Italia: vizi e virtù. Nascita delle regioni e approvazione della legge sul divorzio


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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9. Nascita delle Regioni e approvazione della legge sul divorzio
Il governo Rumor traballa sotto i colpi degli scioperi, delle attività destabilizzanti dei servizi, degli incidenti che si succedono durante le manifestazioni , cosicché, il 7 febbraio 1970, si apre la crisi, che teoricamente dovrebbe risolversi con la costituzione di un "governo d'ordine"; la Dc cerca di ricostituire, rapidamente, un governo di centro sinistra che utilizzi lo Psi come elemento di stabilizzazione, nonostante le aspre accuse che si rivolgono i due partiti socialisti. La soluzione della crisi viene trovata mel marzo 1970 con il terzo governo Rumor (Dc, Psi, Psu, Pri; 27/3/70-12/8/70) e con la compattazione del centro-sinistra attorno al "preambolo Forlani", che prevede, dove possibile, amministrazioni locali di centro-sinistra, pur essendo lasciata allo Psi libertà di decisione.
Nella primavera del 1970 vengono istituite le regioni; la resistenza della borghesia capitalista alla realizzazione di questo dettato costituzionale mostra che l'organizzazione statuale fortemente centralizzata era funzionale ai modelli monopolistici del capitalismo italiano e all'egemonia del Nord. L'ostilità dell'establishment economico, dei partiti e della burocrazia centrale fa nascere giganti burocratici privi di reali poteri. Quello che avrebbe dovuto essere una fluidificazione della pubblica amministrazione si trasformò in un'idra famelica.
In Calabria scoppia la “Rivolta di Reggio” contro la decisione della scelta di Catanzaro come capoluogo di Regione. Inizialmente il malcontento fù trasversale a livello politico, ma in una seconda fase i movimenti di destra, e, in particolare, il Movimento Sociale Italiano, assunsero un ruolo di primo piano. Ciccio Franco, esponente missino, si appropriò del «boia chi molla!» di dannunziana memoria e ne fece lo slogan per cavalcare la protesta dei reggini indirizzandola in senso antistatale e neofascista. Veri motori organizzativi e politici della protesta furono il Comitato D'Azione (che reperiva i finanziamenti per le azioni terroristiche) e il Comitato unitario per Reggio capoluogo (guidato dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e da altri esponenti democristiani e missini). È importante inquadrare la “rivolta di Reggio” all'interno dei rapporti di forza esistenti all’epoca dei fatti. Per la Calabria i parlamentari capaci di esercitare un peso rilevante in sede di Governo centrale erano: Giacomo Mancini (socialista) ex-ministro e segretario del partito socialista e Riccardo Misasi, democristiano, ministro della pubblica istruzione. Entrambi erano di Cosenza. A Catanzaro c'era Antoniozzi della Dc. Reggio era rappresentata in parlamento, da Sebastiano Vincelli, della Dc, oggi diremmo un "peone", di peso politico inferiore a Mancini, Misasi e Antoniozzi. Era quindi evidente che, nella scelta della sede del capoluogo di regione - scelta che avvenne a Roma, in sede di governo nazionale - la voce di Cosenza e Catanzaro fosse più forte e indubbiamente più ascoltata.
I fatti avrebbero reso visibile a tutti la logica delle scelte. 1) La prestigiosa Università della Calabria a Cosenza. 2) La sede del capoluogo di regione a Catanzaro. 3) A Reggio sia la sede del Consiglio Regionale, sia lo specchietto per le allodole dell’industria di stato: il quinto centro siderurgico da costruire a Gioia Tauro.
