Elezioni europee, maggio 2014,

Trionfo Renzi, ridimensionamento Grillo, delusione Berlusconi. Le elezioni Europee e Comunali si sono trasformate in un vero plebiscito per il Partito democratico, il cui consenso è andato al di là di ogni più rosea aspettativa. Lo dicono i dati che parlano di una vittoria schiacciante per i democratici: il Pd va oltre il 40% dei consensi (40,81). Un plebiscito, sia per il partito che per il suo leader, con il voto che ha rappresentato un test sull’operato dell’esecutivo. Lo stesso Renzi, del resto non ha nascosto la sua gioia: “Un risultato storico. Sono commosso e determinato adesso al lavoro per un’Italia che cambi l’Europa. Grazie #unoxuno #senza paura” ha scritto su Twitter, rimandando alle prossime ore la conferenza stampa per commentare il trionfo. Perché di questo si tratta. La conferma arriva dai distacchi. Il Movimento 5 stelle, da più parti indicato come vero spauracchio per il Pd, si è fermato poco sopra il 21% (21,15%), il che significa quasi 20 punti di distacco. Altro che testa a testa, altro che #vinciamo noi: i 5 Stelle sono stati doppiati, il che pone seri dubbi sulla bontà della strategia elettorale di Grillo e company. E se il M5s non ride, Forza Italia è costretta a piangere. L’impatto di Silvio Berlusconi sul voto, infatti, è stato pressoché nullo: Forza Italia è ferma al 16,8%, in netto calo rispetto alle scorse politiche. Netto ridimensionamento degli azzurri e fine definitiva del berlusconismo?
Oltre il Pd e Renzi, però, c’è anche un altro partito che può vantarsi di aver vinto la propria sfida: la Lega Nord di Matteo Salvini, infatti, con l’avvento del nuovo segretario federale sembra aver ritrovato nuova linfa nelle urne, che hanno premiato il Carroccio con il 6,15%, quindi ben al di sopra della soglia di sbarramento. In via Bellerio, quindi, sembrano assai lontani i tempi degli scandali che hanno coinvolto Umberto Bossi, la sua famiglia e tutto il vertice del partito. Poco sopra lo sbarramento, invece, sia la Lista Tsipras sia la mini coalizione formata da Ncd e Udc. La formazione che fa riferimento al leader della sinistra greca, infatti, è al 4,03, ovvero a un passo dallo spartiacque che definisce l’entrata nel Parlamento europeo. Un risultato interlocutorio, quindi, che ha rischiato seriamente di diventare beffa. Discorso simile, ma livellato verso l’alto, per Alfano e Casini, fermi al 4,38% (con molti voti racimolati al Sud e nelle isole) che mette entrambi in una posizione di rischio. Risultato onorevole, invece, per Fratelli d’Italia, a mezzo punto da quel 4% che avrebbe garantito l’ingresso nel parlamento Ue (3,66).
I verdi prendono lo 0,9%, Scelta Europea (0,72), Italia dei Valori (0,66), Io cambio (0,18).
