Italia: vizi e virtù. I partiti nell'immediato dopoguerra.


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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2.3 I Partiti nel dopoguerra
L'Italia politica, che nasce, nel '43, dalle rovine del ventennio, vede, come soggetti politici, sia i partiti protagonisti della storia politica prefascista, come il liberale, il socialista e il comunista, sia nuove organizzazioni come la Democrazia cristiana e il Partito d'Azione. Partiti vecchi e nuovi hanno mantenuto, durante il regime, un minimo di attività politica clandestina, specialmente il Pci, che poteva disporre delle risorse organizzative ed economiche della Terza Internazionale o Comintern.
2.3.1 Comunisti e socialisti
Le storie dei partiti socialista e comunista si intrecciano, in un susseguirsi di scissioni, rappacificazioni, scontri, patti d'unità d'azione, per cui giova trattarle insieme, partendo dal momento della scissione. All'inizio degli anni venti, la pressione del Comintern, perchè il Psi si liberi dell'ala riformista, è forte; al II Congresso dell'Internazionale comunista, Lenin aveva fissato, infatti, le 21 condizioni necessarie per appartenere all'Internazionale, tra queste era l'obbligo di rompere con il riformismo. Il Psi è logorato dalle faide interne, il segretario Giacinto Menotti Serrati, pur essendo un "massimalista", favorevole, cioè, all'azione rivoluzionaria contro il capitalismo, è scettico sulla possibilità di trasferire in Italia l'esperienza russa, mentre il gruppo dei giovani di "Ordine nuovo", il giornale fondato da Antonio Gramsci, istituisce, a Imola, nel novembre del 1920, la frazione comunista del Psi.
Il 21 gennaio '21, a Livorno, il XVII Congresso del Psi vede il partito dividersi tra i "massimalisti" di Serrati (98.000 voti), i "riformisti" di Turati (circa 15.000 voti) e i "comunisti puri" (circa 59.000 voti), che, guidati dall'energico e focoso Amadeo Bordiga, escono dal partito socialista e fondano il Partito comunista d'Italia (per comodità, d'ora in poi, Pci, invece che Pcd'I). Al Congresso di Roma, dell'ottobre '22, il Psi subisce un'altra lacerazione, con l'espulsione dei riformisti, che dànno vita al Partito socialista unitario (con Giacomo Matteotti segretario), che, poco dopo, prende il nome di Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli). Questi avvenimenti inferiscono un grave colpo alla democrazia italiana e al socialismo, che, peraltro, nel '19 aveva ottenuto uno strepitoso successo elettorale, contribuiscono a disperdere il patrimonio politico acquisito dal Psi in cinquant'anni di lotte e creano il virus del settarismo nel corpo della sinistra italiana.
Nell'inverno '23, il fascismo accentua la repressione sui partiti d'opposizione, e gran parte dei leader comunisti e socialisti sono arrestati o fuggono all'estero. Nel '24 si accentua una sorda lotta intestina al Pci, con Gramsci, che contesta la leadership di Bordiga, il quale privilegia l'organizzazione di stampo, militare a quella politica e ritiene di poter influenzare il Comintern. Nel giugno-luglio '24, al V Congresso dell'Internazionale, tenuto poco dopo la morte di Lenin, e che vede l'affermazione di Stalin, viene discussa, anche, la situazione del Pci, diviso tra destra (Tasca), sinistra (Bordiga) e centro (Gramsci). Togliatti, difende la posizione del centro affermando essere impossibile costituire un forte partito in disaccordo con il Comintern; il V Congresso si chiude con la sconfitta di Bordiga e della destra.
Nel giugno '24, viene ucciso Matteotti e il fascimo, sottoposto alle reazioni di tutta l'Italia democratica, sembra subirne il contraccolpo, finchè nel gennaio '25 Mussolini annuncia provvedimenti repressivi contro i partiti d'opposizione e chiude definitivamente la strada a qualsiasi forma di opposizione nel Paese.
