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Longevità dell'impresa eccellente

Se vuoi che ogni cosa ti sia soggetta, sottomettiti alla ragione. Governerai molti, se ti governerà la ragione: proprio da questa imparerai ciò che devi intraprendere e in quale modo; così non ti imbatterai in situazioni impreviste.

Seneca Lettere morali a Lucilio


1. Premessa

L'analisi di report editi in Usa e in Europa sulla vita delle aziende di successo (quelle che figurano tra le prime 500 nella classifica stilata annualmente da Fortune) indica una vita media di diciotto anni; come se il successo di un'impresa portasse con sé il seme dal quale scaturirà l'insuccesso; sempre nella lista delle prime 500 aziende, stilata da Fortune nel 1970 ben il 60% non esiste più.

Arie de Geus dell'Organizational learning centre, presso l'Mit, in base ad una ricerca sul periodo di vita delle imprese, è arrivato a stabilire che questi tassi di mortalità prematura sono esclusivamente da attribuirsi a scelte imprenditoriali o manageriali errate o a mancanza di scelte; d'altra parte l'impresa è un'organizzazione che fisiologicamente può durare per secoli come dimostrano la giapponese Sumitomo, fondata nel 1590, o la svedese Stora, fondata più di settecento anni fa.
Lo stesso de Geus ha individuato le caratteristiche proprie delle imprese che hanno più di un secolo di vita.

  1. Alta refrattarietà ad intraprendere operazioni finanziarie a rischio.
  2. Sensibilità e attenzione ai cambiamenti in atto nel mondo esterno all'impresa. La gloriosa Banca di San Giorgio, nata nel 1407 a Genova, dopo aver superato tutte le vicissitudini politiche dello stato genovese, non riuscì a conciliare la propria funzione economica con la politica riformatrice di Napoleone e, dopo quattrocento anni di vita, il 4 luglio 1805, fu definitivamente soppressa con decreto imperiale.
  3. Consapevolezza dell'identità aziendale, a tutti i livelli. Le imprese longeve sono pervase da un forte senso di appartenenza e da un'identità aziendale definita e condivisa.
  4. Grande attenzione verso le nuove idee.
  5. Predisposizione al cambiamento del proprio core business. La Dupont, ad esempio, è nata più di duecento anni fa per la produzione della polvere da sparo, nel 1920 era uno dei principali azionisti della General Motors e oggi è un'importante azienda chimica.

Per restare al nostro paese è interessante analizzare la vitalità delle imprese nate nel milanese, area che traina l'industrializzazione italiana e che continua ad essere permeata di cultura d'impresa. Nel 1840 nascono la Falck e la Riva Calzoni, nel 1853 nasce la Carlo Erba, nel 1863 il Tecnomasio, nel 1866 la Zambeletti, nel 1868 la Lepetit, nel 1871 l'editore svizzero Hoepli si trasferisce a Milano, nel 1874 nasce la Boehringer, nel 1872 la Pirelli, nel 1875 la Salmoiraghi, nel 1876 la Franco Tosi, nel 1884 la Edison, nel 1886 la Breda, nel 1894 la MaxMeyer, nel 1895 la Borletti, nel 1896 l'Istituto sieroterapico milanese, nel 1998 la Saffa, nel 1899 la Om, imprese, che, sia pure con alterne vicende e cambiamento di ragione sociale, sono ancora in vita. Il segreto della loro longevità più che centenaria sta nel circolo virtuoso dell'economia milanese: cultura imprenditoriale, innovazione (è stata determinante, specie nell'ottocento, la presenza del Politecnico), finanza (la Cariplo nasce nel 1823, la Banca popolare di Milano nel 1865, la Banca Sella nel 1886, la Banca popolare commercio e industria nel 1888, La Banca commerciale italiana nel 1894, nel 1865 viene fondato il quotidiano Il Sole sul modello della stampa economica inglese), predisposizione al cambiamento e forti legami culturali e imprenditoriali con le aree più avanzate d'Europa.
C'è inoltre da notare, d'altra parte, che le grandi industrie siderurgiche, meccaniche, elettriche, elettromeccaniche e chimiche, caratterizzate da alta concentrazione di capitale finanziario e da basso capitale di conoscenza, che hanno fatto la fortuna economica di Milano nel novecento, è completamente scomparsa, superata da una moltitudine di imprese moderne knowledge based. Secondo l'Istat a Milano sono concentrate, infatti, il 10,4% delle società finanziarie con il 22% degli addetti del settore, il 22,4% delle imprese di marketing con il 35,3% degli addetti, il 9,8% delle società di consulenza aziendale con il 13,5% del totale del settore, il 15,4% delle imprese di software con il 17,6% degli addetti, il 7,7% delle società di ricerca con l'11,1% degli operatori.

