I passi della crisi 2008 - 2013. Parte XX.


Le amicizie con gli onesti, con i sinceri, con chi ha esperienza sono vantaggiose. Sono dannose le amicizie con gli adulatori, con gli accomodanti, con le sirene.
Confucio


L’articolo è  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XIII
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XIV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVI
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVII
I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XVIII
I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XIX

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il terzo trimestre del 2013,  l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.


Sale il tasso di disoccupazione (1 luglio 2013).
In Italia il tasso di disoccupazione a maggio si attesta al 12,2%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto a aprile e di 1,8 punti nei dodici mesi. Si tratta del massimo storico dal 1977. Lo rileva l'Istat. Analoga tendenza in Europa: nuovo aumento e nuovo massimo storico del tasso di disoccupazione medio nell'area euro: a maggio ha raggiunto il 12,1 per cento, dal 12 per cento di aprile, e secondo Eurostat in un mese si sono contati 67 mila disoccupati in più. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è sceso al 38,5%, in diminuzione di 1,3 punti percentuali rispetto ad aprile e in aumento di 2,9 punti su base annua. Secondo le stime dell'Istat sono in cerca di lavoro 647mila under 25, pari al 10,7% della popolazione di questa fascia d'età. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-35 mila unità) e dello 0,9 % rispetto a 12 mesi prima (-127 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,1%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,3 punti su base annua. A maggio l'occupazione maschile cala dello 0,4% in termini congiunturali e del 2,5% su base annua. L'occupazione femminile cresce dello 0,3% rispetto al mese precedente e cala dello 0,6% nei dodici mesi. «Il fatto che il tasso di disoccupazione continua a crescere - è il commento del ministro del Lavoro Enrico Giovannini a margine dell'assemblea generale di Federculture - testimonia ancora una volta la gravità della crisi. La ripresa non é ancora iniziata. Tutti gli indicatori ci indicano che potrebbe riprendere nel corso dell'autunno».

Merkel e la disoccupazione (3 luglio 2013).
La lotta alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile, sbarca a Berlino. «Non ci deve essere una generazione perduta», spiega in un’intervista a sei quotidiani europei, la cancelliera Angela Merkel, che ospitera il Summit, definendo la situazione dei giovani «insostenibile» in un continente che invecchia. La riunione di Berlino si svolge a meno di una settimana dal Vertice Ue che ha “liberato” otto miliardi (nove secondo le previsioni più ottimistiche) per ridare futuro alla nuova generazione. Presente la politica - con circa 20 premier e capi di stato - ma anche i tecnici, tra ministri del lavoro e responsabili delle agenzie per l’occupazione. Oggi si farà il punto non solo su come e quali strumenti mettere in campo per capitalizzare e trasformare quei fondi Ue in un volano per il lavoro e per la crescita, ma anche per rilanciare l’azione e le `mosse´ europee per il prossimo futuro. Un flagello, come più volte gli stessi leader hanno bollato l’emergenza lavoro, che solo ieri ha mostrato ancora una volta i numeri della sua gravità: con un’eurozona dove il 12,1% è senza lavoro e il 23,8% dei giovani disoccupati. E l’Italia che per la prima volta si è portata sopra alla media di Eurolandia (al 12,2%) e vede il 38,5% (cifra seppur in lieve calo) dei suoi giovani senza posto. Il nostro paese schiera non solo il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, ma anche lo stesso premier Enrico Letta che - di ritorno dal tour in Medio Oriente ed in un momento delicato sul fronte politico interno - a Berlino è pronto a continuare la sua azione di stimolo. Letta vola in Germania certamente soddisfatto, dopo i risultati già incassati a Bruxelles e al G8 sul tema lavoro, nel vedere che la sua priorità, la lotta alla disoccupazione, ha visto l’appuntamento di Berlino, previsto a livello “tecnico” (responsabili del Lavoro e delle agenzie) salire di livello, attraendo una ventina tra colleghi e capi di stato Ue. Per un giro di tavolo che dovrà servire - è l’auspicio di Roma - non solo a individuare, attraverso le varie esperienze nazionali - gli strumenti da mettere in campo ma anche per continuare a spronare l’azione Ue con politiche comuni. La Merkel propone di prendere spunto dal modello tedesco in quanto «dopo la riunificazione abbiamo maturato le nostre esperienze riuscendo a ridurre la disoccupazione con riforme strutturali, ora possiamo mettere a disposizione queste esperienze». La Germania propone di mettere a punto una “road map”, con un bilanciamento tra austerità e crescita, e con il rilancio del lavoro giovanile in primo piano. Al Vertice sono attesi tra gli altri, anche il presidente francese Francois Hollande, e i vertici Ue, Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso. L’obiettivo è di consolidare il risultato del Consiglio europeo di fine giugno e rilanciare nuove politiche comuni. Le risorse, 6 miliardi nel prossimo biennio di cui 1,5 all’Italia, sono state al centro dell’ultimo vertice Ue per sostenere rapidamente i sei milioni di giovani europei disoccupati: una potenza di fuoco che molti giudicano insufficiente, che potrebbe arrivare a 9 miliardi (portando la quota per l’Italia a 1,5 miliardi di euro) liberando risorse grazie all’attesa, e sperata, flessibilità di bilancio. Una nuova partita del campionato per il lavoro, quella che si gioca oggi a Berlino, cui anche la Merkel scende in campo con una doppia maglia: quella europea e quella interna in vista dell’appuntamento elettorale che la vedrà andare alle urne a settembre.

Rivoluzione alla BCE (4 luglio 2013).
Rivoluzione alla Banca centrale europea. Dopo aver insistito dalla sua nascita, sia sotto la presidenza Trichet sia sotto quella di Mario Draghi che «non prende impegni precostituiti» in materia di tassi d'interesse, la Bce ha annunciato ieri il contrario: e cioè che «prevede che i tassi rimarranno agli attuali livelli, o anche più bassi, per un lungo periodo di tempo». In inglese si chiama "forward guidance", in italiano gli esperti della Bce le definiscono "indicazioni sul futuro della politica monetaria". In questo, l'Eurotower segue l'esempio dell'americana Federal Reserve, che ha dichiarato che non alzerà i tassi se non quando la disoccupazione scenderà sotto il 6,5%, e agisce in contemporanea con la Bank of England, che oggi stesso, alla prima riunione presieduta dal nuovo governatore Mark Carney ha a sua volta adottato una "forward guidance". Draghi è stato decisamente più vago, ma ha fatto un importante riferimento, oltre all'inflazione, finora l'unica stella polare della Bce, anche all'andamento dell'economia reale, che resta debole, e alle condizioni monetarie e del credito, tuttora bloccato in diversi Paesi dell'eurozona. Non ha precisato neanche per quanto tempo valgano queste indicazioni. Intanto però ha mandato un segnale preciso che, pur senza abbassare per il momento i tassi, la Bce non intende subire passivamente il rialzo dei rendimenti del mercato monetario provocato dall'annuncio della Fed che, prima o poi, si muoverà gradualmente (tapering) verso una politica più restrittiva: Draghi naturalmente ha sostenuto che la Bce agisce in autonomia e non in risposta alle altre banche centrali, ma ha fatto capire che non opera in un vuoto e si muove senza preconcetti. Anche il livello attuale dello 0,50% del principale tasso di rifinanziamento e lo 0 dei depositi delle banche presso la Bce stessa non vanno considerati un pavimento inviolabile. Infine, sulla decisione di adottare queste indicazioni prospettiche, il consiglio si è pronunciato all'unanimità. Anche la Bundesbank, quindi, per una volta, è allineata. Ed è già un risultato importante dopo le polemiche di questi mesi.

Rapporto FMI sull'Italia (5 luglio 2013).
La ripresa economica in Italia dovrebbe iniziare «a tardo 2013», secondo il Fondo monetario internazionale, sostenuta dalle esportazioni e da un'inversione sul ciclo degli investimenti. Tuttavia, nel documento diffuso al termine della missione in Italia - rapporto sull'Italia ex articolo IV - il Fmi avverte che i rischi su queste prospettive restano orientati al ribasso. L'Italia registrerà nel 2013 un Pil negativo pari a -1,8%, mentre tornerà a crescere dello 0,7% nel 2014. L'istituzione di Washington, soprattutto, si schiera contro la cancellazione dell'Imu sulla prima casa. «La tassa sulla proprietà sulla prima casa dovrebbe essere mantenuta per ragioni di equità ed efficienza e la revisione dei valori catastali accelerata per assicurare l'equità». Certamente - ha detto il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni nella conferenza stampa indetta dopo la pubblicazione del report - «terremo conto dell'opinione del Fondo Monetario Internazionale sul tema Imu che, per altro, era nota ex ante e l'obiettivo è di trovare il consenso all'interno della coalizione. Stiamo lavorando su questa linea». Sul parere negativo dell'Fmi relativo a un intervento sull'Imu si è espresso il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Penso che sull'Imu ci sia la possibilità di intervenire, non ho sentito negatività particolari - ha affermato il leader degli industriali -, credo che in termini economici sia più difficile l'intervento sull'Iva». Il ministro Saccomanni ha commentato le indicazioni del Fmi relative alla ripresa economica italiana «tra fine 2013 e inizio 2014». «L'Fmi ha riconosciuto i progressi dell'Italia su conti pubblici e misure anticrisi - ha detto Saccomanni -. Ha riconosciuto che il sistema ha retto bene all'impatto della crisi ed è stato in grado di fronteggiare le sfide che rimangono di fronte». Rimane il nodo lavoro: la disoccupazione, osservano i tecnici del Fondo monetario internazionale, è a livelli inaccettabili. L'Italia - è il messaggio - deve adottare un nuovo contratto di lavoro, unico e più flessibile, per i nuovi assunti. La crescita passa soprattutto dalle riforme. «Accelerare il passo delle riforme - si sottolinea nel report del Fmi - sarà essenziale per rilanciare la crescita e creare posti di lavoro». «Le difficili riforme erano necessarie - spiega l'Fmi - per ripristinare la fiducia e allontanare l'Italia dall'orlo del precipizio». L'Fmi ha tagliato dal -1,5% al -1,8% le stime sul Pil italiano del 2013. Ha invece alzato quelle per il 2014 dal +0,5% al +0,7%. «La ripresa è attesa a fine 2013, sostenuta dall'export e da una modesto miglioramento degli investimenti», si legge nell'Article IV sull'Italia. Gli esperti del Fmi segnalano che l'economia italiana sta mostrando «segnali di stabilizzazione ma rimangono forti venti contrari a frenare la ripresa. La fiducia delle imprese e delle famiglie é risalita ma non ha ancora avuto un effetto positivo sull'andamento delle attività e sull'impiego. E se le pressioni sul debito sovrano e il passo del consolidamento fiscale quest'anno si sono attenuati, le condizioni finanziarie rimangono difficili tenendo a freno le spese private». Secondo il Fondo, le autorità «dalla fine del 2011 hanno adottato misure coraggiose per rafforzare le finanze pubbliche e trasformare l'economia» e queste riforme erano «necessarie per ristorare la fiducia e allontanare l'Italia dall'orlo del baratro». Le prospettive di crescita tuttavia «rimangono deboli, la disoccupazione é su livelli inaccettabili e la fiducia dei mercati é ancora fragile, a indicare come il compito sia ben lungi dall'essere terminato». Il nuovo governo - si legge ancora nel report - ha adottato misure per rafforzare i successi già ottenuti nell'affrontare i problemi strutturali dell'Italia e ora «sarà essenziale accelerare il passo delle riforme per ridare slancio alla crescita e creare posti di lavoro». Anche l'Europa, sottolinea il Fondo, dovrà svolgere il proprio compito con azioni volte a risolvere la frammentazione dei mercati e rafforzare ulteriormente l'Unione monetaria. ''Su Imu prima casa intollerabile interferenza del Fmi. Si facciano gli affari loro". Lo scrive su Twitter Maurizio Gasparri (Pdl), vicepresidente del Senato". Non siamo assolutamente d'accordo con la posizione del Fondo monetario internazionale in relazione all'Imu sulla prima casa. Proprio per ragioni di equità, e anche per potenziare la domanda, riteniamo che debba essere abolita". Lo dice Fabrizio Cicchitto (Pdl) aggiungendo che "oggi il premier Letta non ha nascosto le difficoltà sul reperimento delle risorse anche riguardo al blocco dell'aumento dell'Iva, ma siamo certi che alla fine riusciremo a trovarle dai tagli alla spesa pubblica". Considerando che l'Italia è uno dei paesi a più alta tassazione del mondo sembra sospetto questo attacco del fmi all'eliminazione dell'Imu sulla prima casa. Non vorrei che ci fosse lo zampino di qualcuno del precedente governo ... un suggeritore occulto.

I nodi della crescita (8 luglio 2013).
Imu, Iva, cuneo fiscale: sono i dossier più caldi aperti sul tavolo del Governo per i prossimi tre mesi. Ma non sono gli unici: se si aggiungono le altre misure annunciate su previdenza e mercato del lavoro, giustizia civile, semplificazioni, spending review, legge delega per la riforma fiscale, pagamento dei debiti della Pa, salgono a dieci i nodi da sciogliere. Sarà inevitabile fare i conti con rigidi vincoli di bilancio e con il Parlamento già intasato da un pacchetto corposo di decreti in attesa di conversione. Ed ecco gli altri temi:
Un assegno complessivo da 5,5 miliardi, con un balzo del 120% rispetto allo stesso periodo del 2012. È il bilancio dell'attività della Banca europea per gli investimenti in Italia nei primi sei mesi del 2013, che vede il nostro Paese in prima fila per finanziamenti siglati. Solo per le Pmi il tesoretto vale invece 1,7 miliardi, in aumento del 30 per cento. Per il 2014 l'Istituto prepara nuove formule di erogazione con cartolarizzazioni e misure a sostegno dell'occupazione.
Pagamenti scaglionati da oggi fino al 2015 per i dieci Comuni capoluogo di regione, che hanno pubblicato i piani di pagamento sul sito, entro la scadenza del 5 luglio scorso. In tre casi (Torino, Potenza e Venezia) i fornitori sono stati raggruppati in un'unica data, neanche troppo vicina. In altri, come Firenze, si parte già oggi, ma si finirà tra due anni. Napoli, invece, salderà solo chi è in attesa fino al 2010. Conclusione ravvicinata, invece, per Trento, Genova e Milano. Roma non ha pubblicato il piano. Anche tra i piccoli centri che hanno chiesto più anticipazioni alla Cdp si registrano tempi lunghi di pagamento.
C'è stato un momento, a fine 2010, in cui si era pensato che le centinaia di migliaia di norme che provano a far funzionare il Paese sarebbero diminuite una volta per tutte. L'operazione taglia-leggi fece, infatti, sparire dalla circolazione più di 200mila atti. Le buone intenzioni avrebbero voluto che da lì in poi in poi il legislatore sarebbe stato più chiaro e possibilmente meno prolifico.
Le leggi, invece, continuano a essere confuse e sempre più dense di articoli e commi. Lo dimostrano i primi risultati di una ricerca del Comitato per la legislazione della Camera: si fanno meno leggi, che però sono grandi contenitori delle più disparate disposizioni. Basti pensare che i 101 provvedimenti pubblicati nel 2012 contengono 2.621.000 caratteri.
Dal 6 giugno sono in vigore le nuove regole per la certificazione energetica definite dal Governo con il decreto legge 63/2013. Diventa più stringente l'obbligo di dotare del certificato sui consumi gli immobili, sia in caso di compravendita che di locazione. Le prestazioni devono essere rese note già negli annunci immobiliari e durante le trattative. Un adempimento che non ammette più scuse: il proprietario che non prepara il certificato per il rogito o il contratto d'affitto rischia pesanti sanzioni che nelle compravendite arrivano fino a 18mila euro. Sanzioni anche per i progettisti che sbagliano nel compilare il modello o per i costruttori che non lo consegnano a fine lavori. Anche i certificati che indicheranno la classe energetica dell'edificio cambiano veste: dovranno tener conto, oltre che dei consumi per il riscaldamento, anche di quelli legati alla climatizzazione estiva. La nuova legge va poi raccordata con le tante disposizioni, che sul tema degli edifici green hanno prodotto in questi anni le Regioni.

Loro Piana e Cova ai francesi (9 luglio 2013).
Dopo Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Rossimoda, la Lvmh di Bernard Arnault conquista un altro marchio storico del made in Italy: il leader mondiale del lusso – 28,1 miliardi di euro di ricavi nel 2013 e 3.204 negozi nel mondo - ha acquistato Loro Piana. La famiglia Loro Piana ha deciso di cedere la partecipazione di maggioranza dell'azienda familiare al gruppo del lusso francese. Una notizia che desta sorpresa, anche perché la famiglia aveva più volte sottolineato di tenere alla propria indipendenza. Annunciando l'acquisizione, Sergio e Pier Luigi Loro Piana hanno dichiarato: «La nostra famiglia è fiera di associare oggi il nostro nome al gruppo LVMH. Il gruppo diretto da Bernard Arnault è, in effetti, quello maggiormente in grado di rispettare i valori della nostra azienda, la sua tradizione ed il desiderio di proporre ai suoi clienti dei prodotti di qualità ineccepibile. Associandoci al gruppo LVMH, costruito intorno a un insieme di marchi storici, Loro Piana trarrà beneficio da sinergie eccezionali, sempre preservandone le tradizioni». Bernard Arnault ha dichiarato: «Loro Piana è una società rara, rara per la qualità unica dei suoi prodotti, in particolare i suoi prodotti tessili in cashmere, e rara per le sue radici familiari che risalgono a sei generazioni. Sono molto contento che Sergio e Pier Luigi Loro Piana ritengano che il nostro gruppo sia il migliore per assicurare il future della società Loro Piana. Condividiamo in effetti gli stessi valori, sia familiari che aziendali, la ricerca permanente della qualità e sono convinto che il nostro gruppo possa apportare un forte contributo al futuro della Loro Piana che possiede grandi potenzialità.» Sergio e Pier Luigi Loro Piana conserveranno una partecipazione del 20% nella società e manterranno le loro funzioni alla guida dell'impresa tessile. La transazione, sottomessa all'approvazione delle autorità Antitrust, verte sull'80% delle azioni per un valore di 2,0 miliardi di euro (valore dell'impresa al 100 % è di 2,7 miliardi euro). Nel 2013 Loro Piana dovrebbe realizzare vendite per 700 milioni di euro e utili, ante imposte, interessi ed ammortamenti, pari ad oltre il 20 % delle vendite. Nel contratto è prevista una «opzione put sul restante 20% della durata di tre anni»., ha detto Jean-Jacques Guiony, chief financial officer di Lvmh. L'esercizio dell'opzione, ha spiegato il manager, dipenderà da alcuni parametri come l'andamento dell'ebitda. La famiglia Loro Piana iniziò il commercio della lana e del tessuto agli inizi del 19mo secolo, e nell'aprile 1924 Pietro Loro Piana fondò la società Loro Piana a Quarona Sesia. Il suo lavoro è oggi portato avanti da Sergio e Pier Luigi Loro Piana. Sotto la loro conduzione, Loro Piana è diventata la prima azienda artigianale al mondo nella lavorazione del cashmere e delle lane più rare, sviluppando una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti con il suo marchio. LVMH ha acquisito, anche, una partecipazione di maggioranza nel capitale sociale della Pasticceria Confetteria Cova, titolare del marchio Cova e proprietaria della società Cova Montenapoleone che gestisce la prestigiosa pasticceria milanese. L'operazione, si legge in una nota, si pone «il duplice obiettivo di preservare questa vera e propria istituzione della storia milanese, mantenendo negli attuali spazi la Pasticceria di Via Montenapoleone, e di sostenere con forza il suo sviluppo a livello internazionale, grazie alle sinergie messe a disposizione dal gruppo Lvmh». La famiglia Faccioli, con Paola e Daniela, continuerà ad essere presente non solo nel capitale della società, ma anche nel management, per garantire la continuità ed il successo che Cova ha saputo conquistare nel corso di quasi 200 anni. Cova, fondata a Milano nel 1817, ha iniziato vent'anni fa lo sviluppo a livello internazionale con l'apertura in franchising, di Caffè Cova a Hong Kong, in Cina e in Giappone. Ora, con il colosso del lusso a reggere il timone, l'accelerazione sarà più forte. Nelle scorse settimane notizie di stampa avevano dato per imminente l'acquisto della Pasticceria Cova da parte di Patrizio Bertelli: intervenuto al 5° Luxury Summit del Sole 24 Ore, il ceo del gruppo Prada aveva smentito. Ma certo nessuno avrebbe immaginato che la famiglia Faccioli stesse per tirare fuori dalla manica l'asso di Bernard Arnault.

