Innovazione sostenibile


Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung


Quali sono le caratteristiche e i cambiamenti dell’ambiente di mercato che possono favorire l’affermazione dell’innovazione sostenibile o eco-compatibile e innescare un nuovo modello di sviluppo nel nostro paese? In cosa si differenzia l’innovazione eco-compatibile da quella senza aggettivi?
Se guardiamo al processo di ideazione e sviluppo di un nuovo prodotto, processo o servizio, l’approccio “culturale” connesso alla metodologia della valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment - LCA) permette una visione più ampia e integrata, favorendo la generazione di un approccio maggiormente innovativo. Una visione più ampia nello spazio e nel tempo. Nello spazio perché l’ottimizzazione del processo richiede di prendere in considerazione tutta la filiera di produzione e commercializzazione del bene o del servizio; dalla supply chain alle facilities di smaltimento e riciclo passando per la produzione, la distribuzione ed il consumo (o l’utilizzo). Nel tempo perché in molti casi la vita utile di un prodotto può durare anche molti anni (pensiamo a un veicolo, un elettrodomestico, un’abitazione) e durante tutto questo periodo determina impatti ambientali che devono essere tenuti in considerazione, e la cui riduzione rappresenta una opportunità win–win per tutti gli stakeholder del processo. Se guardiamo al risultato finale del processo d’innovazione, l’approccio “tradizionale” determina solitamente la realizzazione di oggetti e tecnologie che rispondono alle esigenze della domanda con modalità che possono essere più economiche, confortevoli o gratificanti di quelli esistenti. Il percorso green, invece, offre soluzioni in grado di rispondere ai bisogni in maniera più soddisfacente utilizzando una quantità minore di risorse (materia ed energia) con conseguente minore impatto ambientale. La dematerializzazione è quindi una conseguenza essenziale dell’innovazione sostenibile. Sotto il profilo strategico, l’innovazione sostenibile sembra essere più competitiva e vincente. Come dimostrano alcune ricerche di mercato, l’introduzione dei valori ambientali nelle strategie aziendali, determina una maggiore propensione all’innovazione nei modelli di business che è proprio quel tipo di innovazione che determina i maggiori effetti positivi sulla competitività. Dai dati della ricerca del MIT Sloan e Boston Consulting Group, tesa ad aggiornare la conoscenza di quel che stanno facendo le imprese in termini di innovazione e sostenibilità e dove gli intervistati sono i protagonisti della Business Community globale, emerge che le aziende che riescono ad ottenere i migliori risultati economici dai loro progetti di sostenibilità sono quelle che innovano il proprio modello di business. Un cambiamento radicale della value proposition e del modello operativo che arriva proprio grazie alla decisione di porre la ricerca della sostenibilità al centro dei propri orientamenti strategici.
Allo stesso risultato è pervenuta la General Electric, che da alcuni anni realizza la ricerca “Barometro dell’Innovazionerivolgendosi a un campione di aziende operanti nei principali mercati internazionali. Da tale ricerca emerge che le sfide poste dalla globalizzazione dei mercati e dalle crisi economiche ed ambientali rendono necessario un approccio ancora più di “sistema” al tema dell’innovazione: non sono più sufficienti i tradizionali percorsi dell’innovazione di prodotto o di processo, ma è necessario puntare all’innovazione del modello di business che permette di conquistare un vantaggio competitivo più solido e di lungo periodo.
Non è quindi la sostenibilità ad avere bisogno dell’innovazione per perseguire i suoi fini ma in realtà la relazione causa effetto è rovesciata; è l’innovazione ad avere oggi bisogno della sostenibilità, dei suoi valori e delle sue metodologie, per ottenere gli effetti più significativi sullo sviluppo economico e sociale. L’osservazione delle case histories internazionali ci mostra come l’innovazione sostenibile richiede un ambiente di mercato che muta sistemi di valutazione ed approcci operativi. Viene inoltre sostenuta dalla domanda di nuovi beni e servizi provenienti da soggetti non consueti come le Smart Cities e dall’affermazione di nuove tecnologie che non si pongono dichiaratamente obiettivi green ma contribuiscono a perseguirli. Vediamo come.
