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L'imprenditore che č in ciascuno di noi.

Con piacere ho saputo che vivi con gli schiavi in rapporti di familiarità: è un atteggiamento che si addice alla tua sensibilità, alla tua cultura. "Sono schiavi". Sì, ma sono esseri umani. "Sono schiavi". Sì, ma anche umili amici. "Sono schiavi". Sì, ma compagni sotto lo stesso tetto. "Sono schiavi". Sì, ma condividono con te la schiavitù, se consideri che la Fortuna esercita eguali diritti su di te, e su di loro.

Seneca Lettere morali a Lucilio


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Introduzione

C’era una volta,
un paese, di nome Dovizia, immerso in una verdeggiante e tranquilla pianura, i cui abitanti erano  persone ricche e stanche della vita frenetica della vicina città di Cresopoli.
Dovizia fu costruita dai magnati delle industrie di Cresopoli, allo scopo di creare una zona residenziale di esclusivo appannaggio del ceto abbiente.
In origine quelle terre erano popolate da agricoltori e allevatori, che accettarono di alienare i propri poderi in virtù dell'ingente quantitativo di denaro offerto; ma la famiglia contadina degli Ostet si rifiutò.
L’ingegner dott. Onorato Sfarzotto, incaricato dell’esecuzione del progetto edile, fu costretto ad inserire nel piano regolatore della città anche la cascina degli Ostet che, sebbene fosse distante dal centro dell'opulenza, rappresentava, peraltro, una nota di discontinuità per l’intera comunità.
Gli Ostet, terminati i lavori di edificazione, si resero conto che la loro reggia, composta da due stanze, bagno, cucina soggiorno, pollaio e orto,  altro non era che una baracca paragonata alle altre “dimore”. La vecchia latteria, l’antica drogheria, il mulino e tutte le altre botteghe erano state sostituite da un solo grande negozio, dal supermercato.
E la vecchia Osteria Del Gatto? Era diventata il Cat Pub.
I coniugi Ostet incontrarono gli occhioni celesti di Midar, il loro bimbo di soli  due anni, poi, posarono la sguardo sul ventre gravido di mamma Ostet e, successivamente, osservarono Dovizia e videro realmente i cambiamenti.
Sfortunatamente, seguirono tre mesi di caldo torrido e di siccità  che distrussero le colture e Natale Ostet capì di dover partire in cerca di un lavoro.
Demetra Ostet da lì a poco avrebbe dato alla luce due gemelli e Midar  stava crescendo.
La preoccupazione più grande della donna era quella di garantire almeno due pasti al giorno per se e per suo figlio, ma c’era anche Ares, un meticcio di pastore tedesco con la coda a ricciolino che si era  fatto adottare, e da allora i sacrifici erano aumentati.
Lei non avrebbe mai potuto abbandonare il cane, poiché viveva in simbiosi con il figlio; infatti, Midar era solito dividere il cibo con il pulcioso Ares, che grato aiutava il piccolo a muovere i primi passi. Fu così che Midar imparò a camminare.
Una mattina Demetra guardò fuori dalla finestra e si accorse che Midar camminava, gli andò incontro e stringendolo tra le braccia gli disse:
«Piccolo mio sono fiera di te, la mamma ti ama e tra poco nasceranno dei fratellini, tu dovrai aiutarmi a insegnare loro tante cose: tu sei il maggiore».
Midar allora era troppo piccolo per comprendere le parole della madre, ma quando nacquero le due gemelle, le pestifere, Athena e Aida, quelle parole risuonavano, ogni giorno, nella sua mente e capì che essere il maggiore comportava delle responsabilità, e si sentì fregato.