I poteri forti vogliono più tasse per gli italiani (10 luglio 2013).
I tecnocrati si schierano col partito delle tasse e, senza girarci troppo intorno, pretendono che il governo non abolisca l'Imu sulla prima casa. Alla vigilia della cabina di regia tra esecutivo e maggioranza, convocata dal premier Enrico Letta per trovare un accordo sulle misure economiche da mettere in cantiere, il vicepresidente dell’esecutivo europeo Olli Rehn lancia un avvertimento che puzza di minaccia: "Sono sicuro che il governo italiano prenderà seriamente in considerazione le raccomandazioni". Fa peggio l'agenzia statunitense SandP's che arriva a tagliare il rating a un passo dalla "spazzatura" a causa "della sospensione dell’Imu e del possibile ritardo dell'aumento dell’Iva". I dati dell'Istat sui redditi delle famiglie italiane rilevano il crollo del potere e l'incremento della propensione al risparmio. Così, mentre i consumi delle famiglie continuano a scendere inesorabilmente, il governo è alle strette: non può procrastinare oltre l'approvazione del piano per rilanciare la crescita. Gli analisti del dicastero dell'Economia devono trovare al più preso i soldi per abolire l'aumento dell'aliquota Iva e dell'imu sulla prima abitazione. Due misure che sono inevitabili se si vuole far ripartire l'economia del Paese. Il ministro Fabrizio Saccomanni, che da giorni è finito sotto il fuoco incrociato del Pdl, si è detto fiducioso che si raggiungerà un accordo. Le ipotesi sul tavolo di Letta sono essenzialmente: il Pdl chiede l'abolizione dell'imposta su tutte le prime case, mentre il Pd preferirebbe una rimodulazione. Durante un’intervista a Ballarò, Letta ha assicurato che ha intenzione di rispettare gli accordi. Ma in questo scenario di dialettica politica sono entrati a gamba tesa i poteri forti mondiali. Le minacce di Fmi, Ue e Standard and Poor's sono tese a influenzare le scelte del parlamento. Per tenere sotto scacco il governo, l'agenzia statunitense ha tagliato il rating dell'Italia da "BBB+" a "BBB". In poche parole, a un passo dalla "spazzatura". "Nel 2013 gli obiettivi di bilancio in Italia - hanno spiegato gli analisti di SandP's - sono potenzialmente a rischio per il differente approccio nella coalizione di governo per coprire un disavanzo «frutto della sospensione dell’Imu e del possibile ritardo del pianificato aumento dell’Iva". Nonostante le incursioni degli euroburocrati e della finanza, Letta continua a essere fiducioso sul fatto che alla fine una soluzione si possa trovare. Il problema resta comunque quello della copertura economica: servono 4 miliardi di euro per cancellare del tutto l’Imu come chiede Silvio Berlusconi. "Quest’anno non abbiamo margini di bilancio, quindi se vogliamo cancellare la tassa sulla prima casa dovremo tagliare altre spese", ripetono a Palazzo Chigi. Esattamente ciò che ripetono i tecnici del Tesoro. Per questo il ministro dell’Economia intende presentare una serie di opzioni, ribadendo che tanto più larga sarà la platea degli esenti, tanto maggiori saranno i tagli di altre voci di bilancio. "Nella riunione di domani si affronterà l’ipotesi di modificare le coperture per il rinvio dell’Iva e di cuneo fiscale", spiegano fonti vicine all'esecutivo secondo le quali l’intenzione di Palazzo Chigi e del Tesoro sarebbe di soprassedere - almeno per ora - sullo scottante dossier Imu. Anche se, precisano le stesse fonti, essendo una riunione informale è possibile che qualcuno sollevi il problema.

Sul declassamento di S and P's (11 luglio 2013).
La decisione di Stantard and Poor’s di tagliare il rating dell’Italia «non è adeguatamente sostenuta da analisi condivise e può causare effetti destabilizzanti». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, criticando, nel suo intervento all’assemblea dell’Abi, il provvedimento adottato ieri dall’agenzia. Il giudizio del titolare del dicastero di via XX Settembre è netto: la valutazione di SandP «appare basata sull’estrapolazione meccanica di dati e della situazione del passato, con minima o nulla considerazione per le misure già prese o in corso di attuazione. Il futuro è valutato sulla base di una percezione di rischi che tengono conto degli scenari peggiori». Per Saccomanni la situazione reale è decisamente diversa. I dati del secondo trimestre, ha spiegato, «suggeriscono una graduale stabilizzazione del ciclo e la ripresa, dopo la lunga stasi dell’azione politica, è ora attesa a partire dal quarto trimestre e prenderà vigore nel 2014 sulla scorta delle misure di rilancio». Anche per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la ripresa arriverà a fine anno con un Pil che dovrebbe superare lo 0,5% nel 2014. Stando alle previsioni «l’attività economica - ha affermato - tornerà ad espandersi a ritmi moderati dalla fine dell’anno, con una crescita complessiva superiore al mezzo punto percentuale nel 2014. Nel breve termine, la domanda interna dovrà trovare sostegno nella tempestiva esecuzione del pagamento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche». Quindi, secondo Visco, «i timori degli analisti internazionali sulla solidità delle banche italiane non vanno sottovalutati anche se non sempre ben motivati». In un messaggio inviato all’assemblea dell’Abi, il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha chiesto alle banche di sostenere le imprese: «Restituire liquidità alle imprese è il primo passo per uscire dalla crisi e generare sviluppo e lavoro». Anche lo Stato, ha riconosciuto, deve fare la sua parte: «Il pagamento dei debiti della Pa - ha aggiunto - che ci siamo impegnati ad accelerare in autunno e il ruolo più significativo che al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno abbiamo attribuito alla Bei, costituiscono certamente tasselli centrali di questa strategia». L’associazione bancaria italiana, dal canto suo, sottolinea che «l’Italia si sta impoverendo e che occorrono sforzi decisi e convergenti per la ripresa dello sviluppo». Il presidente Antonio Patuelli, nella relazione dell’assemblea, ha sostenuto che «per uscire da questa grave e lunga crisi è necessaria innanzi tutto una maturazione di consapevolezze e nuove rafforzate volontà di correzione delle anomalie italiane. Questa crisi è la somma di vari momenti problematici in cui si sono evidenziati i limiti dell’Unione Europea, dell’euro e delle istituzioni europee». Contro il giudizio di SandP si alza il fuoco incrociato della politica. «È un giudizio sbagliato quello di Standard and Poor’s, l’Italia quest’anno raggiungerà il pareggio di bilancio in termini strutturali, ed è uno dei pochissimi Paesi che è al di fuori della procedura d’infrazione europea per deficit eccessivo» dice il vice-ministro Fassina in una intervista a La Stampa. «La valutazione che ha espresso l’agenzia di rating è un riflesso meccanico di un paradigma culturale inadeguato», aggiunge Fassina. «Gli interventi su Iva e Imu che vengono citati da SandP, come abbiamo ripetuto molte volte, saranno assolutamente compensati da coperture finanziarie solide», spiega.

Sale l'inflazione (12 luglio 2013).
I prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori a giugno, quelli del «carrello della spesa» sono aumentai dello 0,4% su base mensile e dell’1,7% su base annua (era +1,5% a maggio). Lo comunica l’Istat che segnala un maxi-rincaro per la frutta fresca a giugno: i prezzi in un solo mese sono aumentati del 6,9% trascinando in alto l’indice degli alimentari; complessivamente su base mensile sono aumentati dello 0,6% e su base annua del 2,8%. A causare il mega rincaro, secondo Coldiretti, il maltempo e i nubifragi , con i danni provocati alle coltivazioni ma anche della distorsioni presenti dal campo alla tavola. Sempre nel mese di giugno l’inflazione è aumentata dello 0,3% rispetto al mese precedente e dell’1,2% rispetto a giugno 2012 (era +1,1% a maggio). La lieve accelerazione, spiega l’Istat, è principalmente imputabile alla ripresa dei prezzi dei ’beni energetici non regolamentati’, che crescono su base mensile dello 0,5%, con una sensibile attenuazione della flessione su base annua (-1,8%, da -4,8% di maggio). Contribuiscono al rialzo congiunturale dell’indice generale anche gli aumenti su base mensile dei prezzi degli ’alimentari non lavorati’ (+1,4%, attribuibile soprattutto all’aumento del 6,9% dei prezzi della frutta fresca) e dei servizi relativi ai trasporti (+0,7%), sui quali incidono, in parte, fattori di natura stagionale. La città in cui i prezzi a giugno hanno registrato gli aumenti su base annua più elevata è Reggio Calabria è con un +2,9% la città in cui i prezzi a giugno hanno registrato gli aumenti su base annua più elevata. Seguono, con aumenti meno marcati, Venezia (+1,9%), Potenza, Bologna e Genova (per tutte +1,6%). I tassi di inflazione più contenuti riguardano Palermo, Aosta (per entrambe +0,6%), Cagliari e Trieste (entrambe +0,7%).

Una crescita sempre più impervia (15 luglio 2013).
Il dibattito della politica su come salvare l’economia rischia di finire fuori strada. Nel confronto di mezz’estate fanno titolo più le minacce ipotetiche di manovre aggiuntive ottobrine che non le soluzioni pratiche possibili, sebbene solo in parte immediate, sui cui bisognerebbe lavorare, mangiandosi pure le vacanze perché non c’è scelta. In questi scampoli di fine stagione, a Bruxelles studiano il caso italiano convinti che, nonostante il debito «monstre», il vero problema non siano conti pubblici più o meno imbrigliati, quanto la crescita che non c’è (da anni). Certo, dicono, la spesa va asciugata e le entrate sono da corroborare. Ma se non cresciamo non si va proprio da nessuna parte. E’ una trappola numerica. Quando vent’anni fa si sono fissati i parametri virtuosi per la contabilità pubblica dell’Ue, s’è adottato il criterio del calcolo in percentuale del pil, trasparente ma pericoloso: in caso di crisi prolungata, le cifre di deficit e debito peggiorano anche se le redini del bilancio sono salde nelle mani del Tesoro. Lo insegnano alle elementari: se cala il denominatore, sale il rapporto deficit/pil. «Dall’ultimo Tremonti i conti risultano sostenibili», certifica una fonte Ue. Al netto del ciclo, il disavanzo è inferiore al 3% dal 2011, e adesso si trova in sostanziale pareggio strutturale. Se fossimo passati per anni di stagnazione non avremmo avuto un peggioramento relativo della posizione. E’ purtroppo andata in modo diverso. Prima che il governo avviasse il rimborso dei crediti commerciali, la Commissione ci attribuiva un deficit al 2,4% del pil nel 2013 e una clima recessivo da 1,1 punti. In maggio, l’operazione salvaimprese ha portato il disavanzo al 2,9, appena sotto il famigerato 3%, mentre la decrescita veniva corretta all’1,3%. Come dire a un millimetro dalla zona del fabbisogno eccessivo da cui siamo appena rientrati. Ora sappiamo - lo ha stimato la Banca d’Italia - che il pedaggio della recessione sarà più doloroso: andremo in rosso di due punti. Ne consegue un ragionamento tristemente semplice. Se il deficit era al 2,9% di un pil che calava dell’1,3, una frenata del 2 e oltre ci porta automaticamente al 3,3/3,4. Una vera beffa, visto che si tratterebbe di una pura variazione matematica a cui si arriva senza aver speso un cent in più o averne incassato uno in meno. Mentre il danno verrebbe con le possibili reprimenda di Bruxelles (invito a correzioni incluso), da cui potremmo salvarci solo se riuscissimo a dimostrare che si tratta di un picco e non di una condizione strutturale. Siamo vittime d’una frazione. Sotto c’è il pil che cala inesorabilmente in un paese che in questo secolo ha solo perduto competitività, ha gonfiato le retribuzioni ma non la produttività, e si è sviluppato come un stelo nel deserto. Sopra c’è il deficit, che cresce senza muoversi. E’ la maledizione del nostro governo. «Dico sempre agli italiani che la risposta è "crescita, crescita, crescita!"», lamenta un alto funzionario della Commissione. Vero. Basta tenere i conti così, fermi, senza creare altri buchi, e concentrarsi per il possibile sugli stimoli per sviluppo e competitività, realizzando le riforme che abbiamo concordato nelle raccomandazioni Ue di giugno, nulla che non fosse scontato, come detassare il lavoro, formare i giovani e aprire il mercato. Qualche taglio alla spesa aiuta, ma basta spendere bene i fondi Ue per cambiare passo. Altro rigore danneggerebbe l’economia, e sarebbe paradossale, perché restringendosi il pil, farebbe salire il deficit in una spirale da matti. Dalla quale, al punto in cui siamo, ci si libera solo puntando tutto sull’inversione del ciclo. Davvero, però, senza chiacchiere, con acume strategico e concordia politica. Bisogna agire sul denominatore, risollevando imprese e lavoratori. Il debito seguirà. La matematica può essere spietata ma, come è noto, non è un’opinione.

Fisco locale sempre più esoso (16 luglio 2013).
E' inarrestabile il boom del fisco locale: nato per rendere più flessibile il prelievo tributario e rivelatosi alla prova dei fatti un semplice fattore di aggravio della pressione fiscale complessiva, senza effettivi contenimenti dei gettiti erariali. Nel giorno in cui uno studio Confcommercio-Cer segnala un incremento del 500% della fiscalità locale negli ultimi vent'anni, il Sole 24 Ore di martedì 16 luglio si concentra su un periodo istituzionalmente più significativo: quello che conduce dal varo della riforma del Titolo V della Costituzione (cioè il primo aggiornamento federalista della struttura fiscale dello Stato nel 2001) ad oggi. Ebbene in quest'arco temporale il prelievo è cresciuto del 50%, per sostenere dinamiche di spesa pubblica regionale particolarmente pronunciate (fra il 2002 e il 2010 +36,5% per il personale sanitario, +46,2% per la medicina generale convenzionata, +62,5% per quella specialistica). In parallelo, i 342,5 miliardi di tributi incassati dall'Erario nel 2001 sono divenuti 443,5 dieci anni dopo.

BANKITALIA. Bollettino economico di luglio (17 luglio 2013).
Il Pil italiano diminuirà dell'1,9% nel 2013 per poi riprendere a salire nel 2014 quando crescerà dell 0,7%. Come anticipato già all'Abi e dal Governatore Ignazio Visco, Bankitalia rivede al ribasso di circa un punto percentuale le stime del prodotto internlo lordo italiano nel 2013. Il Pil, si legge nel bollettino economico di luglio, dovrebbe contrarsi dell'1,9% e non dell'1% come stimato a gennaio scorso per poi tornare a crescere «a ritmi moderati» nel 2014 con un +0,7%. Secondo Via Nazionale però sulla ripresa del Pil italiano pesano notevoli incertezze. «Sulla ripresa dell'attività economica tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 - osserva Bankitalia - gravano rischi al ribasso, legati principalmente alle prospettive dell'economia globale, alle condizioni di liquidità delle imprese e a quelle dell'offerta di credito». «La domanda estera - continua - potrebbe risultare più debole di quanto ipotizzato, se il ritmo di crescita delle principali economie emergenti dovesse diminuire e la debolezza ciclica in Europa dovesse protrarsi». In più questo scenario è «condizionato alla piena attuazione ed efficacia delle misure di politica economica». Via Nazionale cita il decreto di sblocco dei debiti della Pa che «potrebbe rivelarsi meno efficace di quanto ipotizzato se non venisserro rispettati i tempi di pagamento previsti». «Sui tempi e sull'intensità della ripresa - aggiunge Bankitalia - gravano infine i rischi di aumenti degli spread sui titoli di Stato, che l'alto debito pubblico e le deboli prospettive di crescita del nostro paese rendono ancora sensibili alle variazioni del clima di fiducia degli investitori e alle valutazioni degli analisti». Inoltre, si legge nel Bollettino, il conseguimento degli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici «è condizione necessaria per il contenimento dei premi per il rischio». In questo senso «occorre evitare - per Via Nazionale - che questi risentano negativamente di incertezze sul quadro interno. Un aumento degli spread si ripercuoterebbe sulla provvista delle banche e quindi sulla disponibilità e sul costo del credito a imprese e famiglie». Il mercato del lavoro continua a peggiorare e l'anno prossimo il tasso di disoccupazione sfiorerà il 13% (a maggio era oltre il 12%). È quanto sottolinea la Banca d'Italia secondo cui «le prospettive restano negative soprattutto tra i giovani». «Le condizioni del mercato del lavoro - afferma Via Nazionale - che tipicamente reagiscono con ritardo alla dinamica dell'attività produttiva, continuerebbero a deteriorarsi, mostrando una timida ripresa solo nella seconda metà del 2014». «Il numero di occupati - aggiunge Bankitalia - diminuirebbe di circa l'1,5% nel biennio 2013-14, a fronte di un modesto aumento dell'offerta di lavoro, che risentirebbe degli effetti di scoraggiamento. Il tasso di disoccupazione, che al netto dei fattori stagionali ha superato il 12% nel maggio di quest'anno, sfiorerebbe il 13% nel corso del prossimo». Le condizioni del mercato del credito «rimangono tese». Nei primi quattro mesi dell'anno, osserva il Bollettino economico di Bankitalia, «si è accentuata la flessione dei prestiti alle famiglie e, in misura maggiore, alle imprese». Le difficoltà «sono generalizzate, ma più accentuate per le aziende piccole e medie, con minori possibilità di sostituire i prestiti bancari con altri finanziamenti». La flessione dei prestiti, osservano gli economisti di Via Nazionale, «rispecchia la perdurante debolezza della domanda di credito, ma continua a risentire anche dell'orientamento restrittivo dell'offerta. Nonostante la liquidità abbondante, le politiche di prestito delle banche sono frenate dal peggioramento del rischio di credito provocato dal prolungarsi della recessione». In questo quadro, il tasso anNuo di ingresso in sofferenza nel primo trimestre del 2013 è salito al 2,8 per cento per il complesso dei finanziamenti, al 4,5 per i soli prestiti alle imprese. In base agli indicatori prospettici, il flusso di sofferenze rimarrebbe elevato nella restante parte dell'anno. L'assetto patrimoniale delle banche, rafforzatosi nel 2012, "rimane tuttavia nel complesso solido». Gli italiani continueranno la stretta sui consumi anche nel 2014, con un -0,1% dopo il -2,3% di quest'anno e il -4,3% del 2012. Secondo il Bollettino economico di Bankitalia, infatti, i consumi risentiranno della «debolezza del reddito disponibile e dall'elevata incertezza sulle prospettive del mercato del lavoro». Alla «moderata ripresa del reddito disponibile - conclude Bankitalia - si accompagnerebbe un aumento del tasso di risparmio».

Triste fine dei Ligresti (18 luglio 2013).
L'impero della galassia Ligresti, costruito sul mattone e proliferato con l'ingresso nel mondo delle assicurazioni, si sgretola sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Prima il faro acceso sui trust che controllavano un 20% di Premafin e riconducibili, per l'accusa, a Salvatore Ligresti, poi la lente sui conti del gruppo Fondiaria Sai, quindi i legami con Mediobanca nell'ambito del piano di ristrutturazione targato Unipol. Tre filoni che hanno smontato un patrimonio cresciuto di pari passo con il peso che la famiglia si è ritagliata all'interno dei salotti buoni della finanza italiana. L'ascesa dell'Ingegnere parte dai terreni. Il primo affare lo chiude a Milano partendo dall'acquisto di un lotto, pagato 15 milioni di cui 10 a debito, che gli permise di ricavare un guadagno netto di 35 milioni. Da lì iniziò a costruire la sua fortuna che cominciò a diventare impero con lo "scippo" del primo pacchetto di azioni Sai. Gli inizi furono accompagnati da sponsor del calibro di Virgillito, Ursini e Antonino La Russa (padre di Ignazio), personaggi chiave della Borsa e degli affari finanziari negli anni 60-70. Una storia, peraltro, che si incrocia con vicende personali altrettanto controverse (il rapimento della moglie e le indagini per mafia) e con una classe politica, Bettino Craxi in primis, che ha segnato un'era dell'Italia. E proprio all'interno di quel quadro, maturò la prima caduta di Ligresti. A trascinarlo alla ribalta mediatica, ma con implicazioni giudiziarie, fu lo scandalo delle aree d'oro di Milano: si scoprì, infatti, che due terzi degli appalti della città a metà degli anni'80 erano in mano sua. Quell'episodio portò al primo salvataggio dell'Ingegnere e fu Mediobanca alla regia con la spregiudicata quotazione in Borsa della sua holding (Premafin). Nasce qui il rapporto di fedeltà-fiducia con Enrico Cuccia di cui Ligresti diventa la longa manus in buona parte dei salotti buoni del Paese. Veniva infatti chiamato "mister 5%" perché aveva rastrellato piccole quote in tutte le società chiave dell'Italia di allora: Pirelli, Hdp, Gemina e Mediobanca stessa. Una rinasciata alla quale fa seguito un'altra repentina caduta. Viene coinvolto in pieno dalla vicenda Tangentopoli ed è costretto a 110 giorni di carcere per le tangenti Eni e per la metropolitana milanese. Se la caverà comunque con una condanna soft (due anni di servizio alla Caritas) ma dovrà abbandonare tutte le cariche nelle società che controlla. Qui è il debutto della figlia Jonella, allora appena 23enne, al vertice del gruppo. Un gruppo che, nonostante tutto, si consolida e ramifica fino ad arrivare alla controversa mancata Opa su Fondiaria. È il 2002, morto Cuccia e con Maranghi al timone, Mediobanca è in pieno scontro con la Fiat. Piazzetta Cuccia vuole la Fondiaria che rischia di passare al Lingotto a valle dell'Opa che Torino ha lanciato su Montedison. Maranghi decide allora di far scendere in campo Ligresti che rastrella in Borsa un rotondo pacchetto di azioni Fondiaria e si candida a salire a un passo dal 30% del gruppo. Ma Consob interviene e obbliga Ligresti all'Opa sulla compagnia fiorentina. Con un escamotage, grazie a una cordata di cavalieri bianchi dei quali fa parte anche Francesco Micheli, Ligresti riesce a evitare l'offerta e crea Fondiaria-Sai. L'operazione è contestatissima, uno scandalo per il libero mercato ma è fatta. Da lì l'ascesa vera che però si conclude con un tonfo dal quale l'Ingegnere rischia di non risolleversi. FonSai, quotata in Borsa e con migliaia di piccoli azionisti, per la famiglia diventa il pollo da spennare. L'intera dinastia, in primis quei tre figli mai all'altezza del padre e concentrati su cavalli, borse e golf, secondo l'accusa avrebbero depredato con l'aiuto di manager fedelissimi e compiacenti il gruppo assicurativo. Solo tra il 2008 e il 2011 si contano operazioni per oltre 400 milioni con cui la famiglia si sarebbe arricchita a danno della compagnia. Ed è qui però che matura la rottura con Mediobanca. Piazzetta Cuccia con Alberto Nagel e Renato Pagliaro al timone, si mette in regia per il cambio "pilotato" del controllo. È la fine del 2011: il legame si spezza e FonSai passa a Unipol. Ma sul tavolo della procura di Milano arriva il famoso papello: una sorta di patto segreto custodito in una cassaforte tra Nagel e Ligresti dove il primo si impegna a fare in modo che Unipol riconosca a tutta la famiglia una lunga lista di privilegi e vitalizi, tra le quali vacanze gratis al Tanka Village. Nel mentre il patrimonio si sfalda, le cassaforti dell'Ingegnere vanno verso il fallimento e lui è fuori dai giochi ed ora è ai domiciliari. Ma solo poco tempo fa assicurava: di questa storia non è ancora stato raccontato nulla.