Nuove metodologie ed approcci per l’innovazione sostenibile
Le misurazioni delle performance ambientali
Come noto, solo misurando un fenomeno si riesce a intervenire per migliorarlo. La metodologia di gran lunga più conosciuta ed affermata per quantificare l’impatto ambientale di un prodotto, processo o modello di business è, come detto in apertura, il Life Cycle Assessment, che permette di misurare gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto. Un altro approccio alla quantificazione è rappresentato dal TruCost, la cui metodologia e la base di dati accumulata permettono di esprimere gli impatti ambientali in valori monetari. Le economie e le diseconomie ambientali riescono quindi a entrare nei bilanci e nella pianificazione aziendali. Sia il Life Cycle Assessment con la sua applicazione operativa, la Dichiarazione Ambientale di Prodotto, sia i costi ambientali di TruCost, permettono di comparare alternative appartenenti allo stesso settore o anche a settori diversi che soddisfano le medesime esigenze. LCA e Costi ambientali indirizzano in prevalenza le scelte delle imprese, mentre quelle dei consumatori possono essere favorite da una maggiore e più corretta applicazione delle Ecolabel. Un recente studio della società di consulenza De Loitte fa il punto sulle strategie aziendali e le prospettive che riguardano le certificazioni ambientali e le Ecolabel. Il report cerca di spiegare perché crescono gli investimenti ed i piani operativi aziendali relativi a questi strumenti di comunicazione, nonostante la loro proliferazione (esistono 426 Ecolabels in 246 paesi e 25 settori industriali) determini confusione nella mente dei consumatori e quindi una minore efficacia. La ricerca è stata compiuta intervistando un campione ristretto ma fortemente qualitativo di manager di grandi aziende internazionali responsabili dei programmi di sostenibilità. Ne deriva un quadro complessivo dove la scelta delle aziende di dotarsi di Certificazioni ed Ecolabel è determinata da motivazioni che riguardano la commercializzazione verso altre imprese (business to business), dalla necessità di adeguarsi a normative pubbliche più restrittive, dalla volontà di accreditare maggiormente campagne di comunicazione concernenti vantaggi ambientali del prodotto e infine dalla ricerca di un nuovo posizionamento dello stesso brand. In prospettiva comunque le aziende concordano che la crescente consapevolezza dei consumatori determinerà la prevalenza di motivazioni B2C (Business to Consumer). Rilevatrice una recente casa history in cui si è trovata impigliata la Apple. L’azienda californiana aveva deciso di rinunciare alla certificazione EPEAT (Ecolabel per il settore dell’informatica, diffusa soprattutto negli Stati Uniti) che generava costi crescenti e non era estendibile ad alcuni nuovi prodotti, ma ha dovuto poi ritornare rapidamente e precipitosamente sui suoi passi dopo le contestazioni arrivate con forza dal mercato nordamericano.
L’integrazione della filiera e la collaborazione fra gli stakeholder
Poiché il massimo delle opportunità vengono colte ragionando in termini di ciclo di vita di prodotto, diventa essenziale favorire le collaborazioni all’interno delle filiere di fornitura, produzione e commercializzazione. Stanno quindi nascendo consorzi e forme di cooperazione con fornitori e magari concorrenti, aiutati dalle piattaforme digitali per la cooperazione e la condivisione di contenuti. In questi contesti la collaborazione diventa un valore superiore alla stessa tradizionale riservatezza dei vantaggi industriali. Gli esempi sono molti; uno ci arriva dalla filiera automobilistica. Honda, Nissan, Hyundai e Subaru sono gli ultimi produttori di automobili, in ordine di tempo, aggiuntisi al gruppo Suppliers Partnership for the Environment, un’organizzazione nata dalla collaborazione di General Motors, Ford e Chrysler con EPA (l’agenzia USA per la protezione ambientale) ed i loro fornitori per introdurre innovazioni in grado di ridurre l’impatto ambientale della filiera automobilistica senza rinunciare alla creazione di valore. In questo momento della partnership fanno parte oltre 40 aziende che operano insieme alle aziende automobilistiche nei settori della chimica, della tecnologia, della componentistica e del