L'estinzione dei dinosauri di stato. L'autunno caldo del 1969


Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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L’AUTUNNO CALDO DEL 1969
Il vaso scoperchiato da Giovanni XXIII, Kennedy e Chruscev impone alla politica un passo che essa non è in grado di tenere, perché frenata dai piccoli e grandi centri di potere. In questo quadro internazionale scoppia una protesta generazionale di proporzioni inusitate.
Berkeley, 1964: nella città universitaria, uno dei simboli della più avanzata società statunitense, prende vita la rivolta. Il contagio è immediato, secondo un meccanismo imitativo la contestazione giovanile investe tutto il mondo industrializzato. «Vogliamo riprenderci la vita», gridano gli studenti della Sorbona. La rivoluzione investe e mette fuori gioco il modo di essere della generazione dei “vecchi”: il modo di vestire, la cultura, la musica, i rapporti sociali. Konrad Lorenz (Lorenz, 1974) spiega il fenomeno sia con l’aggressività, un istinto naturale dell’uomo che si può mascherare o dirigere, ma non sradicare e dominare del tutto, sia con l’educazione permissiva, che porterebbe paradossalmente a rifiutare quella gerarchia che si riveli incapace di mantenere vivo il principio d’autorità.
In Italia vengono organizzate alcune manifestazioni nell’anno accademico 1966-1967, ma il segnale di una vera rivolta contro le istituzioni si ha all’inizio dell’anno accademico successivo, nella facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. A novembre viene occupata la Cattolica di Milano, dove regna un duro e retrivo autoritarismo; il rettore chiama la polizia ed espelle alcuni studenti. La protesta si estende a Torino e raggiunge l’apice a Roma, dove viene occupata la facoltà di Architettura; studenti e provocatori di destra e sinistra si scontrano con la polizia a Valle Giulia, in una battaglia urbana, restano feriti decine di studenti e poliziotti. Il crogiolo della contestazione resta in ebollizione per tutto il 1968; i movimenti hanno individuato il nemico nei poliziotti, considerati lo strumento che lo Stato utilizza per la propria sopravvivenza. In questa fase, si impone il Movimento studentesco che inizia ufficialmente l’attività politica nei primi mesi del 1968, continuandola fino al 1976.
La contestazione nasce dall’esigenza di nuovi diritti e nuovi spazi da parte dei giovani, si sviluppa contro ogni forma d’autoritarismo, come critica nei riguardi della società dei padri, con l’intento di rafforzare gli ideali di tolleranza e libertà (anche la lettura del marxismo avviene in chiave iconoclasta, libertaria e anticentralista), ma essa finisce col praticare comportamenti autoritari e discriminatori, che, miscelati al settarismo ideologico, faranno perdere unità d’azione ai vari movimenti. Alberto Ronchey (Ronchey, 1977) afferma che si assiste a una forma di «estremismo rivoluzionario-permissivo», che trova terreno fertile in una società nella quale «nessuno comanda e nessuno obbedisce».
La contestazione italiana, con il suo carico eversivo, nasce anche dalle aspettative disattese dal centro-sinistra, che tra il 1964 e il 1968 si è trascinato tra speranze e delusioni, alla ricerca di un punto d’equilibrio tra interessi contrastanti. La risposta all’inerzia della classe politica è l’attivismo radicale e incontrollato della base, con la saldatura tra i movimenti studenteschi e frange di lavoratori. Nasce così un gran numero di gruppi rivoluzionari: i maoisti di Servire il popolo, i leninisti filo-maoisti di Avanguardia Operaia, i libertari di Lotta Continua, i leninisti di Potere Operaio. La loro ispirazione è intellettualistica e manichea, ma i gruppi che vanno costituendosi sembrano miniature dei partiti politici, con tanto di leader, gerarchie, correnti e statuti in feroce polemica tra loro (Guerri, 1997).
Un elemento che accomuna i vari movimenti e i partiti politici della sinistra è lo scissionismo. Il segretario del Pci, Longo, nel maggio 1968, pubblica un articolo con il quale disegna le ragioni strutturali di un’alleanza tra movimento studentesco e classe operaia. L’apertura al movimento dà ragione a Longo, infatti, le elezioni del 19 maggio 1968 vedono una forte confluenza del voto giovanile nel Pci (Folena, 1997).
Eredità del 1968 saranno, in positivo, un nuovo atteggiamento nei confronti dell’autorità, posizioni meno dogmatiche in politica, nuovi rapporti tra i sessi, la liquidazione di molte residue nostalgie fasciste, ma anche, in negativo, l’esaltazione dell’effimero, la libido per la parola, l’illusione di una maggiore libertà individuale, l’esasperazione dei diritti, l’ampliamento della sfera dei consumi, l’omologazione e l’edonismo culturali, il cinismo politico, l’esaltazione dei valori maschili dominanti, elementi che saranno responsabili delle storture degli anni Ottanta e della crisi culturale che ne è derivata.
Come si è visto, quando alla fine del 1968 la contestazione studentesca si affloscia, le frange più radicali confluiscono nelle formazioni marxiste-leniniste, che a loro volta danno vita a “gruppuscoli” rivoluzionari, che iniziano la loro guerra alle “tigri di carta” dell’imperialismo, trovando il clima favorevole delle grandi lotte operaie del 1969. Se il 1968 è stato l’anno degli studenti, il 1969 è quello delle tute blu: la lotta si trasferisce dalle università ai cancelli della Fiat, della Pirelli, dell’Alfa, della Sit-Siemens, della Magneti Marelli. Il cosiddetto “autunno caldo” ha sullo sfondo il rinnovo di ben 32 contratti collettivi di lavoro; oltre cinque milioni di lavoratori sono decisi a far sentire il peso delle loro rivendicazioni. I sindacati sono scavalcati dallo spontaneismo e dall’attivismo dei Cub, i Comitati unitari di base. Ma l’azione rivoluzionaria nelle fabbriche si scontra e si frantuma contro una realtà: la mancanza di una concreta coscienza anticapitalista e la fedeltà della classe operaia al sindacato, che riesce a riprendere il controllo della situazione con la mobilitazione in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Il Pci, preoccupato da possibili scavalcamenti a sinistra, è incapace di sviluppare una critica efficace nei riguardi dei movimenti eversivi che trovano nella contestazione giovanile il miglior “brodo di coltura”; all’interno del partito si acutizza il conflitto con i settori più vicini ai movimenti, e, nell’estate del 1969, il gruppo del Manifesto viene radiato. Peraltro, Berlinguer, appena nominato vicesegretario, mantiene aperto il dialogo con il movimento studentesco; osserva Folena: «Un atteggiamento diverso avrebbe probabilmente condannato il Pci a un’involuzione operaista e settaria, come successe poi, in larga parte, ai comunisti francesi». Una conquista della classe operaia sarà, nel maggio 1970, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, una carta che sancisce i diritti di assemblea, di organizzazione sindacale, di tutela dai lavori pericolosi, di appello alla magistratura in caso di licenziamento senza giusta causa. Sempre sotto la pressione sindacale, nel 1971 viene approvata la riforma della casa; gli interessi consolidati e la burocrazia dello Stato avversano il decentramento dell’edilizia pubblica agli enti locali e fanno sì che la riforma risulti inefficace e abborracciata. La riforma fiscale degli anni 1971-1973 si rivelerà poi un boomerang per i lavoratori dipendenti, che vedono le proprie tasse dedotte alla fonte, mentre assistono alla più massiccia evasione fiscale d’Europa da parte di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprenditori.

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17 settembre 2013

Eugenio Caruso



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