I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XVIII


Le amicizie con gli onesti, con i sinceri, con chi ha esperienza sono vantaggiose. Sono dannose le amicizie con gli adulatori, con gli accomodanti, con le sirene.
Confucio


L’articolo è  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XIII
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XIV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVI
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVII

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il primo trimestre del 2013,  l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.


Usa: accordo sul fiscal cliff (1 gennaio 2013).
La Casa Bianca ha raggiunto ieri notte un accordo d'emergenza con i leader repubblicani al Senato per evitare le conseguenze del Fiscal cliff. E i senatori, verso le due di notte ora locale, hanno approvato il compromesso con 89 voti a favore e 8 contrari. Ma un voto alla Camera, a maggioranza repubblicana, arriverà forse solanto oggi pomeriggio e sul suo esito permangono tensioni e incertezze. L'intesa, inoltre, lascia irrisolte dure polemiche e battaglie che avranno luogo nelle prossime settimane: rastrella solo 600 miliardi di dollari in dieci anni, poco per risanare il debito americano. Ne' alza il tetto sull'indebitamento federale, ormai raggiunto. Il Fiscal cliff farebbe scattare nel 2013 aumenti generalizzati delle tasse e riduzioni di spesa per oltre 500 miliardi, minacciando di spedire nuovamente l'economia in recessione. L'intesa, negoziata anzitutto dal vicepresidente Joe Biden e dal leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, prevede invece che le imposte aumentino dal 35 al 39,6% sui redditi individuali sopra i 400.000 dollari e familiari sopra i 450.000 dolllari. Sopra queste soglie saliranno anche le aliquote sui guadagni di capitale e i dividendi, dal 15% al 20 per cento. Una serie di detrazioni svaniranno a partire da redditi oltre i 250.000 dolari. L'imposta di successione aumenterà a sua volta dal 35% al 40% per le eredità superiori ai 5 milioni. Oltre ai rialzi delle tasse sui redditi più alti, scatterà tuttavia anche un aumento dei prelievi sui salari volti a finanziare il sisema pensionistico federale, pari a due punti percentuali. Sul fronte delle spese tagli automatici per 110 miliardi verranno rinviati di due mesi. Mentre saranno rinnovati per un anno i sussidi di dispoccupazione in scadenza per quasi tre milioni di americani e crediti d'imposta per i più poveri. Le prossime settimane dovranno così, in ogni caso, vedere una riapertura del negoziato con più ampi obiettivi. Il tetto sul debito federale è stato formalmente toccato ieri a 16.400 miliardi e il Tesoro solo con una serie di manovre straordinarie, quali il rinvio di stanziamenti per i piani pensionistici dei dipendenti pubblici, ha creato un margine di circa 200 miliardi che verrà però esaurito entro marzo. Riforme dei grandi programmi di spesa, sanità e pensioni, restano inoltre in discussione, voluti anziautto dai repubblicani. E il presidente Barack Obama ha indicato che chiederà ulteriori incrementi delle tasse sugli americani più ricchi per ridurre il debito. Le premesse non sono facili. Tutti gli osservatori hanno gudicato il compromesso di fine anno un risultato modesto rispetto alle necessità. Le trattative finora hanno scontentato molti dei protagonisti: i democratici liberal ritengono che la Casa Bianca stia concedendo troppo; i repubblicani più conservatori continuano a mantenere la loro preclusione a aumenti delle tasse. Superato lo scoglio dell'accordo sul fisco molto più difficile sarà trovarlo sui tagli alla spesa e noi italiani ne sappiamo qualcosa.

Gli otto punti del governo Monti (1 gennaio 2013).
Sul sito di Palazzo Chigi è stato pubblicato un documento, intitolato "Analisi di un anno di governo". Un bilancio di quel che è stato fatto e di ciò che rimane ancora da fare in futuro, eventualmente con un Monti bis. A partire dalla riduzione di un punto del carico fiscale, obiettivo mancato nell'anno che si è appena concluso. La nota parte da un disamina dei dati economici dell'Italia prima che il Professore prendesse le redini del governo con un'attenzione particolare al dato del differenziale del tasso di interesse dei titoli di stato italiani con i bund tedeschi. Dopo il breve capitolo sullo "spread", il documento affronta la questione "Europa", rivendicando la crescita di credibilità del Paese grazie alle riforme. Tocca poi al "miglioramento dell'economia". Nella nota di sottolinea che "le prospettive per il futuro sono migliorate in modo significativo", che "gli investitori internazionali stanno tornando a comprare i titoli pubblici italiani, rendendo possibile una diminuzione del costo del denaro, non solo per lo Stato, ma anche per le imprese e le famiglie". I capitoli successivi sono "fisco", "spending review", "competitività del Paese" (il punto più lungo del documento composto da nove cartelle), "corruzione e legalità", "costi della politica e spesa pubblica degli enti locali". Nel capitolo sul fisco, in particolare, si legge che "l'obiettivo è di ridurre di un punto e progressivamente la pressione fiscale, iniziando dalle aliquote più basse per dare respiro alle fasce più deboli". Bisogna completare infatti la delega fiscale: la mancata approvazione "lascia una lacuna da colmare al più presto". Sulla spending review "non bisogna fare passi indietro e soprattutto non bisogna cedere alle sirene delle lobby e di chi non vuole rinunciare ai propri privilegi". L'azione è appena iniziata, si chiarisce nel documento: "Non è ragionevole un cambiamento epocale in un tempo così ristretto". Quanto ai servizi pubblici locali "si avverte la necessità di aprire alla concorrenza", in quanto gestiti in gran parte in modo diretto con il risultato di "un servizio spesso scadente che pagano i cittadini e le stesse amministrazioni". E i settori in cui ci sarebbero i maggiori spazi di apertura sono "i trasporti pubblici e i rifiuti". Nel capitolo liberalizzazioni, il documento chiede interventi sulla distribuzione dei carburanti, fermata dal Parlamento, e propone la separazione tra Banco-Posta e Poste italiane. Nella parte dedicata al miglioramento dell'economia, si legge che "la stabilizzazione dei conti pubblici ed il calo dei tassi di interesse riducono fortemente il rischio di ulteriori manovre nel futuro". Il testo pubblicato sul sito di Palazzo Chigi indica questo come uno degli effetti concreti del fatto che "a poco più di un anno dal momento più drammatico della crisi, si può dire che le prospettive per il futuro sono migliorate in modo significativo". Su lavoro e giovani, l'analisi mette in risalto che "purtroppo le pressioni opposte e contrarie al tentativo di aprire ai giovani e rendere il mercato dei professionisti più aperto, meritocratico e competitivo sono state poderose". Manca all'appello anche "una riforma completa dell'accesso alla professione forense e soprattutto le società tra professionisti". Questo elenco di "cose fatte e che si sarebbero potute fare" di Palazzo Chigi sembra piuttosto un manifesto elettorale del candidato Monti; l'operazione non sembra molto etica sotto molti aspetti.

Chiusura dell'anno finanziario 2012 (2 gennaio 2012).
L'anno appena archiviato è stato avaro con molti, ma non con chi ha avuto il sangue freddo di puntare su quei titoli di Stato europei che a lungo hanno tenuto con il fiato sospeso politici, banchieri e investitori. I bond del Vecchio continente hanno chiuso il 2012 con la migliore prestazione di sempre, con Portogallo, Italia e Irlanda, a guidare il gruppo. «Il principale supporto al mercato è venuto dalla Banca centrale europea che ha evitato il rischio di vendite a pioggia e di una frantumazione della zona euro», spiega Mohit Kumar, responsabile delle strategie di fixed income per Deutsche Bank in Europa. Uno dei momenti cruciali risale a luglio, quando il presidente della Bce Mario Draghi si è detto pronto «a fare qualunque cosa necessaria per salvare l'unione monetaria». Tra i fattori cruciali ci sono stati anche i passi in avanti fatti dalla politica con i piani per una più forte supervisione bancaria e la marcia verso un maggiore coordinamento tra gli Stati sul fronte dei bilanci. I titoli sovrani italiani hanno chiuso il 2012 a +21%, il primo incremento dal 2009. I titoli sovrani irlandesi hanno fatto +29%, mentre per quelli portoghesi, in base ai dati compilati da Bloomberg, i ritorni per gli investitori sono stati addirittura del 57%, il record dal 1994. Un indice che tiene conto dei bond di tutti i Governi dell'Eurozona ha registrato un aumento del 12%, il dato più alto da quando nel 1999 Bloomberg ha iniziato a tenere la sua serie storica. Dietro queste buone prestazioni ci sono stati in buona parte i grandi investitori stranieri come Pacific Investment Management (che gestisce il più grande fondo di titoli sovrani al mondo) e Blackrock (numero uno mondiale della gestione con asset per 3.700 miliardi di dollari) tornati entrambi a comprare titoli italiani e spagnoli. A spingere le obbligazioni dei due Paesi hanno contribuito nella prima parte del 2012 anche i mille miliardi di euro messi a disposizione dalla Bce attraverso le due cosiddette Long-term refinancing operations (Ltro). Il venir meno delle tensioni che hanno caratterizzato la fine del 2011 non sembra però destinato a regalare a investitori e analisti un 2013 privo di stimoli. Innanzitutto perché l'anno appena cominciato, secondo Lloyds banking Group, vedrà il ritorno sul mercato di Irlanda e Portogallo, i due Paesi che insieme alla Grecia stanno ricevendo aiuti internazionali. Poi perché a questo terzetto si aggiungerà la Spagna con la sua richiesta ufficiale di bail out. E poi perché il 2013 sarà un anno elettorale per Germania e Italia.

Effetto dello scampato Fiscal Cliff (3 gennaio 2013).
Lo spread tra Btp e Bund rompe anche la soglia dei 280 punti base scivolando fino a quota 276, un livello che non si vedeva da metà agosto del 2011. Il rendimento del Btp è in calo al 4,22%. In forte discesa anche il tasso del titolo biennale sceso fino all'1,68%, ai minimi da ottobre 2010. Il giorno dopo il grande balzo, legato alla svolta sul fiscal cliff americano, i listini prendono fiato all'insegna dei realizzi, ma ieri la borsa di Milano ha segnato poco meno del 4%. Dati macro in chiaroscuro negli Usa Balzo delle richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione nell'ultima settimana, tipicamente volatile a causa delle festività natalizie. Il livello delle richieste è comunque inferiore a quello di un anno prima, indice che il mercato del lavoro è lentamente migliorato nel 2012. Le richieste iniziali sono aumentate di 10mila unità a 372mila su base destagionalizzata, nella settimana terminata il 29 dicembre. Le attese erano per 363mila nuove richieste. Migliora invece l'indice Ism, che a dicembre è salito a 54,3 punti dai 52,5 punti del mese precedente. L'indice, che sopra i 50 punti segnala un miglioramento dell'attività, era scivolato a 45,9 punti a ottobre Mutatis mtandis. Fiat-Chrysler aumenta le vendite negli Usa del 10% a dicembre e chiude il 2012 con un incremento del 21% a 1,65 milioni di veicoli venduti – miglior risultato dal 2007. Buone notizie per il Lingotto arrivano anche dal Brasile: il gruppo torinese ha chiuso il 2012 al primo posto del maggior mercato sudamericano, con circa 838mila immatricolazioni (compresi i veicoli commerciali leggeri), e ha aumentato la quota di mercato dal 22 al 23,1 per cento. Vediamo i dettagli del mercato americano: nel mese di dicembre Fiat-Chrysler ha venduto negli Stati Uniti 152.367 vetture; anche questo risultato è il migliore dal 2007, e rappresenta il 33esimo mese consecutivo di vendite in rialzo anno su anno. Prosegue l'ascesa della Fiat 500: +59% a dicembre a circa 3.700 unità, mentre su base annua il volume delle vendite è più che raddoppiato (+121%) a circa 43.700 unità. La quota di mercato del gruppo negli Usa è salita l'anno scorso all'11,2% dal 10,5% del 2011. Fiat-Chrysler ha fatto meglio nel 2012 delle rivali americane General Motors e Ford: quest'ultima ha visto le vendite crescere del 2% a dicembre e del 5% su base annua, con un consuntivo annuale di 2,17 milioni di unità; Gm ha segnato un +5% a dicembre e un +3,7% a 2,595 milioni nei dodici mesi del 2012.

Cassa integrazione 2012 (4 gennaio 2013).
A dicembre 2012 si impennano le richieste di cassa integrazione (la Cig). In questo mese - ha reso noto l'Inps - sono state autorizzate 86,5 milioni di ore. Rispetto allo stesso mese del 2011, quando furono autorizzate 75 milioni di ore, si registra un aumento del 15,3%. Complessivamente, nel 2012 si è giunti a quota 1.090,6 milioni di ore autorizzate, contro i 973,2 milioni del 2011 (+12,1%). Dal 2009 - ha proseguito l'Inps - quando per effetto della crisi economica le autorizzazioni balzarono dai 227,6 milioni dell'anno precedente a 913,6 milioni, con un aumento del 301%, la cassa integrazione ha fatto registrare ancora un aumento nel 2010, quando ha raggiunto il picco con 1.197,8 milioni di ore autorizzate (+31% rispetto al 2009), una diminuzione nel 2011, quando le ore autorizzate furono 973,2 milioni (-19% rispetto al 2010) e di nuovo un aumento lo scorso anno, quando si è superato un'altra volta il miliardo di ore autorizzate (+12,1 rispetto al 2011). Il dato congiunturale (e cioè dicembre su novembre 2012), prosegue l'Inps, fa registrare invece una diminuzione delle richieste di autorizzazione. A novembre 2012, infatti, furono autorizzate 108,3 milioni di ore, che confrontate con gli 86,5 milioni di ore di dicembre attestano un calo del -20,1%. Il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, ha evidenziato, a fronte di questi dati, «l'impegno degli uffici Inps e del nostro personale per assicurare il pagamento dell'assegno di Cig nel più breve tempo possibile. Ora nel 96% dei casi l'assegno viene erogato dai nostri uffici entro 30 giorni». Scendendo nel dettaglio, per gli interventi ordinari (Cigo) le ore di cassa integrazione autorizzate a dicembre 2012 sono diminuite del 20,9% rispetto al mese precedente, passando da 33,0 a 26,1 milioni. Rispetto a dicembre 2011 si registra un incremento del 16,2% delle ore di Cigo. Per quanto riguarda gli interventi straordinari (Cigs), a dicembre 2012 sono state autorizzati 33,6 milioni di ore con una diminuzione del 27,2% rispetto a novembre 2012 (46,1 milioni) e un aumento del +2,5% rispetto a dicembre 2011 (32,7 milioni). Gli interventi in deroga (Cigd) sono stati pari a 26,8 milioni di ore a dicembre 2012, registrando una diminuzione del 7,9% rispetto ai 29,1 milioni di novembre e un aumento del 35,5% sui 19,8 milioni di dicembre 2011. A novembre 2012 le domande di disoccupazione presentate all'Inps sono state 128.534 con una diminuzione del 4,58% rispetto a novembre 2011. Nei primi 11 mesi dell'anno le richieste di disoccupazione sono state 1.285.299 con un aumento del 14,49% rispetto allo stesso periodo del 2011. Le domande di mobilità presentate a novembre 2012 sono state 10.173 (+10% tendenziale). Nei primi 11 mesi del 2011 sono state presentate all'Inps 133.052 richieste di mobilità (+17,82%).

Modifiche a Basilea 3 (7 gennaio 2013).
I Governatori e responsabili delle autorità di sorveglianza del Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria, riuniti alla Bri (Banca dei Regolamenti Internazionali), hanno approvato all'unanimitàla revisione degli standard di liquidità per le banche previsti dalle regole di Basilea 3. Nello specifico sono state alleggerite le norme che regolano il cosiddetto liquidity cover ratio, un coefficiente che misura gli asset facilmente liquidabili (come titoli di Stato o altri bond ad alto rating) di cui le banche devono dotarsi per prevenire eventuali situazioni di rischio sistemico. In base alla precedente versione della normativa, a partire dal 2015 le banche avrebbero dovuto portare questo "ratio" al 100% delle risorse necessarie a fronteggiare un eventuale periodo di congelamento del mercato interbancario della durata di 30 giorni. Questa soglia è stata tuttavia abbassata al 60 per cento. Alle banche sarà comunque chiesto di aumentare gradualmente il "ratio" per portarlo al 100% a partire da gennaio 2019. I regolatori hanno poi ampliato la gamma di asset che potranno essere utilizzati nel calcolo del coefficiente. Sono state inserite per esempio alcune categorie di azioni, covered bond e titoli garantiti da mutui che potranno coprire fino al 15% del «liquidity cover ratio». Infine è stato previsto che i supervisori nazionali abbiano «completa flessibilità» nell'applicazione della regola in futuro sottolineando come le banche potranno, in fasi di difficoltà, allentare i "buffer" patrimoniali. Il governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King ha dichiarato che, con l'attuale modifica, «gli standard patrimoniali non rischieranno più di compromettere la capazità del sistema di finanziare la ripresa economica». La revisione dei criteri sui requisiti di capitale rappresenta una grossa boccata di ossigeno al settore e potenzialmente libera risorse per l'economia reale. Il rischio infatti è che le banche, per far fronte ai rigidi requisiti di Basilea 3, fossero costrette a ridurre gli impieghi innescando una «stretta creditizia» (che in certi Paesi come l'Italia è già in atto). Il comitato di Basilea ha stimato che, a fine 2011, il settore dovesse raccogliere 1,8 mila miliardi di euro per far fronte ai requisiti patrimoniali previsti dalla vecchia normativa. L'alleggerimento ha indotto una grande euforia nel sistema bancario che ha brindato con notevoli incrementi dei valori di borsa.

Un altro marchio in crisi (8 gennaio 2013).
In questi articoli che illustrano i passi della crisi economica che si è abbattuta sul pianetta dal 2007, una particolare attenzione abbiamo sempre rivolto alla "caduta" dei grandi marchi nazionali. Ora è la volta della Richard Ginori che è stata dichiarata fallita dal tribunale di Firenze. La decisione è stata depositata dai giudici chiamati a pronunciarsi sull'ammissibilità o meno dell'impresa al concordato preventivo. Secondo quanto si apprende, i membri del collegio dei liquidatori raggiungeranno a breve il tribunale per prendere visione del decreto di fallimento. L'impresa di porcellane di Sesto Fiorentino è in liquidazione dalla scorsa primavera, quando il bilancio consuntivo 2011 aveva rivelato perdite superiori allo stesso capitale sociale. Il collegio dei liquidatori ha lavorato per una soluzione di concordato preventivo, cercando un soggetto che potesse rilevare le attività commerciali e produttive della Richard Ginori: soggetto che, lo scorso dicembre, era stato individuato nella cordata composta dalle aziende Lenox e Apulum. Attualmente la Ginori conta 314 lavoratori, tutti da agosto in cassa integrazione per cessazione dell'attività. Secondo i Cobas, le due società che potevano salvare l'azienda Lenox e Apulum, «erano già in possesso di decine di milioni di ordinativi pronti da evadere e da produrre». In queste ore, un centinaio di lavoratori della Richard Ginori ha occupato l'area della fabbrica di Sesto Fiorentino. I lavoratori, che avevano già animato il presidio dei Cobas davanti a Palazzo di Giustizia e alla Regione Toscana, si sono riuniti in assemblea all'interno della sala mensa, per fare il punto sugli ultimi sviluppi e sugli scenari dell'impresa, ora affidata al curatore fallimentare.

Buona accoglienza dei titoli del fondo salva stati Ue (8 gennaio 2013).
La strada verso la soluzione della crisi finanziaria è fatta di tante piccole pietre che poste una accanto all'altra fanno ben sperare. Lo European Stability Mechanism (Esm) ha lanciato oggi il suo programma di finanziamento a breve termine per il 2013 con un'asta di titoli a 3 mesi che ha raccolto richieste per complessivi 6,2 miliardi. L'Esm ha dunque collocato titoli per 1,927 miliardi con un rendimento medio negativo dello -0,0324%. Il bid-to-cover ratio, che misura il rapporto tra domanda e offerta, è stato pari a 3,2. Il programma Esm sostituisce le precedenti operazioni dell'Esfs che non condurrà più operazioni di questo tipo. «Il successo di questa asta iniziale - ha commentato il vicedirettore dell'Esm, Christophe Frankel - mostra come gli investitori siano perfettamente a loro agio con il passaggio di consegne sul programma a breve termine tra Esm ed Efsf». Inizialmente l'Esm si concentrerà sulle aste a 3 e 6 mesi e condurrà operazioni ogni martedì. Il fondo Esm ha un rating Aa1 di Moody's e la tripla A di Fitch. Intanto Tokyo è pronto ad acquistare bond dell'Esm per aiutare l'Europa ad affrontare la crisi del debito e stabilizzare lo yen sotto pressione. Lo ha detto il ministro delle Finanze giapponese annunciando che il nuovo Governo metterà mano alle riserve di valuta straniera per pagare i bond. Il ministro non ha però precisato l'ammontare dei bond che intende acquistare. Secondo fonti del ministero delle Finanze, l'acquisto di bond poterebbe iniziare oggi stesso.«Stabilizzare la crisi finanziaria europea contribuirà alla stabilità delle valute, compreso lo yen, e per questo pensiamo di continuare ad acquistare bond dell'Esm usando le riserve di valuta straniera».

Economia tedesca in frenata (9 gennaio 2013).
Nuovi segnali di debolezza per l'economia tedesca alla vigilia della riunione Bce che deve decidere sui tassi d'interesse. La produzione industriale in novembre è infatti salita solo dello 0,2%, ben al di sotto delle stime che indicavano un aumento dell'1 per cento. Il dato arriva dopo la doccia fredda sul fronte della bilancia commerciale (sempre di novembre), con l'export in calo del 3,4% rispetto ad ottobre, il più marcato da oltre un anno. La frenata tedesca non dovrebbe però indurre la Banca centrale europea nella riunione di domani ad abbassare il costo del denaro, già al minimo storico dello 0,75%. La maggior parte degli analisti prevede infatti un atteggiamento di "wait and see" da parte dei banchieri centrali di Francoforte, anche se nell'ultima riunione del 2012, per ammissione dello stesso Draghi, si era discusso di un possibile taglio dei tassi d'interesse. Resta il fatto che la Germania si prepara a registrare un ultimo trimestre dell'anno all'insegna della debolezza, tanto che alcuni economisti, compresa la stessa Banca centrale di Berlino, non escludono una lieve recessione tecnica tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013. Il ministero dell'Economia ha però voluto rassicurare sulle prospettive per il resto dell'anno, che sono "leggermente migliorate e suggeriscono un un outlook più positivo per la produzione industriale nel corso dell'anno". La frenata insomma dovrebbe essere temporanea e lasciare spazio a una seconda metà dell'anno di graduale ripresa. Secondo l'istituto di ricerca Diw il Pil della Germania quest'anno crescerà dello 0,9% per poi accelerare al +2% nel 2014. La dinamica positiva sarà guidata, spiega l'istituto di ricerca, non solo dall'export, ma anche dalla domanda interna grazie a favorevoli condizioni del mercato del lavoro e all'aumento delle retribuzioni. Più prudente la Bundesbank, che stima un'espansione dello 0,4% nel 2013 e dell'1,9% nel 2014. Vorremmo sottolineare che i legami commerciali tra Germania e Italia sono più forti di quanti molti immaginano e che una recessione in Italia si ripercuote immediatamente in Germania.

Draghi: 2013 ancora negativo (10 gennaio 2013).
Tassi fermi. La Banca centrale europea, contrariamente a quanto è avvenuto nel corso della riunione di dicembre, non ha neanche discusso la possibilità di ridurre il costo "ufficiale" del credito, ritenendo che le aspettative sui prezzi - il faro della politica monetaria in Eurolandia - non sono cambiate. La decisione è stata dunque presa all'unanimità. Cosa è cambiato? Il presidente Mario Draghi, in conferenza stampa, ha spiegato che si sono avuti importanti miglioramenti sui mercati finanziari: «I rendimenti e i tassi sui credit default swaps sono calati - ha spiegato - le borse sono salite, la volatilità è ai minimi, i rimborsi netti di prestiti sono scesi». Si è assistito inoltre a un flusso di capitali dall'esterno di Eurolandia. Non sembra preoccupare, intanto, il livello dell'euro, che Draghi considera in linea con la media storica. La Bce lascia invariati i tassi: borse contrastate. Piazza Affari migliore d'Europa (+0,72%). Sul fronte dell'economia reale, inoltre, «si sono stabilizzati, sia pure a un livello basso - ha spiegato Draghi - alcuni indicatori congiunturali». Il presidente non ha specificato quali, ma gli analisti avevano già notato nei giorni scorsi che sono migliorati gli indici detti "di fiducia" che misurano con tempestività - ma senza la precisione del Pil - il livello di attività economica e, in più, quello delle aspettative nelle aziende. I progressi non sono stati comunque troppo enfatizzati. L'economia resterà debole nel 2013, il futuro resta dominato da ampia incertezza, e le decisioni di politica monetaria non sono ancora riuscite a trovare - ha spiegato Draghi - la strada verso l'economia reale. I prestiti alle banche sono infatti ancora bassi: continua a pesare la frammentazione dei mercati finanziari nazionali, anche se il presidente ha più volte sottolineato come la situazione sia migliorata anche su questo fronte. L'Unione bancaria resta comunque «cruciale». È troppo presto dunque, ha concluso Draghi, per uscire dalla fase ultraespansiva della politica monetaria (malgrado qualche segno di "esuberanza" in alcuni settori molto piccoli e limitati), anche se i "rischi di coda" - quelli, per semplificare, relativi a eventi rari e catastrofici - sono stati «rimossi». Tutto il resto dipende dai governi e dalle riforme. Anche, e soprattutto, il nodo dell'occupazione, che per Draghi è in buona parte strutturale: se colpisce più i giovani degli anziani, ha detto, è a causa dell'esistenza di un mercato del lavoro duale. Quel che occorre, ha spiegato, sono riforme dei mercati dei prodotti e del lavoro per ricreare competitività.

Spread sotto i 250 punti (11 gennaio 2013).
Oggi lo spread tra Btp e Bund è sceso fino a sotto la soglia dei 250 punti base, toccando quota 248 punti, per la prima volta da luglio del 2011. Il rendimento del Btp a 10 anni ripiega al 4,08% aggiornando i minimi dall'autunno del 2010. Piazza Affari scambia comunque sul filo della parità dopo un'apertura in leggero rialzo, in linea con gli altri indici occidentali; prese di profitto dopo i rialzi della settimana scorsa. Debole anche Wall Streeet. L'euro viaggia a 1,325 dollari (cambio euro/dollaro e convertitore di valute ) continuando a beneficiare delle parole di Draghi nell'ultimo direttivo della Bce che ha mantenuto i tassi invariati allo 0,75%. In rialzo Tokyo dopo che il Giappone ha varato una maxi manovra di sostegno economico. È andata bene l'asta di titoli di Stato in programma questa mattina con rendimenti in forte calo rispetto alle precedenti emissioni e domanda robusta. Il deficit della bilancia commerciale americana è balzato in novembre a 48,73 miliardi di dollari, il livello più alto degli ultimi sette mesi, in crescita del 15,8% rispetto al mese precedente. Il dato è nettamente peggiore delle attese degli analisti che si attendevano un ribasso a quota 41,20 miliardi.

Cala ancora la produzione industriale (14 gennaio 2013).
La crisi non accenna a calare e soffoca le imprese. La produzione industriale a novembre ha registrato un calo del 7,6% su base annua (dato corretto per gli effetti di calendario) e dell'1,0% rispetto a ottobre. Lo rileva l'Istat. È il quindicesimo ribasso consecutivo su base annua, con la discesa tendenziale che accelera a confronto con il mese precedente. La produzione industriale di autoveicoli ha segnato a novembre un meno 13,9% tendenziale, secondo l'indice grezzo calcolato da Istat, e meno 19,1% in 11 mesi. L'indice corretto per gli effetti di calendario, invece, (con 21 giorni lavorativi come a novembre 2011) ha segnato -14,1% tendenziale e -19,6% in 11 mesi. A novembre 2012 - spiega l'Istat - l'indice corretto per gli effetti di calendario registra, rispetto a novembre 2011, variazioni negative in tutti i settori dell'industria. Le diminuzioni maggiori riguardano la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-16,9%), la fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-10,5%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-9,3%) e la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (-8,4%).

Il redditometro (15 gennaio 2013).
È la novità fiscale del 2013: il redditometro, nuovo strumento dell’Agenzia delle Entrate per contrastare il fenomeno dell’evasione. A essere messi sotto la lente dei funzionari del Fisco saranno i redditi relativi agli anni di imposta a partire dal 2009. Le verifiche fatte utilizzando il redditometro partiranno invece da marzo. Grazie a un più efficace incrocio tra le informazioni delle diverse banche dati della pubblica amministrazione e a oltre cento diverse voci di spesa, sarà più facile stimare il reddito e confrontarlo con quanto effettivamente speso. E non si tratta solo di beni di lusso come aerei, yacht o gioielli: a finire nel redditometro sono anche spese come il pagamento di asili nido o master universitari, abbonamenti alla pay tv o donazioni in beneficenza. Insomma, tutto quanto possa mettere in luce una discrepanza tra quanto si dichiara e il proprio tenore di vita. La funzione matematica alla base del redditometro prende come riferimento cinque aree geografiche (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud, Isole), undici tipi di nuclei familiari (famiglie con figli o senza, monoparentali, nuclei giovani o meno giovani) e oltre cento voci di spesa divise in sette categorie. I redditi dichiarati verranno confrontati con le spese sostenute nell’anno di riferimento. In caso di incompatibilità scatteranno le verifiche, ma solo in presenza di scostamenti tra spese e reddito significativi, superiori al 20%. Ma il redditometro non è l’unica novità di cui i contribuenti dovranno tenere conto. Entro il 31 marzo, ad esempio, si dovrà comunicare l’elenco dei beni in uso ai soci. La misura riguarda gli imprenditori che devono rendere noti i dati anagrafici dei soci o dei familiari che hanno ricevuto in godimento i beni dell’impresa. Una norma che ben si integra con l’impianto del redditometro che prevede una giustificazione per le spese sostenute e della provenienza dei redditi relativi. L’obbligo della comunicazione si estende anche ai finanziamenti e alle capitalizzazioni effettuati dai soci nei confronti della società concedente. Non vanno denunciati beni e finanziamenti il cui valore sia inferiore ai 3 mila euro, a meno che non rientrino nelle categorie “autovettura, unità da diporto, aeromobile, immobile”. In primavera, anche se non è ancora possibile stabilire una data, scatterà un altro provvedimento: la comunicazione da parte delle banche dei conti correnti dei clienti. Finora si aspettava il via libera del Garante per la privacy (che ha espresso parere positivo). Adesso spetta al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, firmare il provvedimento che stabilirà le date entro cui le banche dovranno provvedere all’adempimento e attraverso quale canale di invio. L’ultima novità riguarda la reintroduzione dell’obbligo per le società di tenere un elenco di clienti e fornitori. Doveva entrare in vigore ad aprile, poi si è deciso per un rinvio in attesa di risolvere alcuni problemi tecnici e discutere le modalità con le quali reintrodurlo. La ratio del provvedimento è quella di tracciare tutti i rapporti economici di un’impresa. Il 2013 si annuncia quindi ricco di “comunicazioni” con l’Agenzia delle entrate. Il contraddittorio riguarderà però in particolare il redditometro. Poiché la legge prevede che spetterà al contribuente l’onere della prova per dimostrare che le spese sono state finanziate con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta oppure che sono esenti o frutto di eredità. Inoltre sarà contestabile il totale delle spese attribuite dal fisco. Un’ardua battaglia: il destino del contribuente (evasore oppure onesto pagatore di tasse) dipenderà da studi statistici, magari difficilmente contestabili o considerabili non pertinenti al proprio caso specifico.