riciclaggio. Sono stati costituiti quattro gruppi di lavoro che si occupano di settori ed ambiti specifici con la partecipazione di tutte le aziende della filiera ed il sostegno di EPA che propone le linee guida. Il primo gruppo riguarda l’energia e l’acqua e si prefigge di introdurre processi e tecnologie più efficienti. Il secondo gruppo riguarda l’efficienza nell’uso dei materiali e si propone di ridurre gli sprechi ed i rifiuti, facilitare il riciclaggio ed il riuso, ottimizzare il packaging. Altri due gruppi si occupano dei temi riguardanti la chimica e la tecnologia e del networking. Un altro esempio ci viene da Nike. Il famoso brand dell’abbigliamento sportivo ha deciso di costituire una società di venture capital il cui nome rimanda all’obiettivo perseguito dal “Sustainable Business and Innovation Lab”. Si tratta quindi di aiutare le startup che intendono operare nel campo dell’innovazione tecnologica applicata alla sostenibilità. Da tempo Nike ha imboccato la strada della green innovation per accrescere la sua competitività, con risultati incoraggianti. Ad esempio, Nike Free, una scarpa da corsa superleggera, ha contribuito in maniera significativa ai positivi risultati di vendita. Ciononostante la crisi economica si fa sentire anche per la multinazionale americana, riducendo le sue capacità di investimento sulle nuove tecnologie. Per questo Nike ricorre al mercato dell’innovazione cercando di favorire la nascita e la successiva collaborazione con startup più agili in grado di sviluppare innovazione con investimenti inferiori. Infine Unilever che ha recentemente annunciato l’apertura di una piattaforma on-line destinata a tutti coloro che sono disponibili ad aiutare l’azienda per trovare le soluzioni tecnologiche necessarie a raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi. Primo fra tutti quello di ridurre il suo impatto ambientale pur in presenza di una dimensione raddoppiata dei volumi di vendita. Processo di innovazione aperto all’esterno e attenzione alla sostenibilità fanno ormai parte integrante dei valori strategici di Unilever, che è stabilmente presente ai primi posti di tutte le graduatorie globali riguardanti le green company. Quello che ha particolarmente colpito però l’attenzione del mercato è la scelta di declinare in maniera trasparente quali sono le sue necessità, quali sono cioè le dodici aree tecnologiche in cui ha bisogno di collaborazione per raggiungere i suoi futuri obiettivi. Per i manager della Unilever i vantaggi della collaborazione aperta sono evidentemente maggiori dei rischi di svelare le carte ai concorrenti. Nelle dodici aree troviamo ad esempio temi come il miglioramento del packaging, sistemi per la sanitizzazione dell’acqua, la conservazione dei cibi e cosi via.
L’approccio di lungo periodo
Come abbiamo detto, l’innovazione sostenibile richiede la capacità di guardare non solo alla vendita di un prodotto o di un servizio ma anche al suo impiego, alle funzioni e ai costi monetari e ambientali generati lungo il suo intero ciclo di vita. In alcuni casi, come nell’edilizia, si parla di decenni, in altri comunque di anni. Questo approccio porta frequentemente nei processi di innovazione sostenibile a passare dalla progettazione di un prodotto a quella di un prodotto/servizio, e/o a privilegiare l’idea dell’accesso a quella del possesso. Nel primo caso esempi già concretamente attuati sono ad esempio quelli in cui il produttore anche di un bene banale come i rivestimenti per superfici (le moquette) non vende più il solo prodotto ma fornisce la gestione del rivestimento in un contratto pluriennale che prevede attività di manutenzione e anche di sostituzione. In questo modo il fornitore è motivato a contenere al minimo tutti i costi del processo e quindi anche lo stesso consumo di materiale e quindi di materie prime. Altri esempi sono quelli che riguardano beni come i sistemi di riscaldamento oppure i consumabili delle stampanti. Stessa valutazione, quella dei costi complessivi valutati nel lungo periodo, può motivare la scelta e la relativa offerta dell’accesso ai servizi erogati ad un bene di consumo durevole piuttosto che al suo possesso. Si va dall’automobile alle attrezzature per il giardinaggio o, come abbiamo già visto, per la stampa.