Nel gennaio '26, al III Congresso del Pci clandestino, a Lione, vengono sanzionate le posizioni del Comintern, con l'estromissione dei bordighiani, dalla direzione del partito e il riconoscimento della leadership di Gramsci e di Togliatti, la cui politica sarà sempre coerente con le direttive del Pcus. Dopo il Congresso di Lione i dirigenti del Pci saranno falcidiati dalla repressione fascista; dell'esecutivo, osserva Spriano, solo "Camilla Ravera, Grieco, Togliatti e Ravazzoli sfuggiranno all'estero, mentre Gramsci, Scoccimarro e Terracini saranno condannati a una ventina d'anni di carcere ciascuno". Togliatti, nel febbraio del '26, viene inviato a Mosca, come rappresentante del Pci presso l'Internazionale. Il 1926 si rivela un anno importante per il comunismo internazionale, Stalin riesce infatti ad avere il sopravvento su Trotzkij, Zinoviev e Kamenev; la presenza a Mosca di Togliatti, il suo legame con Bucharin e il suo favore alle tesi di Stalin saranno una condizione favorevole alla crescita della sua autorità nell'ambito dell'Internazionale. Gramsci, intanto, avverte, sia la pericolosità del metodo della criminalizzazione degli avversari politici, avviato da Stalin, che l'inflenza negativa che le lotte fratricide all'interno del Pcus hanno per i "partiti fratelli"; scrive ai compagni del Pcus, a proposito della dialettica con l'opposizione "... l'unità e la disciplina ... non possono essere meccaniche e coatte; devono essere leali e di convinzione"; ma Togliatti, a Mosca, nasconde al Comitato centrale del Pcus la posizione di Gramsci e invia al segretario del Pci e ai compagni italiani una lettera durissima, nella quale li accusa di miopia, sottolineando che la posizione della maggioranza del Pcus andava considerata un bene comune, inattacabile alle critiche o ai richiami.
Nel '27 Togliatti, assume la successione a Gramsci, lascia a Tasca l'incarico di rappresentare il Pci presso l'Internazionale, si sposta a Parigi, dove si è insediata la base principale del Centro estero del Pci (vi passeranno, tra gli altri, Ruggero Grieco, Giuseppe Berti, Eugenio Reale, Celeste Negarville, Francesco Scotti, Mario Montagnana, Agostino Novella) e, con Grieco, vi coordina l'attività del partito. A Parigi Togliatti resta comunque sempre allineato con le direttive del Comintern, anche quando sposa la tesi staliniana dell'eguaglianza tra fascismo e socialdemocrazia e abbandona, opportunisticamente, le posizioni di Bucharin. Togliatti, alleandosi con Pietro Secchia e Luigi Longo, si dissocia ufficialmente dalla posizione non allineata con Stalin, assunta da Tasca, a Mosca, e avvia la stagione del "legame di ferro" con il Pcus e dell'espulsione dei compagni che non approvano la linea del partito. Vengono espulsi, tra insulti e calunnie, Leonetti, Tresso, Ravazzoli, Recchia e Silone.
Durante il regime fascista il Pci riesce quindi a sopravvivere e, in un certo modo a formarsi, grazie al Centro estero di Parigi e al Centro ideologico di Mosca. Tra i due Centri i rapporti sono spesso contraddistinti da attriti, specie nell'interpretazione delle direttive di Mosca. Gramsci, pur segregato e malato, nella casa penale di Turi, ove morirà il 27 aprile '37, resta, per molti, il faro ideologico. Egli era stato uno dei pochi che aveva saputo cogliere subito la gravità del pericolo fascista ed era stato fautore del dialogo con le altre forze politiche per la difesa della democrazia. Il Pci può anche contare sull'organizzazione clandestina interna, che è stata però assottigliata e scompaginata dall'azione degli infiltrati dell'Ovra, e sul gruppo degli intellettuali romani, molti di estrazione crociana, raccolti attorno a Lucio Lombardo Radice, Giorgio e Antonio Amendola, Aldo Natoli, Bruno Sanguinetti, Pietro Ingrao, Paolo Bufalini, Mario Alicata. Il partito fatica a darsi un'organizzazione clandestina interna; osserva Bertelli, "La vita media di un funzionario di partito in Italia era di diciassette giorni", tra coloro che venivano inviati dal Centro estero in Italia "c'era chi veniva arrestato subito, alla frontiera e chi, riuscito a passare, cadeva nelle mani della polizia dopo i primi contatti". Un altro importante gruppo è quello dei confinati di Ventotene (vi passeranno Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Girolamo Li Causi, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo), che dal confino riesce a mantenere i contatti con il mondo operaio.
