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L'opinione di Oscar Giannino sull'acuirsi della crisi

Sono cominciati i giorni di passione. Quelli veri, per Grecia, Spagna e Italia. Dopo tante manovre correttive, e mentre è in corso una profonda recessione che colpisce i redditi delle famiglie e mette alle corde le imprese. Dopo 31 mesi di crisi dell’euroarea, dopo 26 eurovertici e molti mezzi passi avanti sulla via di meccanismi un po’ più cooperativi contro la divaricazione del rischio sovrano nell’euroarea. Eppure questa volta la sensazione è che siamo proprio al dunque. Alla prova finale. Lo spread italiano ieri ha toccato i 537 punti e quello spagnolo 100 punti più su si devono infatti a un fatto concreto. Ai mercati, l’indicazione data è di provare il tutto per tutto entro il mese di agosto. E i mercati ci proveranno eccome, come si è visto ieri. E oggi. Ma quali sono, i segnali che i mercati interpretano come una muleta rossa brandita davanti alle corna del toro? Che cosa si può concretamente immaginare che l’Europa possa opporre? E in caso contrario, che cosa possiamo fare noi o che cosa ci verrà riservato? Sono tre quesiti uno più ansiogeno dell’altro. Ma tant’è, di ansia e ansiolitici è fatta la vita dell’Europa, da un bel pezzo a questa parte. Cominciamo allora da ciò che induce i mercati a provarci. I segnali sono venuti in larga parte dalla Germania, ma la Francia è e resta decisiva. Fino a una decina di giorni fa, sembrava che l’eurovertice del 28 giugno avesse diffuso una consapevolezza diversa anche a Berlino. Certo, il taglia spread chiesto dal governo Monti arrischiando il veto non era di fatto passato e non è operativo. Ma il calo degli indici di fiducia e degli ordinativi tedeschi per la componente di commercio intraeuropeo sembrava radicare per la prima volta la cognizione che, a furia di giocare col fuoco e continuare a deflazionare gli eurodeboli, anche per l’export tedesco e dunque per la crescita germanica il rischio diventava forte. Poi, purtroppo, un nuovo cambio di marcia. La decisione della Corte di Karlsruhe di prendersi fino al 15 settembre per esprimersi sul rispetto da parte dell’ESM della Legge Fondamentale tedesca, è apparsa a tutti come un invito ad approfittare di agosto per “andar corti”, come si dice, cioè a guadagnare vendendo i titoli eurodeboli facendone impennare spread e rendimenti. Subito dopo, han ripreso a fioccare dichiarazioni da parte di esponenti politici tedeschi appartenenti al partito liberale, democristiani, cristiano-sociali e anche socialdemocratici, nuovamente ispirate alla linea “basta aiuti”. Una figura di riferimento dell’industria germanica, Hans Olaf Henkel per dieci anni presidente del Bdi, la Confindustria tedesca, per la prima volta è venuto meno alla linea ufficiale degli esportatori tedeschi (che non vogliono l’Italia a piede libero che torni a svalutare) e ha ammesso che potrebbe presto finire con un euro a due gironi, A e B. E’ tornata a gonfiarsi l’aspettativa del “fuori la Grecia dall’euro”. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, nel suo ultimo outlook sull’Italia la settimana scorsa, irritualmente ha previsto che una crisi a breve di solvibilità dell’Italia può avvenire. Così gli spread hanno accentuato ascesa e divaricazione la scorsa settimana, la serie di scadenze dei titoli pubblici tedeschi a rendimento negativo ha preso ad estendersi. Per la prima volta da molto tempo, la vendita massiccia di titoli eurodeboli di banche e fondi anglosassoni è stata pareggiata non solo da sottoscrizioni di titoli tedeschi come fossero a rischio negativo, ma si è visto un fenomeno analogo estendersi agli acquisti di titoli francesi. Come a dire che il mercato anglosassone ha spinto Parigi a tenersi unita alla linea tedesca, visto che lo spread francese era inverso rispetto a quello spagnolo e italiano. Il fatto ha la sua importanza. Se i mercati nelle prossime sedute dovessero continuare a dare l’impressione a banche e governo francesi si essere immuni dalla nuova crisi che si abbatte su Atene, Madrid e Roma, si indebolirebbe di molto l’unica vera arma europea a disposizione in agosto per evitare il peggio. Il divieto di vendite di titoli allo scoperto disposto ieri dalla Consob per una settimana e a Madrid a oltranza, ha avuto sì l’effetto