Detroit è fallita (19 luglio 2013).
Detroit è fallita, 18 miliardi di dollari in obbligazioni municipali non saranno più ripagate, migliaia di dipendenti pubblici rischiano il licenziamento, le pensioni municipali saranno quasi certamente ridotte e l'Usa, che si era appena ripresa dalla crisi del 2007/2009 e che ieri ha festeggiato la tenuta della crescita con nuovi massimi a Wall Street, si è raggelata: non era mai era successo nella storia del Paese, neppure negli anni bui della Guerra Civile, che una città di queste dimensioni andasse in bancarotta e chiedesse protezione dai creditori e la possibilità di congelare il proprio debito e i pagamenti degli interessi, invocando l'articolo 9 della legge fallimentare americana. L'annuncio, drammatico, nel pomeriggio di ieri, è venuto dal governatore dello stato, il repubblicano Rick Snyder: "Lasciate che sia chiaro – ha detto Snyder – Detroit è fallita. E' stata una decisione difficile, dolorosa, ma non credo ci fossero altre soluzioni possibili". E il commissario di questa città, passata sotto il controllo dello stato proprio per via di questa crisi finanziaria che appariva senza soluzione già un paio di anni fa, ha cercato di rassicurare: "Vorrei per prima cosa riconfermare ai cittadini di Detroit che i servizi della città saranno garantiti, i salari saranno pagati; era da tempo che temevano di doverci rassegnare a questa soluzione difficile" ha detto il commissario speciale Kevyn Orr. E' dal marzo scorso, da quando cioè la capitale dell'auto americana passò sotto il controllo delle autorità statali con la nomina di Orr, che si parla di una possibilità di bancarotta. Ma è da almeno due anni che la situazione si era fatta critica. Al punto che il mercato aveva di fatto scontato che il debito contratto dalla città, quelle obbligazioni municipali per 18 miliardi di dollari, molto probabilmente non sarebbe mai stato ripagato. Anche per questo le reazioni di mercato per ora sono contenute, il future del Dow Jones è al ribasso di appena una trentina di punti e anche nei mercati asiatici gli addetti ai lavori hanno tenuto i nervi saldi. La conclusione a Wall Street: il fallimento di Detroit era largamente annunciato dal punto di vista finanziario e non avrà un effetto palla di neve su altre municipalità americane o sulla stabilità finanziaria del Paese. Non solo, sempre ieri Ben Bernanke il governatore della Fed chiudeva le sue audizioni in Congresso confermando di essere sempre pronto a intervenire in caso di necessità. Tutti ricorderanno che un paio di giorni fa il governatore aveva sorpreso i mercati annunciando che il "tapering", una riduzione cioè degli acquisti mensili di bond sul mercato, non era stato deciso. Bernanke sembrava fare una chiarezza persino eccessiva, e retrospettivamente in molti si chiedono se il governatore non fosse già stato informato della decisione annunciata ieri a Detroit e volesse giocare d'anticipo per rassicurare i mercati. Ma al di là dell'impatto finanziario molto contenuto su base nazionale e internazionale, resta l'impatto emotivo, storico, la testimonanza del fallimento di una grande città americana. Una città nata nel 1701 e che avrebbe fatto storia in molti modi. Intanto con i primi modelli T di Henry Ford, le auto che all'inizio del secolo scorso cominciavano a battere le strade americane portando la grande rivoluzione della motorizzazione di un paese immenso. Poi negli anni 50 la capitale dell'auto divenne anche la capitale della musica con l'etichetta Motown (da Motor Town) fondata nel 1959 da Berry Gordy, un produttore discografico afroamericano che lanciò da Detroit alcuni dei più grandi artisti americani, dai Jackson 5 a Stevie Wonder, da Marvin Gaye a Diana Ross. Poi le tensioni e la svolta, un'altra svolta storica che capitò di nuovo in un caldissimo mese di luglio, il 23 luglio del 1967: disordini razziali scoppiati per la chiusura di un bar clandestino, il Blind Pig. Ci furono tafferugli fra polizia e clienti del bar e residenti del quartiere. Fu la scintilla che fece esplodere le dimostrazioni di massa. La polizia attaccò e migliaia di dimostranti soprattuto afroamericani risposero. Risultato dopo cinque giorni di guerriglia urbana: 43 morti, 33 afroamericani, 467 feriti, 7.231 arresti, il più piccolo aveva 4 anni il più vecchio 82! 2.509 negozi saccheggiati, 412 palazzi bruciati 388 famiglie senzatetto. Qualcuno oggi dice che la radice della bancarotta è da ricercarsi anche in quelle altre giornate di luglio. La città non fu mai più la stessa. la popolazione bianca terrorizzata dai disordini, evacuò in massa per i sobborghi; le case automobilistiche cominciarono a spostare alcuni impianti, persino Motown, che proprio in questi giorni viene celebrata in un grande immancabile spettacolo a Broadway, emigrò a Los Angeles con la sua grande scuderia di artisti mondiali nei primissimi anni 70. La concorrenza giapponese e la crisi strutturale del settore auto negli anni successivi fecero il resto. Il centro della città restò fantasma. Tentativi di rilanciarlo ad esempio con la costruzione del Renaissance Center e con il Gran Premio di Detroit di Formula Uno, fallirono. La città non diversificava come avevano fatto altre città colpite da crisi industriali, come Cleveland, ex città del petrolio o Pittsburgh ex città dell'acciaio. L'auto con tutti i suoi problemi restava l'unica piattaforma su cui poggiare. Poi la crisi del 2007/2009 ha dato il colpo finale. Eppure appena un paio di giorni fa il New York Times, raccontava in prima pagina una storia di grande speranza, la storia dell'impianto Jefferson della Chrysler, l'unico rimasto in centro a Detroit. Un centro peraltro smisurato: una volta ospitava quasi 2 milioni di persone, 3 milioni inclusi i sobborghi. Oggi sono rimaste solo 700.000 persone su un'area grande quanto Manhattan centro di San Francisco e Boston messe insieme. Ma in questo impianto le cose vanno bene, rispetto a quattro anni fa, quando c'era solo un turno per produrre i Gran Cherokee della Jeep e i Dodge Durango. Oggi ci sono 3 turni, i dipendenti sono passati da 1.500 a oltre 4000. Vien fatto di chiedersi, ma come mai proprio ora, quando l'auto a Detroit si riprende la città fallisce? "Purtroppo questa era una crisi attesa, annunciata – ha risposto Gualberto Ranieri il portavoce di Chrysler – sono due facce di una stessa medaglia, da una parte il settore auto soffocato quattro anni fa da una crisi terribile che oggi si riprende, dopo molti sacrifici, e il caso Jefferson del New York Times, è un caso esemplare. Dall'altra la crisi di una municipalità che non è riuscita a ristrutturare e che in difficoltà invece ci è rimasta troppo a lungo". Se l'auto si è rimessa in piedi questo è stato anche perché lo stesso Presidente Obama ha incoraggiato riduzioni di salari e delle pensioni a fronte degli aiuti dello stato. Non dimentichiamo che nel luglio del 2012, già alcune città della California (Vallejo, Stockton, Mammoth Lakes e San Bernardino) dichiararono fallimento. E probabilmente Detroit non sarà l'ultima.

Debito/Pil in continua crescita (22 luglio 2013).
Debito italiano record: nel primo trimestre del 2013 ha sfondato quota 130%, assestandosi a 130,3% del pil. Nel trimestre precedente era a 127%. Lo comunica Eurostat che sottolinea come solo la Grecia abbia un debito più elevato dell’Italia, a 160,5%. Dopo Grecia e Italia c’è il Portogallo (127,2%), l’Irlanda (125,1%) e Belgio (104,5%). I debiti più bassi invece in Estonia (10%), Bulgaria (18%) e Lussemburgo (22,4%). Rispetto all’ultimo trimestre 2012, 21 Stati hanno registrato un aumento del loro debito nel primo trimestre 2013 e solo sei una discesa. Gli aumenti più elevati quelli dell’Irlanda (+7,7 punti percentuali) Belgio (+4,7 punti) e Spagna (+4 punti), mentre i cali più ampi in Lettonia (-1,5 punti), Danimarca (-0,8 punti) e Germania (-0,7 punti). Aumenta quindi come previsto il debito pubblico nell’Eurozona: secondo i dati Eurostat diffusi oggi, nel primo trimestre di quest’anno il debito dei 17 paesi euro è stato pari al 92,2% del Pil (90,6% nel trimestre precedente) mentre quello dell’Ue (ancora a 27 paesi) era a 85,9% (85,2% nell’ultimo dell’anno scorso). Alla fine del primo trimestre 2013, i titoli diversi dalle azioni hanno rappresentando il 77,1% del debito pubblico dell’Eurozona e il 79% di quello dell’Ue. I crediti hanno contato rispettivamente per il 18,4% e il 15,9% del debito pubblico.

Accordo sulle assunzioni per Expo 2015 (24 luglio 2013).
La società Expo 2015 ha firmato oggi un accordo con i sindacati per disciplinare le modalità di assunzione di circa 800 figure - tra apprendistato, contratti a tempo determinato e stage - necessarie per l'Esposizione universale, nell'ambito di un protocollo la cui applicazione potrebbe essere allargata a livello territoriale e nazionale. "Questa è una delle cose che più mi lasciano soddisfatto", ha detto l'AD di Expo Giuseppe Sala prima della firma dell'accordo, a cui si è arrivati dopo un lavoro durato circa sette mesi. "Abbiamo lavorato bene, in maniera concreta, in deroga rispetto alle regole dell'attuale mercato del lavoro. Offriamo la nostra piattaforma a chi la voglia usare, augurandoci che trovi applicazione a livello territoriale e nazionale", ha aggiunto l'AD, precisando di aver sentito sul tema il presidente del Consiglio Enrico Letta e il ministro del Welfare Enrico Giovannini, "che ha già raccolto spunti dal nostro lavoro". La settimana scorsa, Giovannini aveva minacciato un possibile intervento del Parlamento se entro metà settembre le parte sociali non avessero raggiunto un accordo su come rendere più flessibili i contratti a termine in vista di Expon 2015. E' "un'ottima intesa", ha detto oggi Letta in una nota. "Il contributo delle parti sociali è stato molto produttivo", ha sottolineato, precisando che "sulla base dell'intesa raggiunta a Milano si può pensare a un modello nazionale". L'accordo prevede 340 contratti di apprendistato - per gli under 29 anni - 300 contratti a tempo determinato, scelti a partire dalle liste di mobilità e disoccupazione, oltre a 195 stagisti (retribuiti con 516 euro a titolo di rimborso spese). Nell'accordo sono previsti anche circa 18.500 volontari, chiamati soprattutto a fornire informazioni e assistenza ai visitatori del sito espositivo, che saranno impiegati ciascuno per cinque ore al giorno per un massimo di due settimane su una base di 475 al giorno. E' previsto anche un osservatorio permanente, composto da Expo e dalle sigle sindacali, per la verifica del rispetto di tutte le parti dell'accordo, oltre a un comitato per la sicurezza. "L'intesa dà una risposta equilibrata alle forti esigenze di flessibilità connesse all'evento, secondo un quadro di regole legislative opportunamente adattate alla particolarità del contesto, con la giusta tutela per le persone che saranno impiegate", ha detto Walter Galbusera, segretario generale di Uil Milano e Lombardia. Per il segretario generale della Cisl di Milano Metropoli, Danilo Galvagni, "questo accordo dimostra che la trattative tra le parti è la strada maestra per affrontare i problemi (...) su questa linea vogliamo proseguire anche nel confronto con le associazione datoriale e le imprese". "Resta tuttavia aperta la questione di quale risposte dare ai lavoratori alla fine della manifestazione", ha aggiunto. Anche l'assessore comunale per le Politiche del Lavoro, Cristina Tajani, ha detto che "il lavoro fatto sul territorio deve essere recuperato all'interno del confronto che si sta svolgendo a livello nazionale sullo stesso tema". "Già domani, insieme alla Provincia e alle organizzazioni sindacali, riprenderemo il confronto per il raggiungimento di un'intesa territoriale che possa regolare anche gli aspetti relativi alla formazione in entrata e al ricollocamento in uscita dei lavoratori che saranno impiegati durante i mesi dell'evento".

Le provincie 2.0 (26 luglio 2013).
Il Governo prova ad andare avanti sullo svuotamento delle Province. Il Consiglio dei ministri ha appena licenziato in via preliminare il disegno di legge che dal 2014 istituisce le Città metropolitane, trasforma le amministrazioni provinciali in enti di secondo livello con funzioni minime di pianificazione e semplifica la disciplina delle Unioni di Comuni. Si tratta del secondo tassello dopo il Ddl costituzionale approvato il 5 luglio scorso e volto ad eliminare il termine «Province» dagli articoli 114 e seguenti della Costituzione. Entrambi i provvedimenti dovranno avere prima il parere della Conferenza unificata e poi l'ok del Parlamento. Per cui il percorso di superamento delle Province è appena all'inizio. L'intervento dell'Esecutivo si è reso necessario dopo che la sentenza 220 della Consulta agli inizi di luglio ha sancito l'illeggittimità costituzionale sia dell'articolo 23 del decreto salva-Italia, che trasformava le Province in enti di secondo livello, sia gli articoli 17 e 18 della spending review, che prevedevano il taglio di quelle con meno di 350mila abitanti e un'estensione inferiore a 2.500 chilometri quadrati (riforma peraltro congelata dalla successiva legge di stabilità, ndr). In attesa della riforma costituzionale che potrebbe prevederne l'abolizione, il Ddl approvato oggi istituisce un ente di area vasta, governato sostanzialmente dai rappresentanti dei Comuni e dotato di poche funzioni di pianificazione. Non è più prevista tra gli organi la Giunta provinciale; il presidente è un sindaco in carica eletto, con un sistema di voto ponderato, dall'Assemblea dei primi cittadini; il Consiglio provinciale è costituito dai sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti e dal presidente delle Unioni di Comuni del territorio con più di 10.000 abitanti. La trasformazione si avvia entro 20 giorni dalla data di proclamazione dei sindaci eletti nelle prossime tornate amministrative con l'elezione del nuovo Presidente e l'insediamento del Consiglio. E, dunque, al più tardi nell'estate del prossimo anno. Nei territori di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria dal 1° gennaio 2014 nasceranno le Città metropolitane. Che si occuperanno di pianificazione strategica, servizi pubblici, viabilità, trasporti, sviluppo economico e prenderanno il posto delle rispettive Province. Da quel momento comincerà l'iter per l'adozione dei nuovi statuti che dovrà concludersi entro sei mesi. Dal 1° luglio le Città metropolitane saranno infatti effettivamente in carica con i loro tre organi: il sindaco metropolitano, cioè il sindaco del comune capoluogo che insieme ai primi cittadini di tutti i municipi con più di 15mila abitanti e ai presidenti delle unioni di comuni con più di 10mila abitanti formerà il consiglio metropolitano accanto al quale opererà anche una conferenza metropolitana formata dall'insieme dei sindaci. In alternativa lo statuto potrà prevedere un sistema di elezione a suffragio universale sulla base di una legge elettorale nazionale. Sempre a partire dal 2014 nascerà anche la Città metropolitana di Roma capitale che sostituirà sia il Comune che la Provincia di Roma. Fino all'eventuale adesione di ulteriori Comuni, il sindaco di Roma assume le funzioni di sindaco metropolitano e l'Assemblea capitolina assume le funzioni del consiglio e della conferenza metropolitana; si applicano per il resto le altre disposizioni sulle città metropolitane. Al tempo stesso il provvedimento prova a mettere ordine nelle tre diverse tipologie di Unioni di Comuni oggi esistenti. Prevedendo ad esempio che tutti i municipi con meno di 5mila abitanti 8o 3mila se montani) si associno per svolgere le loro funzioni fondamentali.

In luglio aumenta la fiducia delle imprese (29 luglio 2013).
Torna a salire la fiducia delle imprese italiane. L'indice composito, comunica l'Istat, sale a luglio a 79,6 da 76,4 di giugno, quando si era registrato un calo. E il "sentiment" è comune a diversi comparti: l'aumento dell'indice complessivo riflette il miglioramento della fiducia diffuso in tutti i settori economici oggetto di indagine, dalle imprese manifatturiere e di costruzione, a quelle del commercio al dettaglio e dei servizi di mercato. L'indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere, rileva l'Istat, aumenta, passando da 90,5 di giugno a 91,7. I giudizi sugli ordini e le attese di produzione migliorano (da -39 a -37 e da -2 a 0, i rispettivi saldi); il saldo relativo ai giudizi sulle scorte di magazzino passa da 1 a 0. L'analisi del clima di fiducia per raggruppamenti principali di industrie (Rpi) indica un miglioramento diffuso della fiducia: nei beni di consumo da 91,3 a 92,8, nei beni intermedi da 89,8 a 90,8 e nei beni strumentali da 91,1 a 92,5. L'indice del clima di fiducia delle imprese di costruzione sale da 71,1 di giugno a 76,5. Migliorano sia i giudizi sugli ordini e/o piani di costruzione sia le attese sull'occupazione (i saldi aumentano da -56 a -52 e da -27 a -20, rispettivamente). L'indice del clima di fiducia delle imprese dei servizi di mercato sale da 70,7 di giugno a 75,6. Crescono i saldi dei giudizi e delle attese sugli ordini (da -29 a -27 e da -17 a -11, rispettivamente) e migliorano le attese sull'andamento generale dell'economia italiana. Nel commercio al dettaglio, l'indice del clima di fiducia sale da 80,9 di giugno a 82,1. L'indice diminuisce nella grande distribuzione (da 80,0 a 73,0) e aumenta nella distribuzione tradizionale (da 84,7 a 90,8). Impresa Oggi, che finora non ha visto segnali positivi, ritiene che qualche indizio di ripresa inizi a farsi vedere.

Governo: decreto sul lavoro (29 luglio 2013).
Oggi il semaforo verde si è acceso sui primi 2 articoli del provvedimento, che contengono gli incentivi per le assunzioni dei giovani fino a 29 anni e le misure sull'apprendistato. Poche le modifiche approvate (hanno ricevuto l'ok solo quelle del governo e dei relatori). Tra le novità, per quanto riguarda il "bonus" assunzioni (decontribuzione con tetto mensile di 650 euro), è confermata la soppressione della condizione di single con persone a carico, tra quelle necessarie per accedere agli incentivi per l'assunzione (restano in piedi le altre due: e cioè che i giovani devono essere privi di impiego «regolarmente retribuito da almeno sei mesi» e «privi di un diploma di scuola media superiore o professionale» ). Si esclude poi che gli sconti si applichino alle assunzioni di colf e badanti. Per le Regioni del Sud sono previsti 500 milioni di euro (dal 2013 al 2016) e 294 milioni di euro per le altre Regioni (sempre dal 2013 al 2016). Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto e devono essere effettuate a decorrere dal giorno successivo alla data di riprogrammazione dei fondi Ue e non oltre il 30 giugno 2015. Approvata anche la procedura per concedere l'incentivo: l'Inps dovrà comunicare la disponibilità delle risorse; e il datore di lavoro, entro termini perentori, dovrà effettuare (e comunicare) l'assunzione che dà titolo all'agevolazione. In caso di mancato rispetto dei termini perentori, il richiedente decade dalla prenotazione delle risorse, che vengono conseguentemente rimesse a disposizione di ulteriori potenziali beneficiari. L'incentivo è riconosciuto dall'Inps in base all'ordine cronologico di presentazione delle domande cui abbia fatto seguito l'effettiva stipula del contratto; e, in caso di insufficienza delle risorse, valutata anche su base pluriennale con riferimento alla durata dell'incentivo, l'Inps non prende più in considerazione ulteriori domande con riferimento alla Regione per la quale è stata verificata tale insufficienza di risorse, fornendo immediata comunicazione anche attraverso il proprio sito internet. L'altro articolo, licenziato dal Senato, riguarda l'apprendistato. Le Regioni dovranno adottare le linee guida entro il 30 settembre e con due emendamenti (accolti) del governo si elimina la straordinarietà e la temporaneità degli interventi (da realizzare) e si precisa che le novità riguarderanno tutte le imprese e non solo le Pmi e le micro-imprese. Oggi primo round tecnico con le parti sociali sulle norme ad hoc per Expo. L'ok al provvedimento, che poi dovrà passare alla Camera per la seconda lettura, dovrebbe arrivare domani in giornata. Nel testo non sono state incluse norme sulla flessibilità legate ai lavori per l'Expo 2015, proposte con forza per primo dal presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi. Ma, ha ricordato il sottosegretario Carlo Dell'Aringa, il governo sta seguendo «con attenzione le vicende milanesi». Gli accordi sull'Expo, sui quali domani si terrà un tavolo tecnico al ministero del Lavoro (assenti i big dei sindacati dopo l'annuncio già lanciato da Milano nei giorni scorsi), potrebbero insomma essere «allargati ad altri settori e ad altri ambiti territoriali».

Marchionne e il problema Italia (31 luglio 2013).
«Le condizioni industriali in Italia rimangono impossibili»: lo ha ribadito l''amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, a un analista che nella conference call sui risultati del secondo trimestre 2013 faceva riferimento alla situazione degli investimenti in Italia dopo la decisione della Corte Costituzionale sulla rappresentanza sindacale (che impone alla Fiat di coinvolgere la Cgil, non firmataria degli accordi aziendali, nelle relazioni industriali). Marchionne ha, quindi, ribadito di aver chiesto al governo di varare misure che diano una soluzione a quanto si è creato dopo la sentenza della Consulta «ma per ora non vediamo niente». E Marchionne ha poi aggiunto: «Se le condizioni in Italia restano quelle attuali - spiega - è impossibile gestire bene le relazioni industriali. Anche se ci impegnassimo sugli investimenti, sarebbe un impegno vuoto. Stiamo cercando di capire le implicazioni della sentenza per le nostre attività in Italia. Incontreremo il sindacato al centro di questo contenzioso, vedremo il risultato». Marchionne ha anche aggiunto che Fiat potrebbe produrre i nuovi modelli Alfa Romeo non in Italia ma all'estero. «Abbiamo le alternative necessarie per realizzare le Alfa ovunque nel mondo». L'ad del Lingotto ha infine dichiarato, come giá aveva sottolineato nei giorni scorsi, che si sta ancora valutando quale sará l'impatto della sentenza sulle attivitá del gruppo in Italia, osservando che Fiat «resta aperta a cercare soluzioni che possano garantire l'operativitá delle attivitá» (Ansa).

