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I premi nobel per la fisica nel 2019

Il premio Nobel per la Fisica 2019 è stato assegnato a James Peebles, Michel Mayor e Didier Queloz, ed è diviso a metà tra il primo e i secondi. A Peebles “per le sue scoperte nel campo della cosmologia”, mentre a Mayor e Queloz per “la scoperta di un esopianeta in orbita intorno a una stella di tipo solare”.
James Peebles è docente presso la Princeton University negli Stati Uniti. Grazie alle sue ricerche e ai suoi studi, ha permesso di raggiungere importanti progressi nella cosmologia, la scienza che studia la formazione, la struttura e l’evoluzione dell’Universo. Le sue teorie hanno dato un contributo fondamentale per comprendere la storia dell’Universo, dal Big Bang a oggi. Grazie al lavoro di Peebles sappiamo che la materia da noi conosciuta equivale ad appena il 5 per cento di tutta la materia e l’energia contenute nell’universo. Il restante 95 per cento ci è ancora ignoto, ed è uno dei più grandi misteri e delle sfide più importanti della fisica moderna.
Occorre fare un po' di storia: nel 1933 l'astronomo Fritz Zwicky stava studiando il moto di ammassi di galassie lontani e di grande massa. Zwicky stimò la massa di ogni galassia dell'ammasso basandosi sulla sua luminosità, e sommò tutte le masse galattiche per ottenere la massa totale dell'ammasso. Ottenne poi una seconda stima indipendente della massa totale, basata sulla misura della dispersione delle velocità individuali delle galassie nell'ammasso; questa seconda stima di massa dinamica era 400 volte più grande della stima basata sulla luce delle galassie. Sebbene l'evidenza sperimentale ci fosse già ai tempi di Zwicky, fu solo negli anni settanta che gli scienziati, tra cui Peebles, iniziarono a esplorare questa discrepanza in modo sistematico e a sospettare che vi fosse nel cosmo qualcosa che non era stata ancora individuata. Fu in quel periodo che l'esistenza della materia oscura iniziò ad essere considerata; l'esistenza di tale materia non avrebbe solo risolto la mancanza di massa negli ammassi di galassie, ma avrebbe avuto conseguenze di ben più larga portata sulla capacità di predire l'evoluzione e il destino dell'Universo stesso. Nel 2008 grazie allo studio di diversi ricercatori si ebbe la definitiva scoperta della sua presenza nell'universo; difatti, utilizzando il telescopio Canada-France-Hawaii Telescope (Cfht) posto sul monte Mauna Kea nelle Hawaii, si osservarono migliaia di immagini per notare la deviazione che la luce subiva nel suo viaggio cosmico. La luce veniva deviata anche in punti dove non erano visibili masse gravitazionali che giustificassero tali deviazioni ed è proprio grazie a questi punti che si è ipotizzata la presenza di materia oscura non visibile, ma dotata di campo gravitazionale.
Con questa scoperta e con molte altre osservazioni cosmologiche si è avuta la conferma di ciò che si ipotizzava: la materia visibile che compone l'Universo - tutti i pianeti, le stelle, gli oltre 120 miliardi di galassie e il gas intergalattico - costituiscono solo il 5% dell'Universo. Il resto, il 95% è "oscuro". Il 68% di questa "oscurità "sarebbe"energia oscura", ritenuta responsabile delle osservazioni di un universo in espansione accelerata, il 27% sarebbe la materia oscura di cui gli astronomi hanno scoperto l'esistenza. Ora se l'energia oscura contribuisce all'espansione accelerata dell'universo, nulla si può dire sull'effetto della materia oscura perchè questa potrebbe estendersi oltre i confini dell'universo stesso.

