Fratture tra lavoratori


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Epicuro

Il mercato del lavoro italiano è spaccato in due. E lo sarà anche nell’Italia del Jobs act , ma seguendo una diversa linea di frattura. Il muro che adesso divide aziende grandi e aziende piccole, dall’anno prossimo dividerà (tendenzialmente) lavoratori giovani e lavoratori anziani. Oggi l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori «protegge» dal licenziamento solo i dipendenti delle aziende che hanno più di 15 addetti. Al di sotto di quella soglia non c’è lo scudo considerato più importante, il reintegro, e cioè la possibilità di tornare in azienda per decisione di un magistrato. Dipendenti delle grandi aziende più protetti, dipendenti delle piccole aziende meno protetti. Nell’Italia del Jobs act , invece, il doppio regime sarà generazionale.
Il contratto a tutele crescenti, che riduce la possibilità del reintegro in caso di licenziamento illegittimo, sarà applicato solo alle nuove assunzioni. Questo non vuol dire che riguarderà soltanto i giovani al primo impiego ma anche chi adesso un lavoro ce l’ha già e (coraggiosamente) cambierà azienda. Eppure è chiaro che la maggior parte delle nuove assunzioni dovrebbe riguardare ragazzi e ragazze. Giovani senza articolo 18, anziani con l’articolo 18. Una linea di frattura non facile da gestire, visto che già adesso è evidente la disparità di trattamento fra generazioni: dalla possibilità di trovare un lavoro (con la disoccupazione giovanile che supera il 40%) al dimagrimento delle future pensioni, le condizioni dei figli sono peggiori di quelle dei padri.
È vero che alcune novità del Jobs act riguarderanno tutti, senza distinzione d’età: è il caso dei controlli a distanza con i quali l’azienda potrà «sorvegliare» gli impianti e i dispositivi usati dal dipendente, di fatto telefonini e computer. È il caso del demansionamento, cioè la possibilità di affidare al lavoratore compiti inferiori rispetto a quelli della qualifica di appartenenza. Qui le regole cambiano per tutti, contratti nuovi e contratti vecchi. Ma il grosso cambiamento, anche psicologico, tocca la sicurezza dell’articolo 18.
Grazie al taglio dei contributi previsto nella legge di Stabilità, il governo stima che nei prossimi tre anni il contratto a tutele crescenti porterà a 800 mila assunzioni in più. Sarebbe un grande risultato per la nostra economia ansimante ma almeno nell’immediato la stragrande maggioranza degli italiani resterebbe agganciata alle vecchie regole: la forza lavoro totale in Italia è di 23 milioni di persone, quelli con un contratto da dipendente sono poco più di 12 milioni. I nuovi assunti senza articolo 18 sarebbero una minoranza, ma cresceranno di anno in anno, specie se la riforma dovesse avere gli effetti sperati. Per questo molti addetti ai lavori pensano che siamo solo al primo passo. E che presto l’intero Jobs act , comprese le nuove regole sui licenziamenti, sarà esteso a tutti i lavoratori. Non solo le nuove assunzioni ma anche i contratti in essere. Non solo i giovani ma anche gli anziani.
«Credo che nel medio termine le nuove regole saranno applicate a tutti» aveva detto un mese fa l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero, spiegando anche un piccolo retroscena tattico del riformismo: «So bene che l’impostazione è dire si comincia e poi si estende». E pochi giorni fa anche Carlo Dell’Aringa, sottosegretario al Lavoro nel governo Letta, aveva sostenuto che il «doppio regime può reggere nella fase transitoria ma non può durare 10 o 15 anni». Quanto reggerà il nuovo muro lo diranno i primi reali effetti della riforma. E, soprattutto, la pressione dei giovani sugli anziani.

da il corriere.it - 24 dicembre 2014

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