L’informazione ai consumatori e la trasparenza
Quanto maggiore sarà la domanda da parte dei cittadini, della pubblica amministrazione e delle imprese di soluzioni innovative e sostenibili, tanto più le stesse imprese saranno sollecitate ad investire in nuovi sistemi di offerta in grado di rispondere a questa domanda di mercato. Diventa quindi di fondamentale importanza il tema della consapevolezza e della informazione del consumatore, chiamato a scegliere fra soluzioni diverse (spesso confuse) utilizzando nuovi criteri e a modificare i propri comportamenti. Non va dimenticato che, nel caso dei beni di largo consumo, il 60% dell’impatto ambientale viene determinato dalle modalità di uso di tali beni da parte dei consumatori. Tuttavia le ricerche dimostrano come non sia conveniente puntare sui grandi valori etici, che motivano una quota ridotta della pubblica opinione, ma di puntare su vantaggi concreti e valutabili dal singolo cittadino che coinvolgono esigenze concrete e vicine alla vita del consumatore come la salute, il comfort, la vivibilità dell’ambiente ed ovviamente la stessa sostenibilità economica. La comunicazione e il coinvolgimento del consumatore-cittadino presenta aspetti di contenuto ma anche di modalità. È generalmente riconosciuto come la trasparenza sia un elemento decisivo per l’affermazione della green economy e quindi anche per l’innovazione sostenibile. In effetti, una comunicazione ambientale confusa, eccessiva e spesso fuorviante, determina un atteggiamento di forte perplessità da parte dei consumatori che percepiscono una “non verità “ di fondo in quello che viene promesso. Le ricerche internazionali dimostrano un gap evidente fra le intenzioni dei consumatori ad impegnarsi a favore della sostenibilità rispetto alle loro decisioni di acquisto ed ai comportamenti concreti. È opportuno quindi favorire la formazione di regole di autodisciplina ma anche di indirizzo da parte delle responsabilità pubbliche (vedi l’esperienza delle Green Guides emesse dalla Federal Trade Commission americana e anche le linee guida emesse dal Department for Environment Food and Rural Affairs inglese che motivino e spingano le aziende alla trasparenza informativa e alla correttezza delle informazioni. Nel frattempo le imprese stanno incominciando a riflettere su come deve cambiare il loro marketing per riuscire a vendere ai propri clienti non solo singoli prodotti ma anche sollecitare un cambiamento di comportamento.
Nuove tecnologie e nuove domande per l’innovazione sostenibile
Le applicazioni Machine to Machine
La generale diffusione delle tecnologie Machine to Machine (M2M) potrebbe determinare la riduzione di 9,1 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020 pari al 18,6% delle emissioni globali del 2011. Nel frattempo si stima dal punto di vista economico una crescita media annua degli investimenti in questo settore pari al 23%, che permetterà loro di raggiungere il valore di quasi mille miliardi di dollari nel 2020. Lo afferma un report reso pubblico recentemente da ATandT e Carbon War Room. Ma cosa si intende per applicazione M2M? Si tratta di un processo che genera dati, li trasmette, li analizza e determina un feedback operativo in modo automatico, sostanzialmente senza l’intervento dell’uomo. Ma ciò che più conta è che l’impiego di queste tecnologie viene considerata fra quelle a maggior potenziale nella riduzione delle emissioni di gas serra, comunque paragonabile alla affermazione delle energie rinnovabili. Le applicazioni M2M ci permetteranno di produrre di più con meno, riducendo i consumi di energia e di risorse naturali e risparmiando tempo. Questi effetti determineranno anche vantaggi economici che si andranno a sommare a quelli determinati dallo sviluppo di un nuovo settore di business. Secondo il Report di ATandT i settori economici in cui gli effetti dell’applicazione Machine to Machine saranno più significativi sono l’energia, i trasporti, le costruzioni e l’agricoltura. Per quanto riguarda l’energia, l’impiego diffuso degli Smart meter (contatori intelligenti) permetterà l’affermazione delle reti intelligenti in grado di rendere più efficiente la produzione e la distribuzione di energia e di facilitare l’affermazione delle rinnovabili. Nei trasporti i nuovi sensori guideranno ad un utilizzo più efficiente delle reti disponibili mentre nel settore immobiliare permetteranno soprattutto di ridurre il consumo di energia per la climatizzazione. In agricoltura infine renderanno possibile la riduzione dell’utilizzo di fertilizzanti, acqua e delle altre risorse a parità di risultato produttivo.