Negli ultimi 50 anni, la cosmologia ha fatto grandi passi avanti, passando da essere una disciplina prettamente teorica a una più pratica e con riscontri maggiori nelle scienze applicate; Peebles è stato tra i protagonisti di questo cambiamento a cominciare dai primi anni Settanta.
Mentre inizialmente l’Universo era pensato come “fermo” ed eterno, nei primi anni Venti del Novecento gli astronomi iniziarono a scoprire che le galassie si allontanano l’una dall’altra e che quindi l’Universo è in espansione e in continua mutazione. Le loro osservazioni empiriche riflettevano quanto aveva previsto Albert Einsten nel 1916 con la Teoria della relatività generale. Con quest'ottica si può immaginare che tutti i "corpi" dell'universo si allontaneranno tra loro e che tra milioni di anni si avrà un universo completamente buio.
Un Universo in espansione implica che questo un tempo fosse molto più denso e caldo di come ci appare oggi. Intorno alla metà del secolo scorso, si decise di chiamare “Big Bang” il momento della sua nascita, anche se quei primi istanti continuano a esserci ignoti. Sappiamo che subito dopo quell’evento, l’Universo era un posto caldo, opaco e nel quale le particelle di luce (i fotoni) rimbalzavano da una parte all’altra.
Dopo 400 mila anni, la nube iniziò a diradarsi e la temperatura a scendere di qualche migliaio di gradi Celsius. Le particelle potevano infine combinarsi tra loro formando gas primordiali come elio e idrogeno. I fotoni potevano muoversi liberamente e iniziare il loro viaggio attraverso lo Spazio. Quei primi raggi di luce esistono ancora oggi, sono nell’Universo e intorno a noi, sono le tracce di come tutto incominciò quasi 14 miliardi di anni fa.
La radiazione cosmica di fondo, cioè le tracce di cosa avvenne dopo il Big Bang, fu scoperta negli anni Sessanta. Peebles capì che la temperatura della radiazione potesse fornire informazioni utili su quanta materia si fosse creata dopo il Big Bang. Negli anni seguenti, la radiazione cosmica di fondo avrebbe permesso di portare avanti importanti ricerche per stimare con più precisione l’età dell’Universo, la quantità di materia che contiene e provare a ipotizzare che fine farà tutto ciò che abbiamo intorno. Peebles è diventato uno dei più grandi esperti nell’analisi della radiazione cosmica di fondo, calcolando per esempio l’effettiva quantità di materia oscura presente nell’Universo.
Da almeno 80 anni sappiamo che ciò che vediamo e riusciamo a osservare è solo una parte di ciò che esiste, ma la composizione di questa materia oscura continua a essere un grande mistero. Nel 1982, Peebles ipotizzò che ci fossero particelle pesanti e leggere di materia oscura che aiutano la materia a restare insieme. Queste particelle non sono mai state osservate, ma dai modelli teorici sappiamo che dovrebbero costituire circa il 26 per cento di tutta la materia e che non interagiscono direttamente con la materia conosciuta.
Nei primi anni Ottanta, Peebles aggiunse un ulteriore pezzo al mosaico di teorie per spiegare tutto: riportò in auge un pezzo della teoria della relatività generale di Einstein (la costante cosmologica) e aiutò a definire il concetto di “energia oscura”, una forma di energia ipotetica che non può essere rilevata direttamente e che potrebbe giustificare diverse altre cose che abbiamo scoperto in questi anni dell’Universo, senza capire bene come funzionino (compresa l’espansione accelerata dell’Universo).
A oggi, la materia oscura e l’energia oscura sono due dei più grandi misteri con i quali si confrontano i cosmologi.

Esopianeti
Michel Mayor è docente presso l’Università di Ginevra, mentre Didier Queloz è docente presso l’Università di Cambridge, nel Regno Unito. Insieme, hanno studiato la Via Lattea, la nostra galassia, alla ricerca di mondi ancora sconosciuti. Nel 1995 furono i primi a scoprire un pianeta al di fuori del nostro Sistema solare, un esopianeta in orbita intorno a una stella con caratteristiche simili a quelle del nostro Sole. Quella scoperta permise di rivedere molte teorie su com’è fatto lo Spazio al di fuori del nostro Sistema solare e fu la base per le ricerche più recenti, che ci hanno consentito di scoprire l’esistenza di migliaia di altri esopianeti. Le ricerche di Mayor e Queloz sono state inoltre importanti per elaborare teorie più precise, e condivise, su come si formino i pianeti.
Mayor e Queloz si occupano di Spazio su distanze più contenute, astronomicamente parlando, rispetto ai cosmologi. In una storica conferenza, organizzata a Firenze il 6 ottobre del 1995, i due ricercatori annunciarono di aver scoperto per la prima volta l’esistenza di un esopianeta, cioè di un pianeta in orbita intorno a una stella diversa dal Sole e quindi all’esterno del nostro Sistema solare. Il nuovo arrivato fu chiamato 51 Pegasi b, dal nome della sua stella di riferimento 51 Pegasi, che si trova a 50 anni luce dalla Terra. L’esopianeta impiega quattro giorni per compiere un’orbita, ed è quindi piuttosto vicino alla sua stella, che lo riscalda portando la sua superficie a 1.000 gradi Celsius.
Trovare un esopianeta così distante a metà degli anni Novanta non era per nulla semplice: i pianeti sono di solito più piccoli delle stelle e a differenza di queste non brillano, ma riflettono solamente la luce della loro stella. Un’osservazione diretta è impossibile, con gli attuali strumenti, quindi l’unica possibilità è osservare la luce emessa dalla stella e vedere se e come cambia nel corso del tempo. Mayor e Queloz utilizzarono il metodo della velocità radiale, che misura i movimenti della stella dovuti all’influenza gravitazionale dei pianeti che le orbitano intorno: osservandola dalla Terra, la stessa sembra che si sposti impercettibilmente avanti e indietro.
La velocità di questo movimento è detta velocità radiale e può essere misurata, perché comporta una variazione nella luce che percepiamo dalla Terra (effetto Doppler). Il problema è che le velocità radiali sono estremamente basse e servono quindi moltissime e accurate misurazioni per rilevarle. Mayor e Queloz si industriano per affinare il più possibile il metodo di misurazione, utilizzando e modificando alcuni strumenti e adottando sensori molto sensibili. 51 Pegasi era una candidata ideale e dopo quasi cinque anni di lavoro permise di annunciare con sicurezza che avesse un pianeta che le orbitava intorno.
A poco meno di 25 anni dalla scoperta di Mayor e Queloz, gli astronomi sono riusciti a rilevare ormai oltre 4 mila nuovi esopianeti, scoprendo che l’esistenza di pianeti intorno alle stelle è molto più frequente di quanto fosse stato ipotizzato nella Via Lattea. Grazie al telescopio spaziale Kepler della NASA, è stata affinata una tecnica alternativa per rilevare la presenza di un esopianeta in orbita intorno a una stella, osservando come la luce emessa dalla stella varia (dal punto di osservazione del telescopio) ogni volta che un esopianeta ci passa davanti.



itpost.it
9 ottobre 2019

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www.impresaoggi.com