Fiducia nel governo Letta (4 agosto 2013).
A 100 giorni dal suo insediamento, quasi un italiano su due ha fiducia nel governo Letta e nel suo presidente. E, se si dovesse tornare al voto ora, ci sarebbe un sostanziale pareggio tra centrodestra e centrosinistra, con l’ipotetica coalizione formata da Pdl e Lega in vantaggio di un soffio. Il sondaggio realizzato dall’Istituto Piepoli fotografa infatti il giudizio dell’opinione pubblica sui primi 100 giorni del governo delle larghe intese, con un monitoraggio settimanale. Da un livello iniziale del 45% (il 29 aprile scorso), ora è al 48%. Il trend dice che il momento più basso è coinciso con il primo turno delle elezioni amministrative (39%), un calo che per il sondaggista Nicola Piepoli “è fisiologico, ma che non rappresenta un’inversione di tendenza, dato che subito è tornato a crescere”. L’apprezzamento per il governo è più alto tra gli elettori di centrodestra (64%) rispetto a quelli di centrosinistra (56%), segno che questi ultimi vivono questa esperienza come un “prezzo da pagare” per non essere riusciti a conquistare la maggioranza alle urne. Tra i provvedimenti più apprezzati c’è l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, seguito dagli interventi per rilanciare l’occupazione e dal rinvio di Imu sulla prima casa e dal rinvio dell’Iva.
Giorgio Napolitano è il “leader” più apprezzato dagli italiani. Il suo tasso di fiducia è dell’82%, ai massimi dall’inizio del suo secondo mandato (il 29 aprile scorso era al 75%). Stabile al 18% Silvio Berlusconi (che negli ultimi tre mesi ha oscillato tra il 18 e il 20%), anche se va tenuto conto che il sondaggio è stato realizzato il 29 luglio scorso e quindi non rileva l’eventuale effetto della condanna definitiva per frode fiscale. Molto più alto il gradimento per Matteo Renzi (39%), ma va detto che la popolarità guadagnata nei mesi scorsi sembra segnare una battuta d’arresto: soltanto il 1° luglio scorso, infatti, era al 43%, il 13 maggio addirittura al 46%. Il trend registra un netto calo. Non ha avuto grandi scossoni la fiducia in Beppe Grillo (ora al 17%), che aveva segnato il suo picco in positivo il 6 maggio (21%). E se si tornasse a votare oggi? Difficile fare previsioni certe, anche perché non è ancora chiaro con che assetto si presenteranno alle urne le rispettive forze politiche, né con quali leader. Secondo il sondaggio Piepoli, al primo posto ci sarebbe la coalizione di centrodestra, salita al 34% rispetto al 29,18% di febbraio. Un’ascesa legata principalmente al Pdl, che ha guadagnato 4 punti percentuali. Sono infatti stabili gli alleati, Lega inclusa (ferma al 4%). Anche l’intera coalizione del centrosinistra è salita di quattro punti: oggi il Pd è al 27,5% (+1,6%) e Sel al 5% (+1,8%), che sommati ai partiti minori porterebbero l’intero schieramento al 33,5%. Ma da dove arrivano i voti “virtualmente” riconquistati da centrodestra e centrosinistra? Il contribuente maggiore è senza dubbio il Movimento Cinque Stelle, che ha lasciato sul campo circa un 7% di elettori (è sceso al 18,5%). Ma anche il centro ha subito un’ulteriore riduzione rispetto al già scarso risultato di febbraio: l’intera coalizione è passata dal 10% all’8%, con Scelta Civica che ha perso più di tre punti (è al 5%) e non è riuscita a compensare il leggero aumento dell’Udc (da 1,78% al 3%).

Forse luce in fondo al tunnel (7 agosto 2013).
Il governo ribadisce quanto annunciato informalmente dopo il vertice Letta, Saccomanni, Visco, e cioè che la recessione dura è finita e ci sono alcuni timidi segni di ripresa. A sostanziare ulteriormente questa tesi, argomentata con i dati dell’Istat sulla produzione industriale, sono stati ieri sia il ministro del Lavoro Enrico Giovannini che ha parlato a «Radioanchio» al mattino (prima della diffusione dei dati sul Pil) sia il suo collega dell’Economia, Fabrizio Saccomanni che ha rilasciato una lunga intervista serale a SkyTg24. Il ministro Giovannini aveva anticipato alla radio quanto l’Istat, un’ora dopo, avrebbe confermato, e cioè che «nel secondo trimestre il Pil avrà ancora un segno meno, ma nel terzo e nel quarto si potrà avere un segno positivo. Quindi potremmo dire che la recessione che ormai dura da 24 mesi è finita, e sembra che l’ottimismo sia aumentato nelle famiglie dove, in particolare, sono diminuite le aspettative di disoccupazione». Poi, durante la giornata, l’annuncio ha avuto il conforto dei numeri dell’Istat secondo cui il Pil del secondo trimestre si attesta a un -0,2% congiunturale (cioè rispetto al mese precedente). È l’ottavo ribasso consecutivo per l’indice del Pil, ma è meno severo del -0,4% previsto dagli analisti. Su base annua la caduta dovrebbe essere dell’1,7% (rispetto al -2% previsto). Non siamo guariti, dunque, ma la febbre scende. A far ben sperare è il dato sulla produzione industriale italiana che vede il secondo segno più consecutivo con un aumento congiunturale dello 0,3% a giugno, dopo lo 0,1% di maggio. Sono segnali positivi che non bastano a invertire la tendenza (rispetto a giugno 2012 il dato mostra un -2,1% e nel secondo trimestre il risultato è negativo dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti) ma svelano quantomeno un cambio di passo. Tra i settori che spingono di più rispetto a giugno 2012 c’è l’auto che si lancia in un +7,4%, ma vanno bene anche il farmaceutico (+2,8%)e la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica (+1,5%). Fin qui il quadro alla luce del quale il ministro Saccomanni si è presentato alle telecamere di Sky per trarre le conclusioni e dire agli italiani che la nottataccia è passata. La recessione è finita? Chiede il giornalista Alessandro Marenzi. E il ministro annuisce: «Credo di sì». E poi aggiunge «che tra questo trimestre e il quarto l’economia entrerà in ripresa» In questo momento «ci sono ancora dati negativi e dati che sono positivi». In particolare, spiega Saccomanni, «ci sono una serie di dati, che vengono da diversi settori dell’economia e che vanno tutti nella stessa direzione» come gli indicatori della fiducia delle imprese, i consumi, la ripresa industriale. La Banca d’Italia, aggiunge il ministro, ha anche «calcolato un indice che misura la probabilità di inversione del ciclo, che oggi dà 1, cioè il 100% della possibilità di inversione». Il guaio, conclude il ministro, è che per vedere gli effetti della ripresa sull’occupazione bisogna «ancora aspettare». Certo è che secondo un sondaggio di Confesercenti 6 italiani su 10 sperano proprio in una fase di ripresa in autunno. Le parti sociali non sono altrettanto ottimiste. «La ripartenza sarà molto debole - dice il leader di Confindustria Giorgio Squinzi - e dipenderà soprattutto dal miglioramento della situazione internazionale». E per il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni «è ancora presto per parlare di ripresa economica».

Ottimismo anche dalla BCE (8 agosto 2013).
L’Europa è finalmente a un passo dalla ripresa economica: la Bce la prevede «graduale» «nel prosieguo dell’anno e nel 2014». Nell’ultimo bollettino dell’istituto di Francoforte si avverte tuttavia che i rischi per le prospettive dell’area euro «continuano ad essere orientati al ribasso». Ma ci sono buone notizie anche per l’Italia, perché «la riduzione del rating della Francia da parte di Fitch e di quello dell’Italia da parte di SandP hanno avuto impatti limitati sui mercati obbligazionari». Se si vuole incoraggiare la crescita, tuttavia, i paesi dell’area euro devono procedere, raccomanda la Bce, a una «più rapida attuazione delle necessarie riforme strutturali al fine di promuovere la competitività, la crescita e la creazione di posti di lavoro». La Banca centrale chiede anche la «rimozione delle rigidità nel mercato del lavoro, la riduzione degli oneri amministrativi e il rafforzamento della concorrenza nel mercato dei beni e servizi di particolare giovamento per le piccole e medie imprese». Queste misure «sono essenziali per abbassare il livello attualmente elevato di disoccupazione specie nelle fasce più giovani della popolazione». Intanto, i tassi bancari sui prestiti alle società non finanziarie dalla fine del 2011 «rimangono su un livello superiore» a quello registrato in Francia e Germania. Anche sui mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni i tassi bancari attivi in Italia e Spagna sono superiori a quelli di Francia e Germania. Più nel dettaglio i mutui ipotecari in questi due paesi a inizio 2010 «hanno registrato un aumento più brusco» che nelle due principali economie europee. Da fine 2011, nota la Bce, i tassi sui mutui ipotecari si sono contratti, anche se «in Italia e Spagna restano superiori ai livelli osservati nel 2010, sebbene i tassi di politica monetaria abbiano raggiunto i minimi storici». Quello delle banche pare, specialmente in Italia, un punto molto dolente. Si serrano infatti ulteriormente i cordoni della borsa: a giugno i prestiti al settore privato (rileva Bankitalia) hanno registrato una contrazione su base annua del 3% (a maggio la contrazione era stata del 2,4%). I prestiti alle famiglie sono scesi dell’1% sui 12 mesi (invariato rispetto al mese precedente), quelli alle società non finanziarie sono diminuiti del 4,1% (-3,6% a maggio). Il tasso di crescita su base annua delle sofferenze è stato del 22% (in diminuzione rispetto al 22,4% nel mese precedente).

Approvato il decreto lavoro (9 agopsto 2013).
Tre sono le principali novità. A. Circa 800 milioni di euro fino al 2016, per incentivare in tutt'Italia le stabilizzazioni di giovani tra i 18 e i 29 anni d'età. B. Per le aziende che, senza esservi tenute, assumono a tempo pieno e indeterminato lavoratori beneficiari di Aspi scatta un contributo pari al 50% del sussidio mensile residuo (che sarebbe stato corrisposto al lavoratore). C. Le pause per i rinnovi dei contratti a tempo determinato tornano a 10 e 20 giorni (a seconda se la durata del rapporto è inferiore o superiore ai sei mesi), dopo che la legge Fornero li aveva allungati fino a 60 e 90 giorni. Altri provvedimenti. Presso il ministero del Lavoro nasce la Struttura di missione con il compito di attuare la Youth guarantee (la Garanzia giovani) e favorire la ricollocazione dei cassintegrati (in particolare dei beneficiari di sussidi in deroga); ed entro il 30 settembre la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida per disciplinare il contratto d'apprendistato professionalizzante, con l'obiettivo di avere una disciplina uniforme da Milano a Palermo (con modifiche che avranno carattere permanente e si applicheranno a tutte le aziende; in Senato è saltata la limitazione alle sole piccole e medie imprese). In 12 articoli il «pacchetto occupazione», che contiene anche il rinvio ad ottobre dell'aumento dell'Iva al 22%, prova a rilanciare pure l'alternanza studio-lavoro: con 3 milioni di euro per il 2013 e 7,6 milioni per il 2014 è previsto un sostegno ai tirocini curriculari per studenti universitari (iscritti ai corsi di laurea statale nell'anno accademico 2013/2014); e tirocini formativi potranno essere svolti, in orario extracurriculare, anche dagli studenti delle classi quarte delle scuole superiori, con priorità per quelli degli istituti tecnici e professionali. Si stanziano poi, complessivamente, 328 milioni, dal 2013 al 2015, per interventi al Sud. In particolare, con 80 milioni si finanzia l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, con altri 80 milioni il piano d'azione e coesione (Pac) per progetti relativi all'infrastruttura sociale e alla valorizzazione dei beni pubblici (80 milioni), mentre i restanti 168 milioni serviranno per attivare borse di tirocinio formativo in favore di giovani, tra i 18 e i 29 anni, che non lavorano e non studiano, residenti o domiciliati nelle otto regioni del Sud: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La sperimentazione della nuova social card, già prevista per Napoli, Bari, Palermo e Catania, viene estesa ai restanti territori meridionali con un finanziamento di 167 milioni per il biennio 2014-2015; e si amplia il periodo di utilizzo del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno (articolo 2 del Dl 70 del 2011): il credito è utilizzabile (sempre secondo il regime della compensazione, di cui all'articolo 17 del Dlgs 241/1997) entro il 15 maggio 2015, anziché entro il periodo di due anni dalla data di assunzione. Si allungano poi al 2016 le agevolazioni fiscali previste per le annualità 2013-2015, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese «start-up innovative». Si interviene poi, ma in modo piuttosto lieve, sulla legge Fornero, in particolare sui contratti (il nodo della maggiore flessibilità legata all'Expo è stato rinviato a un accordo tra le parti sociali da perfezionare entro metà settembre). Tra le limature apportate alla legge 92 si chiarisce che i 12 mesi "acausali" del primo rapporto a termine sono comprensivi anche dell'eventuale proroga; sul lavoro intermittente (quello "a chiamata") viene introdotto un limite di 400 giornate annue di lavoro effettivo nell'arco dei 3 anni solari riferito a ciascun lavoratore con il medesimo datore (ma si precisa che tale limite è escluso per i settori del turismo, dei pubblici esercizi, e dello spettacolo). Si allenta la stretta sul lavoro a progetto; e sull'associazione in partecipazione si prevede una stabilizzazione degli associati con apporto di lavoro, attraverso una loro assunzione entro tre mesi. Il lavoratore dovrà firmare un atto di conciliazione (che vale come sanatoria di eventuali contenziosi pregressi), mentre il datore dovrà versare (alla gestione separata Inps) un contributo straordinario integrativo pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati, per un periodo massimo di sei mesi.

Decreto del fare (9 agosto 2013).
Il decreto del fare è legge. Il testo ha ricevuto il via libera definitivo della Camera con 319 voti a favore, 110 voti contrari e due astensioni. Il Sel di Nichi Vendola, il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord hanno votato contro. Il provvedimento interviene su molte macro-aree e introduce novità dal fisco all’edilizia, dalla nautica alla giustizia, dai lavori pubblici all’energia.
Tetto ai compensi dei manager
Taglio del 25% al compenso complessivo a qualsiasi titolo determinato per tutti i manager pubblici che non rientrano nel tetto dei circa 300.000 euro del trattamento economico del primo presidente della Cassazione Il taglio vale sia per le società non quotate emittenti titoli diversi dalle azioni sia per le spa quotate ma scatta solo in occasione del primo rinnovo e a patto che nel frattempo la società, non abbia deliberato, nei 12 mesi precedenti un taglio analogo.
Salta il Durt
Salta il Documento unico di regolarità tributaria (Durt). La norma era stata introdotta alla Camera. Negli appalti diventa obbligatoria l’anticipazione del 10% dell’importo.
Expo 2015
Iva scontata al 10% sui biglietti per l’Expo. Possibilità per le società in house di stipulare contratti a tempo determinato al di fuori dei vincoli.
Niente sconti alle multe dei patentati virtuosi
Salta lo sconto del 30% sulle multe per i patentati "virtuosi" che non hanno compiuto nei due anni precedenti violazioni gravi da cui derivano decurtazioni dei punti. Lo sconto resta per chi paga la multa entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notifica.
Misure per modificare la sagoma degli edifici
Torna la possibilità di modificare la ’sagomà degli edifici con la scia ma vengono tutelati i centri storici con l’obbligo per i Comuni di individuare entro il 30 giugno 2014 le aree nelle quali non è applicabile la segnalazione certificata di inizio attività. Decorso tale termine a decidere sarà un commissario ad hoc.
Stop ai fax nella pubblica amministrazione
Stop al fax nella pubblica amministrazione: le comunicazioni avverranno solo via email. Priorità all’uso dei prodotti open source dove possibile.
Moratoria ai pagamenti per le concessioni delle spiagge
Sospesi fino al 15 settembre i pagamenti dei canoni per le concessioni demaniali delle spiagge.
L'autorità dei trasporti a Torino
La sede della nuova autorità dei Trasporti sarà a Torino
Esonero dell'obbligo per il Durc
Esonero dell’obbligo di presentare il Durc in caso di lavori privati in edilizia realizzati direttamente in economia dal proprietario dell’immobile.
Sindaci-commissari
Assegnati poteri commissariali ai sindaci per gestire i fondi per la messa in sicurezza delle scuole (450 milioni in totale per il 2014-2016).
Cessione degli immobili
Il 10% delle risorse nette derivanti dalle dismissioni del patrimonio originario immobiliare degli enti territoriali sarà destinato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito dell’ente stesso.
Salvi i sindaci-deputati eletti prima del settembre 2011
Salvi dall’incompatibilità i sindaci-deputati eletti nei Comuni tra 5 e 20mila abitanti prima dell’entrata in vigore della legge vigente, nel settembre 2011.
Fondo di garanzia per le pmi.
Viene ripristinata la quota (ma al livello più basso del 50%) riservata agli interventi non superiori ai 500.000 euro. Recuperata anche la riserva del 30% per la contro-garanzia dei Confidi. Inoltre cittadini e associazioni potranno versare contributi.
Imprese, estesa la Sabatini
Anche gli investimenti in hardware, in software e in tecnologie digitali saranno inseriti tra i beni per i quali le Pmi potranno usufruire del credito agevolato nell’ambito di un plafond di 2,5 miliardi anticipati dalla Cdp alle banche.
Beni essenziali non espropriabili.
Arriva il paniere dei "beni essenziali" su cui Equitalia non potrà procedere all’espropriazione. A definire il paniere sarà un provvedimento del ministero dell’Economia con l’accordo dell’Agenzia delle Entrate e dell’Istat.
Piani di azionariato.
Al posto di un’esenzione dell’imposta di bollo sui piani di azionariato diffuso viene previsto un monitoraggio cui saranno chiamati i ministri competenti per consegnare una relazione al Parlamento entro il 31 ottobre.
Agricoltura.
Semplificata la vendita diretta al pubblico da parte degli agricoltori. Il ’pastazzò (ricavato dagli scarti nella lavorazione degli agrumi) sarà escluso dai rifiuti.

Eurozona; fine della recessione (14 agosto 2013).
Dopo sette trimestre consecutivi in contrazione, nel secondo trimestre 2013 il Pil dell'Eurozona esce dalla recessione e registra un +0,3% rispetto ai precedenti tre mesi, migliore dell'atteso +0,2%. Lo rivelano le stime flash di Eurostat. Nei paesi dell'Unione europea a 27 paesi il Pil cresce dello 0,3% trimestrale, mentre in Italia resta con il segno meno a -0,2%. Su base annuale il Pil dell'Eurozona regitra una contrazione dello 0,7%, mentre quella dei 27 paesi dell'Unione europea segna un -0,2% e l'Italia un -2%. Per l'Italia vale in particolare il buon andamento dello spread btp/bund che è sceso a 238 punti. L'economia tedesca cresce dello 0,7% destagionalizzato nel secondo trimestre rispetto ai primi tre mesi, l'espansione più forte da un anno a questa parte. Il dato, rilevato a livello preliminare, è leggermente migliore dell'atteso +0,5%, grazie alla domanda interna e alla spesa pubblica. Nel primo trimestre il Pil era stagnante. Su base annua non destagionalizzata il Pil cresce dello 0,9% dopo il -1,6% del primo trimestre. Su base destagionalizzata il Pil cresce dello 0,5% annuo dopo essere rimasto invariato nel primo trimestre. Il prodotto interno lordo della Francia è cresciuto dello 0,5% nel secondo trimestre rispetto al trimestre precedente, con un miglioramento di dimensioni inattese, il più importante registrato dal primo trimestre 2011. Lo ha annunciato l'istituto statistico transalpino Insee. L'espansione registrata nel periodo aprile-giugno fa uscire la Francia dalla recessione, dopo due trimestri consecutivi di contrazione del prodotto interno lordo. Il consensus degli analisti prevedeva solo una lieve variazione positiva del Pil, a livello dello 0,1 per cento. Il balzo del Pil francese, ha precisato l'Insee, é ascrivibile largamente al rimbalzo della domanda interna finale (escluse le scorte), in aumento di 0,3 punti nel secondo trimestre, dopo il calo di 0,1 punti nel primo trimestre. Secondo l'istituto statistico francese, la variazione del Pil acquisita a metà anno é del +0,1 per cento. A incidere sul rimbalzo registrato, diversi fattori, come il consumo delle famiglie, aumentato dello 0,4% nel secondo trimestre e gli investimenti, il cui calo é stato meno forte rispetto a inizio anno (-0,5% rispetto a -1%). Complessivamente la domanda interna ha generato 0,3 degli 0,5 punti di crescita. Al dato francese sul Pil si aggiunge anche quello sull'inflazione (-0,3% in luglio, +1,1 su anno) e quello sui posti di lavoro che sono diminuiti di 27.800 unità nel trimestre. Anche l'Italia vede la luce in fondo al tunnel, sperando che le fibrillazioni della politica, con le "prefiche" per la condanna di Berlusconi nel Pdl e il frazionismo e le beghe interne al Pd non ci facciano fare pericolosi passi indietro.

Ancora su Imu e Tares (20 agosto 2013).
L’abolizione della rata di giugno dell’Imu sarà finanziata da uno stanziamento di due miliardi che verrà disposto dal governo entro il prossimo 30 agosto per non far scattare la clausola di salvaguardia, mentre il successivo versamento di dicembre potrà essere evitato agli italiani sostituendo l’Imu con l’entrata in vigore per decreto di una nuova imposta federale, modello «service tax», fin dal prossimo primo settembre. A rivelarlo all’Agi è il viceministro dell’Economia Pier Paolo Baretta, all’indomani delle dichiarazioni del titolare del dicastero Flavio Zanonato, che ieri ha ribadito l’impegno a togliere la tassa sulla prima casa e a trovare una soluzione. «L’agenda dei prossimi giorni è densa di impegni per il bilancio dello Stato del 2013 - spiega Baretta in vista del consiglio dei Ministri di venerdì prossimo - occorre sciogliere il nodo dell’Imu, che comporterà una spesa dai 2 ai 4 miliardi, evitare l’aumento dell’Iva con uno stanziamento di un miliardo, rifinanziare la Cassa integrazione guadagni, ancora un miliardo, trovare la copertura per l’abolizione della Tares con un altro miliardo e poi il provvedimento sugli esodati». Per il viceministro il modo più equo per rispettare l’impegno di abolire definitivamente l’Imu è l’introduzione anticipata della “Service tax”: «Penso a una tassa unica di stampo federalista, gestita dai Comuni, che inglobi la Tares e che potrebbe essere finanziata strutturalmente con un trasferimento dallo Stato centrale agli enti locali di due miliardi l’anno in modo da assicurare l’esenzione dalla tassazione della prima casa». «Far scattare il nuovo sistema di imposizione entro il 30 agosto con un decreto non è complicato, esiste già un ottimo lavoro portato avanti dal ministero - assicura Baretta - potremo non far pagare la rata di giugno dell’Imu con una copertura di 2 miliardi, dopo di che arriverà la nuova tassa». «Sono interventi che dovranno essere finanziati finalmente con una seria spending review» ma che comunque «richiedono stanziamenti che superano le disponibilità del bilancio 2013. Per questo la politica dovrà scegliere: per me le priorità sono le questioni del lavoro, Cig e esodati, e l’Imu, il resto si vedrà», conclude il viceministro. Ma non c’è solo lo “spettro” Imu. Dopo la breve pausa di Ferragosto, l’attività del governo rientrerà nel vivo già venerdì, quando è fissato il primo consiglio dei ministri della ripresa. Ordine del giorno ancora da definire (potrebbe arrivare il decreto sulla P.a.) ma la riunione, fanno sapere da diversi dicasteri, sarà l’occasione per fare il primo “giro di tavolo” sulle linee di azione dei prossimi mesi. E il primo test sul reale impatto del terremoto Mediaset, che ha fatto vacillare le larghe intese.