Le considerazioni fatte valgono per le imprese medio-grandi; per le Pmi non esistono documenti significativi che descrivano le motivazioni della loro mortalità. L'esperienza dell'autore porta ad identificare, sostanzialmente, due ragioni della mancanza di longevità della Pmi.

  1. La crisi che nasce al momento del trapasso generazionale.
  2. Il ritardo con il quale l'imprenditore si rende conto di segnali premonitori di una crisi. I dati non dànno segni di crisi, i bilanci sono soddisfacenti, la produttività è alta, non ci sono problemi con il personale, è, pertanto, facile che l'imprenditore vada soggetto alla "sindrome di Icaro" e trascuri i segnali intangibili e non misurabili, dote che un imprenditore dovrebbe avere. Come Icaro sicuro delle sue ali precipitò non preoccupandosi che la cera potesse sciogliersi, così l'imprenditore che non presta attenzione ai segnali premonitori può portare la sua impresa al declino.

2. Il ciclo di vita aziendale

Il ciclo di vita di un'impresa è raffigurabile con una curva sigmoide del tipo di quella che descrive il ciclo di vita di un prodotto; anche per le imprese le fasi sono quattro, nascita, sviluppo, maturità, declino.
In generale, quando un'impresa si trova nel punto nel quale inizia il declino e si  decide di cambiare, spesso ha raggiunto un punto di irreversibilità e la salvezza è ardua.
Ma perché le aziende decidono di adottare iniziative di rinnovamento solo quando si trovano nel succitato punto di declino e quindi nel momento meno propizio e di massima difficoltà?

Perché gli imprenditori hanno guidato l'azienda affidandone la verifica dello stato di salute solo agli indicatori economico-finanziari (cioè affidandosi al passato) e hanno trascurato quegli indicatori immisurabili o intangibili, ben noti alla leadership dell'impresa eccellente, e dei quali parleremo in dettaglio.
Se, viceversa, l'azienda decidesse di operare un cambiamento in prossimità del punto di transizione dalla fase di crescita alla fase di stabilizzazione, innescando una nuova curva di crescita, disporrebbe di tempo, energie, entusiasmo e risorse per attivare il nuovo percorso di sviluppo prima che maturità e declino indeboliscano l'organizzazione.

La decisione di procedere in tal senso non è facile in quanto, generalmente, essa presuppone uno spostamento paradigmatico all'interno dell'azienda, ma è opportuno notare che la transizione su una nuova curva di crescita è la principale decisione strategica per un'impresa eccellente.

Molto interessante è il racconto di W. Davidow su come la società Intel, che nel 1968 aveva inventato il circuito integrato con Robert Noyce, alla fine degli anni '70 anticipò una crisi potenziale nel settore dei microprocessori per gli attacchi portati da Motorola e Zilog. Fu costituita una task force, guidata dal Presidente Andy Grove che, dopo aver analizzato i punti di forza e di debolezza della società, aver segmentato il mercato e aver stabilito che i prodotti a catalogo non andavano modificati, lanciò una crociata battezzata «Crush» che coinvolse tutti i dipendenti, in particolar modo gli addetti alle vendite.
Giova osservare che la normale strategia dell'Intel è quella di lanciare sul mercato nuovi prodotti nel momento in cui quelli vecchi stanno fornendo ancora ottime prestazioni. Nel caso specifico la leadership comprese che il cambiamento di cui l'azienda aveva bisogno in quel momento non riguardava il lancio di un nuovo prodotto ma un rilancio dell'immagine dell'azienda sia verso l'interno che verso l'esterno.
Il primo risultato fu quello di far uscire i dipendenti da uno stato di timore e soggezione per l'accerchiamento della concorrenza e portarli su un livello di fiducia in se stessi; infine gli ordini presero a correre e l'acquisizione del cliente Ibm segnò il culmine del successo della crociata.

