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La liberalizzazione di poste e telecomunicazioni

E' proprio cosė, caro Lucilio: il risultato di una collera eccessiva č la follia. Pertanto l'ira deve essere evitata non tanto per senso di misura, ma per la nostra sanitā mentale.

Seneca Lettere morali a Lucilio.


Tra il 1996 e il 1997 matura una delle maggiori riforme della storia economica italiana, quella del comparto delle telecomunicazioni, che ha avuto nella legge Maccanico il suo primo punto di approdo.

Il legislatore, a quell'epoca, doveva affrontare due problemi, il grave ritardo con il quale l'Italia si stava muovendo nell'attuazione delle direttive comunitarie riguardanti la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e una sentenza della Corte costituzionale, che, nel dicembre del 1994, aveva sancito che la legge Mammì non tutelava il pluralismo nel settore radiotelevisivo.
La sentenza poneva a ogni operatore il limite del 20% di possesso sul totale delle reti Tv nazionali; ciò significava che Mediaset avrebbe dovuto cedere una delle tre reti televisive. Proprio per tentare di districare il groviglio di interessi della Rai e di Mediaset, Prodi sceglie per il ministero delle Poste e telecomunicazioni (successivamente ministero delle Comunicazioni), Antonio Maccanico, gran tessitore di accordi e ben visto dall'opposizione.

Maccanico, assunto il ministero, si rende conto che ogni operazione in cantiere, la prima delle quali la privatizzazione della Stet, potrà essere condotta solo dopo la creazione dell'Authority; inoltre la sentenza della Corte costituzionale impone che venga approvata, urgentemente, una legge di proroga del regime transitorio. Con il cosiddetto Lodo Maccanico governo e opposizione trovano l'accordo, sia per una proroga della legge Mammì per l'emittenza privata, che per il recepimento delle direttive comunitarie sulle Tlc, attuati attraverso un regolamento del governo, senza passare sulle sabbie mobili del dibattito parlamentare.

All'inizio del '97, inizia il cammino del decreto legge sull'Authority e sulla privatizzazione di Telecom. Il primo atto sulla strada della privatizzazione è l'allontanamento di Ernesto Pascale e di Biagio Agnes dalla Stet, la finanziaria del gruppo, e la nomina del nuovo consiglio di amministrazione, con Guido Rossi alla presidenza. Il secondo atto è l'ottenimento del consenso di Bertinotti, grazie alla golden share (1) , che, nella realtà, si rivelerà un'arma spuntata per le velleità veterocomuniste di Rifondazione.

La storia di Telecom Italia inizia nel 1994, quando, dopo quindici anni di commissioni parlamentari ed estenuanti discussioni, anche in Italia viene creato un unico gestore telefonico pubblico; dai cinque che erano in precedenza nasce Telecom Italia e, un anno dopo, Telecom Italia Mobile. Nel 1997, come già visto, viene creata l'Authority delle telecomunicazioni e varata la "legge Maccanico" che definisce le regole della competizione. Il primo gennaio 1998 è il D-day per la telefonia europea; la deregulation, a lungo discussa, fa il suo debutto in dieci paesi dell'Ue. L'ultimatum di Bruxelles prevede la completa liberalizzazione di infrastrutture e servizi e il risultato, nel giro di due anni, è una riduzione media delle tariffe residenziali del 40% e di quelle affari del 25%. Nel 2000, in Italia, oltre cento aziende offriranno servizi alternativi a Telecom.

Le modalità della privatizzazione erano state decise dal governo Ciampi; il controllo della Telecom, nella quale sarebbe confluita la Stet, sarebbe dovuto passare a un nucleo stabile, a maggioranza italiana, prevalentemente finanziario. Prodi, presidente dell'Iri, «Aveva timore soprattutto della Pirelli, mi pare», afferma Maccanico.
Il timore dei precedenti Comit e Credit, banche per le quali i nuclei stabili di controllo erano nati contro le intenzioni di Prodi, consiglia, questa volta, di partire con un nucleo stabile di riferimento già dall'inizio, ma non si ha il coraggio pieno e salta fuori quel "prevalentemente finanziario", che significa banche ex pubbliche, cioè i soggetti meno adatti per una politica industriale innovativa nel campo delle telecomunicazioni.

Nel collocamento sul mercato della Telecom fu molto difficile raccogliere il nocciolo stabile, costituito dalla Ifil degli Agnelli e da banche, mentre ci fu un grande entusiasmo tra i piccoli investitori. Il nucleo stabile dimostra subito una forte inconsistenza dovuta dalla mancanza di competenze nel settore. Rossi si dimette e al suo posto viene nominato Rossignolo; vengono fatte cadere tutte le opzioni per far entrare nel nucleo di controllo un partner straniero di grosso spessore (AT&T, British Telecom, Cable&Wireless). Ammette Maccanico: «Il nucleo stabile prese questa società complicata, concessionaria pubblica, di dimensione mastodontica, facendola fibrillare per diversi mesi in modo non sostenibile: manager che andavano e venivano, Vito Gamberale che passava e ripassava, la telefonia mobile che fu incorporata in Telecom e poi scorporata di nuovo».

L'altro fronte di attività, per Maccanico, è quello della costituzione di un'Authority unica per Tlc e Tv, contro il parere di gran parte del Parlamento, che preferisce due Authority indipendenti. Nello scontro per la presidenza, prevale il nome di Enzo Cheli, magistrato della Corte costituzionale, che si impone, come soluzione di mediazione tra i candidati delle varie correnti del governo.

In quel biennio, le resistenze all'interno della Rai e di Mediaset, fanno cadere due possibilità di regolamentazione del settore.

  1. La costituzione di una piattaforma unica per la Tv digitale a pagamento, prima, tra Rai e Stet (il 5 maggio '97 viene firmato un memorandum d'intesa) e poi tra Canal Plus, Rai, Telecom, Fininvest, Cecchi Gori Group (memorandum d'intesa del 30 dicembre '97).
  2. Il "disarmo bilanciato" tra Rai e Mediaset, o con la dismissione di una rete per parte, oppure con la terza rete Rai senza pubblicità e una Tv Mediaset su satellite. Rompere il duopolio televisivo è un compito arduo per tutti.

Sul versante delle Poste, la trasformazione dell'Ente in S.p.A., la scelta di Corrado Passera e l'utilizzo della rete di sportelli più diffusa sul territorio nazionale per entrare, a pieno titolo nel settore del credito, si sono rivelate la strada giusta per rilanciare un "baraccone" alla mercé dei sindacati, dell'indisciplina e dell'inefficienza.


(1) Conferisce alla stato potere di veto nei consigli di amministrazione delle società privatizzate.


Eugenio Caruso

Per approndire l'argomento vai al successo editoriale L'estinzione dei dinosauri di stato di Eugenio Caruso.


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