Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

Censis - Rapporto annuale - 2006 - Segnali di ripresa per le imprese.


LOGO

Il portale IMPRESA OGGI vi offre un servizio?
Dateci una mano a sostenerne i costi!
Un click sulla striscia pubblicitaria in alto. Grazie!!

Nelle scuole italiane 100 allievi si dividono 8 computer, contro gli 11,3 computer della media europea a 25 paesi. Vi sono però alcune aree in cui la scuola italiana appare più dinamica: 69 scuole italiane su 100 dispongono di un accesso a banda larga, contro le 67 della media europea; il 73% delle scuole italiane ha un proprio sito internet contro il 63% dell’Unione europea. La quota dei docenti che ritiene di possedere competenze adeguate è pari al 77,4%, la media europea è dell’82,1%. Gli insegnanti italiani presentano una percezione più positiva degli effetti dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla didattica: 81% contro il 70% della media europea.
Le domande di iscrizione ai corsi regionali di formazione permanente cofinanziati dal Fondo sociale europeo sono quasi il doppio dei posti disponibili. Il confronto tra gli iscritti all’avvio del progetto e gli effettivi frequentanti dei corsi mostra però una flessione del 16% rispetto agli utenti iscritti ai corsi e del 9% rispetto ai destinatari previsti. La difficoltà consiste nel conciliare le esigenze imposte dai corsi (nei giorni ed orari stabiliti) con i tempi e le attività tipiche della vita adulta.
Si va progressivamente annullando lo storico ritardo nella scolarizzazione della componente femminile della popolazione con oltre 15 anni di età: nel 2005 la quota di laureate, pari al 9,1%, si attesta su livelli prossimi a quelli dei maschi laureati (9,2%). La popolazione scolastica, nel 2005-2006 ammonta a 8.908.336 allievi, 24.492 in più rispetto all’anno precedente (+0,3%). A contrastare un andamento tendenzialmente negativo se rapportato all’andamento demografico e ai bassi tassi di natalità concorrono la crescente presenza di allievi immigrati da altri paesi, l’aumento della propensione a conseguire più alti livelli di scolarità e l’ampliamento di offerta e domanda a livello di scuola dell’infanzia, non obbligatoria. Gli iscritti fuori corso ai corsi di laurea passano dai 121.508 del 2003-2004 ai 245.604 del 2004-2005 (+102,1%) e, nel 2005-2006 dovrebbero superare ampiamente le 300.000 unità, con un incremento percentuale pari al 37,6%.