3. Le fasi della vita di un'impresa

Osservando la curva sigmoide, la curva cioè di un'azienda che non si preoccupi in tempo di rilanciarsi su un'altra curva di sviluppo, si possono fare le seguenti considerazioni.

    Nel momento in cui un'impresa nasce «Si percepisce un alto livello di energia e di eccitazione e vi è un diffuso spirito di collaborazione e di integrazione tra gli individui. Ci si sente pionieri in un'avventura sfidante e questo genera gratificazione e appagamento sul lavoro. La flessibilità è massima».
Generalmente in questa prima fase non sono state ancora ben definite la vision, la mission, le strategie eppure lo spirito di identificazione nell'idea imprenditoriale è alto, tutti sono allineati con l'imprenditore nel conseguimento dei primi obiettivi e le motivazioni sono legate a questo target. L'ambiente è libero da pregiudizi, gelosie e preconcetti, tutti tendono ad essere creativi e propositivi, le competenze non sono codificate, il livello di burocratizzazione è nullo, le gerarchie impercettibili. L'immagine dell'impresa verso il mondo esterno è in fase di costruzione, i rapporti con i clienti sono buoni, anche se spesso il prodotto offerto risente di una certa politica del trial and error; arrivano, infatti, alcuni reclami ma l'organizzazione interna è fortemente orientata a recepirli, anzi a cercare di fidelizzare il cliente che reclama.

Nella fase dello sviluppo l'impresa conosce un momento di forte espansione. I clienti apprezzano i prodotti offerti, la reputazione dell'azienda fa sentire i collaboratori orgogliosi di lavorare per quell'impresa, l'organico incomincia a crescere per soddisfare la domanda, si raggiunge il punto di breakeven (1) e arrivano i primi utili. Il livello di energia e di eccitazione è ancora alto, c'è anche un diffuso senso di euforia per i risultati raggiunti. L'impresa inizia a conoscere, però anche alcuni aspetti negativi.

  1. Non è possibile, infatti, soddisfare le aspettative di tutti; alcuni pensano che l'impresa non riconosca pienamente gli sforzi e i sacrifici del periodo precedente e dànno le dimissioni, passando, magari, ad un'azienda concorrente.
  2. Si cominciano ad osservare i primi schemi precostituiti per la soluzione dei problemi e si dà meno spazio a creatività e nuove proposte.
  3. Si nota l'inizio di una certa formalizzazione nei rapporti interpersonali; vi è meno spontaneità.
  4. La conoscenza inizia ad essere gerarchizzata.

A questo punto una leadership in grado di analizzare criticamente questi primi e deboli segnali dovrebbe iniziare a valutare alternative di business per avviare una nuova fase di sviluppo.

Giova osservare che la succitata sigmoide ha un punto di flesso H, che rappresenta il momento in cui lo sviluppo passa da una fase di crescita molto energica e forse un po' caotica ad una fase di sviluppo più pilotato.
E' interessante osservare questo punto perché un'azienda può morire anche nelle sue prime fasi di vita; essa, infatti, può andare incontro a quella che si chiama mortalità infantile.
In genere, se l'azienda riesce a superare il punto di flesso H, vuol significare che la leadership ritiene superate le difficoltà iniziali è ha intensificato gli investimenti e gli sforzi per progredire ulteriormente in una fase di sviluppo più ordinato e pianificato.

Durante la fase della maturità si acquisiscono i massimi risultati economico-finanziari. Il prodotto dell'impresa è, oramai, noto e affermato sul mercato, i clienti sono soddisfatti, l'impresa ha definito in dettaglio vision, mission e strategie di medio-lungo periodo.
Di converso i problemi emersi nella fase precedente si sono acuiti e ne sono nati altri.