Germania e Italia, due economie interconnesse (16 gennaio 2013).
Si ferma la Germania, si fermano le nostre esportazioni e viceversa. Abbiamo più volte messo in evidenza che noi importiamo dalla Germania macchine e macchinari e la Germania importa dall'Italia componentistica. Il dato di novembre vede ancora una crescita dell'export italiano pari al 3,6% su base annua ma tutto lo sviluppo è sul mercato extra-Ue che sale del 10%, mentre l'Europa scende del 2,2% nel mese, con un bilancio negativo (-0,1%) anche dall'inizio dell'anno. Determinante per questo risultato il segno meno del nostro primo partner commerciale, la Germania cede infatti il 3,8%, una riduzione di 162 milioni di euro rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Il rallentamento dell'Europa è palese nei dati di Francia (appena +0,5%), Spagna (-7,5%) e Austria (-5%), mentre tra i nostri maggiori partner solo il Regno Unito mantiene un significativo segno più. Numeri preoccupanti, perché nonostante la progressiva diversificazione dei nostri mercati di sbocco, l'Europa rappresenta ancora il 56% dei nostri ricavi oltreconfine, condizionando dunque pesantemente la nostra performance complessiva. Anche tra i settori lo stop tedesco si fa sentire, ad esempio con un magro +0,5% per i prodotti in metallo o il calo dell'1,6% per gomma e plastica. E la frenata europea porta per alcuni comparti in negativo il bilancio da inizio anno: -3% per il tessile, -2,4% per computer ed elettronica, -0,1% per i mezzi di trasporto. Se l'export non brilla, i nostri acquisti dall'estero sono però ancora più deboli, con una frenata delle importazioni su base annua dell'8,2%, capace di spingere verso l'alto il saldo commerciale: oltre 2 miliardi nel mese, quasi nove dell'inizio dell'anno, il livello massimo mai raggiunto dal 2002. Numeri che dovrebbero preoccupare proprio la Germania, le cui vendite in Italia sono crollate di oltre l'11% da gennaio, riducendo uno dei contributi principali alla sua crescita. Troppa austerità, in fondo, non aiuta neppure Berlino. Una causa che penalizza l'export europeo è anche il rafforzamento dell'euro che vede un +5% sul dollaro in tre mesi e un +17% sullo Yen. Più si riduce lo spread del Sud Europa, più gli investitori investono in Europa, più l'euro si rafforza, più l'export cala.

BCE: l'incertezza si prolunga al 2013 (17 gennaio 2013).
La debolezza dell'economia dell'Eurozona «dovrebbe protrarsi anche nel 2013», sebbene «nel prosieguo dell'anno si dovrebbe registrare una graduale ripresa». È quanto segnala la Bce nel suo bollettino mensile. «In particolare», prosegue Francoforte, «gli aggiustamenti di bilancio necessari nei settori finanziario e non finanziario, nonché la persistente incertezza, seguiteranno a gravare sull'attività economica». In Italia e Spagna l'indice sul clima di fiducia ha «segnato un calo più marcato, specie a partire dalla metà del 2011» rispetto agli altri paesi dell'Eurozona. È quanto ricava la Bce sugli indici di fiducia calcolati dalla commissione Ue dall'inizio della crisi a oggi e cioé dal 2007 al 2012. Il riferimento è alla fiducia dei consumatori, anche se la fiducia delle imprese ha «mostrato andamenti analoghi, segnando netti cali dal 2007 al 2009, una ripresa fino a metà del 2011, e una nuova flessione da allora». In Germania l'indice ha mostrato «una ripresa piuttosto vigorosa nel 2010, e in seguito è rimasto sostanzialmente stabile». In Francia «é rimasto assai prossimo all'aggregato dell'area dell'euro». «L'accresciuta incertezza politica in Italia è stata all'origine, negli ultimi due mesi dell'anno, di alcuni flussi di capitali, con l'obiettivo di ricercare investimenti più sicuri (fligh-to-safety), verso i titoli emessi dai paesi con rating '"AAA"». Una frase che, però, non trova conferme nei dati di mercato e nelle sensazioni degli operatori che da novembre vedono un ritorno degli investitori stranieri in Italia, come tra l'altro confermato dalle richieste per il nuovo BTp a 15 anni, che per oltre il 60% del totale sono arrivate da operatori stranieri. È «fondamentale» che i governi dei paesi dell'Eurozona «riducano ulteriormente gli squilibri sia di bilancio sia strutturali e proseguano nella ristrutturazione del settore finanziario». È inoltre «essenziale» proseguire nel «rafforzare la capacità di tenuta delle banche, ove necessario», allo scopo di «assicurare un'appropriata trasmissione della politica monetaria alle condizioni di finanziamento nei paesi dell'area dell'euro». La Bce aggiunge che «la solidità dei bilanci bancari sarà un fattore chiave per agevolare sia un'adeguata offerta di credito all'economia, sia la normalizzazione di tutti i canali di finanziamento». Da questo punto di vista, afferma l'Eurotower, «il futuro meccanismo di vigilanza unico rappresenta un passo cruciale».

Accordo Fiat - Mazda (18 gennaio 20123).
In base all'accordo, Mazda, che ha come primo azionista l'americana Ford, produrrà una spider a due posti per Alfa Romeo. L'auto verrà prodotta nello stabilimento Mazda di Hiroshima in Giappone a partire dal 2015. Il nuovo spider Alfa Romeo sarà sviluppato per il mercato globale sulla base dell'architettura dell'MX-5 di prossima generazione. In base all'accordo, Mazda e Fiat svilupperanno due vetture a trazione posteriore e distinte nel design, come icone chiaramente riconoscibili del proprio marchio. Ognuna delle due varianti Mazda e Alfa Romeo verrà equipaggiata con motorizzazioni specifiche per il marchio. Per Mazda l'accordo rappresenta un'opportunità di migliorare l'efficienza delle proprie attività di sviluppo e produzione e ridare slancio al segmento delle spider a livello globale. A Fiat consentirà invece di offrire un'interpretazione moderna e tecnologicamente avanzata del classico spider Alfa Romeo in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi del marchio entro il 2016. Le relazioni commerciali tra Fiat e la casa automobilistica giapponese si sono finalizzate nell'ultimo anno. Già nel giugno scorso Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, ha infatti dichiarato la disponibilità a fabbricare in Italia auto della giapponese Mazda destinate al mercato europeo. «La nostra rete di produzione è a disposizione di qualsiasi costruttore – aveva detto Marchionne – Ho dato la disponibilità a Mazda. Siamo pronti a fare qualsiasi cosa serva a utilizzare i nostri stabilimenti». Ancora una volta si dimostra che mentre la politica italiana si imbozzola in chiacchiere e rappresentazioni da cabaret, Marchionne macina, con continuità, progetti e risultati.

Crisi dell'edilizia (18 gennaio 2013).
Negli Usa è un dato cruciale, atteso in modo spasmodico dal mercato. La costruzione di nuove case offre il polso immediato dell'economia ed è in grado di influenzare pesantemente Wall Street. Da noi è diverso, nessun impatto in Borsa, anche se la lettura del dato Istat sul "nuovo" in edilizia offre uno spaccato ulteriore della crisi del Paese. Nel secondo trimestre 2012, ultimo dato disponibile, i permessi di costruire nell'edilizia residenziale sono scesi del 22%, piombando a 22.564 unità. Si tratta del minimo storico assoluto, molto distante dal periodo pre-crisi, quando nello stesso trimestre il livello era addirittura triplo (è il caso del 2006). Del resto, è tutto consequenziale, con i mutui dimezzati nel 2012, i tempi di compravendita che si dilatano a molti mesi, i prezzi che iniziano a scendere in modo sensibile. Anche i costruttori dunque si adeguano e a fronte del crescente "invenduto" del mercato riducono drasticamente gli impegni finanziari. Una contrazione resa ancora più necessaria dalla restrizioni nel credito, visto che da mesi l'edilizia è il settore che vede la discesa maggiore nei finanziamenti bancari. E del resto è proprio qui, tra i costruttori, che si verificano i fallimenti più elevati, portando il livello di sofferenze bancarie ai massimi di sempre, arrivando a novembre a sfiorare la soglia di 22 miliardi. In termini globali, tra tutti i settori produttivi, le sofferenze di sistema arrivano al 9,5% dei prestiti alle imprese (società non finanziarie + famiglie produttrici) mentre nelle costruzioni si sale al 12,8%. Naturale dunque che quando un'impresa edile si presenta allo sportello la banca di questi tempi non faccia salti di gioia. Il circolo vizioso è drammatico, in grado di mettere in ginocchio l'intera economia, con impatti evidenti in alcuni settori pesanti come acciaio, mobili, elettrodomestici. Invertire il trend dovrà essere una delle priorità per il 2013.

FT: Monti non adatto a guidare l'Italia (21 gennaiio 2013).
Quello che in questa sede abbiamo più volte affermato e che gran parte degli italiani pensano e cioè che Monti si sia rivelato un grandioso bluff, pompato da Napolitano e dalle banche, incomincia a trapelare anche all'estero. Dopo le dure crituiche del premio nobel Krugman è ora la volta del Financial Times. «Monti non è l'uomo giusto per guidare l'Italia», titola un editoriale di Wolfang Munchau: il suo «governo ha provato a introdurre riforme strutturali modeste» annacquate fino alla «irrilevanza macroeconomica». «Ha promesso riforme» finendo per «aumentare le tasse»: «ha iniziato come tecnico ed è emerso come un duro politico» prosegue l'Ft, sottolineando che anche sul calo dello spread, molti italiani «sanno che è legato a un altro Mario, a Draghi». Dall'altra parte - prosegue il Financial Times sulla situazione italiana - Pierluigi Bersani pur avendo sostenuto le politiche di austerità, adesso tenta di prenderne le distanze. Il leader del Pd si è inoltre mostrato "esitante" rispetto alle riforme strutturali anche se - nota l'Ft - potrebbe avere, rispetto a Monti, una chance maggiore, seppur marginale, nel confronto con Angela Merkel grazie alla sua migliore possibilità di collaborazione con Francois Hollande, il presidente francese socialista. Monti invece, prosegue il quotidiano, da premier non ha detto alla cancelliera tedesca «che l'impegno per la moneta unica sarebbe dovuto dipendere dall'unione bancaria», dagli eurobond e da «politiche economiche più espansive da parte di Berlino». Per quanto riguarda, invece, Berlusconi l'Ft nota che l'alleanza con la Lega, seppur indietro nei sondaggi, sta avanzando: «Fino ad ora la campagna dell'ex primo ministro è stata positiva. Ha lanciato un messaggio anti-austerità cui è sensibile l'elettorato deluso. E ha inoltre continuato a criticare la Germania per la sua riluttanza ad accettare gli eurobond e a permettere che la Bce acquistasse bond italiani incondizionatamente». «Conosciamo Berlusconi fin troppo bene, però - continua - per essere credibile deve illustrare una strategia chiara». L'Ft torna poi su Monti ricordando anche che tra i suoi argomenti c'è stato quello di aver salvato l'Italia dal «baratro» e da Silvio Berlusconi. Munchau si augura così che la «storia gli accordi un ruolo simile a quello giocato da Henrich Bruning, il cancelliere tedesco tra il 1930-1932. Anche lui è stato parte di un consenso prevalente sul fatto che non ci fosse alternativa all'austerity», conclude nell'articolo chiosando che «l'Italia ha ancora poche scelte. Ma le deve fare».

La disoccupazione in Italia (21 gennaio 2013).
L’Italia continua a perdere posti di lavoro. Tutte le previsioni per quest’anno, nonostante le attese di una ripresa dell’economia a partire da metà anno, segnano un ulteriore peggioramento: la disoccupazione «ufficiale» arriverà al 12%, e toccherà il 12,4 nel 2014 secondo una stima di Confindustria. In realtà, calcolando i lavoratori che sono in cassa integrazione a zero ore da mesi e mesi e quelli che beneficiano della cassa in deroga, ultimo stadio degli ammortizzatori sociali, l’indice «reale» fa segnare almeno un punto in più. Si arriverà «al 13,6%», ha calcolato il Centro studi Confindustria. Mentre la Uil parla di mezzo milione di disoccupati in più quest’anno, dato che ci porterà a toccare la non certo invidiabile quota di 3,5 milioni di senza lavoro. La fotografia scattata a fine 2012 dall’Inps è impietosa: la crisi economica continua a bruciare migliaia di posti di lavoro ogni giorno. Duemila al giorno, ha denunciato venerdì Angeletti della Uil. E la montagna delle ore totale di cassa integrazione, quasi un miliardo e cento milioni di ore (+12,1% rispetto al 2011), spalmate su circa due milioni di lavoratori, conferma a pieno tutta la drammaticità della situazione. L’anno passato sono state 6.191 (-8,5%) le aziende che hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali, in larga parte (55,6%) per effetto di crisi aziendali. La crisi del lavoro mentre al Nord sembra perdere un poco velocità (col ricorso agli ammortizzatori che sale dell’8,1%, mentre in Piemonte cala dell’1,69%), al Sud cresce del 12,3% ed al Centro addirittura del +26%. Stando alle analisi dell’«Osservatorio Cig» della Cgil a pagare i costi della crisi sono soprattutto regioni come Umbria (+46%), Marche (+38,2) e Lazio (23,8%). In termini assoluti è sempre la Lombardia a guidare la classifica, con 238,3 milioni di ore (+7,4), seguita da Piemonte (143,1 milioni), Veneto (102,8) ed Emilia (92,5). Il Lazio però balza da 69,4 a 85,9 milioni di ore, le Marche da 27,6 a 38,2 e l’Umbria da 18,98 a 27,85 milioni di ore autorizzate, tra cassa ordinaria, cassa straordinaria e in deroga. A livello provinciale, in base ai dati elaborati dall’Ufficio studi Uil, i picchi di cassa si registrano a Bergamo (+34,1% a 33,6 milioni di ore), Cremona (+28,8%), Belluno (+56%), Imperia e Savona (+53%) e ancora a Livorno (+67,9), Ancona (+52,4%), Macerata (+51,6), Perugia (+50,5%), Foggia (+46,1%), Potenza (+64,5%, a 12,9 milioni), Palermo (+50,9) e Ragusa (+81,4). Ma soprattutto a Lucca (+118,9%, a quota 5,3 milioni di ore), Rieti (+75,7% a 1,99 milioni, Benevento (+116,6% a 7,6 milioni). Roma cresce «appena» del 18% ma sfonda i 50 milioni di ore arrivando a quota 53,3. La meccanica si conferma ancora il settore dove si è totalizzato il ricorso più alto allo strumento della cassa integrazione. Secondo la Cgil, infatti, questo comparto pesa per 349,7 milioni di ore, pari a 167.513 lavoratori coinvolti. Seguono il commercio con 169 milioni di ore (e 80.954 lavoratori coinvolti) e l’edilizia (107,2 milioni e 51.351 lavoratori). Male anche la chimica (+26%) e l’industria del tabacco (+62,2%), in «ripresa» tessile e pelle (-4%) pur mantenendo livelli molto alti di ricorso agli ammortizzatori. «La crisi non ha toccato il punto più basso - spiega il rapporto della Cgil -. C’è l’emergenza occupazione in generale e in particolare quella giovanile, e vi sono situazioni industriali in sofferenza con centinaia di migliaia di lavoratori in Cig attualmente senza prospettiva». A colpire sono soprattutto i dati sulla cassa in deroga, ultimo stadio degli ammortizzatori e segnale inquietante per molte attività giunte ad una sorta di «stadio terminale». La «Cigd», l’anno passato, ha toccato quota 354,7 milioni di ore autorizzate (+10,7%), un aumento che interessa tutti i settori di attività e che però tocca le punte più alte nei servizi (+75,5%), nell’edilizia (+63,86%), nei trasporti (+28,3%), nell’alimentare (+26,54%) e nel settore del legno (+12,4%). Da solo il commercio (con 134,7 milioni di ore, +36,18%) cumula ben il 35% di tutte le ore autorizzate di cassa in deroga, seguito dalla meccanica (71,2 milioni, +15,3%). Tra le regioni in testa il Lazio (30,7 milioni di ore, +62,4%), Lombardia (57,2 milioni, +10,04%), Veneto (39,6 milioni, +31,4%) ed Emilia Romagna con 42,1 milioni ore (+10,33%). Il picco più alto (+80,2%) si è avuto però in Sicilia; a livello provinciale il record spetta a Rieti (+358%), mentre la maggiore flessione è quella di Catanzaro (-77,5%). Sono queste le zone più a rischio nei prossimi mesi. Mesi che per molti si annunciano molto difficili.

Detassazione premio di produttività (22 gennaio 2013).
Sale da 30mila a 40mila euro il tetto di reddito per beneficiare della detassazione al 10% del premio di produttività. Lo stabilisce il Dpcm firmato oggi dal presidente del consiglio, Mario Monti. Nel decreto, un articolato snello di soli 3 articoli in 4 pagine, per evitare una distribuzione a pioggia delle risorse, è stato introdotto un doppio binario: l'incentivo fiscale andrà alle voci retributive individuate dai contratti che fanno riferimento ad indicatori quantitativi di produttività, redditività, efficienza, innovazione. In alternativa deve essere prevista al minimo una misura per almeno tre delle quattro aree di intervento che nei piani del Governo hanno un forte impatto sulla produttività del lavoro. La prima area di intervento riguarda la ridefinizione dei sistemi di orari, la distribuzione con modelli flessibili legata ad investimenti, innovazione tecnologica, alla fluttuazione dei mercati, per assicurare un più efficiente utilizzo degli impianti produttivi e «raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti dalla programamzione mensile della quantità e della collocazione oraria della prestazione». Una seconda area è rappresentata dalla distribuzione flessibile delle ferie, attraverso «una programmazione aziendale anche non continuativa delle giornate di ferie eccedenti le due settimane». Terzo, l'adozione di misure che rendano compatibile l'impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l'attivazione di strumenti informatici. Quarto, l'attivazione di interventi in materia di fungibilità delle mansioni e di integrazione delle competenze, anche legate a processi di innovazione tecnologica. Queste aree sono state individuate anche nel documento di novembre delle parti sociali (non sottoscritto dalla Cgil), che affidava alla contrattazione materie oggi regolate in modo prevalente o esclusivo dalla legge. Con la scelta di introdurre un doppio binario, non si dovranno azzerare i contratti di produttività finora realizzati tra le parti, sono fatti salvi quelli che fanno riferimento a precisi indicatori quantitativi. Sarà escluso, invece, il semplice ricorso ad istituti del contratto nazionale come lo straordinario o il notturno che in precedenza era considerato sufficiente per avere l'incentivo fiscale. Sul secondo binario hanno molto insistito i ministri dello Sviluppo economico Corrado Passera e del Lavoro Elsa Fornero, convinti in questo modo di introdurre criteri selettivi. Quanto agli importi, è stata accolta la richiesta delle parti sociali di alzare il tetto di redditi da 30mila a 40mila euro lordi, in modo da includere anche gli operai qualificati e gli impiegati che per effetto dei tagli della manovra estiva dell'ex ministro Tremonti lo scorso anno erano stati esclusi. Mentre il valore del premio oggetto della detassazione resta al livello attuale, ovvero a 2.500 euro (prima dei tagli era 6mila euro). Sul versante dei finanziamenti, va ricordato che la legge di stabilità ha previsto per l'applicazione dello sconto fiscale nel periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2013 un limite massimo di onere di 950 milioni (2013) e di 400 milioni (2014). Per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2014 il limite massimo è di 800 milioni (600 per il 2014 e 200 per il 2015). L'ultimo articolo (il terzo), riguarda il nodo delle procedure di monitoraggio e la verifica di conformità degli accordi alle disposizioni del Dpcm: i datori di lavoro dovranno depositare i contratti presso la Direzione territoriale del lavoro entro 30 giorni dalla loro sottoscrizione, allegando un'autodichiarazione di conformità. Sarà il ministero del Lavoro a provvedere alla raccolta e al monitoraggio dei contratti depositati. Entro il 30 novembre Governo e parti sociali si confronteranno per valutare se queste intese sono servite a conseguire gli obiettivi di aumento della produttività.

Altro scandalo al MPS (23 gennaio 2013).
Siena ormai si sta abituando a svegliarsi la mattina con qualche derivato che spunta nel bilancio di Mps, e mette nuovi macigni sopra i conti già in gravi difficoltà per le gestioni passate della banca. Oggi è stato il turno di presunte irregolarità relative ad una operazione del 2009 con la Nomura, e le cifre che ballano sono davvero ingenti. La vicenda - che si assomma ad altre recenti che hanno riguardato operazioni con la Deutsche bank, la cosiddetta "Santorini" - si innesta in un contesto politico davvero complesso e difficile. Infatti Mps è ancora di fatto controllato dalla Fondazione, che ha il 34,9%: l'ente in sostanza è gestito dal Comune (insieme alla Provincia) che dalla scorsa estate è commissariato dopo una spaccatura all'interno della maggioranza di centro sinistra, proprio a causa del Monte. Tra poco si vota, e il sindaco Pd uscente Franco Ceccuzziè di nuovo candidato, ma in un quadro politico decisamente sfarinato. Il calendario è fitto: Monti-bond per il salvataggio - venerdì si terrà l'assemblea straordinaria degli azionisti - che dovranno prendere corpo nel periodo durante il quale si terranno le elezioni politiche e soprattutto quelle comunali, cui seguirà a luglio il rinnovo degli organi della Fondazione, che nel frattempo con ogni probabilità - se le condizioni di mercato saranno favorevoli - scenderà ulteriormente nella quota azionaria per far cassa e cercare di ridurre il debito residuo di 350 milioni. Sempre più quindi la palla è in mano al presidente Alessandro Profumo e all'ad Fabrizio Viola, che si trovano ormai a trattare direttamente a tutti i livelli per mettere in sicurezza la banca, che nell'operatività quotidiana sta tornando lentamente a marciare. Il titolo, dopo un'iniziale sospensione al ribasso, a metà mattina segna un -9,6%. Una discesa che sommata al -5,6% di ieri vanifica di fatto il recente rally della banca. Ma non poteva essere altrimenti. La vicenda Alexandria rischia infatti di spingere il rosso del Monte dei Paschi di Siena del 2012 ben oltre i 2 miliardi di euro. Si stima infatti che alle svalutazioni di asset immateriali per 1,6 miliardi realizzate nel primo semestre si dovranno aggiungere le perdite su contratti derivati, Santorini e Alexandria. Solo la seconda, stando alle prime valutazioni, potrebbe pesare almeno 220 milioni di euro. Ma c'è chi scommette che la cifra finale sarà ben più rotonda. Di questo non si dovrebbe parlare ufficialmente nel consiglio di amministrazione della banca convocato per domani. Tuttavia si tratta di un board preparatorio in vista della cruciale assemblea di venerdì. Quella che dovrà chiedere agli azionisti di consegnare nelle mani del vertice della banca un'apposita delega per chiedere fino a 3,9 miliardi di Monti Bond. Circa 500 milioni in più di quanto previsto che, stando alle recenti spiegazioni dell'istituto, dovrebbero proprio servire «per coprire in via prudenziale gli impatti patrimoniali di eventuali rettifiche di bilancio nonché i costi di chiusura delle operazioni in oggetto». Lo scandalo Alexandria ha costretto alle dimissioni il presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari. Mussari, come è noto, era presidente di Mps all'epoca dell'intesa che la banca sottoscrisse con Nomura sull'operazione Alexandria. Le grandi banche sono proprio una spina nel cuore della cosiddetta finanza rossa. BANCA D'ITALIA """«La vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi di Siena riportate dalla stampa è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all'autorità di vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps». Lo riferisce una nota della Banca d'Italia. «Le operazioni sono ora all'attenzione sia della vigilanza sia dell'autorità giudiziaria, in piena collaborazione - prosegue il comunicato - gli approfondimenti e le indagini sono coperti da segreto d'ufficio e da segreto istruttorio. Nei mesi scorsi i vertici di Mps sono stati rinnovati. I nuovi amministratori stanno cooperando con l'autorità giudiziaria e con la Banca d'Italia per accertare le passate circostanze»."""

La GB e l'Ue (23 gennaio 2013).
Dentro o fuori. David Cameron scandisce le parole annunciando l'ultima scommessa della Gran Bretagna in bilico, come mai prima d'ora, sul piano inclinato della storia «verso l'uscita dall'Unione». Il primo ministro britannico nel prendere la parola nel quartiere generale di Bloomberg nel centro di Londra, conferma le previsioni più severe. Si impegna formalmente a portare il proprio Paese nel 2017 a un referendum «in or out» sull'adesione all'Ue e nell'annunciarlo traccia in cinque punti il profilo dell'Europa che vorrebbe. «E' ora che il popolo britannico abbia l'opportunità di pronunciarsi, è ora di definire la questione europea nella vita politica del Paese… Non sono isolazionista ma voglio un miglior accordo per la Gran Bretagna, per il successo dell'Unione europea e per la prosperità delle generazioni future». David Cameron rovescia quindi il tavolo e nel sottolineare «che il consenso democratico di adesione all'Unione nel Regno è ormai sottilissimo» apre una partita ad alto rischio che si regge su una visione eterodossa del ruolo e delle funzioni dell'Ue. Al cuore del progetto europeo per David Cameron deve esserci solo il mercato interno perché Londra ha un «approccio pragmatico e non emotivo verso l'Unione». Pertanto al primo punto della sua agenda c'è la competitività dei Ventisette in un mondo che cambia sotto la pressione della globalizzazione. E questo significa completamento del single market, strutture comunitarie meno sclerotiche, meno burocrazia, meno spese. Al secondo punto un'Europa a più velocità con diversi livelli di integrazione perché questo «non significa smantellare l'Ue ma rafforzarla» nel rispetto delle diverse esigenze nazionali. Al terzo punto pone una dinamica dell'integrazione capace, qualora necessario, di ridare poteri alle nazioni non solo di delegarli a Bruxelles. Al quarto punto c'è la risoluzione del deficit democratico che Londra, nelle parole del suo premier, risolve così: non esiste un demos europeo, i poteri vanno nuovamente concentrati nei parlamenti nazionali. Al quinto punto il premier sollecita un'esigenza molto personale, ovvero che l'assetto futuro sia equo e che tenga conto delle esigenze di chi siederà nel cerchio più lontano della struttura europea che verrà. Lo stigma dell'euroscetticismo esplode con nettezza nella parole del capo del governo, nonostante David Cameron dica voler fare campagna per il «sì» una volta guadagnate le posizioni desiderate. In realtà il capo del governo inglese è spregiudicato abbastanza da lanciarsi in un azzardo che si basa su alcuni passaggi non affatto scontati. Prima di tutto il partito conservatore dovrà vincere le elezioni del 2015: solo con i Tory al governo infatti Londra andrà al referendum perché né i LibDem di Nick Clegg, né i laburisti di Ed Miliband si sono espressi a favore di una consultazione popolare. In secondo luogo dovrà sperare che i partner vogliano davvero riaprire i Trattati per inserire i passaggi di più stretta cooperazione che si sono resi necessari per risolvere la crisi dell'euro. In un negoziato globale Londra può sperare di ottenere esenzioni specifiche e protezioni particolari imponendo quello che Parigi e Berlino già considerano un ricatto. In altre parole Londra dirà o ci lasciate rimpatriare politiche specifiche – dall'immigrazione, al capitolo sociale – oppure non vi daremo l'ok per riformulare Trattati che impongono consenso unanime. La strategia prevede poi che l'esito del negoziato sia sottoposto al referendum con quel quesito radicale, quel dentro o fuori destinato a riscrivere la storia. La scommessa britannica è radicata, evidentemente, nella certezza che il "ricatto" possa andare a buon fine ovvero che i partner vogliano o debbano davvero riaprire i Trattati. Se così non dovesse essere – come oggi appare in realtà molto probabile – Londra non avrebbe alcun potere per imporre ai partner una membership incentrata sulle dinamiche commerciali del mercato unico.