4. Lavoro, professionalità, rappresentanze

Il bilancio d’anno è polarizzato fra una conferma della vitalità del sistema sul piano della creazione di occupazione e una sostanziale staticità delle proposte di intervento. Le norme e gli strumenti esistenti per sostenere il mercato del lavoro hanno raggiunto obiettivi significativi: dal settembre 2005 al settembre 2006 gli occupati sono cresciuti del 2,4%, persino nel Mezzogiorno, con un incremento del 2,2%. Il tasso di disoccupazione si è attestato intorno al 6,5% e anche la partecipazione al lavoro ha registrato segnali positivi. La flessibilità in sostanza ha dato i frutti attesi e probabilmente ha raggiunto una soglia di quasi saturazione, posto che l’11% degli occupati lavora con contratti a termine. Nel futuro non ci potrà essere attenzione soltanto a nuove politiche di flessibilità, ma dovrà essere dato più valore a due variabili che non sono marginali rispetto alla possibilità di mantenere e, se possibile di elevare, i livelli di occupazione, ossia il collegamento fra i mercati territoriali del lavoro e i meccanismi di governance tramite i quali gestire il sistema.
Il problema che rimane aperto è quello della qualificazione del lavoro, che tende a crescere fra le posizioni esecutive (+2,0%) e non qualificate (+3,3%), e che non trova più grandi riconoscimenti neanche all’interno del lavoro dipendente terziario, come quello bancario, in cui per molto tempo ha rappresentato una risorsa importante. Attualmente, i lavoratori del comparto creditizio patiscono gli effetti della seconda fase delle ristrutturazioni societarie in atto: il 73,4% dei bancari è scontento dei percorsi di carriera e il 67,4% ritiene di avere carichi di lavoro troppo pesanti a fronte di una progressiva perdita di centralità sostanziale nelle strategie aziendali.
Il lavoro autonomo, per parte sua, pur perdendo progressivamente peso (-4,2%, dal 2004 al 2005) presenta segnali di cambiamento interessanti. I piccoli e medi imprenditori sono fortemente orientati all’innovazione, che realizzano soprattutto sul piano della tecnologia e dei sistemi informatici (77,5%), del prodotto servizio (45,6%) e, benché in misura minore, per l’ingresso sui mercati esteri (17,7%). All’interno delle attività professionali si stanno muovendo analoghi flussi di cambiamento, testimoniati dall’orientamento degli Ordini e delle Associazioni in merito alla certificazione dei loro iscritti, come un’unica strada per garantire credibilità a questa quota del terziario (41,2%).
Nel terziario che avanza sul piano delle macro aggregazioni, si stanno verificando alcuni fenomeni importanti sotto il profilo della rappresentanza degli interessi, poiché i lavoratori terziari esprimono una domanda di nuovo protagonismo che si traduce nella creazione di aggregati nuovi, magari non destinati a rimanere stabili (si pensi alla ritrovata unitarietà dei sindacati bancari, o alla piazza dei professionisti), ma in grado di dirigere flussi di consenso consistenti.
Il 2006 ha segnato un passaggio positivo anche per le donne, la cui partecipazione al mercato del lavoro è aumentata (il tasso di attività è al 51%), a fronte di una riduzione della disoccupazione (-10,3%). Nonostante questi segnali incoraggianti, le donne continuano ad occupare ruoli di secondo piano nello spazio pubblico e nei luoghi di potere: l’Italia occupa il 59° posto nella graduatoria mondiale stilata in relazione alla quota di donne presenti nei Parlamenti, inserendosi dietro paesi come, ad esempio, il Rwuanda, il Costa Rica, Cuba e Monzambico.

