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Inizio della fine della prima repubblica.



Quanto piacere possiede quella schiettezza sincera e priva di ornamenti che non si serve di nulla per coprire la propria indole.
Seneca, De tranquillitate animi


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il regime targato “caf” (Craxi-Andreotti-Forlani) sarebbe sopravvissuto ancora per anni, se non fossero accaduti alcuni fatti che hanno consentito al Paese di risvegliarsi dal suo torpore. In primo luogo, gli italiani si accorgono di poter utilizzare lo strumento referendario non solo per votare contro la caccia, ma per ripristinare uno Stato a sovranità popolare e per riappropriarsi della cittadinanza politica. Sferrano così il primo colpo al regime partitocratico: il 9 giugno 1991 si svolge il referendum, promosso da Segni, per ridurre a una sola le preferenze nelle elezioni per la Camera, così da impedire le cordate tra candidati (“Tu mi dai un certo numero di tuoi elettori sicuri e io ricambio con un certo numero dei miei”). Craxi consiglia: «Tutti al mare»; non sa ancora che quel referendum rappresenta l’inizio della sua fine.
In realtà lo statista del Psi non è il solo contrario al referendum: quasi tutto l’establishment politico punta sul non raggiungimento del quorum. Invece vota il 62,5 % degli aventi diritto e il 95,6% si pronuncia per la preferenza unica. Osserva Montanelli: «Probabilmente una gran parte dell’elettorato non aveva compreso il significato del voto. Aveva capito una sola cosa, che i capi dei partiti tradizionali di Governo, gli Andreotti, i Forlani, i Craxi, i Gava, la preferenza unica non la potevano soffrire. Poiché non piaceva a loro doveva essere una cosa buona e meritava un sì entusiastico» (Montanelli, 1993). In secondo luogo, la Lega Nord crea la prima vera forte opposizione all’establishment politico dalla fine della guerra. Ai fendenti di Bossi tutti i partiti e gran parte dei media rispondono accusando la Lega di rozzezza e provincialismo, e lanciando scomuniche e anatemi in nome dell’unità d’Italia e della sua gloriosa storia, appelli che suonano falsi, retorici e opportunistici. Infine, il crollo del blocco sovietico toglie alla lotta politica l’alibi dello scontro ideologico che aveva pietrificato ogni spinta al rinnovamento. Questa nuova condizione politica libera dai lacci che l’avevano condizionata la magistratura, che avvia il più vasto processo giudiziario che l’Italia ricordi e apre il vaso di Pandora della corruzione strutturale esistente nel Paese.
Come già visto, alla fine degli anni Novanta l’insofferenza nei riguardi dei politici trova una valvola di sfogo nel comportamento di Cossiga. Il Presidente della Repubblica, sentendosi tradito dal suo partito, in occasione della scoperta di Gladio esce dalle righe dei suoi compiti istituzionali per assumere quelli del tribuno della plebe e – gioia e delizia dei media – inizia a “picconare” quelle istituzioni delle quali, per decenni, è stato uno dei massimi rappresentanti. Egli dà luogo a una lunga e durissima contestazione con il Csm, critica apertamente la Costituzione, si autodenuncia per Gladio. Osserva Michael Braun: «Francesco Cossiga era in quel momento il simbolo del diffuso desiderio di un uomo forte. Un uomo forte alla testa di uno Stato debole […]» (Braun, 1995). Il 26 giugno 1991 Cossiga invia un messaggio alle Camere: le 82 cartelle più dirompenti della storia della Repubblica. Cossiga parla di elezione diretta del capo dello Stato, di sistema uninominale, di referendum propositivi e di riforme costituzionali. È il certificato della morte della Prima Repubblica; Andreotti si rifiuta di controfirmare il messaggio. I maggiorenti di tutti i partiti pensano che Cossiga sia uscito di senno (Vespa, 1998). Dopo il messaggio i rapporti con la DC precipitano, al punto che il 23 gennaio 1992 Cossiga notifica il divorzio ufficiale dal partito. L’inizio della fine della Prima Repubblica viene fatto risalire al 17 febbraio 1992, quando il presidente del Pio Albergo Trivulzio (un antico e glorioso istituto milanese per anziani), il socialista Mario Chiesa, è colto in flagrante mentre ritira una mazzetta da un piccolo imprenditore. Craxi lo definisce un «mariolo» e la vicenda sembra finire lì; nella realtà quell’episodio si rivelerà uno snodo fondamentale per l’avvio del processo alla classe politica italiana, l’incipit di quella che sarà chiamata Tangentopoli. Il regime denuncia qualche scricchiolio che non lascia però presagire la violenza del terremoto. La politica preferisce concentrarsi su altre questioni. L’interrogativo più pressante sembra essere al momento: chi, tra Craxi e Andreotti, sarà Presidente della Repubblica e chi del Consiglio?