La povertà in Italia (23 gennaio 2013).
Nel 2011 l'11,1% delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 8,1 milioni di persone) e il 5,2% lo è in termini assoluti (3.415,000). La soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 1.011,03 euro al mese. Lo rileva l'Istat. La sostanziale stabilità della povertà relativa rispetto all'anno precedente deriva dal peggioramento del fenomeno per le famiglie in cui non vi sono redditi da lavoro o vi sono operai, compensato dalla diminuzione della povertà tra le famiglie di dirigenti/impiegati. Segnali di peggioramento si osservano, tuttavia, tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro, famiglie cioè senza alcun reddito proveniente da attività lavorative presenti o pregresse, per le quali l'incidenza della povertà, pari al 40,2% nel 2010, sale al 50,7% nel 2011. Quasi i tre quarti di queste famiglie risiedono nel Mezzogiorno, dove la relativa incidenza passa dal 44,7% al 60,7%. Un aumento della povertà si osserva anche per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro (dall'8,3% al 9,6%), che, in oltre il 90% per cento dei casi, sono anziani soli e coppie di anziani; un leggero miglioramento, tra le famiglie in cui vi sono esclusivamente redditi da pensione, si osserva solo laddove la pensione percepita riesce ancora a sostenere il peso economico dei componenti che non lavorano, tanto da non indurli a cercare lavoro (dal 17,1% al 13,5%). Una dinamica negativa si osserva anche tra le famiglie con un figlio minore, in particolare coppie con un figlio (a seguito della diminuzione di quelle in cui entrambi i coniugi sono occupati e dell'aumento di quelle con uno solo e con nessun occupato), dove l'incidenza di povertà relativa dall'11,6% sale al 13,5%; la dinamica è particolarmente evidente nel Centro, dove l'incidenza tra le coppie con un figlio passa dal 4,6% al 7,3%. Per distinguere i poveri da coloro che poveri non sono si definiscono i bisogni considerati essenziali e le risorse che occorrono per soddisfarli al minimo. Chi non dispone di questo minimo, viene automaticamente annoverato tra le persone povere dai congegni statistici. I bisogni più spesso indicati come imprescindibili sono l'alimentazione, l'alloggio, la salute, l'igiene, il vestiario e - sottovalutandone l'importanza - solo a volte si aggiunge anche la vita di relazione. L'operazione necessaria per definire il livello di povertà si completa con un elenco di consumi, messi in relazione con i prezzi di mercato e alla somma di denaro necessaria per soddisfarli. E' così che si ottiene la soglia di reddito minimo, la linea di demarcazione della povertà, il cui carattere "assoluto" è dunque conesso con i bisogni primari delle persone: il minimo necessario per nutrirsi, la possibilità di disporre di beni e servizi essenziali. Si tratta così di un concetto che non ha nessuna relazione con le condizioni di vita che prevalgono in un determinato contesto sociale.

Monti con i soldi dell'IMU prima casa ha salvato il Monte dei Paschi (24 gennaio 2013).
Secondo il quotidiano Libero il governo Monti con il prelievo dell'Imu sulla prima casa ha sostanzialmente avuto le risorse per salvare il MPS con i Monti Bond. Un provvidenziale aiuto governativo, curato dal ministro dell'Economia Vittorio Grilli, mirato a sbloccare i Monti bond per il Mps «spero di arrivare presto a una conclusione positiva» promise, precisando che però «non c'è una ipotesi di ingresso del Tesoro» nel capitale della banca), ministro che ha convinto la Commissione Ue, inizialmente diffidente sugli aiuti di Stato alla banca senese (come pure la Bce di Draghi), a sbloccare il superfinanziamento pubblico dei Monti bond, materializzatosi con un emendamento del governo alla legge di stabilità di fine anno. In altre parole, proprio mentre gli italiani versavano il pesante saldo Imu, le casse dello Stato, a loro volta, riversavano 3,9 miliardi al Monte dei Paschi, cifra che coincide con l'ammontare dell'Imu sulla prima casa. Significa che il pensionato che ha sborsato centinaia di euro ha finanziato, senza saperlo, i banchieri del MPS e le loro operazioni di ingegneria finanziaria coi derivati? Con quel decreto del Consiglio dei ministri che dava l'ok alla modifica dei Monti bond apposta per Mps, preparato da Grilli e pubblicato in Gazzetta ufficiale l'11 dicembre, veniva sancito che alla banca andavano quasi 4 miliardi di euro, e che lo Stato poteva anche essere rimborsato, se Mps fosse andata in rosso (cosa piuttosto probabile visto che Mps ha chiuso il primo semestre 2012 con un buco di 1,617 miliardi), non in contanti ma anche in azioni della banca stessa o in nuove obbligazioni. In sostanza, miliardi in cambio di carta. Da una banca, poi, inserita in un sistema chiuso di affari-finanza-politica (Pd, partito unico a Siena dove le porte tra Mps e istituzioni sono girevoli), una galassia che il Financial Times ha riassunto così: «Un semplice scambiarsi soldi tra amici». Che tra questi amici vada messa anche una parte del governo Monti, è la convinzione ad esempio della Lega Nord, la prima a segnalare, col deputato Fava e il senatore Garavaglia, la strana urgenza del governo di ricapitalizzare, di fatto, Mps coi soldi pubblici, proprio mentre raccomandava agli italiani di non dolersi del carico Imu, perché quel loro sacrificio serviva a «salvare l'Italia dal baratro della Grecia». La domanda, dopo lo scandalo dei derivati e le dimissioni di Mussari, è inevitabile: possibile che nel governo nessuno sapesse cosa succedeva dentro Mps, visto che si apprestavano a staccargli un assegno da 3,9 miliardi? Tra l'altro, Monte dei Paschi è al centro di un'indagine della Procura di Siena per l'acquisizione di Antonveneta nel 2007, pagata qualcosa come 1,5 miliardi in più del suo valore. Ebbene, nell'ambito di quell'inchiesta (indagato Mussari) molti sono stati sentiti dai pm, come persone informate dei fatti. Tra questi, il ministro Grilli, all'epoca direttore generale del Tesoro, e anche un'altra montiana doc, l'attuale presidente Rai Anna Maria Tarantola, allora funzionario generale della Banca d'Italia. Ma nessun sentore di bruciato. Tant'è che ieri Bankitalia ha precisato come «la vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi» sia emersa «solo di recente». Altri membri del governo, interrogati alla Camera, hanno sempre difeso il salvataggio di Mps, o hanno risposto - come la Fornero - di non conoscerne la vicenda finanziaria. Un brutto risveglio, dopo avergli prestato quasi 4 miliardi pubblici.

World Economic Forum (25 gennaio 2013). DAVID CAMERON. «Un'Europa centralizzata non fa per noi». Così il premier britannico David Cameron nel suo discorso a Davos in assemblea plenaria dopo il clamoroso annuncio di un refrendum sulla permanenza di Londra nell'Unione. «Ci chiediamo solo come rendere l'Europa più flessibile e competitiva, come completare il mercato unico a cui manca ancora il settore dell'energia e l'agenda digitale». Cameron ha anche ribadito che il paese non «ha alcuna intenzione di entrare nell'euro, né di abdicare alla politica fiscale o bancaria». La City è salva e i suoi diritti preservati dai tentativi di omogeneizzazione europei. Anzi Cameron ha richiamato, con accenti thatcheriani, una politica di riduzione delle tasse per le imprese e le persone fisiche così da attrarre il business mondiale. «Abbasseremo le tasse per le società al 20% ma allo stesso tempo combatteremo l'eleusione fiscale». «Il nostro obiettivo è di avere un mondo con i commerci più liberi di oggi, tasse per le imprese e le persone fisiche al giusto livello e trasparenza nelle regole del gioco». Per questo Londra, come un corsaro della regina di altri tempi, batterà i mari da sola chiedendo all'Europa di non ostacolarla e di non trascinarla indietro nelle classifiche della competitività globale, promettendo imposte le più attraenti del mondo e lasciando alle spalle una Ue che non sia il semplice «mercato unico». Cameron ha ricordato che Londra è un contribunete netto della Ue e il suo governo si considera il paladino di una società aperta, di una economia altrattanto aperta, di un mondo con imposizione fiscale equa e ragionevole che permetta agli individui, sotto il regime del capitalismo, che è il miglior sistema contro la povertà nel mondo, di poter bere un caffé e non di «sentirne solo l'odore». ANGELA MERKEL. Ad Angela Merkel piace molto il lavoro di Mario Draghi: se tutte le banche centrali fuori dalla zona euro "si fossero comportate come la Bce, oggi nel mondo avremmo meno problemi". La cancelliera tedesca, europeista ortodossa, sale sul podio del World Economic Forum un paio d'ore dopo David Cameron. Le intenzioni non sono belliche, nessuno scontro con gli inglesi. Ma il risultato è una visione diversa, più comprensiva, di quella utilitarista, nazionale e finanziaria di Cameron. "Non debbono essere le banche centrali a risolvere gli errori dei politici", dice la cancelliera. Il più serio di questi errori è la lentezza delle riforme. O le riforme mancate. "Molti economisti dicono che è meglio fare le riforme strutturali quando la situazione economica è meno tesa", riflette Angela Merkel. Ma la sua opinione è diversa: è proprio della crisi del debito che bisogna trarre vantaggio per aumentare le riforme, cioè la competitività. "È l'esperienza politica di cui spesso abbiamo bisogno per premere a favore delle riforme strutturali. La mia conclusione è che se in Europa la situazione è difficile, dobbiamo realizzare oggi le riforme strutturali per vivere meglio domani". Il cuore del riformismo tedesco è la competitività. L'Europa è il più grande mercato del mondo ma la sua popolazione è piccola paragonata ai grandi Paesi emergenti. Alla ineluttabile pressione demografica, l‘Europa che invece invecchia, può rispondere solo con l'innovazione e la competitività. Il libero scambio, un vero mercato del lavoro europeo, si: ma è sulla competitività, insiste la Merkel, che si gioca il futuro continentale. Qualche preoccupazione, ma non sembra eccessiva, solleva nella cancelliera tedesca i nuovi segnali di guerra mondiale sulle valute. "Sono soddisfatta degli accordi informali fatti dai Paesi del G8 per non manipolare i tassi di cambio", dice. Ma la decisione politica del governo giapponese di consentire alla sua banca centrale l'acquisto illimitato di bond, è un nuovo problema che va guardato "non senza qualche preoccupazione". MARIO DRAGHI. La luce che si intravvede in fondo al tunnel forse è reale. Ancora non si vede un effetto concreto dei sacrifici dei governi nazionali. Ma probabilmente questa azione virtuosa «nella seconda parte dell'anno si trasferirà sull'economia reale». Occorre continuare il processo di ricostruzione europea perché «le riforme sono inevitabili». E ancora: «Vorrei vedere un taglio dei costi di governo, un calo delle tasse, una gestione di investimenti per le infrastrutture, meno tagli alla spesa». Il «banchiere centrale più conosciuto al mondo», come viene presentato al Forum di Davos, propone speranze moderate e una moderata ma chiara visione dell'ingegneria europea. Ci sarà una vigilanza unica sulle banche europee ma il suo compito sarà di «lavorare intensamente» con le autorità nazionali. Un lavoro di coordinamento, dunque, più che di comando. Anche perché, ha ricordato Draghi, soprattutto sulla vigilanza unica «bisogna creare qualcosa di sovranazionale». Ma l'obiettivo della «mutualizzazione del rischio è a lungo termine» ed è una decisione «politica, non monetaria». È comunque qualcosa che non farà cambiare a David Cameron l'idea di un referendum sull'uscita del Regno Unito dalla Ue. Il 2012, secondo il governatore della Banca centrale europea, è stato «l'anno del rilancio dell'euro». I governi nazionali «hanno fatto progressi straordinari nel consolidamento fiscale e nelle riforme strutturali. La posizione fiscale generale è migliore, così gli spread, la competitività, la bilancia dei pagamenti». Per la prima volta, ricorda Draghi, è ripreso il processo di «ingegneria europea», quella calendarizzazione del cammino europeo cara a Delors, «una pratica che era stata dimenticata». Dovendo definire gli obiettivi strategici del 2013, il governatore della Bce sceglie «il superamento della frammentazione che ancora rimane». «Dobbiamo avere un mercato finanziario e dei capitali interamente integrato. Quest'anno è incominciato in una situazione diversa» dal passato: «c'è una relativa tranquillità». Ma Draghi non riesce ad essere del tutto soddisfatto. «Siamo nella situazione in cui hai un contagio positivo per i mercati finanziari – spiega – ma non vediamo ancora tutto questo trasmesso all'economia reale. Nella governance europea sarà un anno di concretizzazione delle scelte dell'anno scorso»: dalla teoria si passerà all'azione. «Ma solo se i governi nazionali insisteranno nelle riforme strutturali: competitività, export, mercato del lavoro, crescita». Se questo accadrà, i passi avanti fino ad ora compiuti e i loro benefici »nella seconda parte dell'anno si trasferiranno nell'economia reale».

Giussago e il microcredito (28 gennaio 2013).
Giussago, comune di sei mila abitanti in provincia di Pavia, vanta il primato di comune neorurale d'Italia. A pochi chilometri dalla Certosa di Pavia ha sul suo territorio imprese all'avanguardia su un paesaggio rurale rinaturalizzato. "Nel nostro Comune – recita una pubblicità - corridoi rurali e fibre ottiche, tradizioni architettoniche e progetti paesaggistici del domani sono già una realtà". Da questo luogo, è partito un importante segnale dell'amministrazione comunale. Gli artigiani, i coltivatori, gli operai si erano rivolti al sindaco, Massimiliano Sacchi, perché la banca non faceva credito. E il sindaco ha accettato la sfida e, senza pensare troppo su, ha predisposto una delibera di giunta, ha messo a disposizione un fondo di 15mila euro. Ciascun residente nel Comune può accedere, se in possesso dei requisiti necessari, a un finanziamento massimo, senza interessi, di 3 mila euro. I requisiti sono questi: essere in possesso di un lavoro, avere la residenza a Giussago, la cittadinanza in uno dei Paesi dell'Unione europea. Il prestito è concesso anche agli extracomunitari possono ottenere il prestito, se sono in ordine con il permesso di soggiorno. «A chi in banca non trova credito a volte basta poco per riprendersi» è la filosofia del primo cittadino che orgoglioso, ma senza mettersi in competizione con le banche offre ai suoi cittadini questo davvero nuovo servizio, per un'amministrazione comunale. D'altra parte se accedere a uno sportello bancario è impossibile, per i tassi di interesse troppo elevati, ecco che ad offrire aiuto c'è l'amministrazione comunale che offre questo aiuto alle famiglie in difficoltà. "Prestito d'onore" è il nome di questa operazione che è stata avviata con un fondo di 15 mila euro che potranno essere utilizzati per l'assegnazione di cinque crediti a famiglie o persone che abbiano i requisiti richiesti. Tremila euro, a richiedente, a condizione che possano servire per le spese più impellenti, dal pagamento dei libri per i figli all'affitto, dal corso di formazione per rientrare nel mondo del lavoro a particolari esami clinici fino ad arrivare alla rata del mutuo. «Si tratta di una forma sperimentale di micro-credito – spiega il sindaco – un prestito da restituire quando la famiglia può e, ovviamente, senza alcun interesse. L'obiettivo è quello di evitare il rischio di un'emarginazione sociale derivante da situazioni di disagio magari temporaneo che possono precipitare famiglie o persone in un vortice da cui poi è difficile uscire. Un esempio? C'è una discreta richiesta di autisti di scuolabus, ma serve la patente che dia l'abilitazione per guidare questi automezzi. In genere il costo si aggira sui 2/3 mila euro. In banca, se non dai garanzie, non ti danno neppure un centesimo. Una finanziaria chiede interessi troppo alti. Perché rinunciare a un'opportunità di lavoro se serve un minimo di investimento? In questo caso il prestito d'onore può ritornare utile». Certamente tre mila euro non sono una grossa cifra, ma è una buona opportunità per chi ha un bisogno temporaneo e serve poco per venirne fuori. Questo strumento serve anche a non far entrare in una logica assistenziale chi è colpito dalla crisi. In questi momenti di difficoltà per le famiglie, le persone che hanno bisogno non possono certo trovare aiuto o comprensione presso gli istituti di credito. Infatti si rivolgono al Comune. Certo le possibilità di intervento delle amministrazioni locali non sono infinite, ma a volte basta un piccolo aiuto per risolvere un grande problema. «Naturalmente si tratta pur sempre di un prestito, anche se d'onore e i soldi vanno comunque restituiti entro tre anni», raccomanda. Massimiliano Sacchi, primo cittadino di Giussago. In un precedente articolo abbiamo illustrato la potenza del microcredito; l'iniziativa di Giussago va in quella linea, ma ha un difetto: al prestito ccorre applicare sempre un interesse per quanto piccolo perchè il microcredito funziona solo se basato sul principio della convenienza da parte di due soggetti economici. La mancanza di un interesse sul prestito si presta facilmente a essere considerato una forma di assistenza dovuta.

Italia: pizza, mandolini e aeroporti (29 gennauio 2013).
Il campanilismo in Italia è un'eredità delle signorie e dei comuni ma non si pensava che ogni campanile volesse il proprio aeroporto. Fortunatamente la spending review ha posto lo stop a nuovi aeroporti, come quello di Viterbo e Grazzanise (Caserta): mai più fondi pubblici gettati al vento per finanziare l'apertura di cattedrali nel deserto. In Italia saranno solo 31 gli scali di interesse nazionale - oggi sono 43 quelli aperti a voli commerciali - che potranno beneficiare di interventi infrastrutturali. Gli altri aeroporti dovranno essere trasferiti alle Regioni che ne valuteranno la diversa destinazione d'uso e l'eventuale possibilità di chiusura nel caso in cui non siano economicamente sostenibili. È quanto strabilisce il Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale, emanato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Corrado Passera, che dopo 26 anni pone le basi per un riordino organico degli scali italiani, sotto il profilo infrastrutturale, dei servizi e delle gestioni.«Con questo piano colmiamo un grave lacuna del nostro Paese che durava da 26 anni», spiega il ministro Corrado Passera che ha presentato oggi il piano inviato all'esame della Conferenza Stato-Regioni. «Concentriamo sforzi e investimenti sugli aeroporti che rientrano nei piani infrastrutturali europei e, al tempo stesso, confermiamo il ruolo degli scali territoriali che servono importanti realtà locali», ha aggiunto Passera che ha ricordato come il piano non preveda la realizzazione di nuovi scali e punta alla progressiva uscita degli enti pubblici dal capitale delle società di gestione favorendo l'ingresso dei privati. Oggi gli aeroporti operativi sono112. Di questi, 90 sono aperti al solo traffico civile (43 aperti a voli commerciali, 47 a voli civili non di linea); 11 militari aperti al traffico civile (3 scali aperti a voli commerciali, 8 a voli civili non di linea), 11 esclusivamente a uso militare. Sono, quindi, nel complesso 46 gli aeroporti commerciali: ai 43 civili se ne aggiungono i 3 militari (Grosseto, Pisa e Trapani Birgi). I 31 aeroporti di interesse nazionale individuati nella proposta sono classificati in base alla rilevanza e al traffico: 10 sono inseriti nella «Core Network», cioè considerati di rilevanza strategica a livello Ue in quanto pertinenti a città o nodi primari; 19 in totale nella «Comprehensive Network», tra quelli con traffico superiore a 1 milione di passeggeri annui (13) e quelli con traffico superiore a 500mila passeggeri annui e con specifiche caratteristiche territoriali (6). A questa lista se ne aggiungono altri due "ripescati" perché in espansione.

Grilli: i Monti bond non sono un salvataggio (29 gennaio 2013).
I 3,9 miliardi di Monti bond liberati dal governo per il Monte dei Paschi non si configurano come un salvataggio. E la banca è solida, tanto che è "indispensabile non insinuare dubbi sulla solidità del sistema bancario italiano" a seguito dello scandalo derivati esploso a Siena. A sostenerlo è il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, nel corso di una relazione alle Commissioni finanze di Camera e Senato, che segue una riunione del Comitato di stabilità finanziaria. Quest'ultimo ha ribadito a sua volta il fatto che l'istituto nell'occhio del ciclone "ha una situazione patrimoniale complessiva solida" e "le tensioni che lo hanno riguardato non producono effetti sul sistema bancario nel suo complesso". Grilli ha precisato che uno dei "punti forza dell'Italia" è esattamente "la riconosciuta solidità del sistema bancario. Le nostre banche hanno mostrato capacità uniche. Non sono necessari salvataggi. Non bisogna insinuare dubbi sulla solidità del sistema, non risponde a realtà. Neppure le vicende Mps modificano il quadro", ha detto in Commissione finanze, richiamando la necessità di usare "prudenza e responsabilità nel dibattito pubblico sulla situazione dei nostri intermediari finanziari", in particolare sul caso del Monte. Sul ruolo della Vigilanza in particolare, Grilli ha spiegato che "anche grazie alle informazioni fornitemi dal Governatore, a mio parere l'azione di vigilanza è stata continua, attenta, appropriata e via via si è intensificata negli anni: è iniziata nel 2010 con il governatore Draghi e proseguita poi nel 2012 e nel 2013 con il governatore Visco". Nella vicenda Mps, ha sottolineato, "vanno tenute distinte le responsabilità individuali" da quelle della banca. Ripercorrendo poi l'attività svolta dagli uomini di via Nazionale negli anni passati, Grilli ha precisato che sono stati bloccati "comportamenti anomali a elevata rischiosità. Nel complesso - ha detto il ministro - Mps è stata sottoposta a un'intensa attività di vigilanza", che ha indotto "la banca a rafforzare i presidi organizzativi di controllo". Il documento di Bankitalia: Mps nascose i derivati durante gli accertamenti. Leggendo in Commissione la relazione di vigilanza, Grilli ha detto che Bankitalia ha avviato una procedura sanzionatoria nei confronti degli ex vertici, sulla scia dell'ispezione del 2011, conclusa il 9 marzo 2012, quando furono riscontrate "gravi carenze nei controlli interni". Due anni fa, cioè, non erano state superate le "tensioni sulla situazione di liquidità e un'elevata esposizione ai rischi di tasso" già segnalate l'anno prima. Nella ricostruzione preparata da Bankitalia per Grilli emerge che il contratto sull'operazione "Alexandria" fra Mps e Nomura, rinvenuto lo scorso ottobre dai nuovi vertici dell'istituto senese, "è stato celato agli ispettori di vigilanza sia nell'ispezione 2010 sia in quella del 2011". Ma nell'ultima nota di Bankitalia, datata 28 gennaio, "si evidenzia che, a seguito degli interventi effettuati, la situazione di liquidità è migliorata e il capitale ampiamente adeguato rispetto ai limiti regolamentari". Sui cosiddetti Monti bond, 3,9 miliardi di titoli che verranno sottoscritti dal Tesoro, Grilli ha aggiunto che "l'intervento dello Stato non si configura come un salvataggio di una banca insolvente, ma come un rafforzamento del capitale" secondo gli stadard Eba, l'autorità europea di sorveglianza delle banche. Il ministro ha dato notizia del fatto che ieri via Nazionale ha dato il via libera al riscatto dei vecchi Tremonti bond emessi da Mps per 1,9 miliardi, passaggio propedeutico all'emissione dei 3,9 miliardi di Monti bond. L'aiuto finanziario "non è a favore dei manager o degli azionisti, ma dei risparmiatori della banca". Grilli ha poi ricordato quelli che sono i dettagli tecnici del prestito da parte pubblica, specificando che si tratta di "un prestito a un tasso di interesse del 9% e non a fondo perduto". Per la banca, una volta che avrà richiesto ufficialmente il prestito, ci saranno condizioni "pesanti e con onerosità crescente per incentivare il rimborso nel più breve tempo possibile", che includono anche "limiti alle strategie commerciali e acquisizione partecipazioni". Previsti inoltre "divieti di distribuire dividendi, e vincoli a remunerazioni". Ragionando in termini tecnici, Grilli ha spiegato che un'eventuale conversione dei Monti bond in titoli Mps si "baserebbe su uno sconto del 30%" e comporterebbe "effetti diluitivi estremamente rilevanti per quanto riguarda gli azionisti correnti e vantaggiosi per lo Stato", che salirebbe all'82%. Quanto al Comitato di stabilità finanziaria ne fanno parte proprio il ministro Grilli, il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, e il presidente dell'Ivass (la neo autorità di vigilanza delle assicurazioni, ndr), Fabrizio Saccomanni. All'ordine del giorno della riunione odierna c'era "l'aggiornamento sulla situazione del settore finanziario italiano" e quindi la vicenda Mps. Il Comitato ha infatti esaminato la condizione del settore bancario, assicurativo e dei mercati finanziari, "rilevando i segnali di miglioramento, conseguenti soprattutto all'allentamento delle tensioni sul rischio sovrano".

Lavazza un marchio in crescita (30 gennaio 2013).
La Lavazza fa concorrenza alla catena di caffetterie Starbucks e alle analoghe catene aprendo una rete di 400 «coffee shop» in Gran Bretagna. Il piano si svilupperà nell’arco di dieci anni ma le prime 50 aperture sono previste già fra quest’anno e il prossimo o al massimo nel 2015, e cinque punti vendita sono pronti a partire quasi subito. La notizia ha suscitato l’interesse dei quotidiani britannici ed è stata confermata dall’azienda torinese. Quattrocento caffetterie sono tante e se c’è voglia di investirci è perché i sondaggi di mercato dicono che nonostante l’offerta abbondante già distribuita sul territorio esiste ancora una vasta domanda insoddisfatta di caffè; in particolare la Lavazza ha verificato che esiste da parte dei consumatori britannici il desiderio di un’autentica «Italian Coffee Experience», più autenticamente italiana. Al momento la Lavazza ha giù un presidio nel Regno Unito, al Trafford Centre di Manchester, e in più ha una concessione ad Harrods. I cinque locali di cui è prevista l’apertura nei prossimi mesi con il marchio «Lavazza Espression» sono a Derby, a Leeds, a Newbury e (due) a Londra. Lo sviluppo avverrà con l’aiuto di un socio locale, Catalyst Retail Limited, che conosce il mercato e il territorio e individuerà i posti giusti. Lavazza «non gestirà direttamente i punti vendita» ma sarà «il fornitore di caffè e il partner con cui sviluppare il concept del punto vendita, definire l’offerta di caffetteria e di food, occuparsi della formazione del personale attraverso i propri Training Center e fornire la consulenza degli store manager Lavazza». Ovviamente si darà la massima importanza al design degli interni, per creare l’atmosfera giusta. Ma al centro, dicono alla Lavazza, c’è la proposta ai britannici di «tutto il mondo della caffetteria con l’espresso italiano come base», e correlata a questa l’offerta di cibo sia dolce sia salato. La Lavazza ha già o sta sviluppando diverse catene di caffetterie qua e là nel mondo, di proprietà oppure in gestione indiretta (franchising o concessione) in città e aeroporti. Accordi importanti sono stati firmati in Russia e in Cina. Il marchio Lavazza Expression è presente dagli Stati Uniti all’Armenia, dal Libano alla Corea. La rete Barista ha 160 shop in India e la catena Caffè di Roma ha 80 punti in Italia e all’estero, soprattutto in Medio Oriente. Come Autogrill è leader mondiale della ristorazione su autostrade, aeroporti e stazioni, ora Lavazza tenta di comquistare una leadership nel settore caffetteria.

FIAT: riparte Grugliasco (31 gennaio 2013).
E’ stato intitolato all’Avvocato Giovanni Agnelli lo stabilimento di Grugliasco, ex Bertone, dove oggi è iniziata la produzione della nuova Maserati Quattroporte. Dal 2006 non si producevano più auto, da otto anni i lavoratori erano in cassa integrazione: la Fiat ha rilevato lo stabilimento per farne il perno della sua strategia di attacco nel segmento premium e lusso del mercato, oggi dominato dai marchi tedeschi. Presto alla Quattroporte si aggiungerà la più piccola “Ghibli” e l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, annuncia che entro l’anno ai 500 lavoratori rientrati dalla cassa si aggiungeranno gli altri cinquecento che oggi sono in attesa. Come già a Melfi, all’inaugurazione dello stabilimento ristrutturato per poter produrre un suv a marchio Jeep e un suv a marchio 500X, il presidente Jonh Elkann, accompagnato dalla moglie Lavinia Borromeo, prima, e Marchionne, subito dopo, passano fra due ali di operai e tecnici, numerose le donne, che applaudono calorosamente. Con una annotazione non da poco: la maggior parte di loro aderisce alla Fiom, il sindacato in rotta con la Fiat, e ha aderito all’organizzazione del lavoro chiesta dal Lingotto. Sia Elkann che Marchionne attraversano i lunghi corridoi e stringono la mano, a uno a uno, a ogni dipendente. Si procede lentamente: c’è chi chiede di scattare una foto ricordo con il presidente o con il manager dei due mondi dal maglioncino nero, chi bisbiglia una battuta, chi fa qualche sommessa richiesta, chi offre un suggerimrnto. Presidente e ad non si tirano indietro. «Abbiamo fatto scelte difficili per poter continuare a produrre in Italia - attacca il presidente di Fiat, John Elkann, che ricorda la scomparsa dell’Avvocato Giovanni Agnelli dieci anni fa e il suo impegno a garantire a tante famiglie lavoro, benessere e speranza. «Da allora - aggiunge - questo impegno non è mai venuto meno: per volere della mia famiglia e di Sergio Marchionne, nonostante le difficoltà. Non tutti hanno avuto l’onestà di riconoscerlo». A sua volta Marchionne conferma che Fiat non chiuderà stabilimenti in Italia. «Il piano di crescita della Maserati porterà a vendere 50 mila vetture l’anno entro il 2015 spiega - Se si considera che l’anno scorso Maserati ne ha vendute poco più di 6 mila, stiamo parlando di un salto epocale. Con la gamma attuale Maserati presidia appena il 21% del mercato del lusso, ma con i nuovi modelli in programma arriveremo a coprire il 100%. Si tratta di un piano ambizioso». L’ad del Lingotto torna anche sulle recenti polemiche per la cassa integrazione a Melfi, funzionale alla ristrutturazione delle linee per poter produrre i nuovi modelli. «Sono l’ennesima prova - dice - che la Fiat viene usata per fini politici. Le energie spese per attaccare la Fiat, gli sforzi, anche spasmodici, per trasformarla in un’arena politica... credo sarebbe molto più utile indirizzarli verso il risanamento del Paese». Nello stabilimento di Grugliasco si è poi riunito il consiglio di amministrazione della Fiat per approvare i conti del 2012. Il gruppo supera tutti gli obiettivi per il 2012 e chiude l’esercizio con un utile di 1,4 miliardi di euro, superiore alle stime degli analisti. Traina i conti Chrysler che guadagna 1,7 miliardi di dollari: senza la casa di Detroit Fiat avrebbe chiuso in perdita di oltre un miliardo. I risultati sono stati approvati dal cda, riunito per la prima volta in una fabbrica, la Maserati di Grugliasco. L’utile della gestione ordinaria del gruppo ha raggiunto i 3,8 miliardi (+18% sul 2011 pro forma), i ricavi ammontano a 84 miliardi (+12%). I Marchi di Lusso e Sportivi hanno registrato una crescita dei ricavi del 7%. L’indebitamento industriale netto del gruppo Fiat sale a 6,5 miliardi di euro da 5,5 miliardi di euro a fine 2011, con investimenti per 7,5 miliardi di euro. La liquidità complessiva è pari a 20,8 miliardi. Non ci sarà dividendo per gli azionisti del gruppo Fiat. È l’indicazione del cda «considerando che Fiat intende mantenere un elevato livello di liquidità e che sussistono restrizioni alla possibilità di Chrysler di distribuire dividendo ai propri soci». Le consegne del gruppo Fiat sono state pari nel 2012 a 4,2 milioni, con un incremento del 6%: in particolare 2.115.000 in Nord America, 1.012.000 in Europa, 979.000 in Sud America, 103.000 in Asia. Fiat conferma i target del 2013: ricavi nell’intervallo tra 88 e 92 miliardi di euro, utile della gestione ordinaria nell’intervallo tra 4 e 4,5 miliardi, utile netto nell’intervallo tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro, indebitamento netto industriale di circa 7 miliardi di euro. Il cda ha deliberato anche l’emissione di uno o più prestiti obbligazionari per un ammontare complessivo fino a 5 miliardi di euro - o importo equivalente in altra divisa - da collocarsi entro il 31 dicembre 2014 presso investitori istituzionali. L’obiettivo è «un’ottimale gestione del debito consolidato, anche in considerazione delle future scadenze».

