L'estinzione dei dinosauri di stato. Gli anni ottanta: il pentapartito


Pochi uomini hanno la dote di onorare senza invidia l'amico che gode di buona fortuna
Eschilo


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il pentapartito
La DC non può più scegliere tra Governi di centro e di centro-sinistra. Si apre quindi una nuova era della collaborazione tra i democristiani e i partiti che hanno partecipato alle varie esperienze di Governo. Il centro-sinistra è messo in soffitta e nasce il “pentapartito”, che rappresenta una svolta a destra e la chiusura definitiva con il Pci. Craxi ottiene che si riconosca una “uguale dignità” tra la DC e i quattro alleati, formula che si traduce praticamente nel limite massimo del 50% di ministri DC e in una più “equa” spartizione dei posti di sottogoverno. Nell’agosto 1983 Craxi ottiene l’investitura a capo del primo Governo a guida socialista (4 agosto 1983-1° agosto 1986). Il 5 agosto 1983, un giorno dopo aver formato il suo primo Esecutivo, istituisce il Consiglio di gabinetto, dando seguito a un impegno assunto con gli alleati del pentapartito nel corso delle consultazioni. Il Consiglio in seguito avrà un ruolo centrale e agirà come sede di concertazione delle principali decisioni politiche del successivo triennio, contribuendo alla fama di “Governo forte” che assumerà quell’Esecutivo.
Inizio della decadenza del sindacato
Gli anni Ottanta sono caratterizzati dal tentativo di Bettino Craxi di porre fine alle frustrazioni delle sinistre e di proporre lo Psi per la leadership di tutta la sinistra. Craxi cavalca l’ideologia dell’efficientismo presentandosi come elemento di aggregazione di forze nuove e progressiste. Si rende conto che per poter giocare un ruolo significativo ha bisogno della fiducia degli strati conservatori del Paese, senza i quali non è possibile governare. Riesce a ottenerne il consenso dopo aver mostrato una capacità di resistenza davanti alle richieste dei sindacalisti comunisti, che organizzano contro l’accordo di San Valentino del 1984 violente manifestazioni di piazza e un referendum. La campagna referendaria è accesa: da una parte il pentapartito, la Cisl, la Uil e i socialisti della Cgil, dall’altra il Pci, Democrazia Proletaria, l’Msi, il Partito Sardo d’Azione e la Cgil. Le ragioni del tornaconto economico suggeriscono di votare per l’abrogazione ma gli italiani, in quel momento, danno fiducia alla politica del risanamento economico e, il 9 e 10 giugno 1985, con il 54,3%, dicono no all’abrogazione dell’accordo che prevedeva di tagliare di quattro punti la contingenza, decretando il trionfo di Craxi e la pesante sconfitta del Pci e, in particolare, della Cgil.
Quel referendum, fortemente voluto dalla Cgil, segna lo snodo che porterà alla rottura della federazione tra Cgil, Cisl, Uil, detta la Triplice, e il sindacato a ridursi alla difesa di lavoratori superprotetti, come quelli della PA, e dei pensionati. Inizia l’agonia dei dinosauri sindacali che fino ad allora avevano condizionato in modo improprio le politiche economiche dei vari Governi. Nel 2011 anche la Fiom, lo zoccolo leninista della Cgil, subirà dure sconfitte nei referendum da essa stessa promossi contro gli accordi tra Cisl, Uil e Fiat. Oggi qualcuno potrebbe obiettare che il sindacato è ancora vivo e vegerto, ma chi, come me, ha conosciuto la forza del sindacato degli anni settanta, ottanta, non può non convenire che quel sindacato e quei suindacalisti non esistono più.
