Taranto». «Si afferma che col sequestro dell'Ilva 5mila lavoratori andrebbero a casa ma in realtà sarebbero molti di più, forse il doppio - afferma Cesareo - se calcoliamo tutto l'indotto e anche il porto di Taranto, alimentato al 75 per cento dall'Ilva. È un intero sistema produttivo che viene meno, è l'industria pugliese che crolla, senza trascurare cos'è l'Ilva di Taranto, la più grande acciaieria europea, per l'economia nazionale». «Non immagino come i magistrati potranno contemperare la necessità di dare risposte di giustizia con quella di riconoscere quanto a livello istituzionale si sta mettendo in campo in questi giorni, commenta Gianni Florido, presidente della Provincia di Taranto. Osservo che il passaggio è molto delicato e che serve la responsabilità di tutti. La siderurgia italiana è un sistema che esprime 30mila posti di lavoro e ci sono pezzi importantissimi dell'economia e del manifatturiero alimentati dalle produzioni di Taranto. Mi auguro che i magistrati siano consapevoli di cosa l'Ilva, in termini di patrimonio industriale e di posti di lavoro, rappresenti non solo per Taranto e la Puglia ma per l'Italia».
L'impatto visivo, per chi come me ha avuto modo di visitarla è già sufficiente per avere un'idea della grandiosità dii questa fabbrica nata agli inizi degli anni 60 nell'ambito del processo di industrializzazione del Mezzogiorno (mentre gli altri paesi europei stavano abbandonando la siderurgia), raddoppiata negli anni 70, appartenuta all'Iri, sino al 1995, poi privatizzata e ceduta al gruppo siderurgico di Emilio Riva. Ma anche i numeri descrivono le dimensioni «monstre» dell'acciaieria, un impianto che è il più grande d'Europa. L'Ilva di Taranto si estende per 15 milioni di metri quadrati, più del doppio della stessa Taranto, ha 12mila dipendenti diretti, ed è in grado di trasformare oltre 20 milioni di tonnellate di materie prime. Sviluppa al suo interno 190 chilometri di nastri trasportatori, 50 chilometri di strade e 200 chilometri di ferrovia. Ha 8 parchi minerali, 2 cave, 10 batterie per produrre il coke per gli altiforni, 5 altiforni, 5 colate continue, 2 treni di laminazione a caldo per nastri, un treno di laminazione a caldo per lamiere, un laminatoio a freddo, 3 linee di zincatura e 3 tubifici. L'impianto esprime il 20% delle esportazioni pugliesi ed è un segmento chiave dell'industria italiana. Inoltre, secondo le cifre del «Rapporto di sostenibilità» edito dall'impresa nel 2010 e riferito al siderurgico di Taranto, l'Ilva ha distribuito nel 2009 un valore di 888,60 milioni di euro in Puglia e di 728,74 milioni di euro in provincia di Taranto (ammortamenti esclusi). In Puglia risiede il 99,4 per cento del personale dell'Ilva e l'87,2 per cento risiede in provincia di Taranto. «Il valore distribuito ai dipendenti, sotto forma di costo del personale dipendente sostenuto dal gruppo Riva per salari, stipendi, indennità di Tfr e oneri sociali, è ammontato, nel 2009, a 587,32 milioni di euro, per il 69,7 per cento (408,60 milioni) in capo allo stabilimento di Taranto» si legge nel «Rapporto di sostenibilità». E ancora: nel 2009 il valore aggiunto lordo del gruppo Ilva è andato per l'87,76 per cento ai dipendenti, per il 23,05 per cento ai finanziatori sotto forma di oneri finanziari e per l'1,66 per cento alla collettività. I fornitori aziendali presenti in Puglia sono 599 e con loro, sempre secondo i dati del 2009, l'Ilva ha contrattato acquisti per 284 milioni di euro. Dal 1995 al 2009 l'Ilva ha investito a Taranto 4,2 miliardi di euro, di cui uno per l'ambiente e la sicurezza, che ha così rappresentato il 24,1 per cento degli investimenti totali. Secondo gli ultimi dati, inoltre, la parte più consistente della manodopera Ilva si concentra in tre aree anagrafiche: 24,5 per cento 26-30 anni, 37,1 per cento 31-35 anni e 16,9 per cento 36-40 anni. Dal 1995 a maggio 2010 presidente dell'Ilva è stato Emilio Riva, fondatore insieme al fratello Adriano dell'omonimo gruppo siderurgico. Da maggio 2010 sino a martedì scorso la guida è passata a Nicola Riva, figlio di Emilio, al quale è poi subentrato Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano.
E' prevedibile uno scontro istituzionale tra magistratura, governo, istituzioni locali, sindacato e popolazione. E' scontato non non si potrà chiudere una fabbrica che tiene in vita la siderurgia italiana e che realizza il 20% del Pil pugliese, ma è altrettanto scontato che non sono tollerabili le migliaia di morti o malati per effetto dell'inquinamento (ricordiamo tutti il caso dela Eternit di Casale Monferrato). La soluzione sta in una "ambientalizzazione" totale dell'impianto, processo fattibile ma che ha costi molto elevati. La speranza è che non si debbano contrapporre i concetti di lavoro e di vita.