Lombardia fuori dalle top 100 (26 agosto 2013).
La Lombardia per tradizione è sempre stata considerata una delle regioni più avanzate e industrializzate del Paese, ma la crisi economica sta martoriando anche questo territorio. L'asse Londra - Milano , via Benelux e Baviera si è rotto. A conferma di questa situazione c'è la caduta della Lombardia che non rientra più tra i primi 100 posti tra le regioni più competitive d'Europa: la Lombardia, infatti, passa dal 95° posto al 128° gradino posizionandosi quindi a grande distanza dalle prime posizioni che vengono occupate da Olanda, Svezia e Inghilterra. Quanto messo in evidenza da questa classfica emessa dalla Commissione UE deve quindi fare scattare un campanello d'allarme rispetto alla situazione in cui versa il nostro Paese che ancora non presenta segnali tangibili di uscita dalla crisi che ha messo in ginocchio milioni di famiglie: su 262 posti in graduatoria, al 235° scalino si posiziona la Sicilia, la peggiore, e prima di lei troviamo la Calabria, la Campania e tutto il sud. Anche la Toscana crolla ma in maniera contenuta rispetto alla regione del governatore Maroni che ritiene che il reale colpevole di questa situazione sia Mario Monti e le decisioni prese nel corso del suo periodo al governo. Una situazione di questo tipo in realtà non dovrebbe stupirci molto visto che l'Italia negli ultimi tempi ha perso ben 8 punti di pil, è nel pieno della recessione, ha un tasso di disoccupazione più che preoccupante e le banche non "sganciano" nemmeno un euro alle imprese per favorirne la ripresa. Difficile poi potersi appellare a misure incisive da parte del governo la cui posizione appare davvero in bilico dopo la condanna subita dalla Cassazione ai danni di Silvio Berlusconi per il processo Mediaset. Da tutti gli schieramenti arrivano piogge di richieste su Roma. L'assessore comunale allo Sviluppo, Cristina Tajani, osserva: «Con Expo la Lombardia, Milano e l'Italia riacquisteranno competitività. Ma è necessario un sostegno concreto da parte del governo, a favore della ripresa e non solo dell'austerità. Expo è un'opportunità da cogliere». Continua Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia: «Bisogna rigenerare la fiducia degli italiani e dei lombardi». Magari con una road map per la ripresa, come annuncia Mario Melazzini, assessore regionale alle Attività produttive: «Entro marzo 2014 intendiamo portare in giunta il testo per il rilancio della competitività».

Precariato nella PA (27 agosto 2013).
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge per «il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni e quello in materia di occupazione nelle pubbliche amministrazioni». Per il premier Enrico Letta: «Si è deciso di dare una soluzione definitiva al problema del precariato nella pubblica amministrazione e per evitare le scorciatoie che permettavano di eludere il concorso per entrare nell'impiego pubblico. Ci sarà una selezione per stabilizzare i precari e verrà fatto un censimento per tutte le situazioni di precariato nella Pubblica amministrazione. Ci sarà un ulteriore taglio del 20% delle auto blu. Superiamo anche le difficoltà di applicazione del cosiddetto Sistri (il sistema per lo smaltimento dei rifiuti)». Il presidente del Consiglio ha poi aggiunto: «Purtroppo non riusciremo a usare in questi sette anni tutte le risorse disponibili dai fondi strutturali europei». Nel pacchetto sulla pubblica amministrazione c'è anche l'assunzione di 1.000 vigili del fuoco. Un investimento che segnala «un'attenzione profonda rispetto ai problemi del nostro territorio» ha aggiunto Letta. «Con il decreto - ha sottolineato il capo del governo - rafforziamo la lotta alla corruzione, la prevenzione alla corruzione e la trasparenza nella Pubblica Amministrazione attraverso una razionalizzazione, abbiamo deciso di concentrare nella Civit tutte queste funzioni, in modo che diventi un soggetto dedicato esclusivamente al compito della lotta e della prevenzione alla corruzione». Il Ministero dei Beni, le Attività culturali e il Turismo, grazie al decreto sulla Pubblica amministrazione, potrà inoltre assumere personale già nel 2013, in deroga alla legge sulla «Spending review», nel limite del 20% delle unità cessate nel 2012. Questa norma permetterà l'assunzione di oltre 150 dipendenti. Inoltre, gli istituti culturali saranno esenti dal taglio del 10% della spesa per studi e incarichi di consulenza. «Non possiamo più permetterci 1,2 miliardi di consulenze esterne in un mento come questo» e «1 miliardo per le auto blu». Così il ministro la Pubblica amministrazione e la Semplificazione D'Alia, spiegando che con il dl si dà il via libera a nuovi tagli: «Non solo interveniamo riducendo i costi ma obblighiamo le amministrazioni a fornire i dati per un ulteriore intervento selettivo rispetto alle auto di servizio e per il ricorso a prestazioni qualificate esterne». In più si introducono «sanzioni» per chi viola le norme, cioè «chi le viola paga di tasca sua». È «prevista anche una norma che obbliga ad assumere tutti i vincitori di concorso» ha detto ancora D'Alia. «In parte - ha aggiunto - questo riguarderà anche gli idonei, ma solo per le graduatorie più recenti». Infine ha spiegato D'Alia: «Mai più contratti a termine che non siano eccezionali e temporanei perchè temporanea è la richiesta». D'Alia ha poi sottolineato che d'ora in avanti il contratto «tipico» nella pubblica amministrazione sarà il contratto a tempo indeterminato.

Migliora fiducia imprese e consumatori (29 agosto 2013).
Non solo segnali negativi tra gli ultimi indici rilevati dall'Istat. Al -3% su base annua delle vendite al dettaglio di giugno registrate ieri segue oggi la conferma che il clima di fiducia continua a essere positivo: ad agosto, l'indice della fiducia delle imprese sale a 82,2 punti dai 79,8 di luglio toccando il massimo dallo stesso mese 2012. Nello stesso mese, l'indice di fiducia dei consumatori tocca i massimi degli ultimi due anni, passando a 98,3 punti dai 97,4 di luglio. A crescere, in questo caso, è soprattutto la fiducia sia sul quadro personale (da 98,7 a 98,9) sia soprattutto su quello economico (97,6 punti da 94,8 di luglio). Secondo l'Istat, l'andamento dell'indice complessivo rispecchia il miglioramento della fiducia delle imprese della manifattura e, con maggiore intensità, dei servizi di mercato e del commercio al dettaglio; risulta invece in lieve calo la fiducia delle imprese di costruzione. L'indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere aumenta, passando da 91,8 di luglio a 92,9. I giudizi sugli ordini migliorano (da -37 a -32), mentre le attese di produzione peggiorano lievemente (da 0 a -1); il saldo relativo ai giudizi sulle scorte di magazzino passa da 0 a 1. L'analisi del clima di fiducia per raggruppamenti principali di industrie (Rpi) indica un miglioramento dell'indice nei beni intermedi (da 91,1 a 93,8) e un peggioramento nei beni di consumo (da 92,8 a 92,4) e nei beni strumentali (da 92,4 a 91,4). Tornado alla fiducia dei consumatori, questo mese sono migliorati sia i giudizi che le previsioni sulla situazione economica del Paese: i relativi saldi aumentano passando da -127 a -118 e da -11 a -7. Invece, quanto alle attese sulla disoccupazione, si rileva un relativo peggioramento delle aspettative(il saldo passa da 68 a 72). Il peggioramento delle aspettative sulla disoccupazione é dovuto, spiega Istat, all'aumento della quota di rispondenti che giudica la disoccupazione futura in "forte aumento" (dal 22,1% in luglio al 23,2 in agosto) e alla diminuzione della percentuale di coloro che la giudica in "moderata diminuzione" (da 16,7% a 14,4%). La valutazione complessiva relativa alla situazione economica delle famiglie fa un passo indietro (il saldo dei giudizi passa da -62 a -67), mentre migliora leggermente il dato sulle attese (da -16 a -15 il saldo). A livello territoriale, la fiducia migliora nel Nord-ovest, nel Nord-est e al Centro; peggiora nel Mezzogiorno.

Cancellata l'Imu (29 agosto 2013).
L'addio all'Imu, con la cancellazione per tutti di entrambe le rate dell'imposta, rende ormai «irrimediabile» l'aumento dell'Iva previsto per il primo ottobre. Lo scrive il viceministro dell'Economia, Stefano Fassina, in un intervento sull'Huffington Post. Lo scontro che ha tenuto a lungo banco nel governo sull'Imu, cancellata per far posto alla Taser, si sposta dunque ora sull'Iva. «In una fase così difficile - spiega il viceministro - dedicare un miliardo per eliminare l'Imu per meno del 10% degli immobili di maggior valore, ha sottratto preziose risorse a finanziare, ad esempio, il rinvio dell'aumento dell'Iva previsto, oramai irrimediabilmente grazie alla "vittoria" del Pdl sull'Imu, per il 1 ottobre, o per allentare il Patto di Stabilità Interno dei Comuni e rianimare i piccoli cantieri e l'attività di migliaia di imprese artigiane e relativi lavoratori». «Per noi ha avuto davvero il senso di una missione compiuta perché è stata una grande battaglia che abbiamo spiegato agli italiani durante la campagna elettorale e avere centrato questo risultato è davvero straordinario. È chiaro che lo consideriamo non il nostro successo, ma il successo di milioni di italiani che dovevano pagare una tassa e non dovranno più pagarla»: così Angelino Alfano al Tg2. «Ora un altro obiettivo importante che abbiamo per settembre è quello di evitare l'aumento dell'Iva di un punto percentuale e siamo fiduciosi di farcela». Alfano ha anche sottolineato l'importanza delle altre misure varate dal Cdm a favore delle imprese: «abbiamo stabilito, ieri, di pagare altri dieci miliardi di euro di debiti della Pubblica Amministrazione, dello Stato, alle imprese che sono creditrici. Questo farà funzionare meglio l'economia». «Scaricare, anche parzialmente, i costi dell'operazione Imu sugli inquilini è inaccettabile. Questa misura, se attuata, avrebbe un effetto moltiplicatore del costo dell'abitazione con il risultato di aumentare in maniera esponenziale gli sfratti per morosità che lo stesso decreto tenta di arginare». Lo affermano i sindacati degli inquilini Sunia, Sicet e Uniat all'indomani della cancellazione dell'Imu sulla prima casa e dell'introduzione della tassa sui servivi (Taser) che, dal 2014, sarà anche a carico degli inquilini. I sindacati valutano invece «positivamente» alcune misure adottate dal Governo sugli sfratti per morosità incolpevole, sul fondo di sostegno all'affitto e sulle agevolazioni ai contratti concordati. Per quanto riguarda la service tax Sunia, Sicet e Uniat avvieranno incontri con Governo e gruppi parlamentari con l'obiettivo di: adeguare le risorse alle effettive necessità, rendere semplici ed immediate le misure a favore di cittadini con sfratto per morosità incolpevole ed inquilini a basso reddito, accentuare il vantaggio fiscale per i contratti concordati per contribuire ad abbassare il livello insopportabile degli attuali affitti, rilanciare l'offerta di edilizia in affitto, sia pubblica che in partenariato, «unica risposta ai lavoratori precari, ai giovani, alle famiglie a basso reddito». Intanto, dopo la cancellazione dell'Imu per il 2013 e l'annuncio della nascita della nuova Taser, la Ue chiede rassicurazioni. È «assolutamente essenziale» che l'Italia assicuri la sostenibilità della finanza pubblica. È quanto osserva in una nota il commissario Ue all'economia, Olli Rehn, dando il benvenuto alle garanzie fornite dal presidente del Consiglio in merito alla volontà di rispettare gli impegni presi a questo proposito. «Le famiglie avranno una riduzione fiscale importante e dalla nuova service tax dell'anno prossimo in particolare ci sarà più equità, le famiglie numerose saranno meno penalizzate rispetto a quanto l'Imu faceva oggi», ha detto oggi il presidente del Consiglio, Enrico Letta, difendendo la nuova tassa che in parte sostituirà l'Imu. Il premier Letta «ha preferito rassicurare la sopravvivenza del governo con questa resa» sull'Imu; continuo a sperare che l'Esecutivo duri, ma mi auguro che abbia «spina dorsale» e non sia «smidollato e in balia delle pressione dell'uno e dell'altra parte», anche perché «non siamo condannati ad appoggiarlo per sempre». Così Mario Monti, leader di Scelta Civica, a Rainews. «Con tutto il rispetto che si merita, il senatore a vita Monti, a capo di un partito dilaniato e in frantumi, farebbe bene, prima di dare giudizi sugli altri, ad analizzare con feroce autocritica i suoi 12 mesi di governo. Il professor Monti, pur in presenza di una maggioranza bulgara, ha sbagliato tutto, di più non poteva sbagliare, come con le famigerate riforme Fornero delle pensioni e del mercato del lavoro»: replica così Renato Brunetta presidente dei deputati del Pdl. «Ed il governo Letta-Alfano, con provvedimenti come quello che ha abolito l'Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli, - aggiunge - sta provando a rimettere in moto l'economia che i suoi provvedimenti recessivi avevano quasi ucciso. Stia sereno il buon professor Monti, al decoro del centrodestra ci pensiamo noi, lui continui a pensare al centro, anzi al suo centrino. Ad esaurimento». «Buongiorno! Oggi a quale tassa verrà cambiato il nome da parte di questo governo (Pd-L, Pdl, Udc, Scelta Civica e a fasi alterne Sel, Lega e FdI)?». Così su Facebook Riccardo Nuti, capogruppo M5S alla Camera, ironizza sulle decisione assunte ieri dal governo. «L'Imu? Ora attendiamo di vedere come sarà coperta la cancellazione della rata di dicembre. Intanto è evidente che il governo si è inginocchiato di fronte ai signori del gioco d'azzardo con uno scandaloso condono che riduce le sanzioni per i concessionari di slot e videopoker a poco più di un piatto di lenticchie: 600 milioni di euro. Ossia meno di un quarto della sanzione da 2,5 miliardi prevista dalla Corte dei conti per il contenzioso sorto nel 2005», attaccano i deputati del M5S. «Senza dimenticare la presa in giro sulla deducibilità Imu per le imprese che è limitata al 50% In realtà sarebbe servita una reale abolizione dell'imposta anche sui capannoni strumentali. Invece la deducibilità non è nemmeno estesa all'Irap. Come al solito il governo disprezza chi produce ricchezza e si prepara a gabbare tutti i cittadini», incalzano i deputati del M5S. «Prosegue il 'do tu des' di basso rango nella maggioranza. Anche l'Imu è diventata oggetto di scambio. Alfano - concludono i pentastellati - può sbandierare la cancellazione di una parola e il Pd può dirsi soddisfatto perchè ciò che esce dalla porta rientrerà presto dalla finestra sotto mentite spoglie».

Ora serve la crescita (2 settembre 2013).
Si moltiplicano i segni di un rafforzamento della crescita nelle economie avanzate. Questo vale soprattutto per gli Stati Uniti, mentre il quadro dei paesi europei è più variegato. I paesi emergenti continuano a registrare tassi di crescita più elevati ma che non sono così sostenuti come negli anni passati. La ripresa è attesa con particolare ansia in Italia dove la durata della recessione sta per toccare i due anni, un record negativo per il periodo del dopoguerra. Purtroppo la crescita, attesa entro la fine del 2013, ancora non si vede nei dati del Pil, ma indicatori anticipatori, come quelli appena rilasciati dall’Ocse, mostrano che si sta avvicinando nel nostro Paese il punto di svolta del ciclo, e cioè che presto il Pil smetterà di calare e ricomincerà ad aumentare. La tendenza si dovrebbe rafforzare nel 2014. Quanto affidamento si puo fare su una effettiva uscita dalla crisi? Proviamo a metter assieme alcuni dati. Il primo riguarda, come detto, la crescita negli Usa dove, malgrado risultati inferiori alle attese sulla creazione di posti di lavoro, tutte le componenti della domanda si stanno rafforzando, il mercato edilizio è in ripresa, e sembra superata quella fase di incertezza che si traduceva in un'elevata «preferenza per la liquidità » delle imprese che si astenevano dall’investire. Oggi questa fase sembra passata, tanto che la Fed sta considerando tempi e modi per la riduzione (non la sua sospensione però) del sostegno all’economia. Le economie emergenti crescono a velocità diverse e in alcuni casi sembrano emergere segni «di affaticamento strutturale» e cioè di un passaggio a una fase di crescita piu debole. In Europa la Germania riprende slancio, meno la Francia dove la necessità di completare il consolidamento fiscale e carenze strutturali suggeriscono la possibilità di una crescita molto moderata anche nei prossimi trimestri. In generale una domanda mondiale che si irrobustisce, sia pure lentamente, è una buona notizia per l’Italia perché le esportazioni sono e continueranno a essere il motore principale della ripresa per qualche trimestre almeno. E questo è vero anche per altri paesi del Sud della zona euro. Per tutti questi paesi è quindi indispensabile accrescere la competitività per approfittare al meglio della ripresa. Per l’Italia significa invertire la tendenza del calo della produttività che va avanti da quasi due decenni. Ben prima dello scoppio della crisi. Allora saremo veramente fuori dalla crisi.

L'Italia resta in recessione (3 settembre 2013).
L'Italia resterà, alla fine del 2013, l'unico Paese del G7 ancora in recessione. Le stime dell'Ocse, rese note ieri, raffreddano le speranze di ripresina per fine anno, che invece dovrebbe chiudersi con un pesante calo del Pil: -1,8%. Nell'Eurozona, Germania e Francia mostrano un terzo e un quarto trimestre in buona ripresa, mentre per il nostro Paese rimane il segno meno. «Gli indicatori suggeriscono che l'Italia sta uscendo lentamente dalla recessione in cui era caduta - dicono gli analisti dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - ma si tratta di uno scenario denso di incognite, anche politiche». Preoccupa il fatto che l'economia italiana non stia riuscendo ad agganciare la ripresa che si sta manifestando negli altri Paesi europei. Per il trimestre ottobre-dicembre, l'Ocse prevede una crescita del 2,4% in Germania, dell'1,6% in Francia, del 3,2% nel Regno Unito. Da noi, invece, si stima una contrazione dello 0,4% nel terzo trimestre e dello 0,3% nel quarto. Inoltre, come spiega il capo economista dell'organizzazione parigina, Pier Carlo Padoan, bisogna vedere se un possibile miglioramento sarà accompagnato o meno dalla creazione di nuovi posti di lavoro, oppure si tratterà di una jobless recovery. Dipenderà dalla flessibilità nei contratti e dalla eventuale riduzione del carico fiscale sul lavoro. Il pericolo è che la disoccupazione, che resta elevata in tutte le economie avanzate, diventi «strutturale», aumentando le tensioni sociali. La moderata ripresa che si scorge in Europa, e i progressi più evidente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone, non sono tuttavia al riparo da rischi. Pericoli che sono più elevati nell'area dell'euro, dove restano importanti squilibri interni. «L'Eurozona resta vulnerabile a rinnovate tensioni finanziarie, bancarie e sul debito sovrano», afferma il rapporto. Molte banche dell'area non sono capitalizzate a sufficienza, e appesantite da prestiti di cattiva qualità: gli istituti hanno bisogno di misure più incisive per ripulire i bilanci, e nello stesso tempo non devono far mancare il credito alle imprese. Il suggerimento che l'Ocse offre per uscire da questa situazione non si discosta dalle raccomandazioni di sempre: riforme strutturali per aprire i mercati e migliorare la competitività, sostegno alla domanda interna, riduzione della pressione fiscale. Padoan esprime, per quanto riguarda l'Italia, un giudizio positivo sul provvedimento per la restituzione dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, mentre su Imu e Iva si limita a ricordare l'importanza di mantenere «saldo» l'obiettivo del 3% nel rapporto deficit-Pil. Alla luce di queste cifre negative per l'Italia, assumono grande importanza le misure a favore della crescita che il governo intende inserire nella legge di Stabilità. Forse, neppure Confindustria e sindacati, che lunedì hanno presentato insieme un «documento-appello» al governo, chiedendo nuove iniziative fiscali e di politica industriale, immaginavano che si prospettasse un quadro così negativo. Ieri un portavoce del commissario agli Affari economici, Olli Rehn, ha detto che l'Europa è «pienamente fiduciosa» sul fatto che il governo italiano rispetterà gli impegni di bilancio. Ma se l'economia non si riprende, centrare il 3% diventa più difficile. Il fabbisogno di cassa ha superato nei primi 8 mesi quota 60 miliardi, contro i 33 miliardi registrati nello stesso periodo del 2012.