A Milano, nel '34 viene costituito il Centro interno socialista, con vecchi organizzatori e nuove leve, come Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Lucio Luzzato e con l'obiettivo di riportare, sia pure clandestinamente, in Italia il baricentro dell'attività dei socialisti, che era stata spostata all'estero; il Centro aveva in Giuseppe Faravelli, rifugiato a Lugano, il punto di riferimento per l'introduzione in Italia della stampa clandestina. Il 1934 vede anche il ritorno di Togliatti in Russia per un periodo, che, tolta la parentesi della guerra di Spagna, dove porterà la propria consulenza al Partito comunista spagnolo, si protrarrà per dieci anni. Probabilmente è lo stesso Stalin che lo vuole a Mosca; infatti, con Hitler al potere, non è più il tempo degli slogan fascismo uguale socialdemocrazia, ma è necessaria una svolta, una politica di accordo tra le forze antifasciste e sono necessarie persone dotate di sufficiente flessibilità. E' in questi dieci anni che Togliatti, come segretario del Comintern, diventa uno degli uomini più influenti dell'Internazionale ed è in questo periodo che egli stabilisce quel legame di ferro con la Russia di Stalin, che caratterizzerà tutta la sua azione politica. Il 1935, se segna, con il VII Congresso dell'Internazionale, la svolta verso una politica di alleanze con le altre forze antifasciste, in particolare con i socialisti; anche all'interno della II Internazionale, quella socialista, nonostante sia forte l'avvesità nei confronti dei comunisti, si alzano molte voci a favore di esperienze di fronte popolare, che si esprimono sopratutto con i successi alle elezioni politiche del febbraio '36 in Spagna e dell'aprile-maggio '36 in Francia. Anche i dirigenti del Psi, esiliati da anni a Parigi, Nenni, Modigliani, Buozzi, Saragat, si esprimono, all'interno della II Internazionale, a favore di un'unità d'azione con i comunisti. D'altra parte, già dall'agosto del '34 era stato firmato un patto d'unità d'azione tra Pci e Psi; nel luglio del '30, grazie all'azione di Nenni e di Saragat, i massimalisti del Psi e gli unitari del Psli, dopo lo scioglimento dei partiti d'opposizione, si erano riuniti, nel Psi clandestino.
Il 1935 è anche l'anno in cui la Russia entra nel tunnel della repressione degli oppositori, veri o falsi. Gran parte dei membri del Comitato centrale del Pcus, della vecchia guardia bolscevica, vengono liquidati dopo sommari processi intentati dal grande inquisitore Vyscinskij; circa venti milioni di russi, senza distinzione di classe o di grado vengono arrestati, chiusi nei campi o giustiziati, come migliaia di comunisti stranieri. Anche più di cento comunisti italiani verranno uccisi o finiranno i loro giorni nelle prigioni di Stalin. Togliatti non deve né vedere né sentire la loro sofferenza, infatti il Comintern gli ha affidato il compito della campagna propagandistica, volta a dimostrare la necessità dei processi; è difficile credere che il capo del Pci non fosse a conoscenza della violenza fisica e morale che veniva inferta agli accusati per estorcere loro false confessioni e delazioni.