Il pentapartito si rafforza
Craxi aveva esordito con un altro successo di prestigio, il nuovo Concordato tra l’Italia e il Vaticano, firmato il 18 febbraio 1984. Nel documento il cattolicesimo perde la posizione di privilegio che ne faceva la religione ufficiale dello Stato: tutte le religioni sono messe sullo stesso piano. Con la vittoria del referendum il successo è completo. Al XVI congresso della DC De Mita vede dissolversi nella melassa democristiana ogni speranza di rinnovamento e di superamento del potere correntizio: «De Mita deve combattere contro una specie di mostro mitologico, la DC delle correnti, le cui innumerevoli teste eruttanti fiamme si agitano attorno a lui» (De Luca, 1984).
Le elezioni europee sono fissate per il 17 giugno 1984. Durante un comizio, Berlinguer è colpito da un’emorragia cerebrale e l’11 giugno muore. I risultati delle elezioni danno per la prima volta nella storia della Repubblica il leggero sorpasso del Pci (33,3%) nei confronti della DC (33%). La morte di Berlinguer, con il suo carico di emozioni, accentuato dal fatto che l’Italia seguì in televisione, per quattro giorni, il dramma dell’agonia mediata dalla presenza all’ospedale di Padova del Presidente Pertini, diede sicuramente una mano a ottenere quel sorpasso che i comunisti agognavano da sempre. La Repubblica riporta il commento di De Mita: «Noi e il Pci restiamo i due grandi poli e gli alleati ci devono attenzione e rispetto». Il Pci, d’altra parte, non può approfittare del successo, per quell’anomalia che Giorgio Galli ha definito «bipartitismo imperfetto», che non legittima il Pci a governare, nemmeno se diventa il primo partito italiano (Galli, 2001).
La sera del 23 dicembre 1984, sul Rapido 904 Napoli-Milano, mentre il convoglio percorre una galleria dell’Appennino tosco-emiliano, esplode un ordigno che devasta due vetture e lascia tra i rottami 15 morti e 180 feriti. Un’orrenda replica dell’attentato all’Italicus del 3 agosto 1974. Il 9 gennaio 1986 il pubblico ministero Pier Luigi Vigna imputa formalmente la strage ai mafiosi Pippo Calò e Stefano Cercola, strage che sarebbe stata compiuta «[…] con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata, che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura, per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato».
Il 12 maggio 1985 si tengono le elezioni regionali. La coalizione di Governo si rafforza, mentre il Pci, al 30,2%, penalizzato dalla politica consociativa, ha imboccato la curva discendente della sua parabola. Con Craxi l’Italia avrà un Governo di lunga durata ma non stabile. Il Parlamento lo mette spesso in minoranza per punirlo della sua arroganza e del suo decisionismo e De Mita lo tormenta chiedendogli un’alternanza.
Il 24 giugno 1985 Cossiga è eletto Presidente della Repubblica con i voti di DC, Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli e sinistra indipendente. Il nome di Cossiga viene spesso associato ai misteri del nostro Paese. Nelle sue memorie, l’uomo politico sardo afferma: «Il problema della mia conoscenza dei misteri d’Italia, oltre che avere origine nella storiografia dietrologica che caratterizza ancora gran parte della pubblicistica italiana e incombe sulla politica concreta, è collegato a un aspetto preciso della mia attività, per la parte relativa alla conoscenza, negli anni, degli apparati segreti dello Stato».
Aiutati anche dalla ripresa economica mondiale, i Governi pentapartito retti da Craxi – il Craxi due dura dal 1° agosto 1986 al 14 aprile 1987 – mettono a segno alcuni risultati importanti: il raffreddamento della scala mobile, grazie ai già citati provvedimenti dell’accordo di San Valentino, l’inflazione al 4,6%, la crescita del prodotto interno lordo, la forte capitalizzazione della Borsa di Milano. A fronte dei successi, vanno attribuiti a Craxi una serie di risultati negativi che lasceranno una traccia profonda nel Paese: la crescita vertiginosa del debito pubblico, che arriverà nel 1989 a superare il prodotto interno lordo, il legame con personaggi inqualificabili, la trasformazione del Psi in un’impresa a struttura padronale, il rampantismo, l’avallo dell’oligopolio televisivo privato di Silvio Berlusconi, l’ostentazione di ricchezza, che trova l’apoteosi nei faraonici e volgari congressi del partito, il disprezzo per la “questione morale”. Giova notare che il rapporto deficit/Pil sale vertiginosamente in quegli anni, nonostante la forte crescita del prodotto interno lordo tra il 1984 e il 1989. I Governi Craxi pongono pertanto le basi per la grave crisi finanziaria che colpirà l’Italia tra il 2008 e il 2014.