MPS e finanza rossa (4 febbraio 2013). La vicenda del Mps è solo l'ultimo episodio della finanza creativa progressista. Che venne alla luce verso la fine degli anni Novanta, quando Romano Prodi da presidente del Consiglio non nascondeva le sue amicizie nel mondo della grandi banche (Gianni Bazoli, Corrado Passera, Alessandro Profumo) e il suo successore a Palazzo Chigi Massimo D'Alema nel 1999 guardava con simpatia alla scalata da parte del suo amico Roberto Colaninno e dei suoi «capitani coraggiosi» a Telecom. Sono gli anni in cui, come ricordava recentemente il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo, in un'intervista ad Avvenire «Mps acquisisce la Banca agricola mantovana, nel cui cda sedevano Colaninno, Gnutti, Fiorani, Consorte». Gli anni in cui, ricorda ancora Polillo «Guido Rossi definisce Palazzo Chigi «l'unica merchant bank dove non si parla inglese». Fino all'affaire Mps la vicenda più famosa e meno gloriosa di finanza rossa all'opera fu la scalata di Bnl operata nel 2005 dai «furbetti rossi» sulla quale Gianni Consorte, ex presidente dell'Unipol, la compagnia assicurativa «dei comunisti», ieri ha rivelato alcuni retroscena al Fatto Quotidiano. Come il patto, orchestrato da D'Alema e caldeggiato dall'allora segretario dei Ds Piero Fassino, per un'alleanza tra Monte dei Paschi di Siena e Unipol nella scalata a Bnl per formare il più grande gruppo bancario italiano all'ombra dell'allora Quercia. Un asse fallito, secondo Consorte, perché Siena disse no, poco convinta dai compagni di Consorte. Tutto peraltro confermato ai pm di Milano dall'allora governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che raccontò: «Sono venuti da me Fassino e altri (ci sarebbe stato anche Bersani, ndr) a chiedere se si poteva fare una fusione Unipol-Bnl-Montepaschi». Un'operazione poi naufragata, anche se rimasta nella storia per la telefonata tra lo stesso Consorte e Fassino nel corso della quale quest'ultimo non stava nella pelle: «Allora? Siamo padroni di una banca?». Ma la vera rivoluzione finanziaria a sinistra riguarda l'architrave economica della sinistra italiana: le cooperative. Protagoniste di una trasformazione epocale che ha portato le cooperative rosse da presidio del capitalismo pane-e-salame alla santa alleanza con quelle bianche di Confocooperative per formare un blocco di potere che dà 1,4 milioni posti di lavoro (fonte Censis) e fattura 140 miliardi di euro all'anno, ignorando ogni crisi. Le coop rosso-bianche hanno banche, assicurazioni, colossi della grande distribuzione, sono entrate anche nelle stanze dei bottoni di Rcs e quindi del Corriere della sera. Gli idealisti parlano di «quinto capitalismo» all'italiana. I più pratici, semplicemente, sostengono che «gli affari non hanno colore».

La Corte dei Conti boccia la politica di Monti (5 febbraio 2013).
In Italia la corruzione ha assunto una "natura sistemica" che «oltre al prestigio, all'imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione pregiudica l'economia della nazione». Lo ha detto il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, all'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei conti. Dopo la relazione del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, sull'attività della Corte dei conti nel 2012, l'intervento del Procuratore Generale della Corte dei conti Salvatore Nottola. Poi un rappresentante del Consiglio nazionale forense. Il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, non ha voluto fare commenti sulla realizzabilità delle promesse del leader del Pdl, Silvio Berlusconi, di abolire l'Imu e restituire le quote già versate dagli italiani. L'inaugurazione si è svolta a Roma, nella sede storica della Corte dei conti, in Viale Mazzini. L'aumento del prelievo fiscale, reso necessario «dall'urgenza di corrispondere alle richieste dell'Europa», ha portato alla «forzatura della pressione fiscale già fuori linea nel confronto europeo e favorendo le condizioni per ulteriori effetti recessivi», ha sottolineato Luigi Giampaolino. La Corte indica pertanto al nuovo Parlamento e al nuovo Governo come «indirizzo strategico» la «riduzione della pressione fiscale» che grava sull'«economia emersa» da finanziare con i maggiori proventi ottenuti dalla lotta all'evasione fiscale e dalla spending review e una più equa distribuzione del carico fiscale». Per Nottola il condono, proposto in campagna elettorale da Berlusconi, ha ragioni fondate, ma può essere patologico. La normativa sul condono fiscale «ha le sue ragioni», con motivazioni che sono «intuitive e fondate» e sono «la deflazione del contenzioso» e la possibilità «di realizzare in tempi rapidi introiti che difficilmente possono essere realizzati», ha affermato il procuratore generale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola, nel corso della conferenza stampa al termine della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, sottolineando tuttavia di non voler entrare nel merito del dibattito politico. Il procuratore ha comunque aggiunto che nella normativa sui condoni ci sono anche effetti "patologici". Secondo Nottola, invece, «il condono edilizio è un altro discorso e sarebbe proprio da evitare». Nottola ha sottolineato che sono moltepelici le «insidie sottese alla stipulazione dei contratti derivati».

ISTAT: il reddito degli italiani (6 febbraio 2013).
Il reddito disponbile per abitante si attesta a 20.800 euro sia nel nel Nord-ovest che nel Nord-est, è pari a 19.300 euro nel Centro, mentre scende a 13.400 nel Mezzogiorno. Nella media italiana, dunque, il dato è sotto 18 mila euro. I dati Istat sono chiari: nel Mezzogiorno i redditi sono di un quarto sotto la media nazionale (il 25,5%). Nella graduatoria regionale del reddito disponibile per abitante elaborata dall'Istituto di statistica, al primo posto si piazza Bolzano, con oltre 22.800 euro, e all’ultimo la Campania, con poco più di 12.500 euro. I dati relativi al 2011 testimoniano una crescita del reddito disponibile delle famiglie (a prezzi correnti) più marcata rispetto all’anno precedente nel Nord-est (+2,7%, contro il +2,1% a livello nazionale), grazie ai risultati molto positivi di Emilia Romagna (+3%) e Veneto (+2,8%). Nel Nord-ovest l’incremento è di poco inferiore (+2,5%), mentre nel Centro e nel Mezzogiorno la crescita del reddito disponibile si ferma sotto il valore medio nazionale (rispettivamente +1,5% e +1,6%). Nel 2011, è bene ricordarlo, l'inflazione certificata da Eurostat è stata del 2,9%. Prendendo come riferimento il 2008, invece, cioè l'inizio della crisi su base nazionale si è registrato un incremento dei redditi dello 0,4%. Particolare, in questo lasso di tempo, la dinamica differente tra Nord-est (+1,2%) e Nord-ovest (-0,5%). A soffrire di più la crisi è stata la Liguria, dove le famiglie hanno subìto una diminuzione del 2,9% del reddito disponibile. Le aree territoriali meno toccate dalla recessione sono state invece la provincia di Bolzano e il Veneto, con aumenti, nel periodo considerato, rispettivamente del 4,6% e del 3,3%. I redditi da lavoro dipendente sono la componente più rilevante nella formazione del reddito disponibile delle famiglie (a livello regionale la loro incidenza sul reddito disponibile varia tra il 51 e il 67%). Due anni fa, su base nazionale, il flusso è aumentato dell’1,7% rispetto al 2010. L’incremento è stato più consistente nel Nord-est (+3,1%), dove tutte le regioni hanno registrato una crescita superiore alla media nazionale, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia (+0,9%). All’opposto, la dinamica è particolarmente contenuta nel Mezzogiorno (+0,6%), dove varie regioni segnano diminuzioni del reddito da lavoro dipendente: -2,4% in Calabria, -1,6% in Molise e -0,5% in Sicilia; l’Abruzzo, in controtendenza, presenta l’incremento più alto del Paese (+4%). Quanto infine alle imposte correnti pagate dalle famiglie, queste sono aumentate a livello nazionale dello 0,6%. La loro incidenza, misurata sul reddito disponibile al lordo delle stesse imposte, è diminuita dello 0,2% a livello nazionale (da 14,9% a 14,7%) in maniera pressoché uniforme in tutte le regioni. Tale incidenza si conferma maggiore nelle regioni settentrionali, con i valori più elevati in Lombardia (16,5%) e in provincia di Trento (16,4%), e minore nelle regioni meridionali, con i valori più bassi in Basilicata (11,7%) e Calabria (11,3%).

Disaccordo sul bilancio dell'UE (7 febbraio 2013).
"Le posizioni sono ancora molto lontane, non possiamo dire adesso se ci sarà un accordo", ha dichiarato la cancelliera tedesca Angela Merkel, aggiungendo che farà "il possibile per raggiungere un’intesa" anche se in un periodo di incertezza economica e disoccupazione di massa "è importante poter programmare e spendere con attenzione, ma anche che ci sia una solidarietà tra contributori netti e paesi beneficiari". Si susseguono colloqui serrati. Herman Van Rompuy parla con Mario Monti. Il premier italiano nel pomeriggio sarà poi a colloquio con il presidente francese Francois Hollande, col premier inglese David Cameron e con quello spagnolo Mariano Rajoy. Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, punta a una proposta che possa soddisfare tutti, da presentare ai leader subito dopo l’inizio del vertice. Un'impresa difficile però, considerando le dichiarazioni di alcuni leader europei e le posizioni di alcuni stati. La nuova bozza di compromesso per il bilancio Ue, secondo alcune indiscrezioni, prevede tagli per oltre 40 miliardi di euro, di cui circa 13 per gli impegni e 30 per i pagamenti. I capitoli di spesa più colpiti sono le reti infrastrutturali, dimezzate da 40 miliardi a meno di 20 miliardi, le risorse per l’occupazione giovanile. Il tetto massimo autorizzato per gli investimenti futuri scenderebbe a 956,9 miliardi di euro (la proposta di novembre di Van Rompuy contemplava una cifra di 1008 miliardi). Per esempio, la Repubblica Ceca ha già annunciato di essere pronta a porre il veto sul bilancio Ue 2014-2020. "Sono venuto a Bruxelles con un mandato forte e inequivocabile da parte del governo ceco. Troviamo questa proposta inaccettabile e siamo pronti a usare il diritto di veto, vogliamo un budget ridotto e moderno che sia onesto per la Repubblica ceca", ha spiegato il primo ministro Petr Necas. "Se l’Europa deve cercare un compromesso a ogni costo abbandonando le sue politiche comuni, dimenticando l’agricoltura e ignorando la crescita, io non sarà d’accordo" ha avvertito Hollande, spiegando che per ottenere la crescita bisogna puntare su "le politiche comuni di solidarietà e politiche agricole che sono importanti per la storia e per l’avvenire dell’Europa". Il presidente francese ha inoltre posto l'accento sulla necessità di "fare chiarezza sui rimborsi, che vengono dati ad alcuni e non ad altri, sicuramente non alla Francia". Per il primo ministro greco, Antonis Samaras, "l’obiettivo è ritrovare la crescita. I fondi strutturali sono garanzia per il successo perché abbiamo bisogno di ripresa e crescita. In Grecia le necessarie riforme e la consolidazione fiscale sono in corso, ora abbiamo bisogno di crescita". Ancora più netto Cameron: "Non ci sarà un accordo se non ci sarà un taglio delle spese, le proposte di novembre sono troppo alte e devono scendere, se non scenderanno non ci sarà un accordo". Secondo il premier britannico, non si può pensare che l’Europa sia esentata dalle politiche di riduzione delle spese che caratterizzano tutti i bilanci nazionali. Anche lo stesso Mario Monti è scettico su una conclusione positiva del vertice di Bruxelles: "Resta da vedere, teniamo molto alla qualità dei risultati in termini di equità e giustizia, speriamo ci possa essere un accordo che deve avere due caratteristiche fondamentali, essere coerente con la priorità che abbiamo tutti deciso al Consiglio europeo di assegnare alla crescita che in termini di bilancio vuol dire soprattutto rendere effettivamente integrata l’Europa con le connessioni transfrontaliere e altre cose che favoriscono la crescita, e poi essere un bilancio equo, con aspetti di distribuzione fra i paesi che sono molto importanti". L’Italia, primo "contributore netto" (dà all’Ue più di quanto riceve), vuole ridurre il suo "saldo passivo": cioè non vuole spendere più di altri senza avere nulla in cambio, come invece succede a Germania e Gran Bretagna che godono di "sconti". Ora o mai più. La posta in palio è alta. Perché se falliranno i negoziati, l'Ue rischia di piombare nel caos e di non essere in grado di erogare aiuti né di prendere decisioni che impegnino fondi per l’immediato futuro e non solo.

MPS, nuovi particolari (7 febraio 2013).
Ogni giorno emergono nuovi particolari ad allargare lo scandalo che sta travolgendo il Monte dei Paschi di Siena. Citando la Banca d’Italia e fonti vicino alla vicenda, il Wall Street Journal ha denunciato che, alla fine del 2011, Mps era "così a secco di liquidità" che dovette "negoziare un prestito" di liquidità di circa 2 miliardi di euro con Bankitalia. Ma "pubblicamente i suoi dirigenti rassicuravano che la posizione finanziaria della banca più antica del mondo era adeguata". Ma, nonostante le continue accuse, i vertici del Partito democratico continuano a lavarsene le mani. In primis, Pier Luigi Bersani che va avanti a negare responsabilità da parte del partito. "Non nego che in passato ci siano stati degli errori nelle nomine del management di Mps da parte della Fondazione, ma il Pd non ha mai nominato nessuno, erano gli enti locali a scegliere la quasi totalità dei consiglieri", ha spiegato Bersani ai microfoni di Radio Capital prendendo, ancora una volta, una netta distanza dallo scandalo. Nessun mea culpa, nessuna scusa. Solo una fretta eccessiva di archiviare le indagini degli inquirenti che, nelle due ultime settimane, hanno fatto calare il Pd nei sondaggi. Bersani ha, infatti, ricordato la propria posizione critica "sul ruolo delle Fondazioni che controllano le banche" e come, però, "questo tema non sia mai stato affrontato". Nuovi particolari sulla gestione a dir poco avventata del banco senese mettono, però, in cattiva luce i vertici di Mps che hanno esposto l'istitituto a un passo dal fallimento. Come spiega lo stesso Wall Street Journal, infatti, la Banca d'Italia concesse a Mps il prestito nell'ottobre del 2011 perché "la banca stava ormai esaurendo tutta la liquidità e non aveva più gli strumenti per continuare a chiedere fondi alla Banca Centrale Europea". Tuttavia "per timori che si potesse creare panico sui mercati né Mps né la Banca d’Italia resero pubblico quel prestito". Secondo la normativa vigente infatti non vi è l’obbligo di comunicare tali operazioni, previste per tutte le banche dell’Eurosistema, al mercato. E, in una conferenze call con analisti ed investitori, subito dopo aver ricevuto il prestito, i dirigenti di Mps affermavano che la posizione finanziaria della banca era solida e che le necessità di raccolta per il 2012 erano state coperte. Da Francoforte, però, il presidente della Bce Mario Draghi ha difeso l'istituto di via Nazionale spiegando che c'è "un rapporto dettagliato" che dimostra come sia stato fatto tutto quello che si doveva e si sia agito velocemente. Secondo l'ex numero uno, anche il Fondo monetario internazionale avrebbe riconosciuto l’azione corretta della Banca d’Italia. "Spetterà ora alla banca senese portare avanti il programma di ristrutturazione ritornando in salute e in grado di generare profitti", ha aggiunto Draghi ricordando di aver firmato "entrambe le ispezioni su Mps" quando era presidente di Bankitalia, organismo che "non ha poteri di intervento politico o giudiziari". Un macigno da 730 milioni di euro,1.400 miliardi di vecchie lire. È questo l'impatto dei tre derivati Alexandria, Santorini e Nota Italia sul patrimonio netto del Monte dei Paschi di Siena calcolato al 31 dicembre scorso e che sarà approvato assieme ai conti a marzo. Ma l'amministratore delegato, Fabrizio Viola, rassicura. «Non abbiamo problemi di liquidità, abbiamo fatto chiarezza», ha dichiarato ricordando che grazie ai 3,9 miliardi di Monti-bond che il Tesoro sottoscriverà i coefficienti di patrimonializzazione sono solidi, al 12,1% (ben sopra il 9% imposto dalla vigilanza europea). La riserva di attivi disponibili per la vendita vale 2 miliardi: parlare di catastrofe sarebbe errato. In particolare, spiega la nota della banca, su Nota Italia l'erosione delle risorse è pari a 151,7 milioni di euro. Si tratta di un'altra scommessa andata male: la banca allora guidata da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni vendette nel 2006 a Jp Morgan credit default swaps (contratti di protezione dal rischio di fallimento dell'Italia). Pochi anni dopo le sarebbero stati utili per attutire l'impatto degli spread sui Btp in portafoglio, ma ormai il danno era fatto. Il 23 gennaio scorso la banca ha eliminato la componente in derivati pagando 139 milioni. Discorso diverso per Alexandria e Santorini che sono le operazioni più problematiche. La prima è un contratto stipulato nel 2005 con Dresdner Bank e avente come oggetto cartolarizzazioni di mutui ipotecari. Il valore iniziale dell'operazione è di 400 milioni di euro e fino al crac di Lehman Brothers che fa esplodere la crisi dei subprime tutto sembra andare per il meglio. Trattandosi di un'operazione legata al valore di un'attività sottostante il crollo è verticale e di qui nasce nel 2009 la ristrutturazione con Nomura che si impegna a ricomprare i titoli in cambio di Btp detenuti dal Monte (e beneficiando delle loro cedole) che, a sua volta dovrà ricomprarli entro il 2034. Quando l'«errore» è stato rilevato, dice Mps, pesava 308 milioni, la passività rimisurata nel bilancio 2012 è di 273,5 milioni. Idem per Santorini. Con quel derivato siglato con Deutsche Bank nel 2008 il Monte intendeva coprirsi sulla partecipazione detenuta in Intesa Sanpaolo. Strumento diverso ma stesso risultato (429 milioni l'«errore» rilevato) e stessa soluzione onerosa (ristrutturazione legata ai Btp) con un surplus di perdite legata a un'altra «scommessa» andata male sui tassi dell'area euro. Nel bilancio 2012 impatterà per 305,2 milioni. Mps inoltre ha sottolineato che la chiarezza sui derivati determinerà un piccolo beneficio. Dal 2013 il conto economico potrà contare ogni anno su 25 milioni in più grazie al disinnesco della mina. È giunto il momento di voltare pagina davvero («Ci riprenderemo tutto, la banca è stata danneggiata», ha detto Viola riferendosi ai 40 milioni sequestrati dalla Finanza). Il cda ha dato il via all'emissione dei Monti-bond per 4 miliardi (171 milioni serviranno come cedola sui vecchi Tremonti-bond). E, in fondo, la Borsa spera nel nuovo corso: ieri il titolo ha messo a segno un buon rialzo (+1,14%) recuperando quota 23 cent. "Adesso - riferendosi allo scandalo derivati, l’ad Fabrizio Viola ha assicurato che - non ci saranno altre Santorini e invito i media a ridurre a zero l'attenzione sullo scandalo. Gli strumenti strutturati sono stati corretti dal Montepaschi e trasformati in semplici finanziamenti. Alexandria e Santorini sono già state trasformate in asset swap con oggetto titoli di Stato. Mentre Nota Italia è un’operazione del 2006 che incorporava un derivato con oggetto la protezione sul rischio Italia, assimilabile soprattutto ai Btp, che non era stato correttamente contabilizzato sin dall’inizio dell’operazione - ha spiegato Viola - nel mese di gennaio avevamo già chiuso il derivato sul rischio Italia, riducendo il rischio complessivo della banca. Questa chiusura ha consentito a Mps, a fronte dell’impatto negativo, di avere un effetto positivo grazie alla plusvalenza tra la chiusura del derivato e il valore che avevamo attribuito al 31 dicembre. Una plusvalenza riconducibile al calo dello spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi". Un'osservazione che giova fare è che, anche da conoscenze strette all'interno del MPS, risultano due fatti, primo, i manager della banca e dela fondazione non sarebbero in grado di grandi strategie, qualcuno ci deve essere che dietro le quinte conduce i giochi, secondo, nell'ambiente si sapeva da anni che la situazione della banca era grave e Bankitalia cosa faceva?.

Produzione industriale ancora in calo (9 febbraio 2013).
Il tessuto produttivo italiano ha vissuto un anno da incubo. La certificazione di questo dato già ampiamente percepito, dovuto anche al tracollo dei consumi, è arrivata dall'ISTAT. La produzione industriale nella media del 2012 ha infatti segnato un calo del 6,7% (considerando i dati grezzi, cioè senza la correzione per effetti di calendario, la variazione tendenziale è stata del -6,2%). In termini di volumi, cioè di quantità di beni prodotti, si tratta del livello più basso almeno dal 1990. Dall'inizio della crisi, cioè dal picco raggiunto nel 2008, l'indice della produzione industriale ha perso un quarto del suo valore. A dicembre la produzione è salita dello 0,4%, in base all'indice destagionalizzato, mentre sull'anno è scesa del 9,3% considerando il dato grezzo. La crescita dell'ultimo mese del 2012 è superiore al +0,3% che secondo l'analisi di Bloomberg, su un campione di 18 stime, era indicata come aspettativa. L'indice corretto per gli effetti di calendario segna -6,6% su anno e -6,7% nella media dei 12 mesi, la variazione più bassa dal 2009. Nel trimestre ottobre-dicembre l’indice ha invece registrato una flessione del 2,2% rispetto al trimestre precedente. Al netto degli effetti di calendario, a dicembre 2012 si sono registrate variazioni tendenziali negative in tutti i raggruppamenti principali di industrie. Le diminuzioni più marcate riguardano i beni intermedi (-9,4%) e i beni di consumo (-7,7%), mentre flessioni più contenute si rilevano per l’energia (-3,7%) e per i beni strumentali (-2,5%). Sempre a dicembre, per quanto riguarda i settori di attività economica si segnalano le diminuzioni nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-16,8%), nell’industria del legno, della carta e stampa (-11,4%), nell’attività estrattiva (-10,8%) e la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-10,7%). Il responsabile dell'indagine Istat, per spiegare il crollo della produzione industriale, ha fatto riferimento alle grandi imprese che soffrono e a quelle che chiudono e ha fatto l'esempio della Fiat, dove ormai si lavora pochi giorni l'anno. A dicembre la produzione di autoveicoli in Italia ha subito una flessione del 26,5% rispetto al mese precedente. Su base annuale, si registra un calo del 19,5%.

UE: tagli al bilancio (10 febbraio 2013).
Qualche fondo in più per la coesione, notizie discrete per l'Italia e in generale equilibri nazionali poco alterati. Ma a livello comunitario, a vincere sono i tagli. Secondo la bozza di compromesso sul bilancio elaborata nella notte da Van Rompuy, il tetto complessivo di spesa scende a 960 miliardi di euro per gli impegni e 908,4 per i pagamenti effettivi. La proposta iniziale della Commissione europea era di circa mille miliardi di trasferimenti effettivi. Questa la proposta che il presidente avrebbe presentato al tavolo dei capi di Stato e di governo dopo una notte di incontri, bilaterali e riunioni durate oltre 10 ore, con i leader dell'Unione. Così, per la prima volta nella storia dell'Unione Europea, il bilancio comunitario non aumenta. La riduzione rispetto all'ultimo bilnacio del 2007-2013, a livello di impegni e pagamenti effettivi, è rispettivamente di 34 e 34,6 miliardi. "Lo scoglio principale era quello di trovare un'intesa sulle cifre e questo è stato fatto, ora si continua a negoziare", riferiscono alcune fonti in mattinata. La Gran Bretagna sarebbe ora "soddisfatta" del nuovo testo. Sul bilancio in bozza pesa però il giudizio negativo del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz: "Non posso immaginare che il Parlamento approvi un bilancio che crea deficit, perchè cioè è illegale", ha detto all'Ansa, mentre si trova a Milano per una serie di incontri, con riferimento alla differenza di 51,6 miliardi di euro previsti nella bozza Vanm Rompuy tra stanziamenti ed effettiva liquidità. Il socialdemocratico tedesco già prima della riunione aveva precisato che sarebbe stato intransigente sul rispetto dell'equilibrio, con una sottolineatura minacciosa: "Rischiamo il fiscal cliff". Quanto all'Italia, si registrano alcune novità interessanti: il suo saldo netto migliora di 500 milioni di euro all'anno, e passa così da un saldo netto negativo di 4,5 miliardi nel periodo 2007-2011 a un saldo negativo di 4 miliardi per il settennato 2014-2020; che è sempre, comunque un pesante saldo negativo. Secondo i primi conti relativi alla bozza, complessivamente dovrebbero esserci 3 miliardi dedicati all'Italia in più, equamente ripartiti tra le voci relative al supporto alle "regioni meno sviluppate", colpite dalla crisi, e allo "sviluppo rurale". La cifra di 960 miliardi di euro per i cosiddetti "impegni" è di 11,9 mld inferiore a quella proposta da Van Rompuy nel fallito vertice di novembre scorso. La somma di 908,4 miliardi è per i "pagamenti", ovvero l'effettiva liquidità a disposizione per le politiche europee fra il 2014 ed il 2020. Quest'ultima è a metà strada fra le due ipotesi di inizio serata (fra 903 e 915 miliardi). Nella bozza aumentano di 1,25 miliardi di euro i fondi per Pac. Crescono di 4,659 miliardi anche i fondi per la coesione "economica, sociale e territoriale". Gli stanziamenti complessivi sono oggi 324,707 miliardi, nella proposta del fallito summit di novembre erano 320,148 miliardi. Più significativi sono i tagli, che vanno a colpire aree nevralgiche per la crescita economica: infrastrutture, innovazione e ricerca vengono ulteriormente tagliati di 13,84 miliardi. Nella bozza vengono infatti stanziati 125,69 miliardi, nel fallito vertice di novembre erano 139,54 miliardi e ben 164,31 nella proposta della Commissione. Nel solo capitolo "Connecting Europe", per la realizzazione di infrastrutture nel settore dei trasporti, delle reti e dell'energia, vanno persi oltre 11 miliardi. Scure anche sull'amministrazione di un altro miliardo di euro rispetto a novembre, e quasi due miliardi in meno per gli Affari Esteri, ovvero il portafoglio a disposizione di Cathrine Ashton. Il capitolo 4, che comprende anche il servizio diplomatico, nella bozza presentata da Herman Van Rompuy ai leader ha una dotazione di 58,767 miliardi. E' prevista la conferma del fondo per gli aiuti ai cittadini più poveri, ma con un taglio: vengono stanziati 2,1 miliardi di euro, il Parlamento ne aveva chiesti 2,5 miliardi. I capitoli di spesa "tradizionali" vengono quindi tutti preservati, e i tagli si concentrano sulla spesa comune che non tocca "buste nazionali" e quindi interessi particolari. La tanto attesa iniziativa contro la disoccupazione giovanile di Van Rompuy viene finanziata con circa sei miliardi di euro, a cui potranno accedere i Paesi dove il tasso di disoccupazione giovanile supera il 25%, quindi Italia compresa. Nella proposta non è indicata la clausola di flessibilita richiesta dal Parlamento europeo. Secondo fonti europee il lungo lavoro notturno si è reso necessario per rivedere la suddivisione tra i capitoli di spesa (agricoltura, coesione, infrastrutture, servizio diplomatico, amministrazione, ecc.) e la ripartizione del "peso" degli sconti di cui godono paesi come Gran Bretagna, Germania, Olanda, Danimarca e Svezia.