L'Eurozona esce dalla recessione (4 settembre 2013).
Torna il segno più davanti all'indice del Prodotto interno lordo dell'Eurozona. Dopo un anno e mezzo di recessione, Eurostat ha confermato oggi il ritorno alla crescita, per quanto timida, del Pil europeo nel secondo trimestre di quest'anno, dopo sei rilevazioni consecutive in calo, già anticipato da una prima stima a Ferragosto. Il Pil è salito dello 0,3% nell'Eurozona (i 17 paesi che hanno aderito all'euro) e dello 0,4% nell'Ue (che nel periodo aprile/giugno era ancora composta da 27 paesi, ai quali solo in luglio si è aggiunta la Croazia). Rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, il dato resta negativo nell'Eurozona (-0,5%) mentre è stabile nell'Ue a 27. Per Eurostat, l'Europa si porta così, almeno tecnicamente, fuori dalla recessione, confermando la prima stima dell'ufficio europeo di statistica del 14 agosto. Meno positivo il dato del Pil riferito all'Italia. Dopo il calo registrato ieri dall'Ocse (-2,4% nel 2012, con ulteriore flessione dell'1,8% nel 2013), l'Eurostat stima il Pil nazionale ancora in discesa nei primi sei mesi dell'anno dello 0,2% rispetto al primo trimeste, calo che comunque segna una attenuazione della contrazione rispetto al -0,6% registrato a inizio anno. Tra gli Stati membri i cui dati sono disponibili, il dato migliore su base trimestrale arriva dal Portogallo (+1.1%), seguito da Germania, Lituania, Finlandia e Regno Unito (tutti a +0.7%). Oltre all'Italia, l'arretramento piu' consistente riguarda invece Cipro (-1.4%), Slovenia (-0.3%), e Olanda (-0.2%). Soddisfatto per i dati diffusi dal Eurostat il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy: «La "crisi esistenziale" dell'eurozona è finita. Ma la crisi economica, di crescita e lavoro, è ancora con noi» e quindi «non è tempo per compiacersi: la spensieratezza potrebbe mettere in pericolo gli sforzi fatti ed i risultati raggiunti». Per Van Rompuy, si cominciano a vedere «risultati concreti», dal momento che i segnali di crescita «sono disomogenei, modesti, forse fragili, ma positivi». La conferma delle previsioni di Ferragosto spinge il portavoce del commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, a parlare di «ulteriore segnale che l'economia europea ha raggiunto il momento di svolta». Insieme ai recenti indicatori sulla fiducia del business e dei consumatori in rialzo, il dato di oggi «é una conferma della previsione di un graduale ritorno alla crescita nella seconda metà dell'anno». In Italia, gli ultimi dati Eurostat sul Pil (che seguono alle fosche previsioni Ocse di ieri) sono accolti con toni pessimistici dal capogruppo Pdl alla Camera, Renato Brunetta, che sottolinea come l'Italia sia tornata ad essere «il "grande malato d'Europa". Gli altri Paesi sono usciti dalla crisi, noi no». Brunetta invita quindi il ministro dell'Economia Saccomanni a «dire subito cosa intende fare per invertire la rotta», spiegando agli italiani «come coprirà il non aumento dell'Iva dal prossimo primo ottobre (1 miliardo)» e come finanzierà «la cancellazione della seconda rata dell'Imu sulle prime case e sui terreni e fabbricati funzionali alle attività agricole (2,4 miliardi)».

FIAT investe un miliardo a Mirafiori (5 settembre 2013).
La nascita, a Torino, sommando l’ex Bertone di Grugliasco, di un polo del lusso automobilistico che ha pochi eguali in Europa. Al centro di un territorio dove high tech, design, capacità manifatturiera, in poche parole il saper fare auto, raggiungono vette di eccellenza. La situazione economica e politica in Italia è quella che è, ma la Fiat va avanti per la sua strada. Una sfida che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha più volte definito «non per deboli di cuore», ma alla quale non intende assolutamente rinunciare. Così ha annunciato un miliardo di investimenti per Mirafiori, dove si produrrà un Suv alto di gamma a marchio Maserati. «Una decisione fondamentale, peraltro totalmente condivisa dal presidente della Fiat, John Elkann: un atto di coraggio contro il declino e un gesto di fiducia verso il futuro». Concetti che i vertici della Fiat hanno ribadito all’indomani del via libera all’ingresso nelle fabbriche del gruppo dei rappresentanti della Fiom in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale. Le strade erano due: o mollare tutto, fermare gli investimenti in Italia, con tutto quello che ne sarebbe conseguito. Oppure scommettere sui rapporti bilaterali e sugli accordi con i sindacati che ci stanno. Con una consapevolezza: che la maggioranza dei dipendenti ha votato gli accordi, un segnale di voler andare avanti. Così l’altro ieri Marchionne ha deciso: sblocchiamo Mirafiori, responsabilizziamo quelli che hanno votato per noi e facciamo di Torino la capitale del polo dell’alta gamma e del lusso dell’auto. Ora il nuovo accordo raggiunto ieri con i sindacati consente di dare inizio immediatamente agli investimenti nello stabilimento simbolo della Fiat. Ne usciranno prodotti nuovi e innovativi. Marchionne spiega che il contratto sottoscritto a suo tempo con Fim Cisl, Uilm Uil, Ugl, Fismic e associazione dei quadri (manca la Fiom Cgil) è stato uno strumento determinante per il rilancio degli stabilimenti di Pomigliano, Melfi e Sevel. Oltre a Grugliasco. Stabilimenti che hanno raggiunto un livello di eccellenza nel panorama automobilistico internazionale. La stessa cosa dovrà avvenire a Mirafiori. Ai sindacati l’ad italo-canadese conferma che è allo studio l’unificazione, anche societaria, di Grugliasco (dove si producono Quattroporte e Ghibli) e Mirafiori. Il nuovo suv Maserati uscirà nel 2015, destinato al mercato mondiale. Il prototipo è stato presentato due anni fa al Salone dell’Auto di Francoforte e lo scorso anno, alla rassegna di Parigi, la Fiat ha annunciato che si sarebbe chiamato “Levante”. Una buona notizia arriva intanto dal mercato Usa: ad agosto le vendite Maserati sono aumentate del 50%. Dal primo ottobre, però, scatterà un nuovo periodo di cassa integrazione per i 5.300 addetti torinesi, allo scopo di consentire la ristrutturazione della fabbrica e l’installazione delle nuove linee. Attualmente nella fabbrica lavora quotidianamente a rotazione una media di 1.500 addetti sulle linee della MiTo Alfa. I mesi di cassa integrazione straordinaria disponibili a Mirafiori sono ancora trenta: quella attuale, che è stata chiesta per riorganizzazione ed è durata 18 mesi, scade il 30 settembre. Fiat e sindacati hanno convenuto ieri sulla necessità di prorogarla, ma non si sa ancora quale sarà la durata. Anche in questo caso la cassa sarà a rotazione per tutti i 5.300 lavoratori. L’altro modello che la Fiat produrrà a Mirafiori, oltre al suv Maserati, dovrebbe essere, invece, a marchio Alfa Romeo. In passato si è ipotizzata la produzione della nuova ammiraglia Alfa Romeo, sulle orme della vecchia 164, per intendersi. Ma potrebbe anche essere un suv a marchio Alfa, “gemello” della “Levante”. Resta da sciogliere il nodo di Cassino dove oggi si realizza la Punto. Ma Marchionne ha garantito ai sindacati che gli investimenti proseguiranno anche lì. Con Mirafiori destinata a diventare il fulcro della nuova strategia del Lingotto, il cuore del futuro polo del lusso, Torino, i suoi sindacati, le forze politiche, economiche e sociali possono tirare un sospiro di sollievo. Qualche indicazione in più sulla strategia Fiat e sui nuovi modelli in cantiere potrebbe arrivare la prossima settimana dal Salone dell’Auto di Francoforte, dove Marchionne incontrerà i giornalisti italiani e stranieri del settore.

Ci resta un primato. Primi nella produzione mondiale di vino (8 settembre 2013).
Il vino italiano rinconquista la palma di primo produttore mondiale ai danni dei francesi: quest'anno la produzione, secondo le stime di Assoenologi, dovrebbe attestarsi tra i 44 e i 45 milioni di ettolitri contro i 43,5 milioni della Francia. Distanti la Spagna e gli Stati Uniti. Il nostro Paese aveva conquistato il primato mondiale nel 2011. Secondo Coldiretti la maggiore stabilità del clima italiano permetterà di aumentare la produzione italiana dell'8% (dai 40 milioni dell'anno scorso) mentre quella francese, penalizzata dal maltempo, è stimata in calo dal ministero dell'Agricoltura francese del 3,9% rispetto ai 41,9 milioni di ettolitri del 2012. In dettaglio, nella zona del Bordeaux, la regione del vino più importante del mondo, a causa delle forti grandinate, si prevede un taglio produttivo del 20% a 5,2 milioni di ettolitri: l'annata più scarsa dal 1991. «I francesi hanno anche problemi qualitativi - osserva Marilisa Allegrini, produttrice della Valpolicella classica e altri vini -. Freddo e grandinate hanno inciso nella zona di produzione dello champagne e del Bordeaux. In Italia invece, grazie a un meteo clemente, e a una maturazione fenolica equilibrata dovremmo ottenere un'ottima qualità». Per Gian Pier Broglia, presidente del Consorzio del Gavi, «il dato quantitativo è importante perché ci consacra come primo grande produttore mondiale. Tuttavia guarderei anche al valore: vincono i francesi ma il made in Italy dà filo da torcere nella fascia premium e super premium». Nonostante un potenziale produttivo simile, nel primo semestre del 2013 la Francia nel settore ha esportato per 3,6 miliardi (di cui 831 milioni di champagne e 1,1 miliardi di Bordeaux) mentre l'Italia nel primo quadrimestre si è fermata a 1,55 miliardi, pur sfiorando una crescita del 10 per cento. Il duopolio, anche qualitativo, italo-francese peraltro è stato sancito dal G20 appena concluso, dove i potenti del mondo hanno bevuto un Bordeaux francese e un vino bianco italiano, esattamente un Gavi Bruno Broglia 2011. «Abbiamo fatto passi avanti incredibili - aggiunge Allegrini - ma i francesi beneficiano di una remunerazione sui loro vini che, sebbene in calo, è per noi lontanissima. Per di più la realizzano non su nicchie ma su produzioni da 200-300mila bottiglie». I risultati produttivi dei due big del mercato mondiale dovranno trovare conferma nelle prossime settimane: in Francia la vendemmia è in ritardo e dovrebbe iniziare a pieno regime attorno a metà settembre. In Italia è stato raccolto appena il 10% delle uve. Un ritardo di quasi due settimane rispetto allo scorso anno ma che in realtà è un ritorno alla normalità. In Italia è partita in Franciacorta e in poche altre zone. «A Gavi - aggiunge Francesco Bergaglio, dg del Consorzio - inizieremo tra il 20 e il 25 settembre. La resa aumenterà a 85-86 quintali a ettaro, ma sotto i 90 del disciplinare. Non vogliamo fare corse sulla quantità ma aumentare la marginalità». Nelle tenute venete e toscane di Allegrini la vendemmia si farà tra il 15 settembre e inizio ottobre. «La prossima settimana è prevista una perturbazione al nord - conclude l'imprenditrice - ma non dovrebbe compromettere nulla».

Letta fiducioso (9 settembre 2013).
Fiducia e determinazione ad andare avanti con l'azione di governo. Alla vigilia della settimana che potrebbe decidere le sorti del governo, con il voto della Giunta del Senato, Enrico Letta arriva a Cernobbio per il Workshop Ambrosetti e mostra quello che si può definire un ottimismo della volontà. «Sono fiducioso e determinato ad andare avanti» dice in un'intervista concessa alla Bbc, e che andrà in onda solo lunedì mattina. «Ci sono tutte le condizioni perché l'Italia ce la faccia a cogliere i segnali di ripresa che verranno con i primi mesi del 2014», sono le parole con cui il premier rassicura l'opinione pubblica inglese. Inevitabile la domanda dell'intervistatore della Bbc sul caso Berlusconi. Domanda alla quale il premier risponde ribadendo la logica dei due binari: da una parte l'azione di governo, dall'altra la vicenda della decadenza del leader del centrodestra di cui si deve occupare la Giunta del Senato. Nessun margine di trattativa, insomma. La fiducia di Letta viene anche dalla considerazione che il prezzo di una crisi sarebbe in questo momento altissimo in termini di confusione istituzionale e di reazione dei mercati. Lo ribadisce sempre da Cernobbio il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni: «Il primo impatto sarebbe sui mercati finanziari. Temo un aumento dei tassi di interesse e un riacutizzarsi dello spread che significa maggiori oneri per gli italiani», dice subito dopo avere incontrato Letta per un punto sui dossier economici più urgenti. Saccomanni ricorda che «il maggior fattore frenante della crescita» è proprio «il debito pubblico»: l'Italia paga ogni anno «oltre 85 miliardi in spesa per interessi sul debito, risorse che potremmo utilizzare per tante altre cose». Deve restare quindi alta l'attenzione sulla riduzione del debito pubblico. Così come deve restare ferma la barra del 3% nel rapporto deficit/Pil: «Non possiamo permetterci di arrivare alla presidenza di turno dell'Unione europea essendo di nuovo tornati sotto la procedura di disavanzo eccessivo, non ho nessuna intenzione di consentirlo». Bisogna «rompere le catene che bloccano l'Italia. Il nostro paese può fare cose straordinarie», aggiunge Letta nel suo dicorso. Entro questi stretti margini si ragiona sulle misure della prossima legge di stabilità, misure al centro dell'incontro a Cernobbio tra Letta e Saccomanni. Dopo i mesi di «interventi urgenti», ha spiegato sempre Saccomanni, la legge di stabilità conterrà le misure «più generali» per «ridurre le imposte sul lavoro e le imprese». La riduzione del cuneo fiscale è d'altra parte l'obiettivo fissato dal governo fin dalla sua nascita anche per «il rilancio della creazione di posti di lavoro nel settore manifatturiero». La legge di stabilità – ha poi aggiunto Saccomanni – recepirà anche il recente documento comune messo a punto da Confindustria e sindacati che diventerà così «il documento chiave per la nostra strategia di politica economica». La giornata del premier ieri a Cernobbio è stata dedicata a incontri sui dossier economici e industriali più urgenti: oltre al faccia a faccia con Saccomanni, Letta ha incontrato prima il direttore di Finmeccanica Alessandro Pansa e poi il commissario Ue Joaquín Almunia. Da qui, in serata, l'annuncio da parte di Almunia dell'accordo per il piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi di Siena: fondamentale la convergenza di vedute sul fatto che il piano di ristrutturazione avverrà riducendo al minimo i ricaschi in termini di esuberi. Altro dossier quello di Acciaierie Terni: durante il suo incontro con Almunia Letta ha espresso la volontà di «porre fine all'incertezza» con l'individuazione di un acquirente che possa offrire «una prospettiva industriale ed europea» alle acciaierie. Non Equity Fund, insomma. Alla fine l'incontro con i giovani di Ambrosetti: «Mi sono trovato a servire il Paese, un compito di cui sono onorato, e l'unica cosa che posso fare è pensare a lavorare e fare bene il mio dovere: la concentrazione su questo compito è totale, a tutto il resto adesso non penso», ha detto Letta rispondendo a una domanda sul suo futuro personale.

La spending review si abbatte sulle forze armate (11 settembrec 20139.
«Ci sarà una riduzione del personale delle Forze armate intorno al 20%». Lo ha sottolineato il ministro della Difesa Mario Mauro rispondendo a una domanda dei giornalisti sulla riorganizzazione dello strumento militare. «La revisione dello strumento militare è un processo epocale di razionalizzazione delle Forze armate e deve fare i conti con le condizioni di finanza pubblica e di bilancio della Stato», ha detto il ministro. Per il Ministro della Difesa, sulla questione siriana, «al governo italiano va riconosciuto di aver mantenuto in questi mesi un atteggiamento forte e calmo per far capire al mondo come la parola prudenza non debba mai essere tacciata di viltà». A Redipuglia, dove ha cominciato una serie di visite ai reparti dell’esercito in Friuli Venezia Giulia, il ministro si è soffermato sulla crisi siriana ricordando che «la credibilità della posizione italiana è data dal fatto che quando suggerisce prudenza non invita a lavarsi le mani di un problema, ma invita ad essere attenti a tutti i fattori». Secondo Mauro «questo contagio di ragionevolezza ha toccato prima il Parlamento britannico, poi la posizione francese e oggi la stessa amministrazione americana. Affidare le armi chimiche a un contesto internazionale, o comunque impedirne l’utilizzo alle forze del regime - ha proseguito il Ministro - riteniamo possa essere una buona ragione per una prospettiva di soluzione politica della crisi siriana. Noi vogliamo contribuire a trovare una soluzione politica e in ogni caso ci muoviamo - ha concluso il Ministro - come ha più volte precisato il Presidente del Consiglio Letta, a sostegno di decisioni che vengono adottate in sede di Nazioni Unite». Ci auguriamo che in questo taglio sia prevista una radicale riduzione del numero di generali che come è noto, in rapporto alla truppa, sono i più numerosi di tutta la Nato.

ILVA: 1400 esuberi (12 settembre 2013).
Le prime avvisaglie si sono avute in mattinata: a Taranto un centinaio di dipendenti delle società Riva che si occupano di energia e servizi marittimi restano senza stipendio perché le aziende, a seguito del sequestro della Magistratura, hanno i conti bloccati e quindi non possono pagare. Poi la bomba è deflagrata in tarda mattinata: 1.400 esuberi nelle diverse aziende del gruppo Riva, dislocate tutte al Nord tra Varese, Brescia, Lecco e Cuneo. A qualche giorno dai sigilli fatti scattare dalla Guardia di Finanza, le società di Riva decidono quindi di fermare tutto. E così la questione Ilva torna al centro dell'interesse nazionale. Sì, perché tutto ha avuto inizio da Taranto dai primi arresti e dal sequestro degli impianti dell'area a caldo del siderurgico il 26 luglio del 2012. Accusa: disastro ambientale. Lo scorso 24 maggio, poi, il gip Patrizia Todisco ha emesso un'ordinanza in cui quantificava in 8,1 miliardi di euro il danno causato dai Riva nella gestione dello stabilimento di Taranto. Una quantificazione derivante dal lavoro fatto dai periti dell'autorità giudiziaria. Di conseguenza, il gip ha disposto un sequestro preventivo per equivalente, 8,1 miliardi finalizzato alla confisca. In buona sostanza, è come se l'autorità giudiziaria avesse costituito una specie di "tesoretto" da utilizzare ai fini del risanamento del sito industriale quando la vicenda giudiziaria dell'Ilva si sarà definitivamente conclusa. Il che non è affatto per ora, se si considera che devono ancora partire gli avvisi di chiusura delle indagini. I finanzieri hanno agito in più momenti. Tra maggio e giugno hanno sequestrato circa un miliardo di euro: prevalentemente immobili, eccetto una quota liquida di 250 milioni. In questa settimana hanno sequestrato altri 916 milioni di euro in varie parti d'Italia così divisi: immobili per oltre 456 milioni, disponibilità finanziarie per oltre 45 milioni, azioni e quote societarie per circa 415 milioni. Totale: 916 milioni. Nella rete anche la partecipazione del gruppo Riva in Alitalia: una quota azionaria, nel portafogli di Fire spa, dal valore di 71 milioni di euro. La stretta ha riguardato 9 società controllate in via diretta e indiretta in forma dominante da Ilva spa, 3 società controllate in via diretta in forma dominante da Riva Forni Elettrici spa, una società controllata mediante influenza dominante da Riva Fire spa. Il maggior numero dei sequestri è stato fatto tra Milano (le società hanno quasi tutte sede nel capoluogo lombardo) e Taranto. Eppoi a Roma, Genova, Cagliari, Modena, Parma, Reggio Emilia, Sondrio, Varese - dove ha sede una delle 13 società -, Potenza, Bolzano, Savona, Bergamo, Brescia, Verona, Napoli, Salerno, Bari, Vercelli, Como, Massa Carrara, Cuneo e Lecco. Sia a maggio che ora lo stabilimento di Taranto non è stato toccato. La produzione va avanti, seppure con ritmo ridotto perchè ci sono due altiforni fermi per lavori. Lo stabilimento di Taranto è al riparo perchè c'è una legge, la 231 del 2012, che lo protegge, consentendone la continuità produttiva ai fini del risanamento ambientale. Per gli ultimi sequestri c'è stato un nuovo atto del gip che ha ha esteso il provvedimento del 24 maggio. Allora il gip fece riferimento alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese. Adesso richiama anche l'articolo 2359 del Codice civile che parla di «società controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante». E anche contro l'ultimo sequestro Riva Acciai farà ricorso ai giudici di Taranto. Altrettanto avevano fatto, a fine maggio, Riva Fire e Riva Forni Elettrici contro l'ordinanza del 24 maggio ma a metà giugno il Tribunale del Riesame ha bocciato il ricorso e ora gli avvocati si preparano a fare istanza in Cassazione. C'è da dire che proprio il sequestro di maggio è quello che ha determinato anche le dimissioni del cda dell'Ilva, presieduto da Bruno Ferrante (ex prefetto di Milano) con Enrico Bondi amministratore delegato, la nomina di un custode giudiziario dei beni sotto sequestro, il commercialista tarantino Mario Tagarelli e, infine, il commissariamento dell'Ilva attraverso un decreto, il numero 61 del 4 giugno scorso, poi convertito nella legge 89 del 3 agosto. Commissario, Enrico Bondi. Il quale, tra i suoi primi atti, ha ritirato il ricorso contro il sequestro da 8,1 miliardi che come ad di Ilva aveva presentato insieme a Riva Fire e Riva Forni Elettrici. "Registriamo con rammarico - dichiara Mario Ghini, segretario nazionale Uilm - la messa in libertà di circa 1.500 addetti del gruppo Riva operanti in 13 società riconducibili all'azienda di proprietà della famiglia. Ancora una volta le iniziative disposte dagli uffici del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Taranto determinano una ripercussione negativa sulla produzione siderurgica nazionale e sugli approvvigionamenti d'acciaio utili alle imprese manifatturiere italiane ed estere. Se è vero che le parti sociali, datoriali ed istituzionali sono tutte coinvolte nel raggiungimento di un coerente equilibrio tra azioni di risanamento ambientale e ripristino produttivo relative al sito di Taranto, è inconcepibile - dice Ghini - che si mini la ripresa e l'occupazione confiscando strutture in questo caso riconducibili ad Ilva Spa, a Riva Forni Elettrici Spa, a Riva Fire Spa". E la Fim Cisl La Fim Cisl diffida il gruppo Riva "a mettere in libertà il personale" e chiede che la Procura di Taranto "configuri il provvedimento affinché vi sia continuità produttiva". Lo dice il segretario nazionale Marco Bentivogli. "Siamo di fronte ad un ennesimo epilogo inaccettabile - dice Bentivogli -. Non accetteremo questa ennesima beffa ai danni dei lavoratori che non hanno nessuna responsabilità.