La riforma sanitaria, varata nel 1979, diventa un’immensa greppia per lottizzazioni e ruberie. La lottizzazione nelle aziende di Stato arriva fino al livello della dirigenza tecnica; in compenso, ai manager vengono elargiti stipendi e benefit degni delle grandi multinazionali. Le leggi finanziarie vedono partiti di Governo e d’opposizione all’arrembaggio delle casse dello Stato per favorire questa o quella categoria. La Rai è un distillato di tutto il male che esiste nel pubblico. Lo Stato sociale – disordinato, assistenziale e sprecone – divora risorse, restituendo ai cittadini servizi insufficienti e inefficienti. Le nicchie del privilegio e del parassitismo sono affollate.
Altri fallimenti della politica craxiana riguardano la politica estera e il tentativo di dare credibilità al Sistema Paese. Andreotti, infatti, al ministero degli Esteri prosegue nel solco dei predecessori filo-arabi e anti-israeliani. Nella guerra tra Inghilterra e Argentina per il possesso delle Falkland, l’Italia si dissocia dalla Cee che propone sanzioni economiche contro l’Argentina. In occasione del sequestro della nave da crociera “Achille Lauro” (7 ottobre 1985) e dell’uccisione del passeggero Leon Klinghoffer, un invalido americano ebreo, nella base aerea di Sigonella non viene concessa ai reparti statunitensi della Delta Force l’autorizzazione all’arresto dei terroristi. La cooperazione per lo sviluppo dei Paesi del Terzo mondo, sulla quale da tempo si indirizzano gli sguardi avidi dei partiti, si mostra una mucca dalla quale possono mungere le aziende italiane e i partiti stessi.
Nel frattempo, se l’establishment politico riesce a fermare le indagini dei magistrati nel Nord del Paese, in Sicilia le indagini sulla mafia vanno avanti perché è oramai diventato impossibile ignorare una serie pianificata di assassinii di giudici e procuratori. Le varie Commissioni antimafia hanno raccolto, in vent’anni di attività, un’enorme quantità di materiale accusatorio; inoltre, dopo il 1984, iniziano ad aggiungersi anche le rivelazioni dei pentiti di mafia. Il risultato è un maxiprocesso di mafia che si protrae dal 1986 al 1987. Oltre 300 imputati sono condannati, ma prosciolti in Cassazione da un giudice siciliano (Mack Smith, 1997). Il terrorismo rosso è in fase calante, anche se, tra il 1986 e il 1988, vengono uccisi Lando Conti, ex sindaco di Firenze, il generale Licio Giorgieri, il senatore DC Roberto Ruffilli e due poliziotti. Lo storico Mack Smith dirà di Craxi: «Il suo vantato decisionismo si rivelò più uno stile di comportamento che un’effettiva capacità di governo. […] Non furono pochi a sperare che un presidente del Consiglio socialista avrebbe favorito una maggiore rettitudine in politica. Ma in pratica la logica dei governi di coalizione convinse questi novizi del potere a esigere una quota di posti di sottogoverno sempre più alta e una messe di tangenti più ricca rispetto ai metodi abituali degli altri partiti. Quando alcuni magistrati di Milano e di Trento cominciarono a indagare sul coinvolgimento del Psi in fondi neri gestiti dalle banche e dai massoni di Gelli, Craxi riuscì a far trasferire le inchieste da Milano a Roma, dov’era possibile far valere l’influenza politica. Il risultato fu che tutte le inchieste furono bloccate» (Mack Smith, 1997).