Del 1936 è il manifesto del Pci "Per la salvezza dell'Italia, riconciliazione del popolo italiano", stampato a Parigi e firmato dai principali leader del partito. Il manifesto non attacca Mussolini e non presenta alcuna connotazione antifascista, anzi esso si rivolge anche "ai fratelli in camicia nera", vengono individuati, invece, in una ventina dei nomi più rappresentativi del capitalismo (Volpi, Motta, Agnelli, Donegani, Pirelli, Morpurgo, Cini, Borletti, ecc) e della nobiltà (Doria, Torlonia, Borghese, Ruffo, Pallavicino, Visconti, ecc), i veri nemici del popolo. Questi opererebbero per mettere l'un contro l'altro fascisti e antifascisti, per sfruttare la maggiore libertàSpriano, derivante dal contrasto tra partiti popolari. Nel settembre del '36 il Comitato Centrale del Pci approva la linea, proposta da Montagnana, secondo la quale obiettivo del partito deve essere quello della rivendicazione di maggiori libertà all'interno del regime fascista, ma in un rapporto di riconciliazione e di fraternizzazione. Il Centro estero comunista decide anche l'apertura verso i cattolici, valorizzando l'enciclica Quadragesimo anno, che condanna la concentrazione del potere in mano di pochi, ed esprime un riconoscimento dei valori della cultura borghese.
La svolta politica, che doveva essere necessariamente appoggiata da Togliatti, è sostenuta principalmente dal Centro estero, ma la guerra civile spagnola, che vede il coinvolgimento di Italia e Russia, contrapposte nel conflitto, chiude il capitolo della conciliazione; da Mosca giungono, dopo pochi mesi, correzioni di linea e infine il giudizio negativo alla svolta e Grieco è costretto all'autocritica. Nel '38, dopo l'arresto e la condanna di Morandi e Luzzato, la direzione del Centro interno del Psi è assunta da Eugenio Colorni, che viene anch'egli arrestato, nello stesso anno. I successivi arresti di Eugenio Curiel e Antonio Greppi portano, ancora, alla scomparsa del Centro interno socialista. La firma del patto Ribbentrop-Molotov, nell'agosto del '39, definito dalla propaganda comunista, in termini di Realpolitik, come un passo della lotta contro i governi reazionari e imperialisti, segna, secondo i resoconti della stessa polizia fascista, una sospensione dell'attività antifascista da parte del Pci, che riprende al momento dell'aggressione dell'Urss da parte della Germania. Nell'esilio di Ventotene, Umberto Terracini, rimasto dopo la morte di Gramsci a rappresentare l'anima liberale del Pci, critica l'accordo tra nazisti e sovietici, e il triumvirato Longo, Scoccimarro, Secchia, ne decreta l'espulsione, liberandosi di una voce scomoda. Anche Leo Valiani, in occasione dell'accordo russo-tedesco, decide di uscire dal Pci, mentre il gruppo romano è disorientato e lacerato, tra favorevoli e contrari.
Il 10 gennaio '43, a Milano, su iniziativa di Lelio Basso, Domenico Viotto e Corrado Bonfantini, si procede alla ricostituzione di un partito socialista; per mantenere aperte possibili trasformazioni il partito viene chiamato Movimento di Unità Proletaria. Nei mesi successivi il Mup e il Psi, nel frattempo ricostituitosi, si fondono nel Partito socialista di unità proletaria (Psiup). Improvvisamente, il 15 maggio del '43, il Comintern viene sciolto, Stalin probabilmente accoglie le sollecitazioni di Roosevelt, che avrebbe chiesto lo scioglimento del Centro ispiratore della rivoluzione mondiale, in cambio dell'apertura di un secondo fronte in Europa, in modo da alleggerire la pressione tedesca sulla Russia. Il documento, che segna l'atto di morte della Terza internazionale finisce affermando la necessità che i comunisti "concentrino le loro forze nell'appoggio completo e nell'attiva partecipazione alla guerra di liberazione dei popoli...". Osserva Spriano che lo scioglimento del Comintern non significa però che il Pcus rinunci al suo ruolo di partito guida; lo si vedrà nel '47, quando Stalin creerà il Cominform, un'organizzazione internazionale ancora più subordinata a lui.