Italia sotto accusa (13 settembre 2013).
L’Italia torna nel mirino dell’istituzioni europee. Prima la Bce che lancia l’allarme deficit, poi il monito dell’Unione europea. «L’Italia - ha detto il commissario agli Affari economici, Olli Rehn - ha avuto alcune turbolenze politiche», ma ora «si concentri sulle riforme economiche»: per il ritorno alla ripresa infatti «è essenziale la stabilità politica». Entrando all’Ecofin al via in Lituania, il commissario Ue ha spiegato che «gli ultimi dati economici dell’Italia non sono buoni». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: «Per l’Italia la cosa più importante è la stabilità politica». A preoccupare i partner europei sono i dati relativi all’economia che nel secondo trimestre ha registrato un calo dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Nel corso dei colloqui in seno all’Eurogruppo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha difeso con fermezza la linea italiana. Secondo le fonti, ha ribadito che una crescita lieve si avrà già alla fine dell’anno, dopo un terzo trimestre piatto. Quanto ai conti pubblici, ha ribadito che l’obiettivo del deficit sotto il 3 per cento non è in discussione e che tutte le spese sono coperte. Interrogato a proposito, Rehn ha detto che “il governo ha preso impegni precisi” e lui “confida che verranno rispettati”. In questo clima non facile il Tesoro prepara le misure attese per le prossime settimane, quelle che dovrebbero segnare la politica economica per il 2014 e per gli anni successivi. Se il taglio del cuneo fiscale sarà la leva portante della Legge di Stabilità, la messa a punto delle varie misure nel dettaglio è ancora condizionata dal confronto politico. In questo momento tutt’altro che sereno. C’è da stabilire se l’Iva aumenterà a partire dal primo ottobre, o dal 2014 o mai; per evitare un rialzo della tassa sui consumi occorre però circa 1 miliardo di euro a trimestre. Le stesse misure sul cuneo poi non sono ancora chiare perché è da definire il budget sul quale l’alleggerimento delle tasse sul lavoro potrà contare nel breve periodo. Aperto anche il capitolo Imu-service tax, una posta da 4 miliardi di euro. Come anche un paio di miliardi dovranno essere reperiti se si vorrà evitare, a partire dall’inizio del 2014, l’aumento dei ticket sanitari. Per la spending review, infine, circola l’ipotesi che possa diventare commissario straordinario Carlo Cottarelli, direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo Monetario Internazionale. Ma in questo clima di instabilità anche questa nomina sembra essere più difficile. Intanto, fa sapere Bankitalia, il debito pubblico italiano a luglio si è attestato a 2.072,863 miliardi di euro, in diminuzione di 2,3 miliardi rispetto al mese precedente.

Draghi, ora tocca ai governi (16 settembre 2013).
«La ripresa è ancora agli inizi. L'economia rimane fragile». Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, intervenendo a un convegno a Berlino. Pur apprezzando la crescita dello 0,3% messa a segno dalla zona euro nel secondo trimestre, Draghi ha affermato che «la ripresa è soltanto in una fase embrionale». A luglio la Bce ha abbandonato la tradizione di non impegnarsi mai sulle mosse future adottando la cosiddetta «forward guidance» per dichiarare che manterrà i tassi di interesse sui livelli attuali o inferiori per un periodo prolungato, messaggio che Draghi ha ripetuto anche lunedì. «La disoccupazione - ha chiarito Draghi - è ancora troppo alta». «L'Unione economica e monetaria (Emu) ha una vasta gamma di obiettivi, ma nelle circostanze attuali la sua priorità chiave è quella di riavviare il credito all'economia reale», ha detto Draghi. «Un freno ai prestiti bancari al momento - ha aggiunto Draghi - è la mancanza di trasparenza sui bilanci bancari. Un unico garante europeo aiuterà a risolvere questo problema, e anche per questo abbiamo intenzione di condurre una valutazione completa dello stato patrimoniale delle banche da noi sorvegliare direttamente». Inoltre Draghi ha individuato un altro ostacolo agli impieghi degli istituti di credito. «È la bassa fiducia degli investitori - ha spiegato, in parte creata dalle regole diverse per le banche attraverso giurisdizioni diverse che a volte non sono comparabili». Un'altra funzione dell'Unione economica e monetaria sarà l'armonizzazione delle regole. «Considerando le prospettive nel complesso contenute per l'inflazione nel medio termine, il consiglio della Bce si aspetta che i tassi di interesse restino ai livelli attuali o più bassi per un periodo di tempo prolungato», ha affermato. Il presidente della Bce ha inoltre sottolineato come gli sforzi di consolidamento dei governi e il programma di acquisto bond Omt (Outright Monetary Transactions) della Bce abbiano contribuito a innescare un miglioramento sui mercati. "Più in generale, il rischio di un evento estremo nell'area euro è calato - e quindi anche il rischio di un impatto avverso sulla stabilità dei prezzi». Draghi ha poi definito una priorità la ripresa dei prestiti al settore privato. La Bce «non può sostituirsi ai Governi» dell'Eurozona nel compito di «tagliare i deficit di bilancio, nel fare le riforme strutturali e nel riparare sistemi politici rotti» ha concluso il suo intervento Draghi, aggiungendo: «A ciascuno il suo compito».

Miliardari usa mai così ricchi (17 settembre 2013).
I super ricchi degli Stati Uniti non erano mai stati così facoltosi. A cinque anni dall'esplosione della crisi finanziaria, i miliardari americani vedono crescere la loro fortuna fino a livelli mai registrati prima. E' il resoconto della stima elaborata dal mensile Forbes, che annualmente censisce il patrimonio dei 400 uomini più abbienti degli Stati Uniti. Nel 2013 l'ammontare dei 400 conti correnti vale oltre 2mila miliardi di dollari, 300 in più rispetto ai 1700 del 2012, una cifra che supera di poco l'economia di tutta la Russia. L'uomo più ricco d'America, per il 20esimo anno di fila, è Bill Gates con un patrimonio di 72 miliardi di dollari. Il fondatore della Microsoft, quest'anno, ha visto aumentare le sue ricchezze (nel 2012 si era fermato a 66 miliardi) riuscendo a superare anche Carlos Slim, il magnate messicano delle telecomunicazioni, togliendogli il titolo di uomo più ricco del mondo. Al secondo posto figura Warren Buffett con 58,5 miliardi di dollari. Chiude il podio l'amministratore di Oracle, Larry Ellison, con 41 miliardi. Solo nove nomi under 40 nella lista e solo 30 super ricchi su 400 si sono ritrovati più poveri rispetto allo scorso anno. Scorrendo la lista al 20esimo posto si trova il miliardario più giovane, Mark Zuckerberg con 19 miliardi. Mentre al 18esimo posto troviamo David Duffield, co-fondatore di Workday, un'industria specializzata nella vendita di software, che è risultato essere l'imprenditore che ha visto aumentare di più il proprio patrimonio: triplicato dai 6,4 miliardi del 2012 ai 20,3 di quest'anno. Si piazza al 30esimo posto il magnate dei media Rupert Murdoch con 13,4 miliardi di dollari. Secondo uno studio dell'Internal Revenue Service, l'1% degli statunitensi più ricchi deteneva il 19,3% del reddito delle famiglie nel 2012. Si tratta della più grande forbice da almeno un secolo. La diseguaglianza è cresciuta costantemente negli Stati Uniti negli ultimi tre decenni. Anche in Italia al termine della recessione (si spera) i suopericchi, oggi, sono più facoltosi di ieri; evidentemente le crisi economiche, da un lato, rafforzano le ricchezze, dall'altro deprivono i poveri.

Iva o Imu? Questo è il problema (17 settembre 2013).
Il governo rompe gli indugi sull’Iva: il primo ottobre scatta l’aumento. E si apre lo scontro. Il Pdl non ci sta e chiede a Letta di fare un passo indietro. Anche i democratici protestano. Brunetta va all’attacco del premier. «È bastata la visita di un giorno a Roma del commissario per gli Affari economici e monetari dell’Ue, Olli Rehn, con le sue inopportune dichiarazioni, che tutti adesso reputano inevitabile l’aumento dell’Iva a ottobre (pare che anche qualcuno all’interno del governo se ne sia convinto)», dice il presidente dei deputati del Pdl.
Per evitare l’aumento dell’Iva «rivediamo l’intervento sull’Imu. Confermiamo la cancellazione per il 90% dei proprietari e lasciamo contribuire il 10% delle abitazioni di maggior valore», afferma invece il viceministro dell’Economia Stefano Fassina (Pd), spiegando che così si recuperano 2 miliardi, da usare anche per la deducibilità per i capannoni. «L’aumento dell’Iva dal 1 Ottobre - dice Fassina - peserebbe negativamente sull’economia. Non c’è dubbio. Va evitato. Ma non vi sono gli spazi di finanza pubblica per affrontare entro la fine dell’anno Iva, Imu, cassa integrazione in deroga, missioni internazionali e interventi per rispettare il limite del 3% di deficit sul Pil. Un impegno, si ricordi, assunto dal Governo Berlusconi non da Letta o Saccomanni. È necessario, quindi, scegliere». Rivedendo l’intervento sull’Imu, lasciando la tassa sul 10% delle prime case di maggior valore, «recuperiamo due miliardi di euro. Un miliardo lo utilizziamo per rinviare l’aumento dell’Iva; un miliardo lo dedichiamo alla deducibilità dell’Imu per i beni strumentali delle imprese».
Ribatte ancora Brunetta: «Stefano Fassina perde il pelo ma non il vizio. Con le sue dichiarazioni irresponsabili il viceministro dell’Economia continua a produrre confusione e incertezza, nonostante il suo ruolo di governo. Lo stesso governo che lo scorso 28 agosto ha deciso la cancellazione dell’Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli, e lo stop all’aumento dell’Iva a ottobre. Non è possibile e non è più accettabile un comportamento come quello del viceministro Fassina, che rimette ogni volta in discussione recentissime decisioni del governo a cui appartiene».
Contro il rincaro anche Schifani. «L’aumento dell’Iva porterebbe più danni che vantaggi. Ci auguriamo che le anticipazioni della stampa vengano presto smentite dai fatti. Più che seguire i consigli dell’Europa, è tempo di far prevalere il buon senso sulla logica del rigore, senza penalizzare i consumatori e le attività produttive. dice il presidente dei senatori del Pdl. Della stessa idea Maurizio Gasparri: «È un dovere del governo evitare l’aumento dell’Iva. Se si proseguisse con questa scelta ottusa i consumi e le spese di famiglie e imprese diminuirebbero, e gli incassi dello Stato crollerebbero. Sarebbe un suicidio seguire l’arroganza di eurocrati che vengono nel nostro Paese a dettar legge dopo aver fatto danni in Europa. Cambiamo strada subito».
Anche il Pd chiede di scongiurare il rincaro. «Sarebbe un duro colpo per le famiglie e le imprese e finirebbe per deprimere ulteriormente i consumi. Mi auguro che il governo faccia tutto il possibile per scongiurare tale aumento», dice il capogruppo Pd alla Camera Roberto Speranza. «Credo ancora si possa evitare l’aumento dell’Iva, per dare un altro importante segnale alle famiglie italiane dopo la battaglia vinta sull’Imu». Lo afferma il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo in occasione del decennale delle Scuole di formazione del Gambero Rosso. «Credo che questo Governo sia nato per far ripartire l’Italia - aggiunge De Girolamo - ed è quindi importante favorire i consumi scongiurando l’aumento dell’Iva. Spero che Saccomanni, d’intesa con Letta, trovi le coperture necessarie». Per Simon O’Connor, portavoce del commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn, sull’eventuale aumento «spetta al governo decidere».

Problemi sui conti pubblici (20 settembre 2013).
Il Pil che rallenta più del previsto e il deficit che sale al 3,1%. Sono queste le indicazioni principali contenute nel Def approvato questa mattina dal Governo. Nel dettaglio, la contrazione del prodotto raggiungerà quest’anno l’1,7% contro l’1,3% della prima stima, mentre la crescita l’anno prossimo si fermerà all’1% contro l’1,3% auspicato qualche mese fa. «L’interruzione della discesa dei tassi e la ripresa dell’instabilità politica pesa sui conti e per questo non siamo stati in grado di scrivere oggi il 3%», dice il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Ma quella resta la cifra chiave. «C’è l’impegno a stare sotto il 3% alla fine dell’anno. C’è l’impegno confermato di mantenere i patti presi con i partner europei e con l’Unione europea», scandisce il premier. Una cosa per Letta è però sicura: «Qui dentro c’è tanta roba fatta, tante realizzazioni, che se le vogliamo cifrare valgono 12 miliardi di euro in interventi nel triennio in corso per aiutare l’occupazione, per far sì che il nostro Paese riesca a tenere il segno più, quello della crescita». Quanto all’aumento dell’Iva, Letta è più sfumato: «Sarà uno dei temi di discussione nei prossimi giorni», si limita a osservare. Anche il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, assicura che il tetto del deficit non sarà sforato. «Il 3%», rileva, «è il dato su cui noi intendiamo collocarci da qui a fine anno», anche perché, aggiunge, si tratta del «presupposto per soffocare gli elementi di tensione dei mercati finanziari». Ma intanto è proprio sull’Iva che si riaccendono i fuochi della polemica politica. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, attacca: «Lo dico, e lo ripeto: o l’Iva non aumenta a ottobre o non c’è più il governo, perché questo era un impegno di governo. Se lo metta in testa il ministro Saccomanni. I ministri servono per governare, non per fotografare i problemi e il ministro Saccomanni, il ministro del Tesoro ha l’obbligo e il dovere di prospettare le coperture rispetto agli impegni di governo».

Un altro pezzo di Italia in mani straniere (24 settembre 2013).
Accordo di Telefonica con Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo per salire dal 46 al 66% di Telco che controlla il 22,4% di Telecom Italia e nomina la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione. L'intesa, che dunque consegna in mani spagnole la maggioranza relativa del principale gruppo italiano di telecomunicazioni, è stata annunciata lunedì dopo che per tutta la giornata si erano susseguite le voci di un'intesa ormai vicina e mentre i titoli Telecom venivano attivamente scambiati in Borsa con una quotazione di chiusura in rialzo dell 4% a 0,59 euro. L'intesa è arrivata dopo che si erano anche riuniti i consigli di amministrazione di Intesa San Paolo e Assicurazioni Generali, che hanno dato il loro via libera all'operazione. Più in dettaglio, Telefonica offre 1,09 euro per azione e acquista parte delle quote Telco: in una prima fase, gli spagnoli saliranno dal 46 al 66% di Telco, con un'opzione per incrementare a breve la partecipazione al 70 per cento. L'accordo è stato confermato all'apertura dei mercati da una nota ufficiale di Generali, Intesa e Medio Banca. Telefonica in una prima fase sottoscriverà, come detto, un aumento di capitale per complessivi 323 milioni di euro a 1,09 euro per azione. Telefonica salirà quindi al 66% di Telco dopo l'aumento di capitale da 323 milioni e realizzerà un secondo aumento di capitale da 117 milioni, dopo l'ok dell'Antitrust in Brasile e Argentina, per arrivare al 70% della holding. Telefonica potrà successivamente acquistare il 100% di Telco. Al momento però, in attesa delle autorizzazioni delle Autorità Antitrust dei vari Paesi, Telefonica manterrà i diritti di voto al 46% esprimendo, come ora, il 50% dei membri del consiglio di amministrazione della quota di Telco. Il nuovo accordo tra Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e Telefonica prevede la possibilità di una scissione di Telco a partire da giugno 2014. I soci Telco, si legge sempre nella nota, «mantengono la possibilità di vedersi attribuire le azioni di Telecom Italia, uscendo così dal patto parasociale, attraverso la scissione di Telco, che potrà essere richiesta durante una prima finestra tra il 15 ed il 30 giugno 2014 ed una seconda finestra tra il 1 ed 15 febbraio 2015». Telefonica non potrà acquistare azioni di Telecom Italia spa salvo che «un soggetto terzo acquisti una partecipazione rilevante (del 10% o superiore)» nella compagnia italiana. L'amministratore delegato di Generali Mario Greco ha espresso la propria soddisfazione per l'accordo raggiunto precisando che è in linea con gli «obiettivi di rafforzamento patrimoniale» del gruppo, a cui «permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno». L'operazione non dovrebbe avere ricadute sul piano occupazionale, almeno a dare credito all'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, che poche ore prima dell'intesa aveva rassicurato: «Non sono intenzionato a licenziare proprio nessuno», aggiungendo però che serve «un modello sostenibile nel lungo termine, che favorisca gli investimenti e quindi regole stabili pro-competitive e pro-investimenti». Il via libera a Telefonica è arrivato dopo il rifiuto della Cassa depositi e prestiti a investire in Telecom, con quella che sarebbe stato di fatto un ritorno del gruppo nell'orbita pubblica: «Quando Vito Gamberale (amministratore delegato di F2i, ndr) ha parlato della disponibilità di Cassa depositi e prestiti a investire in Telecom Italia si è pronunciato a titolo personale, da cittadino: questa è una questione su cui noi non ci siamo mai pronunciati», ha detto il presidente di Cdp, Franco Bassanini chiudendo definitivamente la porta. «Invito a considerare il silenzio come un silenzio, non può avere altra interpretazione», ha aggiunto Bassanini. Dichiarazione che fa il paio con quella di Catricalà, vice-ministro allo Sviluppo Economico: «Un intervento diretto della Cassa depositi e prestiti nel capitale di Telecom non mi pare sia un argomento all’ordine del giorno». Uno dei punti dolenti dell'operazione Telefonica è lo scorporo della rete di Telecom Italia, voluta dalle regole europee ma che diminuirebbe di molto il valore della società italiana. «In relazione a quanto riportato dalle agenzie di stampa in materia di scorporo della rete di accesso di Telecom Italia, il Commissario Antonio Preto precisa che le ipotesi per garantire la parità di accesso alla rete attraverso nuove regole, pur previste dalla recente raccomandazione della Commissione europea, sono allo stato puramente teoriche e non sono state oggetto di alcuna discussione in seno al Consiglio dell’Autorità», scrive l’autorità garante per le Tlc in una nota a proposito della discussione sullo scorporo della rete di Telecom. Comunicato diffuso per spargere acqua sul fuoco e che ha costretto comunque Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom a una precisazione: «Per procedere a uno scorporo non volontario, cosa che non è prevista da alcuna indicazione normativa a livello europeo, credo che servano motivi di una gravità eccezionale che non esistono assolutamente - aggiunge -. La dichiarazione fatta da Preto non può rispecchiare nè un orientamento della commissaria nè dell’AgCom». Sono oramai lontani i tempi in cui Gnutti e Colannino dettero la scalata alla Telecom con il plauso di economisti e politici, concretizzando il maggior takeover mai realizzato in Europa.

Crollo delle vendite al dettaglio (26 settembre2013).
Un altro indicatore di una crisi difficile da superare. A luglio, fa sapere l’Istat, il livello delle vendite al dettaglio ha toccato i minimi da dodici anni a questa parte scendendo dello 0,3% rispetto a giugno e dello 0,9% rispetto a dodici mesi prima. In termini tendenziali le vendite sono così in diminuzione da più di un anno, registrando il tredicesimo calo consecutivo. Infatti, guardando alle serie storiche dell’Istat l’indice destagionalizzato del valore delle vendite scende a 95,3, il dato più basso dal novembre del 2001. Secondo l’analisi dell’Istituto nazionale di statistica, nel confronto con il mese di luglio 2012, i dati dimostrano un calo sia per la grande distribuzione (-0,4%) sia per le imprese operanti su piccole superfici (-1,2%). Scendono anche le vendite di prodotti alimentari che hanno segnato una flessione dell’1,6%, calano ancora di più le vendite dei prodotti non alimentari (--3,3%) per una diminuzione complessiva del 2,6%.

Disperati colpi di coda del Pdl per evitare la decadenza di Berlusconi (27 settembre 2013).
La mossa di Letta di andare in Parlamento e chiedere un chiarimento con un voto di fiducia non ha spiazzato Berlusconi. Per il premier votare contro significherebbe assumersi la responsabilità di far cadere il governo sulle sue questioni personali e giudiziarie, infischiandosene della crisi economica, dell’aumento dell’Iva, dei problemi sociali. Significherebbe pensare solo ed esclusivamente al voto in giunta e alla sua decadenza da senatore. Ma a Berlusconi tutto questo non interessa più. Dentro il Pdl si però aperto lo scontro tra chi vorrebbe mandare a picco subito Letta e i filogovernativi che stanno disperatamente cercando di separare le due questioni. In quest’ultimo caso si creerebbe la paradossale situazione di un esecutivo che va avanti ipocritamente mentre il capo della delegazione Pdl, Angelino Alfano, è dimissionario da deputato. Sì, perchè il vicepremier e ministro dell’Interno ieri ha sottoscritto la lettera di dimissioni e così hanno fatto gli altri ministri Lupi, Di Girolamo e Lorenzin. Manca invece all’appello Quagliariello, che non intende seguire i suoi colleghi sull’Aventino, «né ora né mai». Tutti i 97 deputati hanno firmato la lettera di dimissioni; al Senato 87 su 91: dimissioni che sono nelle mani dei capigruppo Brunetta e Schifani e che verranno presentati, o meglio, dovrebbero essere presentate quando la giunta voterà la decandenza del Cavaliere. Una pistola è messa sul tavolo del Pd e ha tutta l’aria di essere veramente carica, a meno di ulteriori retromarce dell’ex premier. Ma a sentire falchi e soprattutto le colombe del Pdl non ce ne saranno. «Il dado è tratto, non è un bluff, Berlusconi questa volta fa sul serio», dice soddisfatta Santanché. Circola la voce che domani i ministri Pdl potrebbero già dimettersi. Il Consiglio dei ministri non è stato ancora convocato; dovrebbe essere fatto oggi stesso, dopo l’incontro di Letta con Napolitano. «Se salta tutto - dicono a Palazzo Chigi - il primo effetto è che aumenta l’Iva e le “sentinelle antitasse”, come si sono sempre fregiati di essere Alfano e gli altri ministri ne uscirebbe con le ossa rotte. Per non parlare del fatto che lo stesso Alfano aveva rassicurato Letta che la furia del suo capo sarebbe rientrata e che la raccolta delle firme per le dimissioni sarebbe stata rimandata sine die. Il problema è che a Berlusconi non interessa più nulla di questo governo se il Pd voterà la sua decadenza e non crede più a nessuno. Non si fida di Napolitano che, a suo dire, gli avrebbe promesso un ammorbidimento dei senatori in giunta, che lo avrebbe difeso contro le «toghe rosse» e i magistrati della Cassazione. Non spera in un ravvedimento degli alleati/nemici che vogliono cacciarlo dal Parlamento, lasciandolo in pasto ai quei Pm che vogliono arrestarlo. Allora muoia Sansone con tutti i filistei, meglio paralizzare il Parlamento con le dimissioni dei suoi senatori e deputati, puntare tutto alle elezioni anticipate in modo tale da rinviare il più possibile la decadenza. Calcoli e strategie ad alto tasso di disperazione, ma che sono in campo. La conseguenza è che in questo momento prevale la possibilità che, di fronte alla richiesta di un voto di fiducia, parta da Palazzo Grazioli l’ordine di affondare la nave del governo. La nota di ieri del capo dello Stato ha reso ancora più nero l’umore del Cavaliere, che ora considera l’inquilino del Quirinale un uomo di parte, «scorretto, inaffidabile», che non ha voluto muovere un dito a suo favore. Appunto, Berlusconi non si fida di nessuno e non vuole cadere nella trappola di votare la fiducia per legarsi le mani per oggi e per domani. Cosa succederà da qui al voto di fiducia non è dato saperlo. Le colombe e Gianni Letta stanno lavorando per evitare lo scontro frontale. Ancora solo pochi giorni ma la loro strada è tutta in salita. Intanto tutti in fila a sottoscrivere le dimissioni e la fila, guarda caso, ieri è aumentato dopo la nota di Napolitano. E chi non firma le dimissioni, avrebbe detto Brunetta, si accomodi al gruppo misto. Ancora più tranchant Verdini, che ha in mano la partita d’attacco: chi non si dimette è fuori dal partito e non verrà ricandidato. C’è anche la corsa a far sottoscrivere le dimissioni ai non eletti che dovrebbero subentrare ai dimissionari. E per far capire come stanno le cose, il 4 ottobre a Roma è stata organizzata una manifestazione per fare pressione sulla giunta che si riunisce proprio quel giorno.