Rapporto CERVED 2012 sulle imprese (13 febbraio2013).
Il 2012 è stato ancora un anno nero per le imprese italiane: 12.000 fallimenti, 2.000 procedure non fallimentari e 90.000 liquidazioni: oltre 104 mila imprese sono entrate in crisi o hanno dovuto chiudere i battenti, un valore che supera quello già molto elevato del 2011 (+2,2%). Questi i dati forniti oggi da Cerved Group che evidenzia un boom delle nuove forme di concordato preventivo, introdotte dalla riforma entrata in vigore a settembre: si stima che nel solo quarto trimestre dell’anno siano state presentate circa 1.000 domande, soprattutto nella forma del concordato con riserva. Nel 2012 sono aumentate sia le crisi di impresa (fallimenti, procedure concorsuali di ristrutturazione di impresa o di altro tipo), sia le liquidazioni. Un’analisi su informazioni di dettaglio del Registro delle Imprese indica poi un vero e proprio boom dei nuovi concordati preventivi: si stima, prosegue il Cerved, che nel solo quarto trimestre del 2012 siano state presentate un migliaio di domande, soprattutto nella forma del concordato con riserva (un valore paragonabile alle domande di «vecchio’ concordato presentate in tutto l’anno). Il 2012 è stato un anno particolarmente duro per i fallimenti: il numero di procedure aperte nell’anno (oltre 12 mila, +2,1%) rappresenta infatti un record nell’intero periodo di osservazione, che addirittura supera i livelli pre-riforma fallimentare, quando la platea di imprese per cui i tribunali potevano aprire una procedura era significativamente più ampia. Nel corso del 2012, i default sono aumentati nei servizi (+3,1%) e nelle costruzioni (+2,7%), mentre la manifattura - pur con un numero di fallimenti che rimane a livelli critici - ha fatto registrare un calo rispetto all’anno precedente (-6,3%). Dal punto di vista geografico, le procedure sono aumentate nel Nord Ovest (+6,6%) e nel Centro (+4,7%), mentre sono rimaste ai livelli dell’anno precedente nel Sud e nelle Isole (-0,4%). Nel Nord Est i casi sono invece diminuiti (-4,3%), ma sono stati più che compensati dal forte incremento delle liquidazioni, che ha portato il totale di chiusure nell’area a superare quota 20 mila (+8,6% sul 2011). L’anno che si è chiuso segue un lungo periodo di alta tensione sul fronte dei fallimenti: da quando nel 2009 la crisi ha colpito l’economia italiana, sono infatti andate in default più di 45 mila imprese. Il numero maggiore ha riguardato imprese del terziario (quasi la metà), ma i dati dicono che è stata l’industria a subire l’impatto maggiore della recessione: il totale delle società di capitale manifatturiere fallite tra 2009 e 2012 ammonta infatti al 5,2% di quelle che avevano depositato un bilancio valido all’inizio del periodo considerato, contro una percentuale pari al 4,6% nelle costruzioni e al 2,2% nel terziario. I livelli più critici sono stati raggiunti da due settori tipici del made in Italy, come il sistema casa (7,9%) e il sistema moda (7,1%). Le stesse statistiche indicano che l’impatto geografico della crisi nei quattro anni è stato avvertito maggiormente nel Nord della Penisola (3,5% nel Nord Ovest e 3,2% nel Nord Est), rispetto al Centro-Sud (2,7%): le regioni che hanno sofferto di più risultano Friuli (4,4%, con una punta nella provincia di Pordenone pari al 5,9%), Marche (4,1% con Ancona che tocca il 4,9%) e Piemonte (3,6%), mentre Valle d’Aosta (1,9%), Lazio (2,1%) e Basilicata (2,1%) risultano le meno colpite.

ISTAT: pil ancora in calo (14 febbraio 2013).
Ancora un dato negativo per l'Italia sul fronte economico. Nell'ultimo trimestre del 2012 la contrazione congiunturale del Prodotto interno lordo è stata dello 0,9%, dopo il -0,2% segnato nei tre mesi precedenti. A dirlo sono i dati preliminari diffusi giovedì mattina dall'Istat. Peggio dell'Italia, nell'eurozona, fanno solo Portogallo e Cipro, con un calo del Pil rispettivamente dell'1,8% e dell'1%. La Spagna fa registrare invece un -0,7%. Le stime degli economisti, elaborate in un sondaggio diffusi dall'agenzia Reuters, indicavano una calo del Pil più contenuto, dello 0,6%. Su base tendenziale, nel quarto trimestre dell'anno scorso l'economia italiana ha subito una flessione del 2,7% dal 2,4% del precedente trimestre. Le stime erano per una flessione del 2,3%. L'Istat ha inoltre fornito la prima valutazione sull'andamento dell'economia italiana sull'intero 2012: il dato aggiustato per i giorni lavorativi indica una flessione del Pil pari al 2,2% rispetto al 2011. Le notizie sul Pil hanno frenato la corsa della Borsa di Milano. Notizie non buone anche sul fronte europeo: il Pil dell'Eurozona, comunicato dall'Eurostat, è sceso dello 0,6% nel quarto trimestre del 2012. Si tratta del peggior dato dal primo trimestre 2009, quando arrivò in Europa l'ondata del fallimento di Lehman Brothers. In quel primo trimestre 2009, rispetto a 12 mesi prima, il crollo del Pil dell'Eurozona registrato dall'istituto di statistica europea fu di -5,4%. Leggermente migliore il dato per l'intera Unione europea: -0,5%. Per l'Eurozona è il terzo trimestre consecutivo in recessione: invariato nel primo del 2012 (+0,0%), -0,2% nel secondo, -0,1% nel terzo, -0,6% nel quarto. Si riduce invece leggermente il crollo del Pil greco. Eurostat indica -6,0% nel quarto trimestre 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011. Questa la sequenza nei tre trimestri precedenti, paragonati ai corrispondenti periodi di 12 mesi prima: -6,7% nel primo, -6,4% nel secondo, -6,7% nel terzo.

I pm affondano Finmeccanica (15 febbraio 2013).
Dopo aver strozzato, Ilva, Saipem ed Eni ora i pm, che probabilmente non conoscono la differenza tra lobby e corruzione, affondano anche Finmeccanica. "Quando la praticano gli americani si chiama lobby; quando la fanno gli altri, diventa corruzione". In una intervista alla Stampa Jagdish Bhaqgwati, professore alla Columbia University di New York e studioso del Council on Foreign Relations, spiega chiaramente come il modus operandi, portato avanti anche da Finmeccanica in India, sia la prassi nei mercati internazionali. Non sono, però, d'accordo i pm italiani la cui crociata gistizialista contro una delle nostre eccellenze sta mandando in fumo migliaia di posti di lavoro aggravando pesantemente la crisi economica. Il risultato immediato è un assist al presidente francese Francois Hollande che è subito volato a Nuova Delhi per sfruttare lo stallo italiano. Il presunto scandalo, che ha portato all'arresto dell'amministratore delegato Giuseppe Orsi, rischia di arrecare pregiudizi pesantissimo nei confronti del colosso italiano fino a perdere i vecchi contratti già firmati e minare l'aggiudicazione di nuove commesse. L’India ha già avviato l'annullamento dell'ordine degli elicotteri AugustaWestland sottoscritta nel 2010. Secondo quanto riporta il Times of India, il ministero della Difesa indiano avrebbe già inviato alla divisione britannica di Finmeccanica un avviso per concedere una settimana di tempo per addurre ragioni valide per non annullare il contratto. E, mentre il governo di Nuova Delhi dà il ben servito all'Italia, Hollande corre dal premier Manmohan Singh per banchettare sulla debolezza di Finmeccanica. "C'è stato un positivo passaggio dai rapporti commerciali allo sviluppo e alla produzione congiunta di avanzati sistemi di difesa in India, che espanderà la nostra partnership strategica India-Francia", ha assicurato Singh al termine di un lungo incontro con Hollande che, sfruttando lo stallo italiano, si è portato al suo seguito un folto stuolo di aziende d'oltralpe. Come riporta Milano Finanza, nella missione indiana di Hollande erano infatti presenti i manager di Eurocopter ingolositi dal vuoto che verrebbe a crearsi nel campo della difesa con Finmeccanica fuori gioco. Non è, infatti, un mistero il fatto che l'incontro tra Hollande e Singh abbia già fruttato alla Francia un contratto da circa 4 miliardi di euro per lo sviluppo congiunto di un sistema di difesa anti missile a corto raggio. Il primo inquilino dell'Eliseo non intende fermarsi qui. Si tratta, infatti, per sottoscrivere nuove commesse per il caccia Mirage 2000 e il sottomarino Scorpene. "Non stupisce che nella folta delegazione a seguito di monsieur le président si trovino anche esponenti di Thales, Ariane-Space, Eads e Dessault - si legge su MF - questi ultimi, esattamente un anno fa, hanno soffiato al gruppo di piazza Monte Grappa la maxi commessa da 10 miliardi per la fornitura di 120 caccia all'aviazione indiana". Nel frattempo, in Italia, la magistratura continua a bastonare Finmeccanica. Mentre il governo indano bloccava i pagamenti sui rimanenti elicotteri non ancora consegnati dal gruppo, Orsi è stato interrogato nel carcere di Busto Arsizio dal gip di Busto Arsizio, Luca Labianca. Durante l'interrogatorio l'ad di Finmeccanica ha consegnato la lettera di dimissioni dall'incarico di presidente. Una decisione dettata dalla speranza di riuscire a "rasserenare il clima che si è venuto a creare in conseguenza delle indagini". Clima che, purtroppo, la magistratura continua a infuocare.

Minzolini assolto dalle accuse (15 febbraio 2013).
Minzolini è stato prosciolto dall'accusa di aver usato in modo indebito la carta di credito aziendale. Minzolini avrà modo di rifarsi in sede civile, ma non tutti i danni sono risarcibili in euro, quando si toccano la dignità e la credibilità di un uomo. Fa rabbia che non il Pm, non la Rai, non i colleghi infangatori e infamatori sentano il bisogno di chiedere scusa. È disarmante che questo popolo di giustizialisti non debba pagare per i propri errori. Che sono tanti e si annidano anche dentro l'ondata di manette fatte scattare nelle ultime ore: il finanziere Proto, l'imprenditore Cellino, il manager del Montepaschi Baldassarri. Storie diverse e tra i malcapitati c'è anche Angelo Rizzoli, l'erede del fondatore del gruppo editoriale, anziano e molto malato anche per avere subito un calvario giudiziario che gli ha bruciato un terzo dell'esistenza: 27 anni per vedersi riconosciuta l'innocenza da accuse su vicende finanziarie degli anni Ottanta. L'uso spregiudicato della giustizia distrugge le persone, ma anche il Paese. Uno per tutti: il caso Finmeccanica, che pare creato apposta per oscurare la vicenda Montepaschi, molto scomoda alla sinistra. Solo la magistratura italiana si permette di trattare come se fosse una tangente da furbetti del quartierino il corrispettivo di una mediazione per un affare internazionale da centinaia di milioni di euro. Cosa dovrebbe fare la più importante azienda di alta tecnologia italiana (70mila dipendenti iper qualificati, i famosi cervelli) in concorrenza con colossi mondiali, grandi quanto spregiudicati? E se fra due anni, come accaduto in piccolo a Minzolini, si scopre che non c'è stato reato, chi ripagherà i miliardi in commesse persi a favore di aziende francesi e tedesche? Non c'entra «l'elogio della tangente» che ieri il solito Bersani ha messo in bocca a Berlusconi, che si è invece limitato a dire come stanno le cose nel complicato mondo dei grandi affari internazionali. Attenzione, che l'Italia delle manette non diventi l'Italia degli errori e orrori. Vorrei ricordare come sia passato sotto silenzio il fatto che Guargaglini, past-president Finmeccanica, indagato dalla Procura di Roma per frode fiscale e false fatturazioni E' STATO SCAGIONATO dalle accuse.

G20 di Mosca. Euro troppo forte (18 febbraio 2013).
Conclusioni del G20. Mano libera per tutti: dollaro, yen e sterlina procedano con le svalutazioni competitive. Noi no. L'euro sopravvalutato, a trazione tedesca, rimane come sempre fuori dal mondo, fuori dalla realtà. Senza una banca centrale degna di questo nome. Altro che spread! Per quasi due anni siamo corsi dietro questo maledetto differenziale, salvo accorgerci (ma poi negarlo) che la partita si stava giocando su un altro campo. Le valute, l'euro troppo forte, la nostra inesistente politica monetaria. La perdita, per tutta l'Eurozona, di competitività e di appeal rispetto al resto del mondo. Per un intero decennio abbiamo vissuto in una bolla opportunistica in cui della moneta unica europea coglievamo solo i vantaggi di sistema. Senza curarci di come gli altri paesi avessero adottato svalutazioni competitive tali da collocare la moneta europea in una scomoda condizione di sopravvalutazione. Questo il gioco esterno. All'interno, tutti i paesi lucravano sull'euro, dal punto di vista dei bassi tassi di interesse, ma nessuno si rendeva conto della sua debolezza sistemica. Il bengodi dell'Eurozona è durato dall'introduzione della moneta unica nel 1999 fino a ottobre 2009, quando la crisi in Grecia ha svelato tutti i difetti della moneta unica.
Ci sono due storie, quindi, dell'euro. E una doppia debolezza. Quella interna «distributiva», fatta di svalutazioni competitive tra nord e sud, con il nord più forte che svaluta rispetto al sud più debole. E quella esterna, in cui il resto del mondo fa lo stesso gioco nei confronti dell'Eurozona. Se ci si fosse fermati a riflettere sulla genesi della crisi, probabilmente se ne sarebbero comprese le cause: la doppia debolezza. E la «cura» sarebbe stata appropriata ed efficace. Invece no. A nessuno è saltato in mente di fare un'analisi seria e condivisa di quel che stava succedendo. La Germania ha dato la propria interpretazione e quella è diventata la dottrina dominante: «lo spread è alto, è colpa tua, fa i compiti a casa». Una teoria di matrice calvinista, cui nessuno ha replicato: né le istituzioni europee, né alcuno dei paesi dell'Unione. E che è stata accettata da tutti passivamente e acriticamente nell'Eurozona. Da qui misure di consolidamento dei conti pubblici che, però, come dice la miglior letteratura economica, realizzate in periodi di crisi economica e finanziaria hanno effetti opposti a quelli sperati. E che non tenevano conto della sopravvalutazione della nostra moneta.
Si è andati avanti di questo passo per più di un anno e mezzo, con rendimenti dei titoli di Stato oltre il 6% in alcuni Stati dell'Unione, tra cui Italia e Spagna, e rendimenti al minimo storico, fino all'1% in altri paesi, come la Germania. Il 24 luglio 2012, nonostante le medicine amare somministrate, i differenziali erano agli stessi livelli di fine 2011. Un anno di cure, ma senza ottenere nulla. È così che, anche vedendo come andavano le cose negli Usa, ci si è finalmente accorti che il problema era la doppia debolezza dell'euro. Per dare una risposta alla debolezza interna la Banca centrale è intervenuta, annunciando, con il presidente Mario Draghi, un piano di acquisti sul mercato secondario di titoli, con vita residua fino a 3 anni, del debito pubblico dei paesi sotto attacco speculativo. Et voilà, lo spread è sceso. Peccato, se lo avessimo capito un anno e mezzo prima, ora saremmo tutti più ricchi. E più felici. È bastata la minaccia della Bce di prendere in mano il bazooka e tutto si è risolto.
Ma nulla è stato fatto sulla fragilità dovuta ad eccesso di rigidità dal fronte esterno. Il Giappone, in recessione, ha sempre lottato con uno yen troppo forte e con il blocco, da parte degli Stati Uniti, di ogni tentativo di svalutazione, giustificato dal rischio di una crisi globale qualora si fosse intervenuti sullo yen. Ma da dicembre 2012 in Giappone c'è un nuovo governo, e il primo ministro, Shinzo Abe, ha annunciato un piano di stimolo del governo per 116 miliardi di dollari, finalizzato a un aumento del Pil di almeno 2 punti percentuali e alla creazione di 600.000 posti di lavoro, nonostante un rapporto deficit/Pil del paese oltre il 10% e un rapporto debito/Pil superiore al 220%. Risultato: svalutazione, di fatto, dello yen. Svalutazione neanche tanto implicita, dato che al piano del governo si aggiunge la politica monetaria espansiva della banca centrale giapponese, la Bank of Japan, che è già all'ottava tranche, dal 2010 a oggi, di quantitative easing, vale a dire l'acquisto massiccio sul mercato primario di titoli del debito pubblico (negli USA la Fed è ancora ferma al QE3).
Il primo che ha iniziato a riflettere sull'euro troppo forte è stato il premier francese François Hollande, secondo il quale occorre rilanciare le esportazioni dei paesi dell'Unione ed evitare che gli sforzi che si chiedono agli Stati per aumentare la competitività delle proprie economie vengano annientati dalla quotazione della moneta, che non rispecchia più la situazione reale dell'Eurozona. Anche perché, lo storico rafforzamento dell'euro, che il primo febbraio ha raggiunto il massimo da novembre 2011, a quota 1,3711 rispetto al dollaro (nonché 126,97 rispetto allo yen: record da aprile 2010), è la causa strutturale del formarsi dei differenziali tra i paesi dell'Eurozona, ove alcuni registrano ampi surplus della bilancia commerciale, come la Germania, che ha chiuso il 2012 a +6,3%; mentre altri si sforzano per recuperare pesanti deficit per non incorrere nei meccanismi sanzionatori dell'UE.
E proprio la Germania, che basa oltre il 50% della sua crescita sulle esportazioni, è legata a doppio filo all'andamento dell'euro e ha reagito per prima, negativamente, alle dichiarazioni di Hollande. Uno studio di Morgan Stanley dimostra che un cambio euro/dollaro sostenibile per tutti i paesi dell'Eurozona è 1,33, mentre l'economia tedesca può sopportare rialzi fino a 1,53; la Francia fino a 1,23 e l'Italia fino a 1,19. Livello massimo già ampiamente superato. Eppure in Italia nessuno ne parla. Nessuno ha commentato le dichiarazioni di Hollande, secondo cui «alcuni paesi usano i tassi di cambio per sostenere la loro crescita». Affermazione che assume carattere ancor più pesante se tra questi paesi si considerano non solo gli Stati Uniti e il Giappone ma anche la Cina e la Gran Bretagna, dove il nuovo governatore della Bank of England, Mark Carney, ha annunciato a breve decisioni di politica monetaria orientate ad un allentamento in chiave espansiva. Insomma, tutte le banche centrali mondiali sono in movimento. Da questa considerazione deve derivare il cambio della politica economica europea, al fine di adottare un modello più vicino a quello giapponese. E la strada non può essere che quella di ridiscutere fermamente una svalutazione dell'euro nei confronti del dollaro e delle principali valute, con relativa reflazione dell'economia tedesca, pena il permanere della recessione nell'intera Eurozona. Che dire allora? Abbiamo avuto l'ennesima conferma che in Europa i giochi si fanno a Francoforte. Con buona pace della cancelliera Merkel e del presidente Monti, che evidentemente non fanno parte della partita, nonostante le loro ambizioni. Ne deriva che le oscillazioni degli spread delle ultime settimane erano più legate alla guerra monetaria che si stava combattendo tra le valute mondiali, piuttosto che alla risibile teoria che queste dipendessero dal ritorno sulla scena politica italiana di Berlusconi. Al G20 che si è tenuto a Mosca, i ministri delle Finanze e i banchieri centrali hanno parlato proprio della guerra delle monete. E quindi del conseguente rischio di una nuova crisi dell'euro.
Ma al nostro presidente del Consiglio, ancorché in carica per gli affari correnti, tutto questo non interessa più. È in campagna elettorale, tutto preoccupato a salvare la sua discutibile armata brancaleone del 10%. Continuando a vivere nella sua bolla di arrogante narcisismo. E il resto non lo tocca. Lasciamolo nella sua allucinata illusione ancora per una settimana.

Oscar Giannino e i falsi titoli accademici (18 febbraio 2013).
E' raro che mi occupi di politica nelle mie rubriche, ma in questo caso faccio un'eccezione perchè riguarda Oscar Giannino, personaggio che ha contribuito ad imbarbarire la lotta politica per le elezioni 2013.
Non è nuovo ad uscite ad effetto, Luigi Zingales. L'economista firma de L'Espresso soltanto poche ore fa aveva picchiato duro Luca Cordero di Montezemolo sostenendo che il suo movimento "ha attirato tutti gli stronzi". Ma il bello doveva ancora venire. Perché su Facebook il vulcanico Zingales, liberista convinto, ha annunciato il suo addio ad Oscar Giannino e a Fare per fermare il declino. Il motivo è semplice: secondo Zingales Giannino è un bugiardo. "E' con una disperazione profonda che ho rassegnato le mie dimissioni da Fare per Fermare il Declino. Non mi dimetto certo perché sono in disaccordo con le proposte di Fare. Sono fiero della campagna elettorale che è stata fatta e ringrazio Oscar Giannino, Michele Boldrin, e tutti quanti per l'enorme sforzo che vi hanno dedicato. Credo fermamente nelle idee che abbiamo portato avanti insieme. Ma ho sempre pensato che anche le idee più sane abbiano bisogno di gambe sane. Finora, con tutte le difficoltà e tutti gli errori di un movimento nato in fretta, Fare aveva realizzato un piccolo miracolo, selezionando per lo più liste di persone brave e pulite. Grazie alla difficoltà della battaglia solitaria, gli arrivisti si erano concentrati principalmente altrove". E qui, un pensiero agli "stronzi" montezemoliani sorge spontaneo... Il problema, sostiene Zingales, è il "rigore nel metodo: onestà, trasparenza, ed accountability". "I fatti sono i seguenti - scrive ancora Zingales -. Quattro giorni fa, per caso, ho scoperto che Oscar Giannino ha mentito in televisione sulle sue credenziali accademiche, dichiarando di avere un Master alla mia università (Chicago, ndr) anche se non era vero. Anche la sua biografia presso l'Istituto Bruno Leoni ora prontamente rimossa riportava credenziali accademiche molto specifiche e, a quanto mi risulta, false. Questo è un fatto grave, soprattutto per un partito che predica la meritocrazia, la trasparenza, e l'onestà. Ciononostante, il fatto per me ancora più grave è come questo brutto episodio è stato gestito. In una organizzazione che predica meritocrazia, trasparenza, ed onestà, la prima reazione avrebbe dovuta essere una spiegazione di Giannino ai dirigenti del partito, seguita da un chiarimento al pubblico. Invece Oscar si è rifiutato, nonostante io glielo abbia chiesto in ginocchio". Giannino, via Ansa, ha smentito un suo master alla Chicago Booth: "Vorrei chiarire che su questo c'è un equivoco. Io il master non l'ho preso alla Chicago Booth. Sono andato a Chicago a studiare l'inglese e così via. Bastava chiederlo e avrei risposto. Lo chiarisco perché - ha aggiunto - in rete c'è una cosa che monta. Luigi Zingales insegna alla Chigaco Booth, mi è capitato di parlarci ed è uno dei nostri fondatori. Insegna lì. Io sono stato a Chicago da giovane a studiare e - ha concluso - non ho preso il master alla Chicago Booth". Chissà che risponderà ora Zingales, perché la sua accusa è pesantissima. "Gli italiani sono alla disperata ricerca di leader politici di cui potersi fidare. Ma come possono fidarsi di un candidato leader che mente sulle proprie credenziali accademiche? In aggiunta, tollerare queste falsità mina alla base la credibilità di un movimento". "Per fortuna, incalza l'economista - Fare non è solo Oscar Giannino. Ci sono decine di migliaia di attivisti fantastici che stanno lavorando sodo per cambiare l'Italia. Il mio cuore è con loro. Per questo voterò Fare. Ma, lo farò turandomi il naso. Mi auguro che dopo le elezioni Fare si trasformi, come promesso, in un partito democratico, in cui tutti, a cominciare dal leader, siano accountable delle loro azioni e ci sia tolleranza zero per certi atteggiamenti. Solo così Fare potrà evitare di degenerare nel solito marciume politico italiano". Giova notare che se Giannino ha dimostrato di essere un bugiardo, Boldrin, da parte sua, nelle varie comparsate televisive mostra di essere rancoroso, maleducato e poco professionale. Giannino non solo ha mentito sui titoli accademici inesistenti (lauree e master), ma la sua vanità lo ha portato ad affermare di aver partecipato, da piccolo, allo Zecchino d'oro, comparizione anch'essa inventata. Infine sbugiardato da tutti si dimette da presidente del Fare, carica priva di valore, ma, ultima furbata, resta candidato premier.

ISTAT: calo fatturato industria (20 febbraio 2013).
E' stato un anno da dimenticare per l'industria italiana. Nel 2012, secondo i dati pubblicati oggi dall'Istat, considerando la media annua il fatturato dell'industria ha infatti registrato un calo del 4,3% rispetto al 2011. Ancora più drammatica la dinamica degli ordinativi, cioè le commesse incassate dalle aziende e che quindi dovrebbe fare da riferimento per i mesi a venire, che hanno registrato un tracollo del 9,8%. Il bilancio è emerso grazie alla comunicazione odierna del dato di dicembre, che per l'Istituto nazionale di statistica si è chiuso con una crescita dello 0,8% del fatturato rispetto a novembre, ma una diminuzione del 9,2% dell'indice grezzo rispetto a dicembre 2011. L'ultima variazione tendenziale del fatturato è composta da una crescita dello 0,5% sul mercato interno e dell’1,5% su quello estero. Nella media degli ultimi tre mesi del 2012, l’indice complessivo registra una flessione del 2,1% rispetto ai tre mesi precedenti. Significativa la ripartizione per quanto riguarda i singoli settori: l’incremento tendenziale maggiore del fatturato a dicembre si registra infatti nel settore della "fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi" (+25,1%), mentre la diminuzione più marcata riguarda le "altre industrie manifatturiere, riparazione e installazione di macchine ed apparecchiature" (-18,7%). Guardando al comparto delle auto, nel mese di dicembre 2012 il fatturato degli autoveicoli ha registrato un calo del 5,8% su base tendenziale mentre gli ordinativi hanno segnato una contrazione del 16,6%. Gli ordini di dicembre sono diminuiti dell'1,8% su novembre e del 15,3% su dicembre 2011. A preoccupare è il fatto che nell'ultimo scorcio del 2012 si è verificato un calo da parte degli esteri (-2,5%) superiore rispetto a quelli interni (-1,3%). L’aumento più marcato si registra nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+11,4%), mentre il calo più rilevante si osserva nella produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-26,0%). Sempre oggi l'Istat ha rilasciato i dati relativi al settore delle costruzioni, la cui produzione a dicembre è aumentata dell'1,6% rispetto a novembre, mentre è diminuita del 18,3% su dicembre 2011. Su base tendenziale il dato corretto per gli effetti di calendario è di -15,4% (i giorni lavorati sono stati 19 contro i 20 di dicembre 2011). Nell'intero 2012 la produzione nelle costruzioni è diminuita del 14% rispetto al 2011 (-14,2% il dato corretto per gli effetti del calendario).