I “makers” o l’Industrial Internet
Per Industrial Internet si intende il modo di progettare e produrre oggetti che promette di apportare anche al mondo reale lo stesso fantastico effetto di aumento della produttività e della capacità innovativa che ha radicalmente cambiato il mondo digitale. L’applicazione al processo di ricerca, sviluppo e fabbricazione nel settore manifatturiero dei modelli operativi utilizzati per i software ”open source” che prosperano su Internet permetterebbe infatti di ridurre considerevolmente i costi di sviluppo e di produzione su piccola e media scala, per non parlare della diffusione di soluzioni innovative. Queste ultime sarebbero il frutto della collaborazione di tutti coloro che sono in grado di intervenire su applicazioni aperte come fossero pacchetti software, mentre invece si tratta di macchinari di ogni tipo ed applicazione. Per i più interessati a questo fenomeno suggeriamo il libro Makers di Chris Anderson. Industrial Internet però promette di avere anche un effetto molto positivo sulla sostenibilità del processo che va dalla produzione al funzionamento e al riutilizzo degli stessi oggetti reali. La progettazione e la produzione su piccola scala permette di evitare costi e sprechi di risorse che rischiano di non venire utilizzate, mentre avvicina la produzione al mercato di consumo riducendo i costi e le emissioni dei trasporti internazionali. Infine, la possibilità di mettere in rete il funzionamento delle singole apparecchiature permette di controllare in tempo reale ogni aspetto del loro funzionamento e di realizzare quindi un efficace monitoraggio e contenimento dei costi di energia e delle immissioni inquinanti. Ma è certo che anche la sostenibilità sociale se ne possa avvantaggiare perché ritornerebbe ad essere conveniente la produzione su piccola e media scala nei paesi che in questi decenni hanno perso occupazione nel settore manifatturiero.
Smart cities e innovazione sociale
Le città stanno acquisendo un ruolo di straordinaria rilevanza nella sfida per garantire uno sviluppo sostenibile alla nostra società. Un ruolo giocato sul campo dell’innovazione tecnologica e sociale e su quello della competitività per attrarre risorse e talenti. È indubbio che negli ultimi anni si sono realizzati una serie di fenomeni che hanno esaltato la loro rilevanza. La concentrazione della popolazione nelle città a livello globale le impegna in progetti per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici. Inoltre lo sviluppo economico e la competitività richiedono sempre di più apporti di conoscenza e cultura e quindi decisivo è il ruolo del capitale umano. Alla competizione fra Stati si affianca quindi quella fra città e territori per attrarre capitale umano qualificato, che a sua volta genera domanda per nuovi servizi tecnologicamente e socialmente evoluti; specie se questi talenti sono giovani. La domanda per soluzioni innovative e sostenibili che arriva dalle Smart Cities sta determinando processi di integrazione fra macro settori economici con ricadute di business molto rilevanti. Parliamo di quattro settori come l’energia, l’immobiliare, l’automotive e, come potrebbe mancare, l’information tecnology. Basta pensare a reti intelligenti in grado di interconnettere fra loro le utilities energetiche con i consumi in tempo reale delle apparecchiature domestiche e con gli stessi veicoli elettrici. Il tutto per equilibrare la produzione ed il consumo di energia e massimizzare l’efficienza energetica. Ma le Città Intelligenti promuovono anche l’innovazione sociale. Esigenze di mobilità, salute, formazione, sicurezza e qualità della vita si concretizzano in domande di prodotti e servizi innovativi che devono essere necessariamente sostenibili (nella completa accezione del termine). Anche in questo caso l’innovazione viene favorita dalla condivisione delle informazioni (il grande tema degli open data) e da modelli di partecipazione alla individuazione dei problemi e delle loro soluzioni, che utilizzano piattaforme digitali sociali. L’attenzione al ruolo delle Città Intelligenti dove tecnologia, istanze sociali, esigenze di business e relazione con l’ambiente naturale dovrebbero trovare la loro sintesi, può rappresentare la giusta chiusura di questa analisi del rapporto fra innovazione e sostenibilità. Gli esempi utilizzati sono stati sempre internazionali e viene da chiedersi se il nostro paese, l’Italia, possa trovare un suo spazio in questo processo di cambiamento. Nonostante tutto, la risposta è positiva. Per l’innata propensione all’innovazione e alla qualità (che è sempre sostenibile) del sistema manifatturiero, per i valori delle aziende familiari abituate a ragionare sul lungo periodo, per i distretti industriali dove la cooperazione e l’integrazione sono di casa, per la tradizionale cultura artigiana che ritrova oggi tutte le sue competenze nella rivoluzione dei Makers, per la storia e lo stile di vita di tante nostre città medie e piccole. Un’opportunità che non possiamo perdere, ma che non possiamo certo considerare acquisita.
Mario Iesari
Tratto da ENEA.it

10 febbraio 2014

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