Nel novembre '43, a Mosca, davanti a tutta la nomenklatura comunista, Togliatti traccia le linee della strategia del Pci, nell'Italia liberata; l'asse della politica italiana, egli afferma, dovrà basarsi sull'unità e sulla collaborazione di tutte le forze democratiche popolari e lo strumento dovrà essere l'Assemblea costituente, quel progetto sul quale, dalla prigione, si era battuto Gramsci, e per il quale il fondatore del Pci aveva avuto l'ostracismo del Centro di Mosca. Nel gennaio la Russia facilita il ritorno di Togliatti in Italia, accettando la proposta del governo Badoglio di uno scambio di rappresentanze diplomatiche. In aereo da Mosca ad Algeri e sulla nave da carico inglese Tuscania, il capo del Pci fa ritorno in Italia e pone fine alla lotta per la leadership nel Pci, tra gli ex-confinati, che hanno una posizione irriducibilmente anti-monarchica, il Centro estero, che afferma di rappresentare la continuità, il Centro ideologico, ligio ai disegni di Stalin e l'istanza rivoluzionaria dei "milanesi", espressa dai compagni con la C maiuscola, quelli della vecchia guardia, che hanno il controllo delle fabbriche, che guidano la lotta partigiana, che non approvano la tendenza all'intrigo politico dei "romani".
2.3.2 I cattolici
I cattolici operano, durante il ventennio, attraverso i più importanti esponenti in esilio, come don Luigi Sturzo e Giuseppe Donati; all'interno sono attivi ex-popolari, come, Gronchi, Achille Grandi, Alcide De Gasperi, l'ultimo segretario del partito popolare, Guido Gonella, nonchè il movimento dei neo-guelfi. La Democrazia cristiana assume i contorni di soggetto politico, solo nel '42, quando, sotto la leadership di De Gasperi, e con il sostegno dell'industriale Enrico Falck, iniziano a incontrarsi esponenti milanesi del Movimento guelfo d'azione (lo stesso Falck, Pietro Malvestiti, Achille Marazza, Edoardo Clerici), che vantano un attivo antifascismo, e alcuni ex-dirigenti del Partito popolare (Achille Grandi, Giovanni Gronchi, Giuseppe Spataro, Umberto Tupini). Nel settembre '42 in casa del magnate dell'acciaio, dodici rappresentanti dei due gruppi fondano la Dc. Il gennaio '43 segna l'avvicinamento al partito dei vertici dell'Azione cattolica, che conta oltre 2.500.000 di iscritti, e di alcuni intellettuali vicini al Vaticano, ma il processo di formazione è molto lento e non coinvolge le masse; questa constatazione non preoccupa la leadership - nelle mani di De Gasperi, Mario Scelba, Gronchi e Grandi - che pensa di poter contare sull'elettorato cattolico. La prima uscita ufficiale del partito avviene il 3 agosto '43, quando, De Gasperi per la Dc, con Buozzi per il Psi, Amendola per il Pci, Salvatorelli per il Pd'a, Ruini per la Democrazia del lavoro e Bonomi, presentano al governo militare di Badoglio una richiesta per la cessazionze della guerra. Nella Curia si sviluppa un dibattito tra coloro che ritengono più proficua la presenza dei cattolici in più partiti e quanti propugnano l'impegno in un unico partito. Pio XII, segue i consigli di Giovanni Battista Montini, che suggerisce di appoggiare De Gasperi e la sua Dc; costoro, infatti, hanno maturato una capacità di dialogo con le sinistre, sono aperti ai ceti moderati e sono presenti nella Resistenza, condizioni, che appaiono, all'abile Segretario di Stato, essenziali per far sì che i cattolici possano partecipare da protagonisti ai governi post-fascisti. Conseguentemente, nell'estate del '44, dopo la liberazione di Roma, il