Italia: 15 miliardi nel gioco d'azzardo (20 febbrauio 2013).
Abbiamo il 22 per cento del mercato globale del gioco d'azzardo online con una popolazione inferiore all'1% a livello globale. Non ascoltate le Cassandre che vedono la ripresa sempre più lontana. Non date retta ai menagrami secondo cui la recessione sta strozzando la nostra economia. C'è in Italia un settore che tira, e tira da matti: quello delle bische online . Ovvero, la nuova frontiera del gioco d'azzardo. «Abbiamo meno dell'uno per cento della popolazione mondiale e il 22 per cento del mercato globale dei giochi online», garrisce un comunicato stampa diffuso lunedì da Netmediacom, riportando i risultati di uno studio del portale Netbetcasino.it . Per nulla intimoriti dal rischio che «il gioco può causare dipendenza», né ispirati dal suggerimento di «giocare con moderazione» che accompagna il diluvio di pubblicità televisive, nel 2012 i nostri connazionali hanno speso 15 miliardi e 406 milioni. Una cifra colossale, che fa impallidire perfino la somma pure enorme investita dai francesi: 9 miliardi 408 milioni. E gli inglesi, inventori delle scommesse? Si sono fermati a 3 miliardi appena, a poca distanza dagli spagnoli: 2 miliardi 354 milioni. «È un settore economico in cui il nostro Paese fa da traino al resto d'Europa», esultano gli autori dello studio, sottolineando come il fatturato del gioco d'azzardo abbia surclassato in un solo anno quello di 12 miliardi dei viaggi online, e proceda spedito nel 2013 verso i 18 miliardi. Ma è un record mondiale che fa venire letteralmente i brividi. Perché è difficile non mettere tale primato in relazione con l'impoverimento degli italiani. Fra il 2001 e il 2011 il Prodotto interno lordo pro capite a prezzi costanti, considerando cioè anche l'inflazione, è diminuito in Italia del 3,8%. In valore, 946 euro pro capite. Nell'area dell'euro è stato il peggiore risultato in assoluto. Solo in un altro Paese la ricchezza reale prodotta da ciascuno è calata: il Portogallo, dove però è scesa dello 0,9 per cento. La Germania ha messo a segno un +12,3%. La Francia e la Spagna, +4,7. L'Austria, +13,1. Perfino la Grecia, nell'arco di quegli undici anni, ha visto crescere la ricchezza individuale dell'8%. E dopo l'impoverimento materiale, come non cogliere in quel record dei biscazzieri online anche un segno di impoverimento culturale? Lo dicono chiaramente anche i dati sull'aumento degli abbandoni scolastici e la diminuzione delle iscrizioni all'università, in un'Italia che ha metà dei laureati rispetto alla media europea. Ancora: quel primato l'ha raggiunto un Paese, dice Eurostat, con la minore propensione in Europa all'uso dell'informatica. Gli italiani fra i 16 e i 74 anni che non hanno mai aperto una pagina Internet sono il 37%. Peggio di noi soltanto Cipro (36), Bulgaria (42), Grecia (42) e Romania (48). Idem per la diffusione dei collegamenti Internet nelle abitazioni: siamo al 63%, contro una media del 76% dell'Unione europea, appena un soffio sopra Portogallo (61), Cipro e Lituania (62). Per non parlare delle carenze oggettive della nostra infrastruttura informatica. Che però non hanno scoraggiato, qui dove ancora le pubbliche amministrazioni hanno difficoltà a dotarsi dello sportello unico per le imprese e ci sono soltanto (fonte Confartigianato) 541 Comuni su 8.092 in grado di far svolgere ai propri cittadini tutte le pratiche via web senza recarsi materialmente in municipio, la concessione di un numero sorprendente di autorizzazioni per le bische elettroniche. Direte: l'Erario ci fa un sacco di soldi. Fosse anche così, sarebbe già alquanto discutibile che lo Stato incentivasse un'attività per la quale è necessario dare un avvertimento del tipo «drogatevi pure, ma con moderazione». Senza considerare le drammatiche conseguenze sociali del gioco d'azzardo, diventata un'autentica malattia nazionale con la sua catena di usure e suicidi. Ma il fatto è, come ha già avuto modo di ricordare il Corriere un paio di mesi fa, che il Fisco incassa dalle giocate online un miserissimo 0,6%: il che ha fatto precipitare la tassazione effettiva su tutto il gioco d'azzardo «legale» dal 30 al 10%. E sapete quanti sono oggi i siti Internet operativi? Trecentonovantuno. Intestati a una quantità incredibile di società. Molte sono controllate da soggetti con base a Cipro e Malta. O Gibilterra, come la Bwin sponsor del Milan. Ma anche in Olanda, Gran Bretagna e Austria. E San Marino. Alcuni sono schermati dietro fiduciarie: è il caso della società di Antonio Porsia. Ex assistente, ha documentato un'inchiesta di Sigfrido Ranucci per Report di Milena Gabanelli, degli ex ministri Francesco D'Onofrio e Tiziano Treu, è presidente e azionista della Hbg gaming, la cui maggioranza è custodita nella Fiduciaria Finnat della famiglia Nattino. Di altri si sono occupati le cronache: per esempio la Atlantis B plus, finita al centro di un'inchiesta che ha coinvolto l'ex presidente della Banca popolare di Milano Massimo Ponzellini rivelando rapporti con politici del centrodestra. Ma la febbre ha contagiato anche i Comuni di Venezia e Sanremo, proprietari dei rispettivi casinò che sono titolari anch'essi di concessioni per il gioco online. In un mondo nel quale girano tanti soldi, non poteva poi mancare l'ombra delle organizzazioni criminali. Il 16 aprile 2009 i magistrati hanno sequestrato le azioni di una delle tante società concessionarie, poi messa in liquidazione: i suoi proprietari erano accusati di riciclaggio. E le banche? Come facevano a restare fuori? Ecco allora che la Mpventure, posseduta in maggioranza dal Monte dei Paschi di Siena, controlla il 40% di Neomobile spa, proprietaria di Neomobile gaming (casinoplanet.it). Mentre Intesa Sanpaolo è presente in forma indiretta (insieme con Generali e Palladio finanziaria) nel capitale della Snai. Un consigliere di amministrazione di Unicredit è invece presidente della Cogetech (maxipoker.it , virginpoker.it, runneropoker.it) e altri sei siti. Risponde al nome di Giovanni Quaglia: ex presidente margheritino della Provincia di Cuneo e vicepresidente della Fondazione Cassa di risparmio di Torino. Non è l'unico personaggio di spicco, in un settore nel quale si sono buttati a pesce colossi come la De Agostini, azionista di Lottomatica, e la Sisal: presieduta, quest'ultima, dall'ex ministro ed ex commissario dell'Alitalia Augusto Fantozzi. Ed è impossibile non ricordare che della partita è anche la Mondadori di Silvio Berlusconi attraverso la Glaming (glaming.it). Ha ottenuto dai monopoli di Stato la concessione quando il Cavaliere era premier e alla presidenza della società sedeva nientemeno che Aldo Ricci, collocato per ben due volte dal governo del patron di Mediaset a capo della Sogei, azienda pubblica che gestisce l'anagrafe tributaria. Potremo andare avanti chissà quanto, raccontando storie e personaggi. Merita però di essere menzionata la marcia indietro di Poste italiane, che dopo aver chiesto e ottenuto la concessione per i giochi online (le Poste, ci pensate!) si è ravveduta. E ha per fortuna deciso di non renderla operativa. Meglio tenersi alla larga... Sergio Rizzo da Corriere.it

Gli stranieri se ne vanno (21 febbraio 2013).
Dal 2011 l’Italia non è più paese di immigrazione, ma è tornata a essere terra di emigrazione, spiega ActionAid. Nel 2011 sono arrivati in Italia 27mila stranieri e se ne sono andati 50mila. Gli effetti della crisi economica stanno pesando fortemente sui più deboli e quindi anche sui migranti, che se ne vanno a cercare fortuna altrove. Il saldo è pesantemente negativo, l’Italia si spopola e anche le previsioni a lungo termine di un Paese popolato in gran parte da stranieri nel 2060 a questo punto dovranno essere riviste. Di questo passo fra cinquant’anni l’Italia sarà soltanto un luogo da evitare. “Ad andarsene sono i migranti che appartengono alle categorie più deboli e in particolare quelli che a causa della crisi economica hanno perso il lavoro”, afferma Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid. Ed è il lavoro una delle principali criticità della condizione dei migranti in Italia, spiega l’associazione nel documento “Il mondo è un pianeta migrante. La condizione del lavoro per loro si riassume nelle “5 P”: il lavoro migrante è Precario, Poco pagato, Pesante, Pericoloso e Penalizzato socialmente. “Attualmente un lavoratore straniero percepisce 300 euro in meno rispetto ad un lavoratore italiano”, continua De Ponte. “Uno stipendio netto medio mensile è di 973 euro, rispetto ai 1286 di un italiano. La condizione peggiora nel caso delle donne, per le quali il divario salariale nei confronti delle italiane è del 30%”. Non è solo l’Italia a non essere più attraente per i migranti, ma l’intera Europa. Infatti la crisi economica globale – secondo ActionAid – sta in parte allentando le differenze Nord/Sud. La mappa mondiale della migrazione sta cambiando radicalmente: prima l’80% del flusso migratorio partiva dal Sud per raggiungere il Nord. Oggi un terzo si sposta all’interno dei paesi più poveri, un terzo continua a voler raggiungere i paesi ricchi e un terzo si sposta dai paesi ricchi ai paesi emergenti..”Ormai è tempo di garantire maggiori diritti ai migranti - conclude Da Ponte - altrimenti rischiamo di aumentare l’esclusione sociale, che la crisi economica sta già rendendo insostenibile. Il primo dei diritti da garantire è che chi nasce e cresce in Italia sia cittadino italiano”.

CGIA di Mestre: crescono le partite IVA (25 febbraio 2013).
Forte crescita nel 2012 delle partite Iva: ne sono state aperte 549.000 (+2,2% sul 2011), e il 38,5% del totale, pari a 211.500 (+8,1%), sono ascrivibili a giovani con meno di 35 anni. L'incremento maggiore, secondo l'analisi della Cgia di Mestre su dati del ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze, tra gli under 35 è stato al Sud (37,8% del totale). L'aumento del numero delle partite Iva in capo alle donne under 35 è stato del 10,1%. L'anno scorso le nuove iscrizioni tra le giovani donne hanno superato le 79.100 unità (pari al 37,4% del totale under 35). Il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, interpreta così questi risultati: «L'aumento del numero delle partite Iva in capo ai giovani lascia presagire, nonostante le misure restrittive introdotte dalla riforma del ministro Fornero, che questi nuovi autonomi lavorano prevalentemente per un solo committente. Visto che questo boom di nuove iscrizioni ha interessato in particolar modo gli agenti di commercio/intermediari presenti nel settore del commercio all'ingrosso, le libere professioni e l'edilizia riteniamo che la nostra chiave di lettura non si discosti moltissimo dalla realtà». Secondo Bortolussi, i tre settori che hanno registrato il maggior numero di aperture tra gli under 35 sono stati: il commercio all'ingrosso e al dettaglio (51.721 pari al 24,4% del totale nuove partite Iva aperte dai giovani); le attività professionali (45.654 pari al 21,5% del totale); le costruzioni (20.298 pari al 9,6% del totale).

Risultati elezioni (26 febbraio 2013).
SENATO
Centro sinista 31,6%
Centro destra 30,66%
M5S 23,79%
Centro 9,13%

CAMERA
Centro sinista 29,53%
Centro destra 29,13%
M5S 25,55%
Centro 10,54%
Con il premio di maggioranza il Centro sinistra conquista la maggioranzaassoluta.

Elezioni Regionali
LOMBARDIA
Centro destra (Maroni) 42,81%
Centro sinista 38,24%
M5S 13,62%

LAZIO
Centro sinista (Zingaretti) 40,65%
Centro destra 29,32%
M5S 20,22%

MOLISE
Centro sinista (Frattura) 44,70%
Centro destra 23,80%
M5S 16,76%

Le agenzie caute sull'Italia dopo il voto (27 febbraio 2013).
Le Borse europee, dopo il crollo di ieri, provano a rialzare la testa in scia a Wall Street e alle parole del numero uno della Fed, Ben Bernanke, che continuerà le sua politica di espansione monetaria acquistando bond, ma sullo scenario macroeconomico però pesa come un macigno l'esito del voto in Italia che dopo aver affossato Piazza Affari (bruciati 17 miliardi nella seduta di ieri) ha spinto le vendite in Asia (Tokyo ha perso l'1,27% con forti volumi) nonostante la buona performance di Wall Street che ha recuperato lo 0,84%. Il mercato non pare convinto dell'apertura del Pd di Pierluigi Bersani al M5S di Beppe Grillo che replica: "Valuteremo legge per legge". Gli investitori danno poco peso ai positivi dati dell'Istat sul clima di fiducia dei consumatori, che a febbraio aumenta a 86 punti dagli 84,7 di gennaio. Dinamica migliore per il clima personale (da 89,3 a 91,7), mentre quella relativa al clima economico generale passa da 72,7 a 72,9. Ieri SandP's sottolineava lo stato di incertezza sulla governabilità dell'Italia, non prevedendo, però, ritocchi ai rating. Nella notte - attraverso una nota - l'agenzia Moody's sottolineava che "l'incertezza è negativa per il rating". Una posizione che - peraltro - gli investitori avevano già scontato con le vendite di ieri. Così come il rischio di nuove elezioni che prolungherebbe l'instabilità politica del paese. Per Moody's, però, c'è anche il rischio di un "riaccendersi della crisi della zona euro", perché le implicazioni del voto vanno "ben oltre la sola Italia". Un rischio recepito anche sul fronte del debito pubblico perché lo spread, il differenziale di rendimento tra Btp e Bund, tornato in area 345 punti, ai massimi da tre mesi. In Spagna, nel frattempo, il premier Mariano Rajoy ha annunciato un rapporto tra deficit e Pil del 6,7% per il 2012, peggio dell'obiettivo indicato al 6,3%. Sul fronte delle materie prime, il prezzo del petrolio è a quota 93 dollari al barile.

Visco e i mercati dopo le elezioni (28 bebbraio 2013).
I mercati ne hanno risentito, ma non hanno punito il titolo Italia. Chi investe sul debito pubblico italiano sono innanzitutto le stesse famiglie che hanno votato in questi giorni e non vanno deluse. Occorre un disegno organico rivolto al futuro che sappia parlare soprattutto ai giovani». Si esprime così il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, qualche ora dopo che l'asta dei BTp si è chiusa con rendimenti in rialzo ma sotto la soglia psicologica del 5% e collocando l'importo massimo di titoli prefissato. Anche se non lo dice, il Governatore segue con vigile attenzione ogni movimento sulla domanda, interna e estera, che riguarda il titolo Italia e non può non apprezzare che la risposta del mercato sia stata migliore per l'asta a lungo termine rispetto a quella a breve di martedì, come è dimostrato dal fatto che in proporzione sono saliti di più i rendimenti dei BoT rispetto a quelli dei BTp. Siamo lontani, molto lontani dal novembre del 2011, quando la curva dei rendimenti dei nostri bond di Stato si era pericolosamente invertita e si doveva pagare di più per fare acquistare titoli a breve termine rispetto a quelli a dieci anni che a loro volta avevano raggiunto livelli record sostenibili solo per una fase limitata. Il rischio, per intenderci, era quello che non ci fosse domanda per l'acquisto di titoli pubblici italiani in scadenza, non era solo quello di dover pagare tassi sempre più elevati ma piuttosto che qualche asta non riuscisse proprio a chiudere i suoi collocamenti nemmeno al minimo importo prefissato. «Abbiamo corso un rischio enorme, reale, un rischio che la gente ha rimosso perché non si è materializzato. Era enorme e reale allora, e bisogna mettere le condizioni, fare le cose e comunicarle, perché non si riproponga» è il commento di Visco. Per capire a che cosa si riferisce il Governatore, qual è il "disegno organico" di cui il Paese ha vitale bisogno, occorre attingere ai testi perché Visco non vuole aggiungere altro, si appella all'esercizio della responsabilità che richiede il massimo di prudenza in questi giorni. È ovvio che l'Italia ha bisogno di un governo che affronti i temi veri di una crisi terribile che è entrata nelle case degli italiani, senza mai uscirne, che morde sull'economia reale e si abbatte sui giovani, in bilico tra vecchi lavori che non ci sono più e nuovi che tardano a venire o a farsi riconoscere, in mezzo a un sentimento diffuso di paura che rischia di alimentare una crisi di sfiducia che il Paese non merita. «Serve un disegno organico» è il pallino fisso del Governatore, va costruito passo dopo passo e va, soprattutto, spiegato, comunicato, proprio per invertire il clima, domare la paura, indicando una prospettiva di crescita, seria e riconoscibile, contagiosa nella speranza e nella fiducia.

L'addio di Benedetto XVI (1 marzo 2013).
Dalle 20 in punto del 28 febbtaio, come stabilito, Benedetto XVI non è più Papa, in seguito alla rinuncia da lui stesso annunciata l'11 febbraio scorso. Inizia ufficialmente, dunque, la Sede Vacante, il periodo di interregno durante il quale si svolgerà il Conclave che eleggerà il successore di Ratzinger. Quest'ultimo, che risiederà a Castelgandolfo per poi ritirarsi in preghiera nel convento Mater Ecclesiae in Vaticano, assume il titolo (inedito nella millenaria storia della Chiesa) di «Papa emerito». «Cari amici sono felice di essere con voi circondato dalla bellezza del creato»: queste le prime parole di Benedetto XVI che ha ringraziato la folla di fedeli assiepata sotto la residenza di Castel Gandolfo. «Non sono più pontefice ma solo pellegrino», ha aggiunto il Papa che è atterrato nella residenza papale estiva dopo essere decollato dalla Città del Vaticano alle 17.05 con il sottofondo delle campane di San Pietro. Mentre con tre rintocchi della Patarina, la storica campana del campanile di Palazzo Senatorio, Roma Capitale ha salutato Benedetto XVI. Quando l'elicottero con il Pontefice Emerito ha sorvolato piazza del Campidoglio i presenti hanno applaudito e poi sventolato in alto i volantini che raffigurano i manifesti realizzati per il Pontefice, con su scritto «Rimarrai sempre con noi. Grazie». In piazza c'erano, oltre al sindaco di Roma, Gianni Alemanno, i rappresentanti di Giunta e Assemblea capitolina, lo staff dell'amministrazione, alcuni dirigenti, turisti e cittadini ai quali è stato regalato il volantino con l'immagine di Papa Ratzinger. «Grazie, grazie di cuore, cari amici sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Sono grato per la vostra amicizia». Con queste parole il Papa si è rivolto alla folla che lo attendeva nella piazza di Castel Gandolfo. «Voi sapete - ha aggiunto - che oggi la mia presenza non é come le altre volte. Non sono più, anzi lo sono solo fino alle 8 della sera, il Pontefice. Sono ora semplicemente un pellegrino che inizia la sua ultima tappa in questa terra, vorrei ancora lavorare con tutte le mie forze, con il mio cuore e la mia preghiera, per il bene della Chiesa e del mondo , andiamo avanti insieme. Vi impartisco con tutto il cuore la mia benedizione». Dopo questo commiato Benedetto XVI è rientrato negli appartamenti. L'unico segno della fine del Pontificato è stata la chiusura del portone del palazzo di Castel Gandolfo, con le guardie svizzere che hanno lasciato il loro servizio per tornare in Vaticano.

Krugman: il rigore deprime l'Europa (2 marzo 2013).
La gente mi chiede quale sia la mia posizione sulla questione della guerra delle valute. Tutto si basa su un equivoco e sarebbe una pessima cosa se le autorità dovessero prendere sul serio la faccenda. Per cominciare, quello che la gente pensa di sapere sulle guerre valutarie del passato in realtà è falso. Tutti usano un'espressione del genere «protezionismo e svalutazione competitiva» per descrivere il presunto circolo vizioso degli anni 30, ma come ha fatto notare Barry Eichengreen, questi due concetti sono in contraddizione fra loro. Se il Paese A e il Paese B si lanciano in una guerra di dazi e controdazi, il risultato finale è una restrizione degli scambi commerciali; se cercano entrambi di far scendere il valore della propria moneta, il risultato finale, nella peggiore delle ipotesi, è che tutti e due tornano al punto di partenza. Le guerre valutarie quasi sicuramente rappresentano un vantaggio per l'economia mondiale. Negli anni 30 furono un vantaggio perché i Paesi si scrostarono di dosso la "doratura", abbandonando il gold standard per essere liberi di perseguire politiche di espansione monetaria. Oggi non è questo il problema: Giappone, Stati Uniti e Gran Bretagna stanno cercando di portare avanti una politica di espansione monetaria, con la svalutazione della moneta come effetto collaterale. Una politica di espansione monetaria è quello di cui il mondo ha bisogno, che motivo c'è di vederla come un male? L'Europa rischia di subire una perdita di competitività. Ma ha una risposta a disposizione: emulare gli altri Paesi avanzati e convincere la Bce a intraprendere misure di espansione. Anzi, se il timore di un euro troppo forte finisse per tagliare l'erba sotto i piedi ai falchi della Bce, sarebbe un bene per tutti. Se si parla di svalutazione della moneta, oggi, l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa. Su entrambe le sponde dell'Atlantico, gli "austerofili" sembrano in preda al panico. È una buona notizia: è il segnale che si stanno rendendo conto di stare perdendo il dibattito. Partiamo dalla storia del presentatore televisivo Joe Scarborough, che in risposta alla mia partecipazione anti-austerity al suo show ha scatenato una bizzarra campagna per convincere il mondo che nessuno condivide le mie idee. Perché bizzarra? Perché sull'analisi macroeconomica potrei anche essere nel torto (ma non lo sono), ma è falso, ed è comprovato dai fatti, che sia il solo a sostenere che il deficit, oggi e nel prossimo futuro, non rappresenta un problema. Gli sviluppi vedono Scarborough ridotto a citare un articolo scritto a gennaio dal mio collega Alan Blinder, in netto contrasto con le mie posizioni a detta di Scarborough. L'articolo che cita, pubblicato sul The Atlantic, reca il seguente titolo: «Il modo giusto per preoccuparsi del deficit: non preoccuparsene; aspettare qualche anno; a quel punto preoccuparsi della spesa sanitaria». Non mi sembra così diverso da quello che dico io. Intanto, Olli Rehn, vicepresidente della Commissione europea e fiero paladino del rigore, ha scritto una lettera ai ministri dell'Economia in seguito alle disastrose notizie sull'economia europea, che hanno confermato l'allarme dei contestatori dell'austerity e indotto a rivedere i moltiplicatori della spesa pubblica, troppo elevati in una situazione di trappola della liquidità. La risposta di Rehn? Dobbiamo smettere di diffondere questi studi economici, perché compromettono la fiducia nel rigore! Come ho detto, questi segnali di disperazione sono gratificanti. Il problema è che questa gente ha già fatto danni enormi ed è ancora nelle condizioni per continuare a farli.

Svizzera: stop agli stipendi d'oro (4 marzo 2013).
L'iniziativa popolare contro le mega retribuzioni dei top manager approvata ieri dagli svizzeri introduce un nuovo articolo nella Costituzione elvetica. La modifica costituzionale concerne solo "le società anonime svizzere quotate in borsa in Svizzera o all'estero" e prevede una serie di disposizioni per consentire agli azionisti di influire maggiormente sulle retribuzioni dei vertici, vieta una serie di indennità come i "paracaduti dorati" e prevede sanzioni per il mancato rispetto delle disposizioni. In particolare ogni anno, in occasione dell'assemblea generale, gli azionisti dovranno votare l'importo delle retribuzioni da versare al consiglio d'amministrazione, alla direzione e all'organo consultivo. Inoltre, dovranno eleggere annualmente il presidente e i singoli membri del consiglio d'amministrazione e del comitato di retribuzione. Il testo stabilisce che "i membri dei vari organi non ricevono liquidazioni, altre indennità, retribuzioni anticipate, premi per acquisizioni e vendite di ditte e contratti supplementari di consulenza o di lavoro da parte di società del gruppo". Le infrazioni a tali disposizioni sono sanzionate con una pena detentiva fino a tre anni e con una pena pecuniaria fino a sei retribuzioni annuali. Una disposizione transitoria stabilisce infine che entro un anno dall'accettazione, il governo dovrà emanare le disposizioni di esecuzione necessarie, che resteranno valide fino all'entrata in vigore di un'apposita legge. L'iniziativa, con cui gli svizzeri puntano a limitare i compensi dei top manager attraverso il controllo e l'avallo degli azionisti, è esplosa con il caso Vasella. L'ex presidente della casa farmaceutica Novartis, Daniel Vasella, ha guadagnato 15 milioni di franchi svizzeri (12 milioni di euro) nel solo 2011; e, lasciando l'azienda di cui era al timone dal 1996, doveva ricevere un indennizzo di 72 milioni di franchi svizzeri (59 mln euro), dilazionati in sei anni purché non fosse andato a lavorare per la concorrenza. Vasella alla fine ha rinunciato ai suoi emolumenti, ma ormai il dibattito era esploso. A suscitare clamore anche le somme guadagnate da altri top manager: i 12,5 milioni di franchi svizzeri per Severin Schwan, boss della Roche, gli 11,2 milioni (9 mln euro) di Paul Bulcke della Nestlè o i 10 milioni (8 mln euro) di Ernst Tanner, capo del gruppo cioccolatiero Lindt. Vorrei far notare che in alcuni quotidiani e radio nazionali si è parlato di un referendum riguardante i manager delle banche; no! riguada tutti i dirigenti di siocietà quotate. Forse si vuole distogliere lo sguardo degli italiani dagli stipendi della PA?

Napolitano per un governo di larghe intese (4 marzo 2013).
L'unica cosa certa è che Giorgio Napolitano ci sta mettendo la faccia fino in fondo. È lì, nella sua ultima stagione al Quirinale, e da quando il voto ha ingarbugliato il futuro dell'Italia lui osserva la politica come se fosse davanti a una scacchiera. Sono giorni che ci pensa e ripensa, ma tutte le possibilità sembrano portare allo scacco matto. Non è che non ci siano mosse possibili, e qualcuna sta anche cercando di immaginarla, ma il costo per il mondo in cui è vissuto da sempre, e anche per il Paese, sembra comunque altissimo. L'obiettivo adesso è cercare un governo. I pontieri sono al lavoro, il nome su cui far convegere Pd, Pdl e Monti lo stanno cercando, per arrivare a qualcosa di concreto serve ancora tanta pazienza. Una mossa in testa lui ce l'ha. Chiamatelo come volete: governo del presidente, o per le riforme, o per non tornare al voto, per tirare a campare, governissimo, o come sta aspettando di gridare al mondo Grillo grande inciucio. Il problema adesso è capire se ci sono le pedine e lo spazio per farlo. Finora ha fatto questo. Primo passo: sacrificare Bersani. L'uomo della più inutile vittoria di Pirro sta bloccando tutto. È un ostacolo a ogni possibile e disperata sortita. Napolitano gli ha detto in faccia che non vuole un governo di minoranza e al di là dei numeri risicati di fatto oggi Bersani è minoranza. È un uomo solo a cui tutti vogliono fare la festa, avversari e compagni di partito. La seconda considerazione è aver preso atto del fattore Grillo e del suo costo. Napolitano sa che il primo a brindare alla vittoria del governo del presidente è proprio il signor cinque stelle. Le possibilità che tutto questo sia un favore a lui sono altissime. Poi si arriva a questioni tattiche centrali. Il Quirinale da giorni ha mosso i pontieri, quelli che nel Palazzo costruiscono intese. I due attori principali, si sa, sono Gianni Letta e Massimo D'Alema. La difficoltà è mettere in piedi un governissimo con la speranza che assomigli a un governo per le grandi riforme. Quasi impossibile. L'obiettivo è farlo durare almeno due anni, ma molti ritengono che se arriva a ottobre è già un miracolo. Si ritiene che soprattutto il Pd alla fine imploda sotto questo peso. Non regge un'altra stagione di tecnici. Non regge gli sputi della base e il gioco facile dei vaffa di Grillo. L'aver messo in campo D'Alema forse non aiuta, lui è quello del patto della crostata, è l'anima dei vecchi eredi del Pci. Non a caso nel suo partito ci sono tre tipi di risposte. C'è chi dice: è una medicina amara ma è l'unica cosa che possiamo fare. Chi spinge come i «giovani turchi» alla Fassina per andare subito al voto, con la speranza di non vedere Grillo alle stelle. E chi come Renzi pensa che la cosa più saggia da fare è starsene a Firenze e giocarsi la partita quando la tempesta sarà passata. In questa partita i montiani contano poco. A loro tocca dire di sì, ma servono solo al Pd a evitare l'ulteriore vergogna, per loro, di un governo da soli con Berlusconi. È una coperta troppo corta che non nasconde nulla. Vendola continua a sperare in una conversione di Grillo, per fare un governo con lui. Il Pdl, sotto un certo punto di vista, è messo meglio. Non ha il pallino in mano. È pronto a dare il suo sostegno per salvare il salvabile e può giocarsi la carta delle grandi riforme. Il costo è che Napolitano potrebbe chiedere a Berlusconi, come una sorta di par condicio con il siluramento di Bersani, di fare due passi indietro. Ma da che? Non ha cariche di partito, il segretario è Alfano e convincerlo all'obbligo del silenzio sembra un po' difficile, soprattutto quando si sente sotto l'attacco concentrico delle procure. Napolitano spera di salvarsi da questo scenario scegliendo il pedone giusto da portare a Palazzo Chigi. Pensava a un uomo di Bankitalia, ma Visco ha fatto sapere che non si muove per un governo ballerino. A destra hanno interpellato Amato e lo sciagurato rispose: preferirei il Colle. Qualcuno ha fatto il nome di Passera. Il Pdl è poco convinto e poi sembra l'assist giusto per far gridare tutti: ecco il nuovo governo delle banche. Quindi? Ancora gli scacchi. Quando un giocatore riesce a portare, con estrema difficoltà, il pedone alla traversa, cioè alla prima fila avversaria, puoi cambiarlo con un pezzo più potente. E di solito si sceglie la regina. La soluzione è donna. Dicono si chiami Anna Maria Cancellieri.

Consumi ancora in calo (6 marzo 2013).
Consumi scesi del 2,4% a gennaio su base annua e dello 0,9% su dicembre, in termini di quantità e del 2,6% su base annua in termini di valore. In termini di media mobile a tre mesi l’indicatore, corretto dai fattori stagionali, segnala un nuovo arretramento, dato che ha riportato i consumi sui livelli di fine 2004. È quanto rileva l’Indicatore dei Consumi di Confcommercio (ICC). Le prime informazioni congiunturali relative all’inizio del 2013 mostrano, con una certa chiarezza, che non si può escludere un ulteriore peggioramento, confermando l’impressione che anche il 2013 sarà un anno particolarmente difficile per l’economia italiana. Stando all’indagine rapida di Confindustria, a febbraio si è registrata, dopo un bimestre moderatamente positivo, una riduzione dello 0,2% in termini congiunturali della produzione industriale. A preoccupare è l’andamento degli ordinativi, che segnala anche a febbraio una diminuzione (-0,2% rispetto a gennaio), lasciando ipotizzare una dinamica negativa della produzione almeno fino a primavera inoltrata. Il protrarsi della crisi economica sta rendendo sempre più critica la situazione del mercato del lavoro. A gennaio 2013 si sono persi, rispetto a dicembre, 97mila posti di lavoro (da luglio la riduzione supera le 300mila unità) ed il numero di disoccupati è aumentato di 110mila unità (in un anno i senza lavoro sono cresciuti di quasi un milione). A rendere più complessa la situazione del mercato del lavoro si aggiungono i dati relativi alla CIG. A gennaio sono state autorizzate il 61,6% di ore in più rispetto allo stesso mese del 2012. A questo andamento ha contribuito in misura significativa il netto aumento di ore richieste per gli interventi straordinari (+97% pari a circa 21 milioni). In questo contesto il clima di fiducia delle imprese e delle famiglie, prosegue Confcommercio, continua a rimanere attestato, anche a febbraio, sui livelli minimi raggiunti nei mesi precedenti. Tale andamento riflette la percezione da parte dei diversi soggetti economici della difficoltà di intravedere, nel breve periodo, non solo l’inizio di una fase di ripresa, ma anche soltanto la stabilizzazione dell’economia. La dinamica tendenziale annua dell'ICC, al gennaio 2013, riferita alla quantità riflette una diminuzione del 3,7% della domanda relativa ai servizi e del 2,0% della spesa per i beni. Relativamente alle singole funzioni di consumo il primo mese dell’anno conferma la permanenza di forti elementi di criticità in quasi tutti gli aggregati. Il dato più negativo è ancora quello relativo ai beni e servizi per la mobilità la cui domanda registra, anche a gennaio 2013, una flessione a due cifre (-10,1%). Riduzioni dei consumi particolarmente significative riguardano anche gli alimentari, le bevande ed i tabacchi (-3,9%), l’abbigliamento e le calzature (-3,9%), i beni e servizi ricreativi (-4,3%), tutti segmenti che scontano dal 2010 un notevole ridimensionamento della domanda. In linea con quanto già accaduto nel 2012, solo il complesso dei beni e servizi per le comunicazioni mostra una variazione tendenziale annua positiva (+5,7%). Le differenze con quanto rilevato dalla Contabilità nazionale, che segnala anche per le comunicazioni una diminuzione dei volumi nel 2012, derivano dalla diversa costruzione dell’aggregato che nell’ICC include alcuni beni (computer e accessori per l’informatica) che nelle classificazioni ufficiali sono inclusi nei beni e servizi ricreativi.