di contenere i danni di una giornata che rischiava di essere abissale, e che ha visto invece per effetto di queste misure perdere di più le borse franco-tedesche. Ma il mercato “corto” si riorganizza e aggira tali divieti, come abbiamo visto in passato. A noi dannati mercatisti non piace per nulla, la linea di chi dice “vietiamo le vendite e avremo risolto lo spread”. Di conseguenza, finché non c’è un ESM in campo magari munito di licenza bancaria, nel breve a poter erigere un muro contro l’attacco dei mercati c’è una sola istituzione europea, la BCE. Siamo sul filo dell’interpretazione dei suoi poteri secondo il Trattato. La monetizzazione del debito pubblico è vietata dal Trattato, e un acquisto sistemico da parte BCE dei titoli degli eurodeboli si presterebbe all’accusa. Ma alla BCE spetta per statuto non solo salvaguardare la stabilità della moneta contenendo l’inflazione, ma anche la salvaguardia sistemica finanziaria in quanto tale. Ed essa è a rischio, perché ormai è a rischio l’euro. Mario Draghi ha dichiarato di esser pronto a fare tutto il possibile. Ma, in concreto, per i due terzi del board necessari ad acquisti massicci della BCE – ne servirebbero di illimitati, per battre la speculazione – serve il consenso della Francia. Senza Banca di Francia, con Bundesbank, finlandesi, olandesi e austriaci contrari, è veramente difficile immaginare che la BCE possa fare da salvagente. E allora? Senza scudo europeo, a difesa dell’euro in quanto tale ormai e non di Roma o Madrid, per l’Italia le alternative concrete sono due. In caso di un paio di settimane stabilmente sopra la soglia di 500 punti di spread, un’intesa franco-tedesca potrebbe tirar fuori dal cappello un accordo col Fondo Monetario della signora Lagarde e mettere l’Italia di fronte a una proposta vincolante. Poiché il nostro problema è l’eccesso di debito pubblico, con alte tasse e alta spesa che non lasciano più margine ad avanzi primari consistenti per anni atti a ridurre il debito, come per tanti anni abbiamo promesso senza mantenere, all’Italia si potrebbe chiedere subito di aderire a un fondo straordinario di riduzione del debito, asservendo una decina di punti di Pil di gettito fiscale per diversi anni, e aggiungendovi da subito una forte patrimoniale in forma di prestito forzoso. L’ipotesi è assai più concreta di quanto si ammetta a Roma, dicono i bene informati tra Berlino, Parigi e Washington. Altrimenti, l’Italia dovrà essa da sola avanzare una proposta credibile per abbattere il suo debito pubblico cedendo attivi patrimoniali pubblici. Purtroppo, è ciò che sinora è mancato al governo Monti. Ma potrebbe essere l’unica freccia al nostro arco. Evitando la patrimoniale sugli italiani, che farebbe insorgere gli italiani già così colpiti nel loro reddito. E soprattutto a quel punto avendo titolo in Europa per mostrare a francesi e tedeschi che l’euro vale scudi cooperativi ai quali sinora resistono. Al Tesoro ci stanno concretamente pensando, con procedure d’emergenza. Perché, in caso di un ritorno alla lira che ci venisse imposto a forza, di sicuro il nostro export con una forte svalutazione delle ragioni di scambio monetarie farebbe molto, molto male a quello tedesco. Solo che al Tesoro piacciono le proposte sin qui avanzate da coloro che comunque mobilitano il patrimonio degli italiani, per salvare lo Stato. A me non piacciono affatto. Credo che mi unirei a tutti coloro che chiedono agli italiani di scendere nelle piazze, se ci mettono la patrimoniale dopo vent’anni di balle politiche. E sono certo che mi darebbero dell’irresponsabile, i più di coloro che dicono “avanti con Monti, la colpa non è sua e gli altri sono peggio”. Che la colpa non sia sua, di ciò che ha ereditato dalla Seconda Repubblica, è un fatto. Che abbia insistito sulla linea più tasse è un altro fatto. Che non abbia avviato dismissioni pubbliche perché Ragioneria e Tesoro da sempre resistono, è un terzo fatto. Se arriva la patrimoniale, i fatti due e tre diventano prevalenti, ed è soprattutto il terzo a portare alla patrimoniale. Il primo vale sempre però, nel senso che andando nelle piazze a urlare, ci ricorderemmo di farlo anche contro tutti i predecessori di Monti, ai quali dobbiamo questa bella condizione.

Crisi euro


25 luglio 2012



Tratto da

1

www.impresaoggi.com