Midar compie quattro anni

Una calda mattina di fine agosto, Demetra, tornata a casa affranta per i pochi soldi ricavati dalla vendita di un vecchio cimelio di famiglia, mise le bimbe nel box e chiese a Midar di curarle affinché potesse sbrigare la corrispondenza.
Demetra si sedette al tavolo e si guardò intorno mettendosi le mani nei capelli, il caos regnava nella sua cucina-salotto-soggiorno-ludoteca, poi pensò che i doviziani l’avrebbero definito un open space vissuto, e, rincuorata, spostò l’attenzione  sulle bollette in scadenza. Le sue preoccupazioni furono, presto, interrotte da un pianto infantile. Demetra corse nella cameretta dei bimbi e vide Aida affranta in un pianto da soprano, Athena in procinto di esibire i suoi famosi acuti  e  Midar intento ad insegnare ad Ares a parlare.
«Midar» chiese la mamma «tu sciacqua la tettarella di Athena che è caduta per terra, e io faccio mangiare le tue sorelline!». 
Midar obbedì, ma tra sé pensò alle richieste incessanti della madre «Midar fai la spesa, Midar vai nel pollaio, Midar, Midar, Midar, sempre Midar». Ma lui non era una donna come Cenerentola, riflettè, forse poteva essere il principe azzurro.

Ogni sera mamma Demetra raccontava quella favola, principalmente alle femmine, lui era rassegnato all’ascolto e, già a quattro anni, si era reso conto che avrebbe dovuto assecondare le donne, specie se in gruppo, e lui disarmato.
Ma il principe azzurro era un principe che aiuta una ragazza povera, e lei diventa ricca.
Come avrà fatto il principe a diventar ricco?  Questo quesito fece galoppare la fantasia di Midar e ad alta voce pianificò: «Se fossi il principe azzurro aiuterei la mia famiglia, papà tornerebbe a casa e io avrei un alleato, poi mi sposo Cenerentola, mamma dice che è bella, però, possibilmente senza sorelle: una donna basta e avanza».
«Galletto azzurro»  ammonì ironica Demetra  «le starnazzanti sono nell’aia e hanno fame. Vai! E ricordati, quando le tue sorelline cresceranno, ti daranno una mano con le galline e ti saranno molto utili!». Mesto, corse via polemizzando all’indirizzo della madre: «Sì mamma, sarà questa l’utilità: le rinchiudo nel pollaio con la speranza che facciano qualche uovo, almeno mangio di più!».
Scese la notte di quella lunga giornata e il piccolo, guardando la luna fuori dalla finestra, pensò al papà e a Cenerentola, quest’ultima da lì a poco avrebbe perso la scarpetta e i suoi sogni sarebbero stati spazzati via. Midar aveva un sogno: essere un principe azzurro, ma non avrebbe permesso che il sogno venisse spazzato via.
Midar aveva ora una missione da realizzare: diventare ricco per aiutare la famiglia.

Midar compie cinque anni. I primi passi verso la realizzazione del suo sogno.