  1. Non si avvertono più l'energia e l'eccitazione delle fasi precedenti.
  2. Alcuni collaboratori della fase pionieristica se ne sono andati e i nuovi assunti non hanno vissuto quel particolare momento.
  3. L'impresa va bene ed è diffusa l'idea che debba andare bene ancora per molto. La sindrome di Icaro è oramai prevalente in azienda.
  4. Le motivazioni e le ragioni di soddisfazione per i dipendenti vanno scemando.
  5. Creatività e spirito di iniziativa hanno lasciato il posto all'esecuzione formale di compiti definiti.
  6. Si nota un calo di tensione nella ricerca di nuovi mercati, nuovi prodotti e soluzioni innovative.
  7. L'organizzazione è più rigida e burocratica.
  8. E' subentrato il principio della difesa dei propri piccoli centri di potere.
  9. L'immagine verso l'esterno non è più coerente con l'immagine interna.
  10. Iniziano ad arrivare un gran numero di reclami, ma lo spirito con il quale vengono accolti non è più quello della fase pionieristica.

Durante la fase del declino anche gli indicatori economico-finanziari sono l'evidenza del cattivo stato di salute dell'azienda. Gli elementi negativi sono sotto l'occhio di tutti.

  1. Il livello di slancio e di energia è minimo.
  2. In azienda prevale un senso di sfiducia e di panico.
  3. Molti dei collaboratori migliori se ne sono andati.
  4. Si vive alla giornata, la vision, la mission, le strategie aziendali sono state completamente abbandonate.
  5. Il know-how dà segni di obsolescenza.
  6. I conflitti di natura sindacale sono all'ordine del giorno.
  7. Il livello di fidelizzazione dei clienti è crollato.
  8. L'imprenditore si affida a consulenti esterni per valutare possibili soluzioni alla crisi, ma i tentativi di riorganizzazione gettano l'azienda in una crisi definitiva e irreversibile.

4. Come evitare il declino

Da quanto detto sopra l'imprenditore di un'azienda eccellente deve avere nel proprio dna la capacità di percepire i deboli segnali di una possibile crisi e porvi rimedio.
Nella letteratura scientifica sono indicati "otto fattori di vitalità" che l'imprenditore dovrebbe tenere sotto controllo al fine di poter effettuare una valutazione di massima sul momento più opportuno per operare il cambiamento e allungare il ciclo di vita della sua impresa.

4.1 La soddisfazione dei collaboratori

Tutti oggi parlano dell'importanza delle risorse umane come capitale fondamentale dell'impresa e quindi dell'impegno che l'azienda deve rivolgere ai collaboratori per motivarli, coinvolgerli, inculcare in loro il principio d'identificazione, mantenere elevato il loro livello di conoscenze, applicare l'empowerment(2). Di converso le aziende trovano difficoltà a mettere in pratica questi concetti che sono sulla bocca di tutti; spesso ricorrono alle riorganizzazioni, con il risultato, spesso, di far irrigidire e imbozzolare il collaboratore su se stesso per la paura del nuovo. In questo ambito la discriminante competitiva tra le aziende non sta tanto nella consapevolezza dell'importanza della massima valorizzazione delle risorse umane quanto nella capacità di realizzare nel concreto questa valorizzazione.
Gli studi di un gran numero di sociologi dànno indicazioni importanti per superare le succitate difficoltà; questi studi indicano, infatti, che le persone tendono sempre più ad esprimere sul lavoro bisogni legati alla propria autorealizzazione e all'aumento della propria autostima(3); pertanto le persone non si recano più al lavoro per soddisfare solo i propri bisogni di base, bensì per trovare, anche, un appagamento ai propri bisogni di realizzazione sociale.
Ma come comportarsi per essere sintonizzati con queste aspirazioni provenienti dal mondo del lavoro?
Per conseguire la soddisfazione dei collaboratori, l'imprenditore dovrebbe risalire all'analisi transazionale e ricordare che la struttura dell'Io di ciascun individuo si basa su tre componenti, l'Io genitore, l'Io adulto, l'Io bambino. Nei rapporti umani ciascun individuo, a seconda delle circostanze, si comporta utilizzando uno dei tre stati della personalità.
Se l'imprenditore, nei rapporti con il collaboratore assume la posizione da genitore a bambino (modello gerarchico direttivo) e il collaboratore risponde cercando un rapporto adulto-adulto, sorgeranno sicuramente motivi di attrito e di insoddisfazione. Inizialmente il rendimento del collaboratore potrà essere elevato, perché esegue attentamente i compiti assegnatigli, ma, con il passare del tempo, nel collaboratore calano l'autostima e la soddisfazione e cala il rendimento.
Se l'imprenditore assume una posizione da adulto ad adulto (modello di transazione al termine della quale entrambi hanno raggiunto un livello più alto di soddisfazione), inizialmente i risultati del collaboratore potranno essere inferiori rispetto a quelli ottenibili con il modello gerarchico, ma, con il tempo, il rendimento crescerà e, in un circolo virtuoso, con esso cresceranno autostima e soddisfazione, ad ulteriore vantaggio dei risultati.
Il monitoraggio del livello di soddisfazione dei collaboratori prevede, innanzitutto, un'analisi dei bisogni e dei valori personali del collaboratore; successivamente si procederà, sia a verificarne la soddisfazione in termini di percezioni sulla possibilità di crescita personale e professionale e sul suo coinvolgimento nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, sia a capire come il collaboratore vede l'ambiente di lavoro e il rapporto con gli altri.
L'analisi della soddisfazione dei collaboratori è quindi un compito gravoso, ma fondamentale per l'impresa eccellente che voglia, sia realizzare il modello della massima valorizzazione del capitale umano, sia tenere sotto controllo uno degli elementi indicatori di un potenziale stato di declino.