pontefice, avendo recuperato la sua completa libertà d'azione, decide che Azione cattolica, gerarchia e clero appoggino la Dc, che, da questo momento, diventa un vero partito di massa. Il partito può contare sulla convergenza di due componenti: il popolarismo cattolico e il moderatismo borghese. Osserva Giorgio Galli "A Roma nell'estate '44, e non a Milano nell'autunno '42, nasce la Dc che conosciamo". Nell'agosto '44, Enrico Mattei viene nominato rappresentante della Dc nel comando generale del Corpo volontari della libertà; il suo compito è quello di colmare il vuoto esistente tra Resistenza e partito e di cercare di trasferire sotto le bandiere della Dc le formazioni non controllate dalla sinistra. La presenza della Dc nella lotta armata risulterà modesta e tardiva, rispetto a quella di altre forze politiche, ma Mattei potrà vantare di aver dato alla Dc un volto resistenziale. Questo volto si rivela importante nel momento in cui soffierà il vento del Nord e su questa constatazione Mattei costruirà la sua rapida ascesa. A metà del '45 entra nel partito il gruppo dei dossettiani, costituito da Giuseppe Dossetti, docente di diritto ecclesiastico a Modena, che verrà nominato vice-segretario, Amintore Fanfani, ordinario di storia economica a Milano, l'uomo di governo del gruppo, Giorgio La Pira, titolare di diritto romano a Firenze, Giuseppe Lazzati, studioso di cultura cristiana antica alla Cattolica. Per i cosiddetti professorini, il modello economico-politico è quello laburista, ispirato da un'etica trascendentale, secondo la quale le strutture di una società civile dovrebbero esprimere i valori del cristianesimo. Essi propugnano la necessità di un completamento della "rivoluzione democratica", avviata con la Resistenza, da perseguire con comunisti e socialisti ed esprimono ostilità sia verso il blocco centrista degli ex-popolari sia nei confronti del Patto atlantico. La loro filosofia politica, illustrata sulla rivista Cronache sociali, sarà il cavallo di Troia per introdurre nel partito il pensiero economico keynesiano e il new-deal roosveltiano. Nel '51 Dossetti lascierà la politica, perché convinto che la sua linea politica era troppo astratta e che "per rifare l'Italia bisognava partire prima dal riformare la Chiesa", e si ritirerà in convento. In quel momento la corrente si scioglie, e l'eredità, che essa lascia al partito non saranno l'atteggiamento etico e il sincero riformismo, ma il principio dell'utilizzo della spesa pubblica per la soluzione di ogni problema economico e occupazionale. Il modello keynesiano avrà credito in molti paesi europei, alle prese con i gravi problemi della ricostruzione, ma, mentre per la maggior parte di essi, sarà uno strumento volto a realizzare servizi pubblici degni di una politica del welfare state, in Italia esso diventerà lo strumento per aprire le casse dello Stato a ogni pretesa e arbitrio, o in nome dell'operaismo, o in quello della carità cristiana.
Dopo la svolta di Salerno il contrasto tra le "due Italie" comuniste si acuirà; il Nord segue la parola d'ordine coniata da Leone Ginzburg "Tutto il potere ai Cln", ed è legato al concetto di "democrazia progressiva", auspicato da Eugenio Curiel, mentre il Centro-Sud è saldamente nelle mani del tatticismo togliattiano. I comunisti italiani fanno di tutto per non fare emergere i contrasti interni, ma è ovvio che la contrapposizione tra le due anime, quella legalitaria e quella rivoluzionaria, paralizza l'attività del partito.