Nel mercato europeo e mondiale dell'acciaio non c'era spazio per un altro stabilimento (in Italia c'erano già - e sarebbero stati chiusi o venduti ai privati - Genova, Terni, Napoli e Taranto ) e la Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche, per la sintesi delle "proteine dal petrolio". Quest'ultima venne costruita non produsse mai un grammo di proteine ed entrò a far parte dell'affaire "Rovelli ed Imi-Sir". Il governo, presieduto da Emilio Colombo, negò qualunque negoziazione con i rappresentanti della protesta (in alcuni casi collusi con la 'ndrangheta), e, oltre a provvedere all'invio di contingenti militari, iniziò una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta. I mezzi di comunicazione, infatti, dopo un iniziale interessamento, limitarono notevolmente la cronaca sui fatti di Reggio; la rivolta, del resto, assunse subito caratteri violenti, con la strage di Gioia Tauro.
Il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fece deragliare il "Treno del Sole", Palermo-Torino, provocando 6 morti e 54 feriti, a dimostrazione della deriva terrorista che aveva assunto la rivolta. Il 26 settembre cinque anarchici morirono in un misterioso incidente stradale mentre si recavano a Roma a consegnare materiale di denuncia, mai ritrovato. Di conseguenza per mesi la città fu barricata, spesso isolata, paralizzata dagli scioperi e devastata dagli scontri con la polizia e dagli attentati dinamitardi. Vennero interrotte le comunicazioni ferroviarie arrivando fino alla distruzione delle apparecchiature della stazione di Reggio Calabria Lido. Alla fine della rivolta si contarono sei morti, e migliaia di denunce: agli atti del Ministero degli interni, risultarono, tra il 20 luglio 1970 e il 21 ottobre 1972, ben 44 gravi episodi dinamitardi, di cui 24 a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie. La rivolta si concluse solo dopo 10 mesi di assedio con l'inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse anche a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto "Pacchetto Colombo") che portarono a un’insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio.
Le prime elezioni regionali del 7 giugno 1970 evidenziano l'arresto dello spostamento a sinistra, rispetto alle politiche di due anni prima; i risultati di queste elezioni, la riduzione della tensione nelle fabbriche, dopo la stipulazione dei grandi contratti nazionali, la ripresa produttiva, non sono elementi sufficienti per una più duratura stabilizzazione politica. Il centro-sinistra non esce dal suo stato di coma, neanche con il governo di Emilio Colombo dell’agosto 1970 (Dc, Psi, Psu, Pri; 12/8/70-17/2/72); i continui cambiamenti di governo sembra che abbiano l'unico scopo di far "ruotare le poltrone".
Il primo dicembre 1970, grazie alle doti di mediazione di Moro e all'esistenza di un partito trasversale "divorzista", viene approvata la legge Fortuna-Baslini sul piccolo divorzio; la conferenza episcopale italiana protesta per un'inverosimile rottura unilaterale della disciplina del concordato, i cattolici integralisti partono al contrattacco e costituiscono un comitato, sotto la presidenza di Gabrio Lombardi, che raccoglie le firme per un referendum abrogativo. Negli anni '73-'74 Fanfani cavalca il cavallo dell'abrogazione, ma i risultati del referendum, del 12 maggio '74, saranno una sorpresa per tutti: il 59% degli elettori si dichiarerà contrario all'abrogazione, nonostante la campagna a favore, condotta dalla Chiesa e la tiepidezza del Pci. Solo i radicali guidati da Pannella, i liberali e i socialisti si sobbarcheranno l'onere della battaglia per il no.
Nel 1971, il presidente dell'Eni, Eugenio Cefis (Galli, 1996), che aveva stretto con Fanfani un patto di ferro, diventa presidente della Montedison, coronando con successo il rastrellamento di azioni dell'azienda chimica privata, realizzato grazie ai cospicui fondi di dotazione concessi all'Eni dal governo. L'operazione nasce dall'accordo tra Cefis, Carli (governatore della Banca d'Italia) e Cuccia, preoccupato della perdurante crisi di Montedison e desideroso di vedere alla testa del colosso di Foro Buonaparte un personaggio in grado di realizzare l'obiettivo di creare in Italia un forte polo chimico.

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Eugenio Caruso - 28 agosto 2018



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