Downgrading Italia da parte di Fitch (9 marzo 2013).
L'agenzia di valutazione del credito Fitch ha fatto scattare un nuovo declassamento l'Italia. Il rating del Paese è stato tagliato a BBB+ da A-, con un outlook negativo, una scelta che l'agenzia ha attribuito alla combinazione di più fattori a cominciare dalle recenti elezioni, dall'incertezza politica che hanno scatenato e dalla difficoltà che emerga un governo credibile. «Il risultato inconclusivo delle elezioni per il parlamento italiano rende improbabile che un governo stabile possa essere formato nelle prossime settimane», ha fatto sapere Fitch. Queste incognite, assieme ad un clima considerato «sfavorevole alle riforme strutturali rappresentano un ulteriore shock negativo per l'economia reale nel mezzo di una profonda recessione». La recessione, continua il comunicato dell'agenzia, è già oggi «una delle più gravi in Europa» e corre adesso il pericolo di peggiorare anche oltre le previsioni. Fitch pronostica una contrazione del Pil pari all'1,8% nel 2013 dopo il 2,4% del 2012. «La posizione di partenza sfavorevole unita ai recenti sviluppi, come l'inatteso calo dell'occupazione e indicatori della fiducia costantemente deboli, aumentano il rischio di una recessione ancora più persistente». In questa situazione, «un governo debole potrebbe essere più lento e meno capace di rispondere a shock domestici e esterni». L'outlook negativo, quindi il rischio di ulteriori bocciature, deriva a sua volte da serie di interrogativi aperti. Un elenco che comprende una recessione «più lunga e profonda» del previsto, «risultati economici e fiscali» che potrebbero ridurre la fiducia, un «deterioramento sostanziale delle condizioni di accesso al mercato dei capitali», l'ulteriore «intensificazione della crisi nell'Eurozona» e una «incertezza prolungata su politiche fiscali ed economiche». L'agenzia, tuttavia, sottolinea anche la «ricchezza relativa» nel Paese e il «livello moderato di indebitamento da parte del settore privato». L'Italia ha inoltre compiuto «progressi sostanziali negli ultimi due anni caratterizzati dal consolidamento fiscale». Il deficit è sceso al 3% del Pil nel 2012 e potrebbe scendere al 2,5% nel 2013. Lo spettro di un declassamento del rating sul debito sovrano, da parte dei re del rating, era tornato ad affacciarsi subito dopo l'esito delle urne italiane, seppur con gradazioni differenti. Moody's ha paventato lo scenario del possibile downgrade, mentre Standard and Poor's, per il momento, si è mostrata più prudente: nessun impatto immediato dalle urne sul "voto" al debito, piuttosto grande attesa per un futuro governo e le sue scelte sul rigore fiscale. Fitch, finora la più generosa con l'Italia nel suo rating, il primo marzo aveva tuttavia avvertito di temere esplicitamente lo spettro di una «protratta instabilità politica». SandP ha un giudizio sull'Italia di BBB+, tre gradini sopra i junk bond, dopo un declassamento scattato nel gennaio 2012. Moody's ha un voto di Baa2, ridotto nel luglio 2012 a due gradini sopra i titoli junk. Con la nuova decisione il rating di Fitch sull'Italia sarà adesso a sua volta, in linea con le altre grandi agenzie, di tre gradini sopra le obbligazioni spazzatura.

ISTAT: italiani in difficoltà (11 marzo 2013).
Il prodotto interno lordo dell'Italia è sceso nel 2012 del 2,4% ed è dell'1% il calo già acquisito per l'anno in corso. Lo comunica l'Istat. Immediata la reazione dei mercati, dove Piazza Affari aveva già aperto in rosso, condizionata anche dal declassamento dell'Italia da parte dell'agenzia di rating Fitch. Qualche buona notizia arriva però poche ore dopo, nella stessa mattinata, dall'Ocse, secondo cui nell'eurozona la crescita sta per ripartire e in Italia e Francia non dovrebbe esserci un «ulteriore deterioramento» della situazione economica. Più in dettaglio, l'Istat rende noto che nel quarto trimestre del 2012 il Pil è diminuito dello 0,9% rispetto al trimestre precedente e del 2,8% nei confronti del quarto trimestre del 2011. Oltre ai dati sul Pil, l'Istituto di statistica presenta inoltre - con il Consiglio nazionale economia e lavoro (Cnel) - «Bes 2013», il primo rapporto sullo stato di salute del Paese con indicatori del benessere sociale. Uno studio da cui emerge che tra il 2010 e il 2011 il cosiddetto indicatore della «grave deprivazione» sale dal 6,9% all'11,1%: ciò significa che 6,7 milioni di persone sono in difficoltà economiche, con un rialzo di 2,5 milioni in un anno. Cresce inoltre il livello di disuguaglianza, quello misurato attraverso il rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero: si va dal 5,2% del biennio 2008-2010 al 5,6% del 2011. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, invece, sottolinea che il «superindice» di Italia e Francia (indicatore utilizzato per prevedere l'evoluzione del ciclo economico di un Paese)è aumentato rispettivamente dello +0,11% e +0,05% rispetto a dicembre. Il confronto con lo stesso mese dell'anno scorso, però, resta negativo, con una contrazione dello 0,66% per l'Italia e dello 0,53% per la Francia. Negli Usa, rileva ancora l'Ocse, prosegue il trend di «consolidamento della crescita», con un superindice in incremento dello 0,08% su base sequenziale e dello 0,53% su base annua.

La crisi delle imprese (12 marzo 20123)
Arrivano nuovi dati sul fatto che la morsa della crisi non lascia le imprese. In Italia l’anno scorso sono state 47mila le aziende non individuali che hanno accusato almeno un protesto: è il record di sempre. Lo affermano dati Cerved analizzati dall’Ansa: rispetto al 2007, ultimo anno pre-recessione, la crescita dei protesti è del 45% e le costruzioni sono il settore più colpito. I ritardi gravi, cioè oltre i due mesi, nei pagamenti delle imprese italiane ai loro fornitori tornano ai massimi della crisi: erano praticati dal 5,7% del totale delle aziende nel secondo trimestre del 2012, dal 6,1% nel terzo trimestre, per salire al 7,1% a fine anno. Sono dati del database del Cerved, che monitora la abitudini di pagamento di oltre 2 milioni di imprese italiane. Secondo il gruppo specializzato nell’analisi delle dinamiche aziendali, questi sono casi che «frequentemente sfociano in default». Ufficialmente tra ottobre e dicembre le imprese italiane hanno regolato in media le proprie fatture in oltre 85 giorni, con un incremento dei ritardi gravi che riguarda tutte le fasce dimensionali d’impresa. Ma il dato più inquietante è a carico delle grandi imprese: sono quelle che possono godere di termini in fattura più vantaggiosi, ma la fetta in ampio ritardo di pagamento è cresciuta in un solo trimestre dal 6,9% all’8,2% del totale.

GB: rischio recessione (13 marzo 2013).
Il timore della terza ricaduta in recessione per l'economia britannica scuote i mercati. I Cds (credit default swaps) a copertura del gilt, il titolo di Stato britannico, sono aumentati del 76% dal minimo di 26 punti base del novembre scorso. Nessuno fra i 67 paesi monitorati da Bloomberg ha avuto una dinamica simile. Nel luglio dello scorso anno il debito britannico era considerato in assoluto il piu sicuro dell'Unione europea. La dinamica dei Cds è la conferma che i segnali ripetuti di un'economia in continuo deterioramento ricadono su mercati che fino ad ora avevano mostrato di aver già scontato down grade della tripla a britannica. Il sentimento degli investitori peggiora quindi alla vigilia di un budget (è programmato per 20 marzo prossimo) nel corso del quale il Cancelliere dello scacchiere George Osborne dovrà convincere il Paese che la sua ricetta di austerità non sta spingendo Londra verso la terza recessione o peggio verso uno scenario di stagflazione come viene suggerito da alcuni indicatori. Operazione molto complessa anche alla luce del recente dato sulla manifattura che rappresenta il 10% dell'economia. Nel bimestre dicembre gennaio la produzione è calata dell'1,5%, un dato che ha contribuito a raffreddare i mercati tracciando un percorso molto più in salita del previsto per l'economia britannica, sufficientemente grave da mettere sotto forte pressione la strategia politica scelta dal governo conservatore e liberal democratico guidato da David Cameron.

Imprese strangolate da mancanza di liquidità (14 marzo 2013).
L'Italia ha bisogno di una vera e propria terapia d'urto, di uno shock di politica economica che rilanci con forza la crescita dell'economia. Un terzo delle imprese italiane, denuncia il Centro studi Confindustria, ha liquidità insufficiente e molti progetti validi vanno in crisi per mancanza di fondi. Così, anziché lasciare il posto a una timida ripresa, la recessione può aggravarsi. Sul fronte della liquidità, la misura cruciale per sbloccare lo stallo è indicata nel progetto Confindustria per l'Italia presentato a gennaio: il pagamento immediato alle imprese di 48 miliardi di euro di debiti commerciali della Pubblica amministrazione. Lo stock totale di debiti commerciali pubblici verso le imprese private ammontava nel 2011 a 71 miliardi (stime Banca d'Italia), di cui 19 miliardi relativi al settore dell'edilizia. Un accumulo enorme di arretrati così ripartito: 30-35 miliardi in capo alle Regioni (soprattutto crediti sanitari), 15 alla Pa centrale e il resto agli enti locali. Debiti accumulati a causa dell'abnorme aumento dei tempi di pagamento della Pa: nelle transazioni commerciali tra Pubblica amministrazione e imprese private i tempi di pagamento medi presenti in Italia sono pari a 180 giorni in Italia, contro i 36 giorni in Germania, 35 in Svezia, 24 in Finlandia, 48 in Francia. Solo la Grecia, con 174 giorni di ritardo, è sui livelli italiani. Nella sanità si arriva a pagare anche dopo 4/5 anni anni, soprattutto al Sud. La media Ue è pari a 65 giorni. I dati forniti da Banca d'Italia, Confindustria e Cgia di Mestre sono drammatici e ci dicono che tra i grandi d'Europa nessuno può vantare un handicap del genere. «La tenuta finanziaria delle imprese è a rischio. Intervenga l'Unione europea affinché la Pa paghi entro 60 giorni», invocano a tutta forza le imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni. La proposta di liquidare subito alle imprese circa 50 miliardi di arretrati con la Pa, ripresa anche da Luigi Guiso e Guido Tabellini sul Sole 24 Ore dell'8 marzo come una delle misure per la crescita elaborate congiuntamente da università Bocconi e istituto Einaudi, darebbe ossigeno a molte aziende. Scorrerebbe lungo le filiere produttive, raggiungendo più imprese di quelle che vantano crediti con la Pa, perché consentirebbe a queste ultime di pagare i loro fornitori. Ciò farebbe gradualmente ripartire progetti di investimento accantonati per mancanza di fondi, dando una spinta significativa al Pil: secondo le stime Confindustria, si generano in tre anni 10 miliardi di investimenti aggiuntivi delle imprese. Il miglioramento del contesto macro economico e della posizione di bilancio aziendale farebbe alzare i rating bancari attribuiti alle singole imprese, frenerebbe l'aumento delle sofferenze, favorirebbe l'erogazione di credito a tassi più bassi. Una volta partito, questo processo si può auto-alimentare, mettendo in moto un processo virtuoso: più liquidità, più investimenti, più crescita, rating migliori, più credito e di nuovo più investimenti. Lo sblocco dei debiti Pa è indispensabile per spezzare il circolo vizioso in atto e allontanare il rischio di una terza ondata di credit crunch, dopo quelle del 2007-2009 e del 2001-2012. Le banche sono caute nell'erogare prestiti per timore del contesto recessivo che fa crescere le perdite su crediti, erodendo il capitale; la scarsità di credito frena il recupero della domanda interna, anzi la affossa ulteriormente. Così i timori delle banche si autorealizzano. Ieri Il Sole 24 Ore ha stimato che tra gennaio 2012 e gennaio 2013 la riduzione dei finanziamenti all'economia reale, in termini di prestiti negati, è stata pari a 37 miliardi. Risultano colpiti tutti i settori del manifatturiero: alimentare, tessile, legno-arredo, carta e stampa, chimica-farmaceutica, gomma-plastica, metallurgia, elettronica, macchinari. Sotto accusa finisce la struttura stessa del sistema bancario italiano. Come conseguenza dell'accentuato processo di concentrazione pre-crisi, oggi si ha in Italia una forte centralizzazione delle decisioni bancarie sui prestiti con un allontanamento dal territorio in cui hanno sede le imprese. Spesso ne risulta un'applicazione meccanica di modelli di rating, senza conoscenza diretta delle imprese stesse. Ciò penalizza molte imprese con prospettive valide. Le banche più radicate sul territorio, da parte loro, incontrano difficoltà dovute al proprio bilancio. Inoltre, oggi le banche universali fanno insieme attività di deposito/prestito a breve e a lungo termine. Per migliorare il credito per i progetti di investimento delle imprese, sulla falsariga di quanto proposto nella riforma del sistema bancario europeo (Rapporto Liikanen), sarebbe opportuno, sostiene Confindustria, separare le attività a breve da quelle a medio-lungo. Tornare, quindi, a una specializzazione tra banche per scadenze, con istituti simili all'originale Mediocredito e alle banche di credito fondiario.

Crollo del settore immobiliare (15 marzo 2013).
Nel 2012 le compravendite degli immobili in Italia hanno subito un calo del 24,8% rispetto al 2011. Lo rende noto l'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia delle Entrate durante la presentazione dei dati del quarto trimestre 2012 e della sintesi annua. La compravendita delle abitazioni non è mai stata così bassa dal 1985: nel 2012 ci sono state 444 mila unita' immobiliari compravendute. Rispetto al 2006 c'e' stato inoltre un dimezzamento degli immobili venduti. Le compravendite di abitazioni con mutuo ipotecario nel 2012 sono scese del 38,6% rispetto al 2011. Il capitale complessivamente erogato nel 2012 attraverso i mutui per l'acquisto di un immobile si e' ridotto del 42,8% rispetto al 2011. La rata mensile media del mutuo è di 700 euro in termini di valore medio massimale: nel 2012 subisce quindi un incremento di circa il 3%. La spesa per l'acquisto di abitazioni nel 2012 ha subito un calo del 26% rispetto al 2011. Il rapporto dell'Agenzia delle Entrate spiega che la spesa è stata pari a 74,6 miliardi, vale a dire 26 miliardi di euro in meno rispetto all'anno precedente. Inoltre il valore medio di un'abitazione venduta nel secondo semestre 2012 è pari a circa 167 mila euro, un valore che però supera i 220 mila euro nelle zone centrali delle città, mentre è inferiore a 120 mila euro nelle Isole. In tutte le aree il valore medio è in diminuzione rispetto al precedente semestre. Roma la città più cara per chi vuole comprare casa. Nella capitale un'abitazione nel centro ha in media il costo di 7 mila euro al metro quadro. Nelle fasce non centrali e nella cintura metropolitana i prezzi sono dai 3.200 euro al metro quadro ai 2.200. A Roma seguono poi Milano, Torino e Genova. Tra le grandi città Verona è quella che registra minori costi, 2.800 euro in centro, 1.600 euro nella media fascia e 1.400 euro nella cintura metropolitana.

Crollo negli esercizi commerciali (15 marzo 2013).
In appena due mesi, a gennaio e febbraio di quest’anno, in Italia sono spariti quasi 10.000 negozi, con un vistoso crollo (-50%) delle aperture di nuove attività rispetto al 2012. Lo afferma la Confesercenti segnalando che si tratta del dato peggiore degli ultimi 20 anni. Praticamente sono sparite 167 imprese al giorno. Se tale trend restasse invariato, dice la Confesercenti, a fine anno si avrebbe la scomparsa di 60.000 negozi. «Nel commercio non si riesce più a fare impresa. Il 2013 si avvia ad essere un anno orribile, ben peggio del 2012» sottolinea la Confesercenti. Secondo i dati del suo Osservatorio, la perdita di negozi svuota le città: sono ormai 500.000 gli esercizi sfitti in tutta Italia. E anche i pubblici esercizi vivono un momento disastroso: in questi due mesi ne hanno chiuso più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità. La Confesercenti si prepara a lanciare il 17 marzo una mobilitazione in piazza per firmare contro le aperture domenicali. «Oltre al saldo molto negativo, si conferma un altro allarmante fenomeno: quello del crollo di nuove aperture. Nel primo trimestre nel settore del commercio al dettaglio, secondo le nostre proiezioni, saranno in tutto 5.988: si tratta di un risultato del 50% inferiore alle 12.321 che hanno aperto nei primi tre mesi del 2012, che rappresenta il dato peggiore degli ultimi 20 anni. Se estendiamo lo sguardo ai dati di aperture del primo trimestre 2011 e del primo trimestre 2010 in effetti, si conferma un crescente calo delle nuove iscrizioni, mentre le cessazioni restano sostanzialmente costanti, intorno alle 20-22 mila ogni anno. Il fenomeno dimostra come la crisi non incide solo sul numero di chiusure, ma anche e soprattutto sulla possibilità di aprire una nuova impresa». A Roma e Torino tocca il record di chiusure; Sud e Isole tengono invece più del Centro-Nord, che registra 7.885 chiusure a fronte di 2.054 aperture; Sud e Isole sembrano resistere un po’ di più, con 5.890 cessazioni e 1.938 nuove iscrizioni. Tra le maggiori città, maglia nera va a Roma, con 553 chiusure per un saldo negativo di 392 unità. Seguono Torino (306 cessazioni, saldo negativo di 231 unità) e Napoli, dove le attività commerciali che hanno abbassato la serranda sono state 238, per un saldo finale che ha visto scomparire 133 imprese.

Salvataggio di Cipro (16 marzo 2013).
L'Eurozona salverà Cipro. I ministri delle Finanze della zona euro hanno trovato nella notte tra venerdì e sabato l'accordo per il piano d'aiuti per la piccola isola. L'importo degli aiuti sarà di «massimo 10 miliardi di euro», specifica una fonte diplomatica. Si tratta di una «briciola» rispetto agli oltre 200 miliardi concessi alla Grecia in due salvataggi. La somma è inferiore ai 17,5 miliardi di euro chiesti inizialmente da Nicosia. L'intesa sugli aiuti consentirà alla «troika» Ue-Bce-Fmi di negoziare con Nicosia il «Memorandum of understanding», cioè la contropartita che chiede l'Europa in cambio dell'assistenza finanziaria. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) dovrebbe contribuire con 1 miliardo di euro al piano d'aiuti per Cipro. In particolare il programma di assistenza finanziaria comprende una tassa eccezionale fino al 9,9% sui depositi bancari nelle banche cipriote,: il prelievo sarà del 6,75% per i depositi inferiori a 100.000 euro e del 9,9% per quelli oltre tale cifra. «La situazione di Cipro è unica in ragione del suo «settore bancario ipertrofico - ha spiegato il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem - ed è per questo che abbiamo ritenuto giustificato il tassare i depositi». Si tratta di una sorta di punizione per i comportamenti illeciti tenuti da Cipro: banche come paradisi fiscali e tassazioni troppo basse rispetto al resto dell'eurozona.

Ancora crollo delle immatricolazioni auto (19 marzo 2013).
Segnali negativi sono stati tutti ampiamente confermati e anche a febbraio: il mercato europeo dell'auto ha registrato una brusca frenata che segue il calo dell'8,2% con cui si è chiuso il 2012. Lo scorso mese le immatricolazioni nei 27 Paesi dell'Unione europea e nei tre dell'Efta (Islanda, Norvegia e Svizzera) sono state 829.359, il 10,2% in meno rispetto al secondo mese del 2012. E dall'inizio dell'anno le consegne si fermano a quota 1.748.071, con una flessione del 9,3% nei confronti del primo bimestre dello scorso anno. La crisi si è ormai estesa a quasi tutti i mercati, con l'unica eccezione della Gran Bretagna tra i primi cinque mercati continentali, in progresso del 7,9% a febbraio e del 10,3% nel bimestre. Pesante (-10,5%) la caduta di febbraio del mercato tedesco che resta comunque il primo a livello continentale. La Francia ha lasciato sul campo, il mese scorso, il 12,1% , l'Italia il 17,4% ma si colloca comunque al terzo posto come mercato europeo occidentale. La Spagna perde ancora il 9,8% ed è avvicinata dal Belgio che registra un progresso del 3,9%. Nell'Eurozona la flessione è stata, complessivamente, del 12,1% mentre i Paesi senza euro cedono solo il 2,3% a febbraio. Ma nel bimestre l'area euro perde il 12,4% a fronte di una crescita del 2,7% degli altri Paesi. Il mese scorso, tuttavia, le difficoltà economiche si sono fatte sentire in quasi tutti i mercati. Crescono Estonia e Lettonia, Islanda e Norvegia. Migliora la Polonia e, paradossalmente, Paesi in crisi come Portogallo e Grecia, ma solo perché si era ormai arrivati a numeri estremamente ridotti da cui si risale facilmente (poco più di 4mila consegne a febbraio in Grecia). A livello di costruttori, lo scorso mese vede un ulteriore rafforzamento del gruppo Volkswagen che, complessivamente, perde il 7,2%. Dunque una flessione inferiore a quella del mercato e la quota del gruppo tedesco sale dal 23,9 al 24,7%. Le performances migliori sono quelle dei marchi Seat e Audi. Per i francesi di Psa la caduta di febbario è del 13,2%, con una tenuta migliore per il marchio Peugeot mentre Citroen cede il 18,2%. L'altro gruppo francese, Renault, contiene il calo all'8,6% solo grazie al successo di Dacia che cresce del 15,4%. Male gli americani di Gm, in flessione del 20,1%, e male anche Ford che perde il 20,8%. Tra i due costruttori Usa recupera una posizione il gruppo Fiat che lascia sul terreno il 15,7% e vede la quota scendere dal 7,2 al 6,8%, davanti comunque a Ford che passa dal 7,3 al 6,5%. Per il Lingotto è da registrare la sostanziale tenuta del marchio Fiat (perde il 6,7%), la Lancia-Chrysler e Alfa Romeo precipitano rispettivamente del 38,5 e del 41,8%. Male anche il marchio Jeep (-16,3%). Migliora la quota Bmw, che perde solo il 2,8% , così come Mercedes che cala dell'1,7%. Tra le asiatiche Toyota perde il 7,8% mentre Hyundai non sente la crisi e cresce dell'1,4%. Nissan cede il 7,6% e Kia l'1,1%. Più pesante la flessione di Volvo in versione cinese (-14,9%) mentre Mazda cresce del 13,1%. Un balzo ancora superiore per Honda (+27%) ma va bene anche Jaguar Land Rover (+5,8%).

La Sicilia abolisce le provincie (20 marzo 2013).
La Sicilia dice addio alle Province regionali. L'Assemblea Regionale Siciliana ha appena approvato un maxi-emendamento della maggioranza che sospende le elezioni previste a fine maggio; manca solo il voto finale al Ddl. I nove enti saranno commissariati ed entro l'anno dovranno essere sostituiti, con una nuova legge, da liberi consorzi di comuni. Il maxi-emendamento a firma dei capigruppo di Pd, Udc e lista Crocetta, è stato approvato con 53 sì e 28 no, con voto segreto. Il gruppo 5Stelle ha votato in linea con la maggioranza. Per i consorzi dei comuni sono previste elezioni di secondo grado, dunque i componenti saranno indicati dai sindaci e non ci saranno più elezioni per presidenti di Provincia e consiglieri. Il voto finale, che sarà anticipato dalle dichiarazioni di voto, è stato rinviato a mercoledì, alle 16, dal presidente dell'Ars, Giovanni Ardizzone. «Rischio default? Non c'è. Siamo bravi a fare spending review, a risolvere problemi». Ne è sicuro il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, a Palazzo dei Normanni, dopo le notizie sullo stato di salute delle casse regionali. «Faremo la spending review e non faremo massacro sociale. Stiamo aumentando le entrate e stiamo trovando il sistema per andare avanti». La Sicilia è dunque la prima Regione italiana ad abolire le Province. Il maxi-emendamento è stato varato con i voti anche dei deputati grillini, che parlano di vittoria del "modello Sicilia", rilanciando dunque l'alleanza, non formale ma sui contenuti, che piace tanto al loro leader Beppe Grillo. Contrario all'abolizione delle Province, il Pdl che puntava sul mantenimento degli enti e sulla riduzione dei costi. Dopo quattro ore, scandite da tentativi di ostruzionismo, l'Ars ha approvato con voto segreto il maxi-emendamento, scritto dalla maggioranza tenendo conto di alcune osservazioni fatte nei giorni scorsi dal commissario dello Stato. Il voto finale al testo - rinviato a mercoledì pomeriggio - sarà dunque una pura formalità. La riforma prevede che entro il prossimo 31 dicembre il Parlamento approvi una nuova legge per regolamentare i liberi consorzi, prevedendo fin da ora però l'elezione di secondo livello dei componenti. Con l'abolizione degli enti provinciali il governo Crocetta calcola un risparmio di circa 50 milioni di euro. «È la vittoria del governo e della maggioranza», esulta il presidente Crocetta che apprezza l'atteggiamento dei deputati 5Stelle. E parla di «prima tappa della rivoluzione» e di "modello Sicilia", schema rilanciato anche dai parlamentari grillini. I grillini criticano l'atteggiamento in aula tenuto dai gruppi d'opposizione. «Il Pdl ha bloccato l'aula per quattro ore, i deputati sono intervenuti con un atteggiamento ostile, eppure proprio questo partito nel suo programma nazionale ha l'abolizione delle Province», afferma il deputato grillino, Giannina Ciancio. Per il presidente dell'Ars, Giovanni Ardizzone (Udc), «il Parlamento siciliano ha dato un bel messaggio al Paese». Per il deputato del Pdl, Salvino Caputo, invece «l'eliminazione delle Province regionali creerà situazioni di vuoto giuridico ed amministrativo con la conseguente paralisi di servizi importanti e il nascere di costosi contenziosi».

CIPRO: no al prelievo forzoso (20 marzo 2013).
Dibattito fiume nel Parlamento di Nicosia, chiamato ad esprimersi sulla proposta europea di tassare i conti correnti dell'isola al fine di prestare dieci miliardi di euro alle banche in apnea. All’esterno la protesta della folla di cittadini indignati per un intervento definito “peggio dell’invasione turca del 1974” e con un foltissimo gruppo di giornalisti esteri accorsi oggi nell’isola. Ma da Berlino il ritornello non cambia: senza voto favorevole niente maxi prestito. Infatti il governo tedesco ha messo in guardia Nicosia da ulteriori ritardi e da una possibile bocciatura dell’approvazione delle condizioni utili a ottenere il pacchetto di salvataggio. C’è quindi grande incertezza ora su come si evolverà la situazione all’interno dell’isola. I governi europei non possono rischiare che la crisi finanziaria di Cipro scateni il panico nell’Eurozona, ma è anche chiaro che i Paesi membri non sono disposti ad aumentare il prestito, perché Nicosia non sarebbe in grado di pagare. Tutti i partiti hanno votato contro la misura di tassare i conti correnti, tranne quello di governo, il Disy. La sessione è stata preceduta da una riunione dei leader di partito con le dimissioni del ministro dell’economia Sarrys, consegnate nelle mani del premier poco prima di partire per Mosca, che pare siano state respinte. Nella capitale discuterà dell’acquisto da parte russa di due banche cipriote per la simbolica cifra di un euro. Tra l’altro un membro dei conservatori, Stella Kyriakides, era assente per il matrimonio di suo figlio in Argentina e non è rientrata per il voto, suscitando le ire del proprio gruppo parlamentare. Anastasiadis ha assicurato, un attimo prima di entrare in aula, che avrebbe rispettato qualsiasi risultato, e parlando alla televisione svedese ha detto che il parlamento avrebbe respinto la proposta in quanto palesemente contraria agli interessi di Cipro. Alla domanda su come gestire la situazione, ha detto che il governo ha in programma un piano B, anche se non ha offerto dettagli in merito. Indiscrezioni parlano di un vero e proprio “rovescio della medaglia” per evitare la debacle come accaduto in Grecia con la troika. In molti giurano che il premio nobel cipriota Christopher Pissarides, dato per futuro ministro dell’Economia, possa essere il regista di una sorta di memorandum più morbido per non danneggiare Cipro da un lato senza innervosire i tedeschi dall’altro. Tuttavia al punto in cui siamo, ragiona un funzionario del ministero a voce alta, questo è considerato come il male minore. Il piano sarà elaborato in queste ore e posto all’attenzione degli euroburocrati. Nel frattempo una nuova riunione dei leader politici è convocata per mercoledì alle ore 9 presieduta dal grande sconfitto del voto, il neo presidente cipriota filomerkeliano Nikos Anastasiadis. Che, poco prima del voto, ha postato su facebook un appello disperato per giustificare la misura chiesta dall’Ue: “Condivido pienamente i sentimenti spiacevoli causati da una decisione difficile e dolorosa. È per questo che continuo a dare battaglia alle decisioni dell’Eurogruppo. E’ ovvio che l’opzione più indolore per me sarebbe la più dolorosa per il paese e per la gente. Non è facile. Ma io ho fiducia assoluta nella determinazione dei ciprioti per una svolta collettiva e responsabile”. Insomma una soluzione certamente dolorosa, in termini di costo politico, ma utile al paese. Le stesse parole usate nel novembre scorso dal premier greco Samaras, anch’egli conservatore, gradito alla Merkel e al circuito Bildenberg, quando il parlamento di Atene votò sì al terzo memorandum della troika mentre in piazza montava la protesta e sotto la pioggia si indignava anche l’anziano compositore Mikis Theodorakis. Ma all’esterno del parlamento di Nicosia i manifestanti hanno gridato slogan come “Merkel fuori del nostro paese”, “non siamo numeri ma persone”. Le stesse parole delle piazze greche e spagnole.

Un po' di liquidità per le imprese (21 marzo 2013).
Una manovra in due tappe per pagare i debiti della Pa: il Governo prevede di sbloccare 20 miliardi nella seconda metà del 2013 e ulteriori 20 miliardi nel corso del 2014. Così l'esecutivo, al termine del consiglio dei ministri, delinea in una nota le misure per favorire l'accelerazione del pagamento dei debiti della Pa verso i propri fornitori, e chiarisce l'impatto sulla crescita dell'economia e sull'andamento dei conti pubblici per gli anni 2013 e 2014. «Le misure che il Governo intende adottare - si legge nel documento redatto da Palazzo Chigi, ed emesso al termine del consiglio dei ministri di oggi - sono finalizzate all'immissione di liquidità nel sistema economico e interesseranno le aministrazioni centrali, gli enti del servizio sanitario nazionale. Gli importi previsti corrispondono a circa 20 miliardi nella seconda parte del 2013 e ulteriori 20 miliardi nel corso del 2014». Le misure che il governo intende mettere in campo per sbloccare i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione - si legge ancora nella nota - riguarderanno, tra l'altro, i debiti degli enti territoriali (Regioni ed enti locali) attraverso «un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità interno per consentire l'utilizzo degli avanzi di amministrazione disponibili». Le misure prevedono inoltre «l'esclusione del Patto di stabilità delle Regioni dei pagamenti effettuati in favore degli Enti locali sui residui passivi a cui corrispondono residui attivi di Comuni e province» e «l'istituzione di fondi rotativi per assicurare la liquidità agli Enti territoriali (Regioni ed Enti Locali), con obbligo di restituzione in un arco temporale certo e sostenibile». Una manovra in due tappe porterà al rimborso di una parte dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Oggi - ha spiegato il ministro del Tesoro Vittorio Grilli - il Governo ha modificato gli obiettivi di finanza pubblica «per creare gli spazi necessari per lo stadio due. Questo - ha continuato il ministro - sarà un decreto legge che determinerà le forme, le modalità per attuare questa accelerazione dei pagamenti. La prima tappa è una relazione al Parlamento sulla modifica dei saldi e speriamo che il Parlamento dia un parere positivo in tempi brevi. Non appena la avremo, possiamo approvare immediatamente, noi o il futuro Governo, il decreto». Il ministro: parte indebitamento utilizzata per fondi cofinanziati con Ue. «Anche gli investimenti cofinanziati dall'Ue - ha ricordato Grilli - è parte dei vincoli molto cogenti delle nostre amministrazioni: una parte del nostro spazio di indebitamento, una parte minoritaria sarà utilizzata per ampliare la capacità di investimento attraverso fondi cofinanziati che altrimenti andrebbero persi».