In termini di coalizioni, inoltre, impossibile non notare il tracollo del centrodestra: il tonfo di Forza Italia e il modesto risultato di Alfano, infatti, mettono chi ha governato il Paese per anni in una posizione di netta subalternità non solo nei confronti del Pd, ma anche nei confronti del Movimento 5 stelle. In tal senso, onesta la disamina di Maurizio Gasparri: “C’è necessità di guardare a una nuova leadership”. Tutte considerazioni secondarie, tuttavia, se viste dalla prospettiva di Largo del Nazareno, dove l’entusiasmo è direttamente proporzionale al distacco su quelli che dovevano essere i competitors e si sono invece rivelati degli sparring partner. Basti un dato. Mai nella storia del centrosinistra italiano un partito si era spinto oltre la soglia del 40%, neanche ai tempi del mai così tanto evocato Enrico Berlinguer. Nel 1976, ad esempio, il Partito comunista italiano si fermò al 34,4%, record imbattuto fino ad oggi. Nel 1984, invece, dopo la morte del leader sardo, il Pci non si spinse oltre il 33%. In tempi più recenti, era rimasto negli annali il risultato conseguito da Veltroni nel 2008 (33%) e il 38% dell’Ulivo (più Rifondazione) nel 1996. Altro dato: i democratici sono stati votati da oltre 11 milioni di persone. Tradotto: un milione in meno di Veltroni nel 2008 (ma erano elezioni politiche) e poco meno di quanto preso nel 1984 dopo la morte di Berlinguer. Alla luce di questi numeri, quindi, quella di Matteo Renzi è una vittoria in stile democristiano: solo la Dc, infatti, riuscì a superare il 40%. Erano gli anni Cinquanta e la Balena Bianca non era certo un partito di sinistra (come l’attuale Pd, diranno i maligni).
Da Nord a Sud senza soluzione di continuità: quello del Pd non è solo un successo numerico, ma anche geografico. I democratici, infatti, sono di gran lunga il primo partito in tutte le circoscrizioni della penisola. Cristallizzate anche gli altri due gradini del podio: non c’è parte d’Italia dove il M5s non sia secondo partito e Forza Italia terzo. Nel particolare, nella circoscrizione nord-occidentale, il dato del Pd è in linea con il dato nazionale (40,6%), mentre M5s e Fi (rispettivamente al 18 e 16%) pagano dazio nel terreno della Lega, che guadagna l’11,7% dei consensi. Carroccio molto bene anche nella circoscrizione nord-orientale con il 9,9%. Qui il Pd raccoglie il 43%, con il M5s al 18,8% e Forza Italia addirittura l 12,96%. Al centro, invece, è solo Pd: i democratici riescono addirittura a raggiungere il 46,6%, con M5s al 21% e Fi al 14%. Al Sud pesa l’astensionismo: Pd al 35%, M5s al 23,9% e Fi al 22%. Simile il risultato dell’Italia insulare, con i democratici al 35%, M5s al 27% e Forza Italia al 19%. Altro dato significativo: in nessuna provincia italiana il Pd è stato scalzato dal M5s.
Il segretario della Lega è il candidato che ha ottenuto più preferenze in assoluto: 331.381, anche se divise in due circoscrizioni (222.720 mila nella circoscrizione Nord Ovest e 108.661 nel Nord Est). Raffaele Fitto (Forza Italia, circoscrizione meridionale) al secondo posto con 223mila preferenze. A seguire Simona Bonafè (Pd, 214mila preferenze al Centro) e Alessandra Moretti (Pd, 205mila preferenze nell’Italia Nord orientale). Il dato significativo, però, è proprio quello relativo all’exploit di Raffaele Fitto. Per molti, infatti, l’ex governatore pugliese sarebbe pronto a lanciare un’opa sul partito ormai orfano di Silvio Berlusconi. La nomina di Giovanni Toti a consigliere politico del Cavaliere, del resto, non era mai andato giù al politico pugliese. Che ora, dopo la debacle alle urne, potrebbe ritornare a batter cassa. Sulla sua testa, tuttavia, pesa una condanna in primo grado a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per i reati di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta per tangenti nella sanità pugliese.
Unico dato negativo per il premier è quello relativo all’affluenza: sono andati a votare il 57,22% degli aventi diritto. Pochi, specie se paragonati al 2009, quando votarono il 66,5% degli italiani. Il calo è quindi pari a circa 8 punti percentuali, ma c’è da dire che cinque anni fa si votava nell’arco di 48 ore.
Giova notare che gli elettori hanno premiato i due segretari di partito più giovani: Renzi e Salvini. Il Paese ha bisogno di facce nuove, di persone che abbiano il coraggio di gettare il cuore oltre l'ostacolo; non ne possono più delle mummie della partitocrazia.
27 maggio 2014

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