Sulla cosiddetta stabilità dei Governi Craxi osserva Massimo Riva: «Non si può negare che negli ultimi tre anni, insediato l’onorevole Craxi a Palazzo Chigi, abbiamo conosciuto il più lungo Governo della storia della Repubblica, ma è altrettanto innegabile che non abbiamo mai avuto un Governo stabile. Il record della durata è stato caratterizzato da un altro record, più vistoso di quello della durata: il record di ben 163 sconfitte del gabinetto in Parlamento. […] è un record mondiale perché non c’è al mondo un Paese nel quale il Parlamento abbia tante volte denegato il consenso ad uno stesso Governo». Craxi era inferocito da questa tortura ma, nel segreto del voto, tutti coloro che non ne sopportavano l’arroganza affilavano le armi e vibravano feroci colpi a tradimento. Il declino di Craxi, d’altra parte, è già scritto nella sua ascesa, egli viene risucchiato inesorabilmente dalle sabbie mobili del sistema di potere democristiano con il quale finisce per condividere la vocazione spartitoria e partitocratica.
Al XVII congresso della DC i baroni delle varie correnti (del Golfo, demitiani, dorotei, forlaniani, fanfaniani, andreottiani e area Zac) riconfermano De Mita con l’80% dei voti, lasciando all’opposizione solo gli esponenti di Forze Nuove; nel frattempo si affilano le armi per la resa dei conti. Gli ultimi mesi del secondo gabinetto Craxi sono avvelenati dalle polemiche tra DC e Psi, poiché i democristiani pretendono un’alternanza con i socialisti nella guida del Governo. Nel marzo 1987 Craxi, dopo una serie di imboscate parlamentari, è costretto a dimettersi. Cossiga conferisce l’incarico prima ad Andreotti, poi a Oscar Luigi Scalfaro, ma entrambi si defilano. Viene quindi incaricato il presidente del Senato Fanfani che costituisce il suo sesto Governo, un monocolore “elettorale” che conduce gli italiani di nuovo alle urne prima del tempo (14 aprile-29 luglio 1987). La conclusione anticipata della nona legislatura – la quarta consecutiva dal 1972 – è molto indicativa dello stato di prostrazione dei partiti.
Alle elezioni del 14 giugno 1987 la DC risale al 34,3%, grazie a una ripresa al Sud che compensa le perdite del Nord, il Psi ottiene un buon 14,3% e il Pci, in crisi di identità, scende al 26,6%. Sommando i voti di Pci, Psi, DP e Psdi, si arriva a un magro 45,6%, che non consente la costituzione di un Governo delle sinistre. Vengono eletti per la prima volta alcuni Verdi – 13 deputati e un senatore – e due esponenti della Lega Lombarda, un deputato e un senatore, un certo Umberto Bossi, il cui motto è «La Lombardia ai lumbard», al quale i politologi pronosticano magre figure tra i marpioni incalliti della politica. I soggetti politici nuovi (Leghe, Verdi, antiproibizionisti, Pensionati ecc.) giungono al 14%, indice di una tendenza a un’ulteriore frammentazione del sistema politico.
Le elezioni italiane hanno risonanza mondiale grazie al funambolico Pannella, che riesce a portare alla Camera la pornostar Ilona Staller, in arte Cicciolina. Inclusa nelle liste radicali come gesto provocatorio, la sua presenza suscita clamore, ma viene ben presto dimenticata. Il ruolo giocato dai radicali nella vita politica italiana – fatto di provocazioni, sacrifici personali, rottura delle “incrostazioni” di moralismo e clericalismo del Paese, autodenunce, garantismo volto a equilibrare i poteri di accusa e difesa – rappresenta un elemento di rinnovamento irrinunciabile per la crescita del Paese. Purtroppo la loro azione è spesso viziata dall’eccessivo protagonismo, dal vittimismo non sempre giustificato, da contraddittorietà, dall’insulto all’avversario politico.