4.2 L'energia.

A molti sarà capitato di entrare in un'azienda e osservare la quantità di energia presente tra i dipendenti.
Supponiamo di avere un appuntamento con l'imprenditore di una Pmi energeticamente ricca; l'impatto con l'azienda inizia dall'ingresso dove si viene accolti con calore e cordialità, il tempo di attesa della persona con la quale si ha l'appuntamento è breve, si viene accompagnati attraverso un'open space dove tutto appare tonico, i telefoni squillano, le persone si muovono con dinamismo, senza per questo apparire frenetiche o angosciate, l'ambiente dà la sensazione di rapporti informali e amichevoli. Si raggiunge l'imprenditore, che ci accoglie con atteggiamento fortemente orientato a stabilire un rapporto. Durante la riunione il nostro interlocutore è disturbato pochissimo dalla sua segretaria, che appare a suo agio nel "gestire" il tempo del suo capo.
Di converso sarà capitato anche il caso opposto, l'incontro con l'imprenditore di un'impresa priva di energia come una batteria scarica.
All'ingresso il visitatore viene accolto, dalla persona preposta a questo incarico, come elemento di disturbo rispetto ad altre attività ritenute più importanti (magari la soluzione di un cruciverba). La persona con cui si ha l'appuntamento non si riesce a trovare, non è in ufficio forse è in qualche reparto, non ha lasciato alcuna informazione alla segretaria, né tantomeno la stessa risulta informata dell'agenda del capo. Il visitatore trascorre un quarto d'ora circa curiosando sulla bacheca sindacale, che rivela, sia segnali di contrasti tra maestranze e imprenditore, sia uno stato di preoccupazione da parte dei dipendenti. Finalmente, si viene accompagnati attraverso un'open space dove tutto appare vecchio, i dipendenti hanno gli sguardi svogliati di chi compie attività routinarie e monotone, la gente si muove con aria strascicata, si nota qualche gruppetto di persone che chiacchierano. L'imprenditore che ci riceve, pur mostrando interesse e cordialità, afferma di avere poco tempo e di essere sommerso dagli impegni; infatti ogni cinque minuti il colloquio è interrotto dalla segretaria, dal telefono, dal cellulare o addirittura dallo spedizioniere di un fornitore che vuol sapere dal signor ingegnere dove deve scaricare il materiale.
Da questi due esempi reali se ne può dedurre una definizione di energia in azienda.
Essa è l'elemento dal quale scaturisce la capacità d'azione dell'impresa e trae origine dalle motivazioni, dall'impegno, dalla passione, dalla sicurezza, dall'autostima.

Deve crearsi nell'individuo un circolo virtuoso nel quale lo sforzo compiuto per ottenere il massimo dalle proprie prestazioni - sforzo compiuto per essere

(1) E' il momento in cui i ricavi uguagliano la somma dei costi fissi e di quelli variabili.

(2) Empowerment è l'affidamento di autonomia e responsabilità ai collaboratori.

(3) Gli psicologi definiscono l'autostima come "l'unità centrale del nostro essere", il motore delle nostre azioni, l'origine degli atteggiamenti mentali vincenti o perdenti. Avere autostima non significa arroganza o prepotenza, ma l'assoluto rispetto di sé e degli altri.


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