I pm affossano le nostre imprese sui mercati esteri


Né più di lui che di me stesso a un tempo sento pietà; ché tutti noi non altro esser vegg'io, che vane larve e ombra

Sofocle, Aiace

Corruzione internazionale ma non solo: quando le procure mettono il naso negli affari degli imprenditori può accadere di tutto. Anche che una città, Taranto, finisca mezza soffocata nel braccio di ferro fra i giudici e gli imprenditori. Fra la salute che non c'è e il lavoro che svanisce. Ma sì, non c'è solo la casta della politica nel mirino dei pm di mezza Italia. E l'immagine del nostro Paese ondeggia paurosamente, come un ponte tibetano, a causa del lavoro di scavo dei pm. Prendiamo il caso degli elicotteri Agusta, prenotati dal governo indiano. Dovevano essere dodici, l'Italia ne ha consegnati solo tre, poi l'inchiesta della procura di Busto Arsizio ha fatto saltare gli equilibri. I pm si sono convinti che il presidente e ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi, prima alla guida di Agusta, avesse oliato alcuni intermediari indiani per piazzare i propri gioielli, un vanto della nostra industria. Orsi si è fatto 80 giorni in cella, alla fine è stato costretto a dimettersi e Nuova Delhi ha deciso una mossa senza precedenti: ha rinunciato alla commessa da 560 milioni. Il tutto mentre i rapporti fra i due Paesi si complicavano per la vicenda dei due marò. Risultato: Delhi ha aperto un arbitrato, l'Italia ha perso un business molto importante e le relazioni fra Delhi e Roma sono state avvelenate. In un contesto in cui le polemiche alla luce del sole paiono rimandare a minacce o a ricatti avvolti nell'ombra.
Il comportamento poco ortodosso dell'India nei riguardi di Latorre e Girola è, molto probabilmente, dovuto all'irritazione del governo indiano verso l'Italia per la "questione elicotteri-finmeccanica". Ascriviamo anche questa vicenda al superpotere dei pm. Io ho lavorato molto sui mercati esteri e so con assoluta certezza che su questi mercati la bustarella per far passare contratti piccoli o grandi è la prassi, in tutti i paesi compratori e da parte di tutti i paesi venditori. Sono le cosiddette spese di lobby. Lo sanno tutti a eccezione dei nostri pm che utilizzano questi comportamenti per azioni di lotta politica. Intanto i compratori mondiali si tengono alla larga dall'Italia. Finmeccanica è stata esclusa dal governo indiano dalla partecipazione a futuri bandi contrattuali. Ma la cosa importante è che nessuno tocchi le ferie dei magistrati.
Orsi era vicino alla Lega, ora l'attacco a Claudio Descalzi, il nuovo amministratore delegato di Eni, viene letto da qualcuno come un avvertimento del partito dei giudici a Matteo Renzi. Lo si indebolisce colpendo i manager da lui promossi nell'ultimo giro di valzer delle nomine. Teorie complottistiche, si dirà. E però i danni collaterali provocati da grandi indagini, partite fra squilli di tromba e spesso evaporate fra errori e pasticci, non si contano. Ne sa qualcosa «l'altro Silvio», come Renzi chiama Silvio Scaglia, uno dei più brillanti finanzieri italiani, manager di successo in Omnitel, inventore di Fastweb. Un personaggio di cui l'Italia può andare fiera: eppure Scaglia ha trascorso un anno fra carcere e arresti domiciliari con un'accusa terrificante: associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale per una truffa da 2 miliardi di euro. La più grande frode mai compiuta in Italia, secondo i pm di Roma, che erano convinti di aver messo le mani su un gigantesco raggiro compiuto sull'asse fra Telecom, Sparkle e Fastweb. Alcuni imputati sono stati condannati, ma Scaglia, provato dalla lunghissima detenzione e dalla durissima battaglia per dimostrare la propria innocenza, è stato assolto con formula piena. Il peggio per lui è passato, ma resta la sproporzione fra il trattamento così pesante e il verdetto finale. C'è qualcosa che stride perché non è possibile che un uomo noto per le sue qualità sia trattato come un criminale incallito e sia sepolto da decine di articoli zeppi di accuse prima di poter recuperare l'onore perduto. A volte è una città intera a ritrovarsi in ginocchio. È successo a Taranto, nella morsa di un'indagine che ha azzerato i vertici dell'Ilva, ha affondato la famiglia Riva e ha assestato un colpo pesantissimo alla produzione dell'acciaio. Certo, Taranto pagava da decenni un prezzo salatissimo all'industrializzazione e al sogno dello stabilimento fra le case. Tumori, malattie, tragedie prima private e poi sempre più pubbliche. Finché la procura ha deciso di intervenire con l'artiglieria pesante. Arresti, sequestri, commissari straordinari. E ancora cortei, scioperi, la minaccia di chiudere tutto. Un conflitto irrisolto e forse insolubile, al crocevia di colpe e omissioni antiche e stratificate. La ferita è ancora aperta. E non accenna a cicatrizzarsi.

12 settembre 2014

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