Dopo le elezioni, Cossiga deve superare i veti incrociati di DC e Psi nei confronti, rispettivamente di Craxi e De Mita. Craxi è favorevole alla ricomposizione dell’alleanza dei cinque partiti, a patto che non si chiami pentapartito, del cui nome l’esponente socialista ritiene di avere l’esclusiva. I chiosatori del lessico politico introducono il termine pentacolore e viene individuato un primo ministro assolutamente evanescente, Giovanni Goria, che forma un Governo pentacolore debole e senza prospettive (29 luglio 1987-13 aprile 1988). Al XIII congresso dell’Msi (dicembre 1987) Gianfranco Fini è nominato segretario e, appena eletto, afferma: «Non mi pare ci sia ragione di scandalo nel tentativo di attualizzare i valori permanenti del fascismo. Io rifiuto ciò che del fascismo sa di muffa: saluti romani, camicie nere, ma non mi fa paura la parola fascismo» (Galli, 2001). Con l’approvazione della Finanziaria, che aggrava la situazione del deficit pubblico, viene ritenuta conclusa la missione affidata a Goria e la DC, nell’aprile del 1988, spinge De Mita ad accettare l’incarico per un Governo pentapartito (13 aprile 1988-23 luglio 1989), avendo Craxi rinunciato all’esclusiva del nome.
La nomina di De Mita a presidente del Consiglio si rivela una trappola dei colleghi di partito per scalzarlo dalla segreteria prima, e dal Governo poi. Nel febbraio 1989, il XVIII congresso della DC decreta infatti uno scambio di ruoli tra segretario e presidente: Forlani diventa segretario e De Mita presidente. Con la nomina di De Mita a capo del Governo i democristiani mettono consapevolmente l’uomo sbagliato al posto sbagliato: «Maestro negli intrallazzi di palazzo e negli intrighi, maneggione e, forse, politologo, l’avellinese, già come ministro, aveva dato dimostrazione di evidenti limiti nell’operatività, faceva poco e quel poco lo faceva male; come primo ministro, si rivela incapace di una visione strategica che vada al di là degli interessi dei suoi feudi» (Montanelli, 1993). De Mita, partito con un programma di governo estremamente ambizioso, non riesce a realizzarne un solo punto; peraltro il suo atteggiamento poco flessibile e spigoloso gli crea difficoltà con i colleghi democristiani e con gli alleati.
L’8 novembre 1987 si svolgono tre referendum sull’energia da fonte nucleare. L’80,6% vota contro le norme sulla localizzazione delle centrali nucleari, il 79,7% contro i contributi agli enti locali che ospitano le centrali, il 71,9% contro la legge che consente all’Enel di partecipare alla realizzazione di centrali nucleari all’estero. I socialisti, spinti dai manager dell’Eni che non possono mettere le mani sulle forniture del combustibile nucleare, pretendono che alla volontà popolare venga data un’applicazione totalizzante, imponendo l’arresto delle realizzazioni in atto e lo smantellamento delle centrali in funzione. Il danno per l’economia italiana è incalcolabile e la dipendenza energetica dall’estero diventa sempre più grave; questa decisione scarica sul sistema produttivo italiano e sui cittadini un costo economico del quale il Paese non riuscirà più a liberarsi. Con un quarto referendum viene affermata la responsabilità civile dei magistrati. Tra i giudici si diffonde il panico, ma ben presto si comprende che la bomba è un petardo e che tutto sarebbe rimasto come prima. Con il quinto viene abolita la Commissione inquirente per i procedimenti di accusa contro i ministri, presentata come responsabile del vanificarsi di tutte le inchieste nel mondo dei partiti.
Il 21 giugno 1988 Alessadro Natta, segretario di transizione succeduto a Berlinguer e legato al passato comunista da vocazione dogmatica, passa le consegne ad Achille Occhetto. Il neosegretario, pendola tra populismo e mondanità, tra rinnovamento e conservazione, sfata alcuni miti del passato affermando che Togliatti era «responsabile di scelte ed atti dell’epoca stalinista», ma, nello stesso tempo, predica la fedeltà alla tradizione togliattiana.