5. Il sistema di welfare

Sanità: i costi della cattiva programmazione. Negli ultimi anni la sanità ha visto un incremento della spesa e del disavanzo (il cumulo dei disavanzi per il periodo 2002-2005 è stato di circa 17 miliardi di euro) accompagnato da una mediocre stabilità dell’offerta; infatti, per quasi il 51% degli italiani negli ultimi due anni i servizi sanitari non hanno subito mutamenti, per il 26,6% hanno registrato un peggioramento, inoltre l’informazione sulla salute è un territorio in cui pochi si orientano. Il 74,9% degli italiani si ritiene molto o abbastanza informato sui temi della salute, e la “fame” di informazione trova risposte soprattutto sui media: tra le fonti principali, la televisione passa infatti dal 22,8% del 2003 al 43,2% nel 2006, mentre il medico di medicina generale, che pure rimane centrale, passa dal 71,6% al 65,8%, ed è marcata nello stesso tempo la crescita di Internet, passata al 13,1% dal 2,8% del 2003. A costituire una discriminante decisiva, in termini di scelta delle fonti, di comprensione e soprattutto di messa in pratica di quanto appreso, è però la variabile culturale: Internet è infatti citata dal 23,1% dei laureati contro l’1,3% di rispondenti con i titoli più bassi, mentre la televisione è più citata al diminuire dei titoli di studio, e inoltre, a fronte del 40% che ha dichiarato di aver tradotto le informazioni ricevute in comportamento concreto, la quota di laureati sale fino al 50,4%.
Tra responsabilità individuale e imperativo della bellezza: la pressione mediatica sui corpi delle donne. Nelle opinioni delle donne si trova conferma di quanto emerge dal dibattito pubblico, a proposito dei modelli estetici caratterizzati dalla magrezza: il 31,2% delle italiane infatti trova nelle immagini proposte dalle pubblicità televisive un termine di confronto frustrante, considerandole “modelli irraggiungibili che hanno il solo scopo di fare sentire inadeguate le donne reali”, e le più giovani in particolare sembrano subire questa pressione: solo una 18-25enne su tre, contro il 40,9% complessivo, si piace così com’è, ed il 56,1% (contro il 43,7% totale) esprime l’aspirazione a migliorare il suo aspetto. Il 45,9% delle 18-25enni, contro la media del 35,4%, si è sottoposto nell’ultimo anno ad una dieta per perdere peso, e il 37,8% lo ha fatto pur essendo normopeso o sottopeso.
Per l’assistenza non è solo un problema di risorse. Per il 45% degli italiani occorre potenziare i servizi sul territorio relativi agli anziani, i disabili e le persone non autosufficienti; per oltre l’81% ciò deve avvenire con l’istituzione di un Fondo ad hoc per la non autosufficienza, senza però creare tasse aggiuntive. Infatti, per il 57,1% il Fondo deve essere finanziato con una quota dell’attuale spesa sanitaria, per il 23,6% con contribuzione volontaria e solo il 12,3% accetterebbe una tassa di scopo.
La lenta preparazione della previdenza complementare.  Continua la crescita degli iscritti ai Fondi Pensione (circa 3 milioni nel 2005, +8,7% rispetto al 2004), tuttavia è ancora insufficiente perché nel 2004 il rapporto delle attività in gestione dei Fondi Pensione rispetto al pil era in Italia del 2,6%) inferiore a quello di molti dei più importanti paesi europei. Va, però, segnalato che negli ultimi anni il rendimento dei Fondi Pensione è migliorato, e nel 2005 è stato pari all’8,5% contro il 2,6% della rivalutazione netta del Tfr, con effetti potenzialmente positivi in vista della riforma del Tfr.