Accordo per Cipro (25 marzo 2013).
Dopo un fine settimana di trattative i 17 paesi della zona euro hanno messo a punto nella notte tra domenica e lunedì un piano di salvataggio di Cipro che prevede una profonda ristrutturazione del settore finanziario. L'obiettivo è di evitare il collasso delle banche cipriote e soprattutto la messa in pratica della minaccia della Banca centrale europea che qualche giorno fa aveva ventilato l'interruzione delle iniezioni straordinarie di liquidità in caso di mancata intesa. Secondo le prime informazioni (informazioni che vanno verificate), la Laiki Bank (nota anche con il nome di Popular Bank of Cyprus) verrà chiusa. L’intesa prevede la completa liquidazione della banca Laiki, la seconda del Paese, «con il pieno contributo di titolari di azioni, obbligazioni e depositi non garantiti», si legge nella dichiarazione dell’Eurogruppo. «Laiki verrà divisa in una buona e in una cattiva banca,» continua la dichiarazione. La parte sana della banca confluirà nella Banca di Cipro, il primo istituto di credito del paese. Nella “banca buona” confluiranno i depositi sotto i 100mila euro, mentre quelli al di sopra di questa soglia «resteranno congelati finché non sarà effettuata la ricapitalizzazione della banca,» si legge nel testo pubblicato dall’Eurogruppo. Questi depositi «potrebbero successivamente essere soggetti a misure appropriate,» continua la nota. A sua volta la Banca di Cipro sarà soggetta a ricapitalizzazione, anche in questo caso, «con un pieno contributo dei titolari di azioni e di obbligazioni,» e «con una conversione dei depositi non garantiti in azioni». L’entità del prelievo che di fatto verrà effettuato su tali depositi non è calcolabile al momento, ma fonti Ue lasciano intendere che sarà sostanzioso. I 10 miliardi di aiuti dall’Ue non saranno utilizzati per la ricapitalizzazione delle banche cipriote. D’altra parte, «tutti i depositi garantiti in tutte le banche saranno pienamente protetti in linea con la legislazione Ue,» si legge nella nota. Le regole Ue prevedono appunto la garanzia assoluta sui depositi al di sotto dei 100mila euro. L’accordo sul finanziamento Ue da 10 miliardi verrà finalizzato «entro la terza settimana di aprile», si legge nella dichiarazione dell’Eurogruppo, in modo da poter avere i primi aiuti stanziati a maggio. A questi fondi, potrebbe aggiungersi un finanziamento extra da parte del Fondo monetario internazionale, come auspicato dall’Eurogruppo nella nota conclusiva. Nel frattempo, misure di controllo dei capitali verranno applicate a Cipro «vista la situazione di emergenza,» continua la nota precisando che «le misure saranno temporanee, proporzionate, non discriminatorie e soggette ad una rigida supervisione. «Abbiamo evitato una disastrosa uscita dall’euro e la bancarotta, andiamo incontro a tempi duri per Cipro, ma è il miglior accordo che potessimo fare», ha commentato il ministro delle Finanze cipriota Michael Sarris al termine dell’Eurogruppo. Sarris non ha dato una data per la riapertura delle banche, che potrebbero restare chiuse anche dopo martedì. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha spiegato che l’accordo sul salvataggio di Cipro raggiunto dall’Eurogruppo «non ha bisogno di essere votato dal Parlamento di Nicosia perché non è più una tassa, ma prevede solo la ristrutturazione di banche, come da legge già passata venerdì». Per il presidente dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem«l’accordo mette fine alle incertezze su Cipro e sulla zona euro». Dieci giorni fa Cipro e i suoi 16 partner della zona euro avevano trovato un'intesa che prevedeva la tassazione dei depositi con l'obiettivo di raccogliere 5,8 miliardi di euro, da associare a 10 miliardi di euro di prestiti internazionali. Quella intesa è stata bocciata dal parlamento cipriota. L'obiettivo del nuovo accordo, che nei fatti abbandona la tassa sui conti correnti, è di ridurre la taglia del sistema creditizio, oltre che di raccogliere il contributo cipriota di 5,8 miliardi. Secondo Dijsselbloem il nuovo piano non necessiterà del benestare del parlamento cipriota che nei giorni scorsi ha approvato una nuova legge sulle risoluzioni bancarie. Il sistema bancario di Cipro, un paese di 860mila persone, è pari a otto volte il prodotto interno lordo Per il timore di una corsa agli sportelli il governo ha adottato misure contro la fuga di capitali. L'accordo, difficile da raggiungere anche per i presunti legami tra il presidente cipriota Nicos Anastasiades e l'industria bancaria del suo paese, prevede che la prima tranche dei 10 miliardi di prestiti possa arrivare in maggio. Cipro è il quinto paese della zona euro a chiedere il sostegno europeo, dopo l'Irlanda, il Portogallo, la Grecia e la Spagna. Il direttore del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde ha affermato che le trattative sono state "laboriose", ma hanno portato a "un buon risultato". L'intesa è un compromesso tra opposte esigenze. Da un lato, l'Eurogruppo e l'Fmi hanno voluto ridurre radicalmente il settore finanziario cipriota ed evitare un eccessivo aumento del debito per via dei nuovi prestiti al piccolo paese mediterraneo. Dall'altro, l'establishment cipriota ha tentato di evitare misure troppo impopolari presso l'opinione pubblica, cercando di salvaguardare per quanto possibile i vantaggi offerti dal sistema creditizio, che in questi anni ha attirato molti russi.

La meccanica salvata dall'export (27 marzo 2013).
Il 44% in Italia, il resto all'estero. In estrema sintesi è qui, nella grande propensione internazionale, il segreto della meccanica italiana, l'arma in più che consente al comparto di chiudere il 2012 contenendo i danni mentre la manifattura nazionale precipita di quasi sette punti percentuali ai minimi dal 1990. Per il maxi-comparto rappresentato da Anima, federazione delle associazioni nazionali dell'industria meccanica varia, lo scorso anno si è chiuso con una produzione di 41,4 miliardi, in calo solo dello 0,8% proprio grazie alla crescita dell'export, ormai pari al 56% della produzione, 12 punti percentuali e ben 2,5 miliardi in più rispetto al 2009. Crescita che mitiga almeno in parte la caduta del mercato interno, sceso di oltre tre punti lo scorso anno e con prospettive ancora negative nel 2013, dove la produzione globale è vista in calo dello 0,4% mentre l'export crescerà di un punto. La frenata 2012 è però il risultato di comportamenti settoriali diversi, così come diverse sono le filiere produttive rappresentate. I comparti più penalizzati sono logistica, movimentazione delle merci e tecnologie alimentari, in particolare nei macchinari per pastifici, mentre l'ampio comparto dei macchinari per le produzione di energia e il montaggio di impianti, pari al 37% dei volumi di Anima, è riuscito a chiudere in pareggio grazie alla spinta delle vendite estere di turbine e pompe. Tenuta sostanziale (+0,1%) anche per l'altro settore "pesante" in termini di volumi, cioè impianti e prodotti per l'edilizia, dove è ancora una volta l'export a sostenere le vendite in particolare di macchinari edili, valvole e rubinetti. I dati evidenziano una volta di più la correlazione diretta tra performance dei settori e propensione internazionale, e non a caso nelle aree dei macchinari per la sicurezza e della logistica, dove il peso dell'export è ridotto rispettivamente al 18% e 32%, si concentrano alcuni dei risultati peggiori del 2012. Parlare di export in senso generale sarebbe però un errore, perchè analizzando le performance dei principali mercati di sbocco si può leggere in maniera immediata la diversa forza delle aree geografiche ed economiche, con l'Europa in decisa difficoltà e il resto del mondo molto più tonico. Germania e Francia si confermano i primi mercati per la meccanica italiana ma in entrambi i casi le vendite del 2012 si sono ridotte, rispettivamente del 5% e del 6%. Nulla di paragonabile tuttavia con il crollo di 15 punti della Spagna, superata ora nella classifica dei mercati di sbocco da Federazione Russa e Turchia, capaci invece lo scorso anno di realizzare performance brillanti così come hanno saputo fare anche Stati Uniti e Medio Oriente. «I nostri ricavi sono cresciuti del 35% - conferma l'ad di Sterling Fluid Carlo Banfi – grazie ad una maxi-commessa in Oman, per noi l'extra Ue vale il 50% dei ricavi». La crescente propensione e capacità delle nostre aziende di guardare oltre i confini più noti è visibile nel trend delle vendite extra-europee, arrivate ormai a rappresentare il 60% del totale, 14 punti in più rispetto alla media della manifattura italiana. E non a caso, tra i primi 15 mercati di sbocco della meccanica nazionale, soltanto cinque sono all'interno dell'Unione europea. Per alcuni settori, come ad esempio il valvolame, l'Asia da sola arriva a rappresentare il 34% delle vendite estere, quasi allo stesso livello dell'Europa a 27. Così, per effetto congiunto della ripresa dell'export e della frenata della domanda interna di componenti, il saldo commerciale del settore torna a salire, arrivando a 16,6 miliardi di euro, due in più rispetto all'anno precedente. L'analisi di Anima ha riguardato anche i bilanci di 700 aziende del settore, seguite nel loro percorso dal 2007 al 2011. Il bilancio globale è di sostanziale tenuta, sia dal punto di vista economico che finanziario, anche se la crisi ha avuto un effetto dirompente sui margini, con un Roe crollato tra 2007 e 2009 dal 12 al 4%, per poi riprendersi solo marginalmente nell'ultimo biennio mentre la patrimonializzazione delle aziende, dal 2007 ed oggi, è costantemente cresciuta.

Crolla il Pil italiano (28 marzo 2013).
Il Pil dell’Italia registrerà una flessione congiunturale dell’1,6% nel primo trimestre del 2013, per poi calare di un altro 1% nel secondo trimestre, il dato peggiore dell’area G7. Sono le stime contenute nell’Interim Assessment dell’Ocse. Contrazione nel primo trimestre anche per l’economia francese (-0,6%), che dovrebbe però tornare a crescere di uno 0,5% nel secondo trimestre. Secondo il vice-segretario generale dell’Ocse, Pier Carlo Padoan.«Per l’economia italiana «si conferma una crescita generalmente negativa quest’anno, ma si tratta di una recessione che si sta avviando alla fine con un ritorno alla crescita positiva fra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo». All’interno dell’eurozona, «c’è una rinnovata divergenza tra la crescita in Germania, che probabilmente ripartirà con forza nei primi due trimestri del 2013, e quella degli altri Paesi, che resterà lenta o negativa». Lo scrive l’Ocse nel suo Interim assessment. Il Pil di Berlino, stima l’organizzazione, farà segnare un +2,3% nel primo trimestre e un +2,6% nel secondo. Nel frattempo il Pil dell’Italia, sceso del 3,7% annuo nell’ultimo trimestre 2012, continuerà a contrarsi sia nel primo sia nel secondo trimestre del 2013, unico tra i Paesi del G7. Il Pil italiano calerà dell’1,6% annuo nei primi tre mesi di quest’anno, e dell’1% nei tre mesi successivi. Il mercato del lavoro nell’area euro continua a deteriorarsi, contribuendo a deprimere la fiducia dei consumatori, e nel vecchio continente la crescita della disoccupazione di lungo termine sta facendo aumentare la povertà e la disuguaglianza. Le criticità legate all’occupazione, prosegue l’organizzazione di Parigi, restano però sostanziali nella maggior parte dell’area Ocse, con i tassi di occupazione che non si sono ancora ripresi molto dai minimi post crisi.m Secondo Padoan occorre «accelerare il processo di rimborso dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese» e «abbattere il cuneo fiscale». Fra le riforme strutturali, Padoan raccomanda «maggiore concorrenza. Nell’energia, che ha costi molto elevati per famiglie e imprese, e nei servizi».

Altro colpo di mano di Giorgio Napolitano (31 marzo 2013).
Dopo i veti e controveti dei partiti, l'arrogante supponenza di Bersani, le furbizie di Berlusconi e le follie di Grillo, RE Giorgio ha preso in mano la situazione. Partiti commissariati, Parlamento congelato e tutto il potere ai due gruppi di saggi, uno politico­istituzionale uno economico-sociale, che da martedì si siederanno attorno a un tavolo e stenderanno «precise proposte » che possano essere «condivise dalle forze politiche». E mentre gli esperti-esploratori prepareranno la bozza per il futuro programma di governo, a Roma, fa notare il capo dello Stato, un governo c’è già: Mario Monti, sia pur dimissionario e in carica per gli affari correnti, è «operativo e non sfiduciato» e rappresenta quindi «una concreta certezza » nel caos. E poi c’è lui, Re Giorgio, a sorvegliare il tutto per un altro mese.L’Europa approva la mossa. «Dopo il discorso del presidente- spiega il portavoce della Commissione- siamo sicuri che una soluzione verrà trovata». Dunque, altro che lasciare, forse Napolitano raddoppia. Nonostante le voci e le pressioni, a dimettersi non ci aveva neanche pensato. O meglio, era «una delle tante possibilità» vagliate come d’obbligo negli ultimi tempi e poi scartate. Però in realtà di fare lo Schettino della Repubblica non ne ha mai avuto voglia. «Sono alla conclusione del mandato - spiega - e le mie possibilità di iniziativa sulla formazione del governo sono limitate. Ma posso fino all’ultimo giorno concorrere a creare condizioni più favorevoli». E ancora, tanto per spazzare i dubbi: «Continuo quindi a esercitare fino all’ultimo giorno il mio mandato, come il senso dell’interesse nazionale mi suggerisce, non nascondendo al Paese le difficoltà che sto incontrando ». Impensabile mollare adesso. «Stiamo navigando a vista ­dice un alto funzionario del Colle- ma anche al buio, senza bussola e tra gli scogli. Come si fa in queste condizioni a fare scendere di bordo il timoniere?». E così ora abbiamo due gruppi di saggi, scelti da Napolitano e imposti ai partiti, tra cui forse c’è qualche nome buono per Palazzo Chigi e il Quirinale. Abbiamo tre governi: quello in carica, quello che verrà e quello degli esperti. Ma c’è un solo Capitano, il presidente attuale e forse, suo malgrado futuro. Comanda lui perché i partiti, sconfitti e incapaci di trovare un’intesa, sono stati messi da parte. Due giri di consultazioni e l’esplorazione di Bersani «mi hanno permesso di accertare la persistenza di posizioni nettamente diverse». Cecità, ostinazione, tatticismo, quando invece «l’urgenza dei problemi richiederebbe senso di responsabilità». Dalle elezioni «è già passato un mese», prolungare lo stallo è insostenibile ». E siccome i mercati fanno paura e il voto anticipato «è una questione che non mi interessa », ecco la soluzione. Invece di cercare le alleanze possibili, il Colle rovescia l’approccio alla questione incaricando i saggi di trovare prima i punti di contatto e poi di costruirci attorno un accordo. A ben guardare, è lo stesso sistema che ha usato Napolitano durante le consultazioni: prendere appunti e mettere e verbale le idee e le proposte condivise. L’approdo finale di questo piano C del Quirinale dovrebbe essere un governo, vedremo quanto politico e quanto tecnico, ma comunque a forte impronta presidenziale. Se l’accordo non sarà chiuso entra la fine del settennato, sarà «materiale utile» per il prossimo capo dello Stato. Nel frattempo ci pensa lui. Il «presidente che governa» ha in Monti il suo sottosegretario, nei saggi i suoi ministri e nelle commissioni speciali Bubbico e Giorgetti il suo Parlamento. «Ci sono provvedimenti urgenti per l’economia - dice - . Anche se si tratta, il Paese va guidato».

I dieci saggi al lavoro (2 aprile 2013).
Prima giornata di lavoro per i due gruppi di saggi scelti dal Quirinale per sbloccare l’impasse politico. Alle 11 si è riunita la task force incaricata di occuparsi delle tematiche economico sociali composta da Enrico Giovannini, Giovanni Pietruzzella, Salvatore Rossi, Enrico Moavero Milanese, Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico. A seguire, è stata la volta dei quattro che si occupano delle tematiche istituzionali: Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante. Intanto si accende il dibattito sulla successione di Napolitano al Colle e in particolare su una possibile candidatura del Pd a favore di Romano Prodi. Per Gasparri «sarebbe un atteggiamento irresponsabile del Pd fare il pieno delle cariche con un solo terzo dei voti». «Saremmo di fronte a uno strappo delle norme della democrazia. Non vogliamo nemmeno prendere in considerazione questa ipotesi obbrobriosa». Dello stesso avviso anche il senatore Altero Matteoli che dichiara: «Bersani ed il Pd stiano molto attenti a non creare rotture politiche traumatiche pericolosissime per la tenuta stessa della democrazia». A cercare di gettare acqua sul fuoco di pensa Andrea Orlando (Pd): «Prodi è uno dei nomi che sicuramente viene in mente, tuttavia abbiamo detto che intendiamo lavorare per una candidatura frutto della condivisione. Questa scelta non la condividerebbe nemmeno Bersani. Sul fronte istituzionale noi siamo per la massima condivisione. Molto dipende da cosa faranno le altre forze politiche. Far partire subito le commissioni parlamentari permanenti: a proporlo, alla Camera, è il capogruppo di Sel Gennaro Migliore che va a sostenere quanto già chiesto dai grillini. Una possibilità che però registra la contrarieretà del Pdl e i dubbi del Pd. «No a balzi in avanti - sottolinea anche Simone Baldelli per il Pdl - le commissioni parlamentari si devono formare una volta che si sia formato il governo». «Ci affidiamo alla presidente ma sono necessari approfondimenti - dice Gianclaudio Bressa parlando a nome dei Democratici - perché siamo di fronte a uno dei pilastri della democrazia, vale a dire il rapporto fiduciario governo-Parlamento». Scelta civica da parte sua ricorda come la questione sia stata affrontata già in conferenza dei capigruppo e come si fosse deciso di avviare la costituzione delle commissioni senza però chiudere l’iter in attesa di un nuovo Esecutivo. Non significa, ha precisato stamani Filippo Bubbico, senatore del Pd e membro della commissione economica, «fare un governissimo o siglare un’alleanza strategica» ma «condividere priorità nell’interesse del Paese». I tempi, assicura un altro “saggio” Mario Mauro, capogruppo di Scelta civica a Palazzo Madama, «saranno molto concentrati», del resto, spiega con una battuta, «il buon Dio in sette giorni ha fatto molto di più». Che il tutto sia assolutamente «concentrato» lo confermano anche le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, 8-10 giorni al massimo. Sono parole amare. Il Capo dello Stato si sente «lasciato solo dai partiti», «dopo sette anni sto finendo il mio mandato in un modo surreale, trovandomi oggetto di assurde reazioni di sospetto e dietrologie incomprensibili, tra il geniale e il demente». Tra i partiti però cresce il malumore. E nuove bordate arrivano anche dai 5 Stelle. Scrive Crimi sul blog: «La scelta di Napolitano non è altro che un’ulteriore conferma della cecità che ha colpito la classe politica: ancora non ha compreso il risultato di queste elezioni. La logica partitica si riscontra oggi nei gruppi ristretti indicati dal Presidente, che di saggio hanno ben poco, e di politico hanno tanto. Altro non sono che la perfetta sintesi della realtà di partito che non vuole saperne di liberarci della sua presenza, ed alla quale gli elettori, con il voto di febbraio, hanno già detto addio».

Primi pagamenti da parte della PA (3 aprile 2013).
È slittato ai prossimi giorni il decreto legge per lo sblocco di circa 40 miliardi (su un totale di 91) di debiti della Pa nei confronti delle imprese. Una nota di palazzo Chigi segnala che il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, in accordo con quello allo Sviluppo economico, Corrado Passera, «anche a seguito delle articolate risoluzioni approvate ieri da Camera e Senato, ha fatto presente al Presidente del Consiglio l'opportunità di proseguire gli approfondimenti necessari per definire il testo del decreto sui pagamenti dei debiti commerciali della Pa. Pertanto il Consiglio dei Ministri previsto per oggi si terrà nei prossimi giorni». Il governo, sottolinea il presidente dell'Anci Graziano Delrio al termine di un incontro alla presidenza del Consiglio, ha comunque garantito il varo del provvedimento «entro lunedì» e che metterà a disposizione subito per Comuni e Province risorse per «7 miliardi». Dalla bozza che era stata preparata per il Consiglio dei ministri è uscita l'ipotesi di intervento sull'Irpef. Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli conferma infatti che il prospettato anticipo al 2013 dell'aumento dell'addizionale Irpef, nelle Regioni che utilizzeranno l'anticipo di cassa per onorare i debiti con le imprese, sarà tolto dalla versione definitiva del decreto. Il problema, però, resta perché le stesse Regioni allo stato attuale potrebbero trovarsi in difficoltà in assenza di una leva che faciliti la restituzione dell'anticipo di cassa. Allo stato, i tecnici di Palazzo Chigi e dell'Economia starebbero studiando altre soluzioni e si valuta anche la possibilità di inserire nello stesso provvedimento il rinvio della Tares. Stando alle ultime bozze, il piano si presenta abbastanza complesso e vincolato all'emanazione di più di un decreto attuativo. Per anticipare cassa, si punta in larga misura sulla concessione di prestiti di lunga durata (30 anni) a Regioni ed enti locali e non sul meccanismo del fondo perduto. Inoltre enti locali e Regioni che godranno delle anticipazioni di cassa saranno sottoposti a vincoli molto stretti per il prossimo quinquennio, sia per la spesa corrente sia per gli investimenti (anche se il Mef studia un ammorbidimento per gli enti virtuosi). Quanto alla copertura finanziaria dell'intero pacchetto, il governo conta di reperire le risorse per assicurare la liquidità necessaria mediante emissioni di titoli di Stato, fino a un massimo di 25 miliardi per ciascuno degli anni 2013 e 2014 con una "clausola" amara per i ministeri, che saranno chiamati a coprire con nuovi tagli lineari i maggiori interessi del debito pubblico. I pagamenti di debiti di parte capitale, compresi quelli delle Province in favore dei Comuni, maturati al 31 dicembre 2012, e sostenuti nel 2013, vengono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo totale di 5 miliardi. Comuni e Province dovranno comunicare online, entro il 30 aprile, il loro fabbisogno e a determinare il riparto sarà poi un decreto del ministero dell'Economia (entro il 15 maggio). Sono inoltre previste sanzioni per i responsabili degli enti locali inadempienti. Ad ogni modo, nelle more della ripartizione del Tesoro attesa per il 15 maggio, e per consentire l'immediato pagamento almeno di una prima tranche, ciascun ente può effettuare pagamenti entro il 50% delle necessità finanziarie comunicate ed entro un determinato tetto dei residui passivi in conto capitale. Per quanto riguarda invece gli enti locali che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti per mancanza di liquidità, potranno scattare prestiti a valere su un Fondo con dotazione pari a 2 miliardi sia per il 2013 sia per il 2014. I prestiti saranno di durata trentennale e in caso di mancato pagamento della rata di ammortamento entro i termini, potranno esserci corrispondenti tagli relativi alla quota Imu riservata ai Comuni oppure, nel caso delle Province, relativi all'imposta sull'Rc auto. Non basta, perché per gli enti locali interessati scatteranno vincoli finanziari molto stringenti nel prossimo quinquennio: non potranno impegnare spese correnti in misura superiore all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio e non potranno ricorrere all'indebitamento per gli investimenti (o prestare garanzie per prestiti sottoscritti da società controllate o partecipate) a meno che non sia presentata un'attestazione del conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno. Anche per le anticipazioni di cassa relative a debiti non sanitari di Regioni e province autonome viene creato un Fondo per assicurare liquidità: dotazione di 3 miliardi per il 2013 e di 5 miliardi per il 2014. Anche in questo caso il prestito è trentennale e sono stabiliti vincoli finanziari per il prossimo quinquennio relativi alla spesa e alla sottoscrizione di nuovi prestiti o mutui da parte delle Regioni e di società controllate o partecipate. Viene inoltre stabilito che la Regione Siciliana e la Regione Piemonte adottino un piano di rientro relativo al trasporto pubblico locale, con la possibilità contestuale di attingere a risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (ex Fas). Il capitolo Regioni conferma l'incremento della deroga alle spese per cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari. Per quanto riguarda invece i debiti sanitari, lo Stato può anticipare liquidità alle Regioni nei limiti di un ammontare di 14 miliardi, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014. Entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, l'Economia provvede al riparto tra le Regioni fino a 5 miliardi per il 2013. Tuttavia, ed è un'altra incognita del decreto, le anticipazioni di cassa, oltre che a saldare gli arretrati, potranno essere finalizzate anche ad altri due obiettivi finanziari (si veda articolo in basso).

Debiti della PA; varato il ddl (6 aprile 2013).
Dopo oltre 3 ore di confronto, il Consiglio dei ministri riunito questa mattina a palazzo Chigi ha varato l'atteso decreto legge che disciplina il pagamento dei debiti arretrati della PA - inclusi gli enti del Servizio sanitario nazionale - nei confronti delle imprese: in tutto, circa 40 miliardi di euro nel biennio 2013-2014. Parlando in conferenza stampa, il premier dimissionario Mario Monti ha confermato che «nei prossimi 12 mesi per le imprese arriveranno 40 miliardi con meccanismi chiari, semplici e veloci, senza oneri o complicazioni inutili». «Oggi - ha spiegato il premier - il tempo medio dei pagamenti é 180 giorni, con un ritardo medio di 90 giorni sulle scadenze contrattuali: dato che colloca l'Italia su posizioni peggiori rispetto a Portogallo, Spagna e Grecia». Grazie al decreto, «questo malcostume», che comporta «costi per imprese, collettività e Stato», è destinato a finire. Quella dei ritardati pagamenti da parte dell'amministrazione statale «È una situazione inaccettabile ma a lungo accettata. È molto difficile avere dati precisi sul fenomeno, ci sono condizioni di opacità in cui il fenomeno si genera e cresce, un fenomeno che si é formato nel corso del decennio scorso. È arrivato il momento di voltare pagina». Ai giornalisti, Monti ha poi espresso «sorpresa e indignazione» per le severe critiche che negli ultimi tempi hanno bersagliato il governo per aver «impiegato due-tre giorni in più del previsto a fare questo provvedimento». Critiche, ha aggiunto il Professore, «giunte da forze politiche che negli ultimi venti anni» non hanno posto rimedio al problema. In quella che potrebbe essere «l'ultima volta» in cui si presenta alla stampa «con i ministri Grilli e Passera» Monti sottolinea l'importanza del loro lavoro, pur «con le difficoltà inevitabili tra chi deve gestire il rigore e chi lo sviluppo». Quando «molta polvere si sarà depositata e si potrà valutare a mente sgombra l'attività di questo governo che - ha ribadito ancora Monti - ha fatto la pista per lo sviluppo sulla quale l'Italia salirà nei prossimi mesi, é a loro due che dovrete dire grazie». Il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, ha invece spiegato la scelta di individuare «un percorso indispensabile tra le due esigenze di aiutare concretamente l'economia a riprendersi, con il rafforzamento del ciclo economico, e quella di disciplinare i conti. Un percorso stretto ma percorribile, con rigore e velocità». In concreto, le amministrazioni «potranno cominciare a pagare i debiti subito dopo la pubblicazione del decreto, che immagino sarà lunedì», ha aggiunto il ministro, spiegando che entro il 30 aprile saranno resi noti «gli spazi finanziari» e entro il 15 maggio avverrà «la ripartizione delle risorse rispetto alle richieste».

Più di un milione di licenziamenti nel 2012 (7 aprile 2013).
Nell'arco del 2012 i licenziamenti hanno superato quota un milione (1.027.462), con un aumento del 13,9% rispetto al 2011 (quando sono stati 901.796). È quanto si evince dal sistema delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Nel solo ultimo trimestre sono stati 329.259 in aumento del 15,1% sullo stesso periodo 2011. Nell'intero 2012 sono stati attivati circa 10,2 milioni di rapporti di lavoro a fronte di quasi 10,4 milioni cessati, nel complesso, tra dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti. I licenziamenti registrati nel periodo riguardano sia quelli collettivi, sia quelli individuali (per giusta causa, per giustificato motivo oggettivo o soggettivo). Tornando al quarto trimestre del 2012, le nuove assunzioni (in termini di rapporti di lavoro attivati, dipendenti o parasubordinati) sono state oltre 2,2 milioni (2.269.764), con un calo del 5,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011. Assunzioni che corrispondono a poco più di 1,6 milioni (1.610.779) di lavoratori interessati, in ampio decremento: l'8,2% in meno rispetto al quarto trimestre del 2011, con valori negativi maggiori tra i giovani (-13,9% e -10,9% rispettivamente tra i 15-24enni e i 25-34enni). I lavoratori over-55, tra i 55 e i 64 anni registrano un leggero incremento (+0,4%), mentre più sostenuto è l'aumento, sempre rispetto allo stesso periodo dell'anno prima, degli ultrasessantacinquenni interessati da un nuovo rapporto di lavoro (+7,6%). Infine, sempre nel quarto trimestre del 2012, in totale i rapporti di lavoro cessati sono stati poco più di 3,2 milioni (3.205.753), con una leggera diminuzione (-0,2%) rispetto al quarto trimestre 2011.

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Eugenio Caruso

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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