De Mita si sente accerchiato e si imbozzola in una rigida tattica di contrapposizione che lo porta a continui scontri con Pri e Psi. Il capo del Governo spera che la DC faccia quadrato attorno a lui ma, come afferma Andreotti: «Ai quadrati di De Mita manca sempre un lato», e il 20 maggio 1989 è costretto a dimettersi. Cossiga conferisce un incarico esplorativo a Spadolini, ma il 13 giugno conferma il dimissionario De Mita. Il 18 giugno 1989, le elezioni europee non portano alcun elemento di novità; prosegue, inoltre, il “veto incrociato”, tra DC e Psi; De Mita è costretto ad abbandonare. Il sesto gabinetto Andreotti (23 luglio 1989-12 aprile 1991, pentapartito, e il settimo (12 aprile 1991-28 giugno 1992), quadripartito senza i repubblicani, si caratterizzeranno per l’ossimoro del frenetico immobilismo. La politica italiana vivacchia in uno “stagno dalle acque ferme” e Andreotti rappresenta l’archetipo del principio: «Nulla deve succedere». Nonostante questo presupposto, invece, qualcosa accadrà: la storia avrà un’accelerazione brusca e i dinosauri della politica saranno travolti.
Nel maggio 1989, in occasione del congresso del Psi, Craxi e il segretario della DC Forlani stringono il “patto del camper”, in base al quale Craxi si impegna ad attenuare la polemica con De Mita allo scopo di ristabilire le condizioni di una collaborazione di Governo, ponendo fine a tensioni dannose a entrambi i partiti. Successivamente, Craxi e Forlani saldano l’alleanza con il presidente del Consiglio Andreotti, costituendo il cosiddetto “caf” (acronimo di Craxi, Andreotti, Forlani). Antonio Padellaro osserverà che la politica era diventata una «sfrenata orgia del potere» e che la ripartizione dei vari governatorati si decideva esclusivamente all’interno del “caf”. L’alleanza politica dà al Paese la dimostrazione di un sussulto di alacrità ed efficienza: è necessario, infatti, estromettere o diluire la presenza di boiardi di Stato della sinistra DC, imposti prima da Fanfani e poi da De Mita, con fiduciari del “caf”. Ne sono un esempio la sostituzione, rispettivamente all’Iri e all’Eni, di Romano Prodi e Franco Reviglio con Franco Nobili, fiduciario di Andreotti, e Gabriele Cagliari, fiduciario di Craxi. Alla Rai (Ottone, 1996), il presidente Enrico Manca, socialista, considerato la “quinta colonna” di Berlusconi, fiancheggia il “caf”, il direttore generale Biagio Agnes¸ demitiano, viene sostituito da Gianni Pasquarelli, forlaniano come il neodirettore del Tg1, Bruno Vespa, mentre il Tg2 diventa Telecraxi. Alla Consob va un andreottiano, all’Efim vanno un craxiano e un andreottiano, rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidenza. La coerenza con la linea politica del “caf” è assicurata anche dalle reti Fininvest; infatti, dopo l’approvazione della legge Mammì, Fedele Confalonieri fa sapere che la politica dell’informazione dei canali privati sarà «omogenea al mondo che vede nei Craxi, nei Forlani e negli Andreotti l’accettazione della libertà» (Braun, 1994). Unico telegiornale che resta saldamente nelle mani della sinistra è il Tg3, soprannominato Telekabul per la ferrea aderenza alle linee del Pci. Tra i media le uniche corazzate che sparano contro il “caf” sono La Repubblica, L’Espresso e Panorama. Berlusconi tenta un duro attacco per impossessarsi del quotidiano e dei due settimanali. Dopo battaglie legali e giudiziarie, i primi due restano nelle mani dei vecchi proprietari, capitanati da Carlo De Benedetti, mentre Mondadori, con Panorama, finisce nelle mani di Berlusconi, che riesce così a controllare quasi metà del mercato televisivo, un terzo dei periodici, un quarto del mercato librario e il 50% della raccolta pubblicitaria televisiva.

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15 luglio 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



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