Quale sarà la risposta dell'UE a Tsipras?


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Levitico

Syriza ha mancato di soli due seggi la maggioranza assoluita per governare da sola ma è un bene, nell’interesse comune europeo, che abbia subito trovato un accordo di governo con la destra anti-euro di Anel e i suoi 13 seggi. Pur non condivididendo nulla del suo programma, mi auguro anche che Tsipras ora traduca alle lettera il suo programma elettorale in proposte pienamente coerenti, pure e dure. Cioè che chieda all’Unione europea di abbattere del 50% il debito pubblico greco detenuto dai Paesi e dalle istituzioni dell’euroarea (l’80% di quello attuale) come già è avvenuto nel 2011-2012 per gli obbligazionisti privati.
A questo punto, è meglio così per tutti: che si capisca in pochi mesi che cosa sia davvero l’Unione Europea. Perché a seconda della risposta che darà ad Atene, e a seconda di come Atene si comporterà, sarà più chiaro che cosa l’Unione europea può davvero diventare, e lo si capirà ben prima dei 2 anni necessari per giudicare l’effetto del QE deliberato alla BCE da Mario Draghi a maggioranza giovedì scorso.
La Grecia, grazie a politici che meritano di aver perso voti a carrettate a vantaggio di Tsipras, con l’euro ha finanziato crescita allegra più che raddoppiando il suo debito pubblico. L’abbattimento dei tassi d’interesse realizzato con la moneta comune – esattamente com’è capitato per l’Italia – ha generato per 8 anni l’illusione che si potesse assumere nel settore pubblico, pagare pensioni fuori da ogni equilibrio attuariale, non pagare le tasse, non alzare la produttività, perché tanto il debito poteva raddoppiare e si sarebbero pagati per sempre solo interessi bassissimi.
Nel 2011 l’illusione – basata su conti falsi per quasi un 10% di PIl – si è spezzata. E il conto è stato presentato non ai politici greci – come in Italia non è mai stato presentato a chi ci ha portato al 135% di Pil di debito pubblico – ma ai greci. I tagli pubblici per garantire fino al 2022 un avanzo primario del 3-4% di Pil annuo hanno significato disoccupazione e povertà di massa. La forza per mettere alla sbarra l’oligarchia greca, che detiene più di 200 miliardi di euro all’estero, è mancata. I greci chiedono un nuovo ripudio del debito, e Tsipras vuole tornare a ciò che scrive Paul Krugman tutti i giorni sul New York Times: assunzioni pubbliche, spesa pubblica, sussidi pubblici. In Spagna Podemos, in Germania die Linke, in Italia Sel e un terzo del Pd, ma paradossalmente anche in Francia la signora Le Pen, e in Italia la Lega di Salvini e un bel pezzo degli eletti di Forza Italia, la pensano praticamente allo stesso modo. O quasi. “Basta austerità, serve un’altra Europa”, dicono tutti. Lo dice anche chi, in Italia, l’austerità non l’ha praticata MAI, visto che da noi la spesa è cresciuta – meno che in passato, ma cresce ancora – e abbiamo solo realizzato stangate fiscali, sul risparmio, sulla casa, sui consumi.
Oggi Draghi e Juncker si vedranno presto, per elaborare una prima linea comune rispetto a Tsipras e alle sue richieste. Il paradosso è che a farlo debbano essere due tecnici, non eletti ma scelti. E’ per molti versi l’essenza della Ue attuale. Ma non lo dico con la beffarda critica che usano molti politici, contro l’”Europa dei tecnici”. Per preservare un’idea comune europea, Bce e Commissione Europea con tutti i loro difetti hanno fatto molto più, in questi anni, dei politici incapaci, nel Consiglio Europeo, di prendere decisioni altrettanto efficaci e, soprattutto, tempestive di fronte alla piega assunta dalla crisi nei paesi eurodeboli.
L’euro è nato senza aver unito mercati dei beni e dei servizi, per consentire a un unico tasso d’interesse di far convergere produttività e curve di costo come vasi comunicanti come funziona il dollaro negli USA, un’area continentale dove pure specializzazioni produttive e costi – dell’energia, della logistica, del lavoro, della PA – non sono affatto eguali dovunque. E l’euro è nato anche senza meccanismi di stabilizzazione cooperativa, per via della storia che abbiamo alle spalle, di Weimar e del nazi-fascismo che ne sortì, una storia molto diversa da quella americana.
Ora che sono passati troppi anni dall’inizio dell’eurocrisi, ora che in alcuni paesi si sono accumulate perdite di prodotto e reddito per famiglie e imprese troppo elevate per non portare massicci consensi a chi promette di cancellarli adottando cose che pur nella storia si sono viste – perché la cancellazione massiccia di debiti attraverso ripudio e iperinflazione è avvenuta innumerevoli volte nella storia, dopo grandi conflitti o grandi default, sia pur con costi sociali che i politici che li ripropongono tacciono oculatalemente (chiedere agli italiani in Argentina, se avete dubbi) – è un bene che l’Unione Europea (e il Fmi) si trovino di fronte a sé le richieste pure e dure di Tspiras.
Almeno sapremo la risposta, saremo in grado di capire che cosa davvero ci attende. Vedremo politicamente se la sinistra europea riesce a spiegare a Tsipras che quello che chiede non è inaccettabile ma sbagliato, perché signficherebbe esporre la Grecia a un nuovo default sia pur dopo l’effimera illusione di una maxi svalutazione. Vedremo chiarezza a cominciare dal Pd italiano, visto che ieri a esultare per Syriza erano gli stessi parlamentari che votano leggi di stabilità che realizzano rilevanti avanzi primari grazie a nuove tassazioni retroattive e con la minaccia di imponenti aumenti Iva tra 2016 e 2018. Vedremo come reagirà la Spd tedesca, e se le congratulazioni immediate dei socialisti francesi significheranno sostegno al ripudio del debito voluto da Tsipras.
Invece, nel caso in cui l’Unione Europea avrà la forza di una posizione razionale, vedremo se Tsipras, di fronte all’ipotesi di un’uscita dall’euro, saprà attrezzarsi a una molto più sobria trattiva, per ottenere dall’Ue e Fmi nuove condizioni per pagare gli interessi sul debito – già attualmente a tassi ridicoli, l’1%, e con un onere percentuale sul Pil che è un terzo di quello annuale italiano – e per strappare qualche possibilità di realizzare comunque programmi sociali, ma in cambio di forti riforme di produttività.
In caso contrario, meglio saperlo. Sarebbe ridicolo per i contribuenti italiani continuare a essere strangolati, a colpi di avanzo primario realizzati per via solo fiscale, per ottenere negli anni un difficile equilibrio della finanza pubblica e più produttività, se questa strada altri la ripudiano e vengono assecondati. La colpa non è di Draghi, che ha fatto e continua a fare miracoli. La colpa è della politica europea: troppo incline, finché i mercati non saranno uniti rompendo incrostazioni corporative autarchiche, a non riconoscere che senza di questo l’euro resterà sempre zoppo. La risposta a Syriza o è un passo avanti energico verso l’Europa convergente – che si fa sui mercati, non con l’armonizzazione fiscale – oppure l’uscita della Grecia dall’euro darà solo munizioni a chi anche in Italia, da destra e sinistra, promette la liretta come l’acqua di Lourdes che fa miracoli.

Oscar Giannino - 28 gennaio 2015

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