6. I soggetti economici dello sviluppo

Ripresa economica dal doppio volto. I segnali di crescita economica percepiti in trasparenza alla fine dello scorso anno si sono consolidati. Il 2006 si chiuderà con un insperato ma significativo incremento del pil. Fatturato e ordinativi delle imprese hanno registrato nei primi otto mesi di quest’anno consistenti incrementi; i consumi delle famiglie aumentano seppure in misura contenuta; l’occupazione aumenta considerevolmente e si riduce parallelamente il tasso di disoccupazione. Ciò tuttavia non necessariamente delinea fenomeni di vero sviluppo. Ci si chiede che tipo di ripresa si prospetta, se si tratti di un semplice assestamento o di un mutamento rinvigorente in grado di sostanziarsi nella modernizzazione del Paese. A ben guardare rischiamo di posizionarci più sul primo scenario che sul secondo.
Liberalizzazioni e nuova politica industriale. Liberalizzazioni e rilancio della competitività del sistema produttivo italiano figurano tra gli obiettivi di politica economica varati dalle nuove forze di governo. Si è deciso di intervenire sulla liberalizzazione dei prezzi e della distribuzione dei farmaci, delle licenze dei taxi nei grandi centri urbani e sull’abbattimento delle tariffe minime praticate nell’ambito delle libere professioni. Il rilancio del sistema produttivo dovrebbe passare anche, ma non solo, attraverso incentivi generalizzati con assegnazione automatica. Sebbene si tratti di provvedimenti in grado di generare vantaggi per il Paese, essi dànno il senso di una politica economica dei “piccoli passi”, più che di un piano di ampio respiro.
Reti d’impresa e nuove strategie per l’internazionalizzazione. Sembra emergere in Italia un modello nuovo di impresa determinata ad investire nella riorganizzazione complessiva delle strategie di mercato, nell’ampliamento e controllo delle reti distributive, dei sistemi logistici, nella diversificazione delle strategie di marketing e nel rafforzamento delle reti di conoscenza. Il 47% delle imprese italiane partecipa a reti di collaborazione; per il 65% di esse, il network serve allo scambio di informazioni tecniche, per il 37% all’innovazione di prodotto o di processo, per il 35% al rafforzamento delle politiche commerciali. Le imprese partecipanti a reti interaziendali mostrano una maggiore propensione all’internazionalizzazione di quelle che non operano in un sistema a rete.
Fotografia dei distretti industriali a metà decennio. Il 2006 è accreditabile di una ripresa piuttosto sostenuta delle esportazioni e della produzione dei principali distretti industriali italiani. Per oltre il 74% di 516 aziende variamente distribuite tra 23 distretti industriali la fase congiunturale del 2006 viene vista come positiva. Si modificano e si rafforzano le strategie di mercato: il 37% delle aziende di distretto adotta una strategia di nicchia e il 16% una strategia aggressiva, solo il 30% dichiara una strategia di difesa dai competitori. Il diradarsi dei segnali di crisi, attraverso l’inversione di tendenza che sembra avviato in questo 2006 ci restituisce un nuovo modello di cluster produttivo, in cui si agitano forze contrapposte: da un lato la spinta alla torsione e al riposizionamento in un mercato profondamente mutato e, dall’altro, la propensione alla frammentazione interna.
Il cluster marittimo italiano: sistema di impresa che crea valore. Con 36,5 miliardi di euro di beni e servizi prodotti, al netto delle importazioni, il sistema marittimo italiano contribuisce alla formazione del 2,7% del pil nazionale (nel 2000 l’incidenza era del 2,3%) e coinvolge l’1,6% dell’occupazione totale. Ormai da tempo, il mare genera valore ed è divenuto anche in Italia il fattor comune di un sistema complesso di imprese, di reti e servizi per la logistica e di capitale umano. Non appare azzardato affermare che il sistema marittimo nazionale ha seguito negli ultimi anni un percorso anticiclico rispetto al rallentamento complessivo dell’economia italiana.
I circuiti economici dell’Italia multietnica. L’impatto sociale e economico generato nel nostro Paese da più di 2,6 milioni di immigrati regolari (il 4,5% dell’intera popolazione residente) non può che essere rilevante. Che gli immigrati non siano soggetti passivi dell’economia nazionale è provato da alcuni dati relativi al sistema del credito. In particolare, quasi la metà delle 800 famiglie straniere analizzate dal Censis nel 2006 mostra un discreto livello di bancarizzazione, oltre il 40% dispone di un conto corrente e di una carta Bancomat, il 17% ha un conto presso le Poste italiane e il 16% ha un libretto di risparmio presso una banca o presso le Poste; quasi il 60% ha dichiarato di fare abitualmente ricorso ai servizi bancari senza incontrare grandi problemi; il 23% ha già utilizzato il credito al consumo, l’11,2% ha attivato un mutuo per l’acquisto di una casa e il 17,5% pensa di farlo a breve.
Forme e significati dell’indebitamento delle famiglie italiane. Aumenta in Italia il grado di diffusione dell’indebitamento: agli inizi di questo decennio si stimava che tale fenomeno riguardasse circa il 19% dei nuclei familiari italiani, mentre attualmente la quota si attesta al 22%, ma il pericolo di sovra indebitamento appare molto remoto. Il Censis rileva che il 35% di un campione di 1000 famiglie ha fatto ricorso negli ultimi due anni ad acquisti rateali finanziati; la percentuale risulta in crescita costante. I crediti in sofferenza in capo alle famiglie sono in diminuzione; in particolare, le sofferenze in essere dei crediti concessi alle famiglie ammontavano nel 2002 a 11,1 miliardi di euro, mentre a metà del 2006 esse risultano pari a 10 miliardi di euro. Le situazioni di rischio diffuso di default generato da eccessivo indebitamento risultano piuttosto limitate: tra gli utilizzatori di credito al consumo (35% delle 1000 famiglie contattate dal Censis), il 91% non ha avuto problemi nella restituzione del prestito, il 5% ha restituito le rate con qualche difficoltà, il 2% ha avuto notevoli difficoltà e il restante 2% si è ritrovato in una vera situazione di default non essendo riuscito a rispettare le scadenze e adempiere agli impegni assunti.



www.impresaoggi.com