2.3.3 Gli azionisti
La Malfa, Adolfo Tino, Parri, Vittorio Albasini Scrosati, valutano necessario creare, nel solco della tradizione crociana e amendoliana, e poi gobettiana e rosselliana un gruppo d'opinione in grado di avviare un progetto di riforma profonda dello stato: da queste premesse nasce il Partito d'Azione. La riunione costitutiva del partito si tiene a Milano, nel maggio del 1942, con La Malfa, Scrosati, Tino, Riccardo Lombardi, Mario Vinciguerra, Foà e altri. Il programma del partito verrà pubblicato nel gennaio del '43, e risulta articolato nei seguenti sette punti: la repubblica, le autonomie comunali, la nazionalizzazione dei grandi gruppi, la riforma agraria, la partecipazione del sindacato al processo produttivo, la libertà religiosa, la federazione europea. Confluiscono nel partito membri di Giustizia e Libertà (Vittorio Foa, Aldo Garosci, Ugo La Malfa, Carlo Levi, Ferruccio Parri, Alberto Tarchiani, Franco Venturi), i liberal-socialisti (Guido Calogero, Tristano Codignola), l'Unione amendoliana e altri, (Piero Calamandrei, Francesco De Martino, Massimo Mila, Oronzo Reale, Luigi Salvatorelli, Altiero Spinelli, Adolfo Tino). Il Pd'a, già con il suo atto di nascita sottoscrive però l'atto di morte, poiché i fondatori non sono apparentati, né da affinità ideologiche, né da indirizzi politici. Il programma dei giellisti prevede l'esproprio e lo slogan "la terra ai contadini", la nazionalizzazione dei monopoli e delle banche, i consigli di fabbrica e un periodo di transizione alla democrazia gestito da "comitati rivoluzionari"; i liberal-socialisti sono vicini a Giustizia e libertà su nazionalizzazioni ed espropri, ma propongono, per la gestione del transitorio, una Corte costituzionale, la destra di La Malfa considera queste idee come "eresie socialiste"; tra i giellisti la componente dei "liberali" (Alberto Tarchiani, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Alberto Cianca) è critica nei confronti di Emilio Lussu, che, dopo l'assasinio di Rosselli, ha assunto la guida del movimento, che vuole pilotare verso il "partito unico del proletariato". Il Pd'a si dichiara, anche, favorevole a una Repubblica presidenziale di tipo statunitense, come forma istituzionale in grado di ridurre il rischio dei governi deboli, già responsabili dell'ascesa al potere del fascismo, ma il progetto non viene preso in considerazione da nessun'altro partito. Il collante, che terrà uniti gli azionisti fino alla liberazione, sarà la volontà di organizzare l'antifascismo democratico e laico, non comunista e non cattolico.
Nel novembre '44 il Pd'a trasmette un documento nel quale si afferma che per realizzare in Italia la democrazia sarà necessario partire dai Cln, trasformando in organi di governo gli organi della guerra di Resistenza, e attuando un processo di trasferimento dei poteri dal Cln centrale agli organi periferici, onde attuare ampie autonome regionali e provinciali. La risposta degli altri partiti è negativa, specie perché la proposta degli azionisti prevede un superamento della democrazia parlamentare e della dialettica tra i vari partiti; da quasto momento si avvia l'isolamento del partito e il suo veloce declino.
Leo Valiani, segretario dal 1944 all'aprile '45, affermerà di avere teorizzato la necessità, ma anche la transitorietà del partito d'azione. Al Congresso di Roma del '46, prevarrà la linea filo-socialista di Lussu-De Martino, ma l'effetto sarà la scissione e lo scioglimento. Alle prime elezioni gli azionisti, che erano stati una delle colonne della lotta partigiana scompariranno, i socialisti che vi avevano avuto un ruolo insignificante e la cui tattica era stata quella dell'attesismo, saranno invece il primo partito della sinistra.
Il primo incontro ufficiale tra rappresentanti dei partiti antifascisti avviene a Milano il 24 giugno '43, nella sede della casa editrice Principato; partecipano: Riccardi Lombardi per il Pd'A, Roberto Veratti per il Psi, Concetto Marchesi per il Pci, Giovanni Gronchi per la Dc, Alessandro Casati per il Pli. Il secondo incontro avviene in casa di Alberto Mario Rollier, il 4 luglio e vengono tracciate le linee di un programma unitario. A Milano erano intanto affluiti i comunisti Amendola, Negarville e Novella, da Marsiglia, e Roveda. Il 26 luglio, con la terza riunione, nello studio di Adolfo Tino, viene concordato un manifesto che, di fatto, dà l'avvio al Movimento di liberazione nazionale, che pone le premesse per la costituzione del Comitato di liberazione Nazionale; il manifesto è firmato da Tommaso Gallarati Scotti per il Pli, Giorgio Amendola per il Pci, Riccardo Lombardi per il Pd'A, Lelio Basso per il Mup, Antonio Greppi per il Psi, Malvestiti e Clerici per la Dc.

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11 gennaio 2017

 


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