Berlusconi fa scoppiare la crisi di governo (29 settembre 2013).
Silvio Berlusconi apre la crisi di governo, pretendendo ed ottenendo le dimissioni del 5 ministri del Pdl e azzerando le speranze, già ridotte al lumicino, del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del premier Enrico Letta di rilanciare, con una verifica in Parlamento, l’azione di governo. Letta, che domani salirà al Quirinale, vuole comunque un «chiarimento» davanti alle Camere per verificare se ci sono i numeri ma soprattutto per addossare al Cavaliere la responsabilità di un «gesto folle - attacca il premier - solo per coprire le sue vicende personali». Dopo quasi due mesi di scontro durissimo, nel Pdl vincono i falchi. Dopo l’accelerazione dell’annuncio delle dimissioni di massa dei parlamentari, Berlusconi oggi consuma l’ultimo strappo dopo una riunione ristrettissima nella quale, a quanto si apprende, c’erano Daniela Santanché e Denis Verdini. «L’ultimatum di Letta è irricevibile e inaccettabile» si infuria l’ex premier che addossa al Pd la colpa della mancata approvazione del decreto per evitare l’aumento dell’Iva. Ed è in nome di una tassa, definita «odiosa vessazione», che il Cavaliere “dimissiona” la delegazione dei suoi ministri al governo. Un’accusa, che viene bollata dai rivali come slogan da campagna elettorale, che il presidente del Consiglio respinge con durezza, arrivando a consigliare agli italiani, su Twitter, di «non abboccare» al Cavaliere che «gira la frittata» visto che è stato proprio il Pdl, annunciando le dimissioni di massa, a creare un «vulnus» gravissimo. E a trascinare il governo verso la crisi, facendo balzare, primato poco onorevole, il nostro paese tra le breaking news dei principi siti e tv mondiali. A Berlusconi serviva solo il pretesto per rompere gli indugi e fare quello che da tempo meditava: staccare la spina al governo. È così dopo un pranzo ad Arcore (domani sono previsti nuovi incontri) con i suoi avvocati, Denis Verdini e Daniela Santanché, il Cavaliere ha diramato una nota al vetriolo in cui accusa il premier di non aver rispettato «il patto di maggioranza» aumentando l’Iva e dandone la colpa al Pdl. L’ex capo del governo però è andato oltre ordinando alla delegazione ministeriale pidiellina di rassegnare subito le dimissioni. E proprio con i ministri, in particolare con il vice premier Angelino Alfano ci sarebbe stato un lungo braccio di ferro in cui il segretario del Pdl avrebbe tentato di frenare il Cavaliere. Un pressing inutile anzi, pare che i diretti interessati alla fine siano rimasti all’oscuro di quanto veniva deciso ad Arcore, rimanendo di fatto spiazzati dalla nota. Nel Pdl i falchi cantano vittorie. Le colombe si adeguano, l’unico ad alzare il dito è Cicchitto: «Ritengo che una decisione di così rilevante spessore politico - spiega l’ex socialista - avrebbe richiesto una discussione approfondita e quindi avrebbe dovuto essere presa dall’ufficio di presidenza del Pdl e dai gruppi parlamentari». Ma l’ex premier dunque non ha intenzione di fare passi indietro pronto ad aprire la crisi nonostante le molte avvisaglie che arrivano, soprattutto dal Senato, sui possibili “traditori”. Enrico Letta, che dopo la giornata convulsa di ieri aveva deciso di trascorrere un pomeriggio in famiglia per concentrarsi sul discorso programmatico su cui verificare martedì la maggioranza, viene informato dal vicepremier Angelino Alfano. Domani salirà al Quirinale quando il Capo dello Stato Giorgio Napolitano rientrerà dalla trasferta a Napoli per decidere insieme le prossime mosse. Un primo quadro della situazione i due l’hanno fatto per telefono. E Letta ha sentito per telefono anche il segretario Pd Guglielmo Epifani che considera le dimissioni dei ministri «un’ulteriore azione di sfascio» perché «è stato toccato un livello mai visto di irresponsabilità». La situazione è intricatissima e l’unico punto fermo è che il presidente della Repubblica non scioglierà le Camere se prima non sarà approvata la legge di stabilità e una riforma della legge elettorale. Una convinzione che anche il presidente del consiglio, e il Pd, condivide. Letta vuole presentarsi alle Camere e, come dice il viceministro Stefano Fassina, «non si andrà ad elezioni perché troveremo una soluzione in Parlamento: sono sicuro che in Parlamento c’è una maggioranza in grado di evitarlo». Ma per un governo di scopo non si potrà contare sul M5S: Beppe Grillo non ha dubbi che a questo punto bisogna tornare subito al voto. Lo strappo di Berlusconi allarga anche il fronte del malessere nel Pdl verso le larghe intese. «L’irresponsabilità sta salendo a livelli che non erano razionalmente valutabili, siamo ad una crisi al buio che non si vedeva dal dopoguerra», si indigna Guglielmo Epifani che ora dovrà gestire una fase delicatissima tra esecutivo e congresso che, a questo punto, potrebbe essere in forse. Il leader Pd, nell’ultimo periodo uno dei principali sostenitori del premier Letta, è rimasto spiazzato, ma non sorpreso, dall’ultima mossa del Cavaliere che «sono un ulteriore azione di sfascio per l’azione del governo». Ma da tempo il Pd aveva perso l’illusione che il governo potesse durare l’intera legislatura e realizzare l’ambizioso progetto di riforme, a partire da quelle costituzionali, che si era prefisso nel programma originario. A questo punto, però, il ritorno alle urne, pur messo in conto, deve fare i conti con la necessità imprescindibile di cambiare la legge elettorale. «Altrimenti dopo le elezioni saremo di nuovo al punto di partenza», è la convinzione di tutti, compreso il sindaco di Firenze Matteo Renzi. «Cambiarla è un passaggio obbligato prima di tornare a votare ma non sarà facile», ammette Epifani. La via che il Pd immagina è quella di un governo di scopo che con la legge di stabilità metta in sicurezza il paese rispetto ad un nuovo assalto della speculazione. Con la caduta del Governo e l’eventuale ritorno alle urne si rischia che sia la Troika a «fare la legge di Stabilità al posto nostro», avverte il viceministro Stefano Fassina. Una nuova maggioranza in realtà è tutta da costruire anche se Nichi Vendola si dichiara disponibile a un governo che, prima di tornare alle elezioni, cambi il Porcellum e faccia la finanziaria. Ma il Pd deve mettere in conto che precipiti tutto e si torni al voto. Facendo i conti con un congresso alle porte. Che, con elezioni a breve, sarebbe “congelato” lasciando Epifani al suo posto. Immediata arriva intanto la chiusura di Beppe Grillo all’ipotesi di un nuovo esecutivo Pd-M5S. No ad accordi e nessuna fiducia, è la linea del leader e di Casaleggio. Che ribadiscono il loro no alla riforma del Porcellum «per evitare un super-Porcellum». In sintesi, dicono i capi grillini, «no a fregature studiate apposta per metterci fuori gioco». A finire nel mirino è Napolitano: «L’Italia non può più reggersi sulle spalle di un ultra ottuagenario che sta, volontariamente o meno non importa, esercitando poteri da monarca che nessuno gli ha attribuito. Napolitano deve rassegnare le dimissioni. È a lui che dobbiamo questo impasse. Alle sue alchimie va attribuito lo sfacelo istituzionale attuale». Grillo, insomma, è già in campagna elettorale: «Bisogna andare al voto per vincere e salvare l’Italia. È l’ultimo treno. Napolitano non si opponga. I prossimi mesi saranno per cuori forti. In alto i cuori». Dall’Europa non arriva alcuna reazione ufficiale. Bocche cucite a Bruxelles, come a Berlino o a Parigi. Ma nei palazzi della Ue si respira tutta la preoccupazione per una crisi di governo a Roma che rischia di far saltare il banco. Quello che l’Europa cerca da giorni di spiegare all’Italia, attraverso i numerosi appelli alla stabilità e alla responsabilità dei politici, è che un terremoto politico in questo momento non è solo un fattore di instabilità che mina la fiducia nel Paese ma una vera e propria minaccia per i conti pubblici. L’Italia è indietro su tutte le richieste di Bruxelles: ha superato il 3% di deficit, non ha iniziato a ridurre il debito e va a rilento sulle riforme tanto che quella più attesa - cioè la riduzione del cuneo fiscale - non è ancora in cantiere. Una crisi di governo metterebbe in stand-by i conti, e con le previsioni economiche del 5 novembre la Commissione Ue non potrebbe fare altro che confermare lo sforamento, e rimandare a maggio per l’eventuale riapertura della procedura per deficit eccessivo. È il momento peggiore per una crisi di governo. L’Italia non ha né preparato la finanziaria, né completato la definizione precisa delle coperture dell’abolizione dell’Imu che pure Bruxelles si aspetta entro il 15 ottobre. La crisi di governo evoca inoltre lo spettro Troika per l’Italia. A poco più di due settimane dalla presentazione della legge di stabilità, il caos politico scatenato potrebbe portare ad un commissariamento del nostro Paese, materializzando l’incubo che da anni Roma tenta di scacciare, quello di perdere ogni tipo di sovranità economica, seguendo le orme della Grecia.
«Siamo in una fase un po’ criptica...io cercherò di vedere se ci sono le possibilità per il prosieguo della legislatura». In attesa di incontrare Enrico Letta al Colle, il presidente Napolitano, da Napoli, annuncia che procederà allo scioglimento solo senza altre possibilità. «La tradizione e l’obbligo costituzionale è che il Presidente della Repubblica proceda a uno scioglimento delle Camere quando non c’è alcuna possibilità di dar vita a una maggioranza. Procederò con una attenta verifica dei precedenti di altre crisi, a partire dalla crisi del secondo governo Prodi», dice il capo dello Stato ai cronisti. Intanto, mentre Berlusconi in una telefonata con i militanti di Forza Italia di Napoli alza il tiro contro il Pd e i magistrati, e chiede «elezioni subito» nel centrodestra si alzano segnali di forti dissenso. «A chi mi chiede di farmi da parte e accettare con cristiana rassegnazione la mia sorte giudiziaria, presente e futura, dico che lo farei senza esitazione, se ciò fosse utile al Paese» è tornato a ribadire Silvio Berlusconi in un messaggio online. «Invece darei il mio avallo a una democrazia dimezzata dove i magistrati politicizzati decidono chi deve governare». «Se il governo proporrà una legge di stabilità realmente utile all’Italia, noi la voteremo. Se bloccheranno l’aumento dell’Iva senza aumentare altre tasse noi lo voteremo. Se, come si sono impegnati a fare, taglieranno anche la seconda rata Imu, noi voteremo favorevolmente» continua «Noi siamo quelli che hanno voluto il governo Monti e il governo Letta, sperando potesse essere un governo di riforme e di pacificazione. So e sappiamo distinguere il reale interesse dei cittadini». «Noi ci siamo e ci saremo» su stop a Imu e aumento Iva e «su tutte le altre misure utili, come il rifinanziamento della cassa integrazione, delle missioni internazionali, il taglio del cuneo fiscale», afferma il leader di Fi, spiegando che il suo partito è pronto a votare le leggi economiche che il governo proporrà, se «utili» al Paese. «Nelle ultime settimane abbiamo avuto un governo capace solo di rinviare, di proporre il blocco dell’Iva aumentando altre tasse, di tagliare l’Imu solo a metà per ricattare il Pdl e costringerlo a stare al governo, un governo prono rispetto ai diktat dei burocrati dell’Unione europea» aggiunge spiegando le dimissioni dei suoi ministri. «Abbiamo pazientemente offerto soluzioni a ogni livello istituzionale per evitare di fare precipitare la situazione. Non ci hanno voluto ascoltare». Intanto Berlusconi ha convocato per le 17 di domani a Montecitorio l’assemblea dei gruppi parlamentari Pdl-Fi di Camera e Senato sulla crisi di governo. Alla riunione, convocata dai capigruppo Renato Schifani e Renato Brunetta, sono attesi anche i ministri dimissionari del Pdl.
Grandi manovre al Senato, tappa che potrebbe risultare decisiva per la prosecuzione dell’attività del governo. A questo proposito, contatti sarebbero in corso per coagulare in particolare intorno alle ultime posizioni di Gaetano Quagliariello un gruppo di senatori. Lo «scouting» in corso potrebbe arrivare a formare un gruppo parlamentare, quindi coinvolgerebbe fino a 10-15 senatori. In dettaglio, sarebbe soprattutto tra i senatori siciliani e campani sino ad ora iscritti al Pdl che attingerebbe il nuovo gruppo di moderati. All’indomani dall’annuncio di dimissioni dei ministri del Pdl, dunque, il partito si spacca. Sono infatti già due i ministri del Governo Letta scelti da Silvio Berlusconi che hanno confermato che lasceranno l’incarico ma hanno contestato la linea del partito e annunciato che non entreranno nella nuova Forza Italia. Si tratta del ministro della Salute Beatrice Lorenzin e di quello per le Riforme. Lorenzin lo fa in una dura nota in cui scrive di accettare «senza indugio la richiesta di dimissioni fatta durante un pranzo a cui non partecipavano né i presidenti dei gruppi parlamentari, né il segretario del partito, per coerenza politica nei confronti di chi mi ha indicato come ministro di questo Governo. Continuerò ad esprimere le mie idee e i miei principi nel campo del centrodestra, ma non in questa Forza Italia». Una Forza Italia, precisa Lorenzin, che «sta dimostrando d’essere molto diversa da quella del ’94. Manca di quei valori e di quel sogno che ci ha portati sin qui». Una critica anche nei confronti di chi consiglia Berlusconi in queste ore, la cui linea Lorenzin non giustifica nè condivide. Quagliariello interviene invece nel dibattito dal Festival del diritto di Piacenza affermando che l’annuncio di dimissioni in massa dei parlamentari del Pdl è stato un «fallo di reazione» a cui non ha aderito perchè come ministro ha giurato sulla Costituzione e perchè «perché penso che una persona che fa politica deve avere l’inclinazione al compromesso». Le dimissioni da ministro? «Non ho fatto in tempo a presentare le dimissioni - ha risposto - lo farò quando rientro», ma «se Forza Italia è questa, io non aderirò». Quagliariello ha concluso augurandosi «un ripensamento nel centrodestra, o almeno di una parte dell’attuale centrodestra» e dunque una eventuale scissione del partito. Anche Lupi è critico con la deriva di Forza Italia. «Così non va. Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri. Si può lavorare per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia» twitta il giorno dopo le sue dimissioni da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

La resa dei conti nel Pdl (30 settembre 2013).
Hanno presentato questa mattina le proprie dimissioni «irrevocabili» a palazzo Chigi, ma i cinque ministri “colombe” del Pdl hanno tirato fuori gli artigli. E mentre si attendono gli esiti dello show down interno al Popolo della libertà, è riscattato l’allarme spread. Quanto al premier Enrico Letta, ieri sera ha messo in chiaro che non intende fare «il re Travicello» e anche al Pd si continua a escludere ogni ipotesi di «governicchio».
La tensione nel Pdl è a livelli inediti. Stamane è esplosa la polemica tra i ministri dimissionari e il direttore del Giornale. «Noi non abbiamo paura», hanno scandito in un comunicato congiunto Angelino Alfano, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo e Maurizio Lupi. Il messaggio è diretto ad Alessandro Sallusti e al suo editoriale di questa mattina. Il direttore ha scritto che i ministri «con qualche distinguo di forma e di sostanza, si adeguano, ma non condividono al punto di ventilare un loro futuro fuori da Forza Italia, non si capisce se sulle orme di quel genio di Gianfranco Fini». La replica è secca: «Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro movimento politico, si sbaglia di grosso», dicono i quattro (ormai ex) ministri, «se il metodo Boffo ha forse funzionato con qualcuno, non funzionerà con noi».
Alfano e colleghi difendono le ragioni del dissenso apertamente espresso. «Prima di sganciare l’atomica era necessario fare una serie di passi», ha spiegato Quagliariello, «a un fallo non si risponde con una testata». Il ministro ha smentito l’intenzione di fondare un nuovo partito e ha confermato che resterà nel Pdl; a Forza Italia però, se sarà quella «immaginata nell’ultima settimana» non aderirà. «Non posso accettare l’idea di un partito alla Alba Dorata che considera traditori chi la pensa diversamente», ha attaccato anche la Lorenzin.
Ha ostentato fiducia invece Lupi: «Berlusconi troverà la sintesi», ha assicurato. Dal canto suo il Cavaliere continua a cercare di ridimensionare l’evidente caos che anima il Pdl e la guerra tra falchi e colombe, ormai venuta alla scoperto. Una miscela che sta portando il partito ad un passo dalla spaccatura sulle sorti del governo.
La decisione di accelerare la crisi annunciando la fine del sostegno all’esecutivo e le dimissioni della delegazione ministeriale ha fatto esplodere un pesante malumore tra i dirigenti. Prese di distanza e accuse reciproche come non si era mai visto e sullo fondo il rischio, paventato allo stesso Cavaliere, di scissioni nel momento in cui il partito sarà chiamato alla conta in Parlamento sul voto di fiducia. Nel Pdl il redde rationem è fissato per oggi pomeriggio quando alla Camera si terrà la riunione congiunta dei gruppi di Camera e Senato alla presenza di Berlusconi per decidere cosa fare. Che il rischio di una spaccatura sia nell’aria è la paura di molti. Ecco perché il Cavaliere ha intenzione di arrivare all’incontro con una strategia ben definita provando a far rientrare la frattura in un vertice ristretto a via del Plebiscito. A palazzo Grazioli ha incontrato i capigruppo, i coordinatori ma soprattutto Angelino Alfano. E, con il segretario del Pdl che le distanze in questo momento sono più evidenti. Il vice premier non ha gradito di essere rimasto tagliato fuori dalla decisione del Cavaliere di diramare la nota per ufficializzare la crisi.
Durissimi i colleghi di governo. «Considero la decisone adottata dal Pdl completamente a sfavore dell’Italia, un vero e proprio tradimento che spero possa essere superato con una riflessione onesta da parte di quel partito», ha attaccato Mario Mauro, arrivato a chiedere al Ppe di isolare Berlusconi. Il Pd intanto non cambia linea. «Dico no a un governo fatto con un po’ di voti di transfughi e che vive una vita stentata», ha ribadito Guglielmo Epifani, preoccupato per la reazione dei mercati. «Il centrodestra sta facendo saltare in aria il Paese ed era evidente che lo spread sarebbe ripartito», ha ammonito. «Sosteniamo convintamente Letta perché c’è bisogno di un governo forte e autorevole», ha sottolineato il presidente dei deputati del Pd, Roberto Speranza. «Tutti a casa», è invece il rinnovato pressing di Beppe Grillo. «Questa gente non si deve più avvicinare alla legge elettorale e alla Costituzione. Devono andare via perché sono stati soci per vent’anni di un bandito», ha detto dagli uffici della Rai di viale Mazzini occupati stamani. Scettico sulle elezioni Roberto Maroni: «Penso che Letta farà di tutto per fare un bis con qualche transfugo».
Preoccupazione per la situazione ha espresso stamane il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: a proposito dell’attuale crisi politica «Mi auguro che tutta questa instabilità non porti a una precettazione da parte dell’Europa e a una gestione commissariale». L’economia e la finanza italiana sono in allarme. Banchieri e uomini di industria, che spesso si ritrovano su fronti opposti nell’attribuirsi la responsabilità dei problemi italiani, questa volta sono d’accordo: la stabilità - per quanto traballante - che assicurava il governo Letta, ritengono in molti, è un asset indispensabile. E in un momento come questo, dove la ripresa è più una speranza che una realtà, gli effetti potrebbero essere davvero devastanti, specie sullo spread e sul costo del denaro.
Intanto, mentre da Bruxelles tutto tace, il portavoce della cancelliera Angela Merkel, Steffen Seibert, ha dichiarato che il governo tedesco è interessato a un governo stabile in Italia: «Seguiamo naturalmente con attenzione» la situazione italiana. Il portavoce ha aggiunto di augurarsi che «tutte le forze interessate alla stabilizzazione della situazione» siano coinvolte. Alla domanda se ci siano stati contatti diretti tra Merkel e l’Italia, Seibert ha risposto che i contatti ci sono regolarmente e che in generale il governo mantiene la riservatezza sui contenuti.

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Eugenio Caruso



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