Trascorse poco più di un anno e i problemi della famiglia Ostet stavano aumentando. Natale Ostet aveva trovato un lavoro diurno in una macelleria indiana, dal lunedi al sabato, e la notte e la domenica lavorava al macello di Cresopoli, pertanto non poteva tornare dai suoi, nemmeno durante il week end.
Demetra, invece, non potendo lasciare i bambini a casa da soli, stirava i vestiti per le signore di Dovizia.
Una mattina di settembre, Demetra stava stirando distrattamente un fantastico vestito di chiffon, e si immaginò con indosso quel capolavoro di sartoria. Subito dopo lasciò il ferro da stiro prese l'abito e scomparve in camera da letto.
Le  gemelle erano in giardino a giocare con le spighe di grano e  stavano realizzando una complicatissima collana da donare alla mamma.
Quando finirono l’opera d’arte, entusiaste, corsero da Midar che, come abitudine, era nel pollaio a litigare con le galline.
«Galline! - tuonò perentorio il bambino - quante volte ve lo devo dire di fare almeno un uovo a testa!».
«Midar, Midar, guarda Midar». Midar associò quelle voci, simili a pigolii, alle starnazzanti e si voltò brusco: «Mamma aveva garantito che se foste cresciute sareste state di una qualche utilità, invece non fate uova, non fate latte, non fate niente a parte raccogliere le spighe … ma non per fare il pane, ma per fare cosa?!? Cos’avete in mano?».
Le gemelle aggredite, non avevano capito una parola e iniziarono a singhiozzare, fecero cader nel pollaio la collana di spighe, e, tra i pianti, si precipitarono a casa dalla mamma.
Midar, alla reazione delle sorelle, si pentì e le seguì. Nell’aprire la porta di casa, Midar rimase folgorato dalla bellezza della madre, avvolta in un bellissimo vestito a balze assomigliava a Cenerentola al ballo.
«Mamma», esclamò il bimbo «sei bellissima ». La mamma lusingata e triste asserì: «Grazie, ma non è mio. E non tentare di fare il ruffiano con me e chiedi scusa ad Athena e Aida, subito!».
Midar chiese scusa, si ritirò nel suo pollaio e, seduto accanto alle galline, pensava al modo con cui aveva trattato le sorelle; poi vide per terra quella specie di collana di spighe e le penne che avevano perso le galline, raccolse tutto e si mise a giocherellare.
Midar chiamò a gran voce le gemelle, che si precipitarono da lui guardandolo perplesse, ma  successivamente scoppiarono a ridere.
Il fratellino con la collana di spighe e le penne di gallina aveva costruito tre copricapo da pellerossa, e uno l’aveva già indossato.
Midar aveva le guance rigate di fango e saltellava canticchiando Aiabù - Aiabù, poi invitò le sorelle a unirsi al gioco.
Demetra andò nel pollaio per capire il perché di tanto schiamazzo, e si fece contagiare dal buonumore dei figli, erano davvero buffi agghindati a quel modo.
I tre pellerossa avevano notato l’arrivo della mamma e fecero i buffoni ancora di più, perchè era difficile vedere la madre sorridere, ma, in quel momento, pareva divertirsi molto.
Dopo cena Midar pensò di organizzare uno spettacolino di pellerossa per l’arrivo di papà, previsto per la settimana seguente.
Andò nel pollaio costringendo le sorelle a provare con lui la parte e sorridendo tra se nel vedere quanta somiglianza c’era tra le galline e le sorelle dal copricapo pennuto.
Più tardi nel suo lettino ricordò la madre, avvolta in quel bel vestito a balze, purtroppo non era suo; ma se fosse stato un principe azzurro avrebbe potuto comprarle 365 vestiti a balze, così la mamma sarebbe stata bella tutti i giorni.
Il desiderio di diventare ricco divenne ancora più forte, ma non aveva ancora capito cosa avrebbe dovuto fare.
Il mattino seguente Midar si svegliò con la chiara intenzione di organizzare un bello spettacolo per il papà, chiamò le sorelle e iniziarono a provare. La sera, travestiti da pellerossa, intrattennero la mamma, che dopo aver riso di gusto e apprezzato la fantasia dei figli, suggerì alcuni aggiustamenti e promise di preparare tre costumini da indiano.
Tutto questo fu ripetuto ogni giorno, per cinque giorni, dopodiché Midar decise di andare nella piazza di Dovizia a fare la prova generale, prima del debutto dell’indomani.
I fratelli Ostet, vestiti i costumi di scena, raggiunsero la piazza di Dovizia.
Questa non era molto grande, il manto stradale era costituito da sampietrini, la pianta aveva forma circolare, lungo la quale si alternavano  negozi e bar con verande e pergolati fioriti, ospitanti tavoli e sedie. Al centro della piazza era stata costruita un grande fontana, anch’essa a forma di cerchio, raggiungibile salendo cinque gradini alti e larghi.
Midar si guardò attorno individuando il palcoscenico, ovvero i gradini della fontana, e il pubblico, formato dai ricchi doviziani.
Questi erano seduti in quei bar proprio di fronte al palco, intenti a sorseggiare tè e facendo finta di conversare, in verità sembravano annoiati dalla perfezione e calma irreale del posto.
Lo show cominciò con le tipiche urla tribali e con la coreografia di ridicoli balletti, che catturarono subito l’attenzione dei presenti.
I doviziani erano divertiti, risero applaudendo spesso il terzetto pennuto.
Midar al grido Aiabù - Aiabù fece un inchino teatrale e così pure le sorelle, poi i bambini ringraziarono la folla che li derideva pur apprezzando lo spirito della scenetta.
Alcune signore distinte, di una certa età, si alzarono dalle sedie dei bar e donarono alcune monetine ai bambini, altre ancora, seguendo l’esempio delle prime, ma soprattutto non volendo essere da meno, diedero qualche moneta più pesante.
I tre fratellini erano contenti, non tanto per i soldi, quanto per l’esito positivo riscosso. Le gemelline diedero i soldi guadagnati al fratello, poi, insieme, tornarono a casa.
Midar era soddisfatto, poiché era certo che papà avrebbe apprezzato, e soprattutto aveva dei soldini. Capì di aver mosso il primo passo per diventare un principe azzurro. Quel pensiero e il debutto non lo fecero dormire tutta la notte.