Integrazione del 21 agosto 2012.
Spetta ai custodi la scelta sull'eventuale chiusura degli impianti dell'Ilva. Il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, e gli altri pm che indagano sul disastro ambientale provocato dall'Ilva incontreranno in procura giovedì prossimo, 23 agosto, i custodi giudiziari del siderurgico tarantino. A quanto si apprende, l'incontrò servirà a pianificare una serie di interventi e ad avviare contatti con l'Ilva sulle misure che intende adottare per mettere a norma gli impianti. Sempre giovedì il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, incontrerà i sindacati ai quali presenterà il piano di risanamento. Il ruolo dei custodi è stato sottolineato dal Tribunale del Riesame, che ha depositato le motivazioni in base alle quali il 7 agosto scorso ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva. I custodi sono, oltre al presidente e rappresentante legale dell'azienda Bruno Ferrante, gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento. «La strada indicata dal Tribunale del riesame - afferma il ministro dell'Ambiente Corrado Clini - è convergente con quella del governo. Lavoriamo nella stessa direzione, ora spetta all'Ilva investire». Contrapporre sviluppo e ambiente? È «un'idea sciagurata», risponde il ministro. Secondo i giudici del tribunale del Riesame proprietà e gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell'acciaieria di Taranto «hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi. Una costante e reiterata attività inquinante è stata posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Il Riesame ha confermato il sequestro dell'area a caldo, effettuato il 25 luglio, senza concedere la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico. Il Riesame, confermando il sequestro Ilva, dispone poi che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare. Le modalità di gestione dell'acciaieria, denunciano i giudici, sono state tali da produrre un disastro doloso: «azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente tale da provocare un effettivo pericolo per l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone». Il disastro ambientale doloso, in realtà, «è ancora in atto» e potrà essere rimosso solo con imponenti e numerose misure d'intervento». Sul percorso da seguire per interrompere i reati, i giudici del Riesame non si sbilanciano e affidano il compito ai custodi nominati dal gip e alla procura. L'obiettivo è «uno e uno solo ovvero raggiungere, il più celermente possibile il risanamento ambientale e l'interruzione delle attività inquinanti». Dopo il vertice sull'acciaieria pugliese che ha visto i ministri Passera e Clini incontrare a Taranto le parti coinvolte, e dopo il blitz notturno dei carabinieri del Noe per verificare che l'impianto stia seguendo le indicazioni della magistratura, l'attenzione sulle motivazioni della decisione del Riesame del 7 agosto è dunque alta. Al ministero dell'Ambiente si è riunito oggi la commissione Ippc-Aia, per definire il piano di lavoro per giungere alla revisione dell'Aia (autorizzazione integrata ambientale) per l'Ilva entro il 30 settembre. Le motivazioni depositate oggi fanno dunque riferimento alla decisione del tribunale del Riesame del 7 agosto. Presieduto dal presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli, in quella decisione il tribunale conferma il decreto di sequestro di sei aree dello stabilimento siderugico che era stato disposto dal gip Patrizia Todisco il 25 luglio. Il tribunale poi annulla cinque delle otto ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari per i dirigenti ed ex dirigenti dell'azienda e modifica leggermente la composizione del pool di custodi giudiziali. Il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante viene nominato custode giudiziario (quattro giorni dopo la nomina verrà revocata dal gip Patrizia Todisco).

Eugenio Caruso

18 luglio 2012


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Tratto da

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www.impresaoggi.com