Francesco Cossiga, tra una’esternazione e una picconata, destreggiandosi tra i paletti di una politica che rifiuta atteggiamenti poco rituali, scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni. La campagna elettorale si avvia su un percorso di assoluta tranquillità: Craxi s’impegna a una stretta alleanza con la DC proponendosi come presidente del Consiglio, ma di fatto viene concordato un impegno preventivo per una coalizione a quattro, anche se a guidarla potrebbe non essere Craxi (Galli, 1993). L’unico pericolo potrebbe venire dalla Lega, ma i partiti di Governo pensano di avere i mezzi per creare condizioni di controllo e di smembramento, come già fatto con la Liga veneta. Questo quadro rassicurante offerto dalle forze politiche viene turbato, il 12 marzo, dall’omicidio di Salvo Lima, uomo di punta della corrente di Andreotti, «eletto nel Parlamento europeo, dopo essersi defilato da quello italiano, anche per le costanti accuse di collusione con la mafia» (Galli, 1993). Ancora una volta la DC cerca di sfruttare a proprio beneficio quest’episodio: il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti manda, infatti, comunicazioni ai prefetti circa possibili tentativi golpisti creando allarmismo allo scopo di avvantaggiare i partiti di Governo. Il 2 aprile Chiesa ottiene gli arresti domiciliari, ma le sue confessioni stanno per mettere in moto un effetto a catena. I magistrati inquirenti stanno sciogliendo il bandolo di un sistema generalizzato ed efficiente per la “tassazione” illegale, e per certi versi spregevole, di ogni transazione e concessione in cui sia coinvolto un ente pubblico. Le elezioni del 5 aprile 1992 vedono la sorprendente affermazione della Lega Nord che diventa, con l’8,7% dei voti, il quarto partito. La DC scende per la prima volta poco sotto il 30%, il Pds ottiene un magro 16,1%, mentre ai compagni di Rifondazione va un inatteso 5,6% e il Psi arretra al 13,6%. Ottengono una buona affermazione la Rete, verdi e repubblicani, ma si registra anche una frammentazione del voto, che favorisce ancora – sia pure per pochi seggi – la coalizione quadripartita uscente (DC, Psi, Psdi, Pli). A destra Fini, forte di un buon rapporto con Cossiga, festeggia la sostituzione di Rauti alla guida del partito con l’elezione di 50 parlamentari (5,4%).
I primi contraccolpi delle indagini della magistratura non sono subito devastanti, ma le elezioni politiche cominciano a dare segni preoccupanti. La DC è disorientata, Forlani annuncia le dimissioni, che vengono congelate; confermato Spadolini presidente del Senato, alla Camera viene nominato il bigotto e sentenzioso Oscar Luigi Scalfaro. Cossiga, con uno dei suoi abituali scatti umorali, annuncia le dimissioni anticipate da Presidente della Repubblica, poiché ritiene l’elezione di Scalfaro un tentativo di salvare il sistema dei partiti, oramai squalificato agli occhi dell’opinione pubblica. Gli atteggiamenti di Cossiga appaiono a molti da analisi psichiatrica, ma Paolo Guzzanti, che ha avuto modo di conoscerlo molto bene, dà di lui questo giudizio: «Vedendo come riusciva a passare da uno stato di collera a quello di calma serafica, senza il minimo sforzo, mi resi conto che quest’uomo, che una sorte curiosa ha destinato alla suprema magistratura, è anche, e forse prima di tutto, un grande attore». Considerando le varie esternazioni, la difesa a oltranza di Gladio, le liti con il Csm, le ipotesi che si possono fare su Cossiga sono due: o l’Italia ha avuto un Presidente della Repubblica ciclotimico, oppure i suoi insulti erano l’urlo liberatorio per una vita passata tra mediocri, incapaci, indifferenti, parassiti, ladri, assurti a reggere le sorti del Paese. Cossiga sembra captare l’atteggiamento di ribellione verso i partiti che è nell’aria e si toglie per tempo dall’occhio del ciclone.
Ricordo che in quegli anni alcuni amici esperti di informatica vennero contattati dai magistrati del pool mani pulite per aiutarli a informatizzare i loro uffici; l'ICT entrò per la prima volta nel tribunale di Milano.

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5 dicembre 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.


Tratto da L'estinzione dei dinosauri di stato

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