Il sole era alto nel cielo di Dovizia, un'utilitaria di seconda mano stava percorrendo il sentiero che portava all’abitazione degli Ostet.
Natale Ostet era felicissimo, dopo mesi di separazione avrebbe potuto riabbracciare moglie e figli. Ares fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di Natale; abbaiando e scodinzolando, tentava di attirare l’attenzione. I suoi sforzi non furono vani, poiché tutta la famiglia corse fuori ad abbracciare l’amato.
Natale strinse, baciò, abbracciò tutti e, quando si scostò per prender fiato dall’assalto dei cari, si rese conto di aver di fronte una bellissima moglie e  tre pellerossa; divertito si fece trascinare dai figli nel pollaio.
Quel posto era stato adibito a teatro, Demetra annunciò al pubblico, formato da Natale, dai veri pennuti e da Ares, l’ingresso degli artisti che si esibirono per la gioia di entrambi i genitori.
Al tramonto Midar era soddisfatto, era bello avere papà a casa, la mamma felice e le starnazzanti fuori dai piedi.
Era bellissimo avere la sua famiglia unita, "doveva diventare un principe azzurro".
Quell’idea lo indusse a considerare che non era in possesso di un forziere nel quale accumulare e proteggere i soldini guadagnati e poter, un giorno, fare una "grande sorpresa" ai suoi genitori.
La mamma, quando narrava di principi e di pirati spiegava che loro tenevano i propri tesori nei forzieri. Midar pensò di chiedere al papà di costruirne uno insieme.

Il giorno seguente la proposta del bambino fu accolta da Natale che iniziò alacremente a lavorare pezzi di legno e ad assemblarli. A lavoro terminato, Midar saltò in braccio al papà, si fece cullare stringendogli le braccine al collo, lo baciò ringraziandolo, e si addormentò.
Natale mise a letto Midar e, tristemente, lo salutò in silenzio, perché all’alba sarebbe partito per tornare solo a fine anno.
Midar al risveglio non trovò il papà, corse nel pollaio e pianse forte, Ares arrivò a consolare il bambino. Midar abbracciò il cane e ad alta voce gli promise: «Un giorno papà sarà sempre qui con noi perché l’aiuterò con i miei soldini e sarò più ricco del principe azzurro». Ares, dopo aver ascoltato il giuramento solenne, diede  la zampa  al suo padroncino per confortarlo.
Nel pomeriggio Midar aveva convinto le sorelline a esibirsi tutte le settimane in piazza a Dovizia, però, di quando in quando, avrebbero dovuto variare le esibizioni.
I mesi trascorsero, papà Natale arrivò per le feste e ripartì, questa situazione era sempre meno accettata dai tre bimbi e da Demetra, che soffrivano in silenzio.
I doviziani, però, si erano abituati allo spettacolino dei fratelli Ostet, soprattutto le signore anziane; infatti queste ultime erano sempre ben disposte ad elargire qualche moneta ai tre bambini.

bambino con cane

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