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Come contrastare il declino dell'impresa. Integrazione del 28 settembre 2008.


11. La competenza emotiva

Fino a pochi anni fa l'intelligenza di una persona veniva misurata attraverso il QI (quoziente di intelligenza); da qualche anno si misura anche l'EQ, il quoziente di intelligenza emotiva (Goleman, 1998), che rappresenta appunto un altro aspetto dell'intelligenza.

L'EQ comporta le seguenti doti.

  • Buona conoscenza e consapevolezza di sé.
  • Autocontrollo.
  • Facilità nelle relazioni.
  • Empatia,
  • Comunicativa.
  • Capacità di trasmettere nell'interlocutore entusiasmo e fiducia.
  • Automotivazione.
  • Capacità di comprendere i sentimenti e gli stati d'animo altrui.

 Tutte caratteristiche che fanno il profilo ideale di un leader.

Questo spiega, anche, perché, generalmente, un alto QI, da solo, non crea un leader. La competenza emotiva nasce dalla consapevolezza della propria intelligenza emotiva; potremmo dire che la competenza emotiva nasce dalla propria consapevolezza e dalla propria intelligenza emotiva.
La presenza nell'impresa della competenza emotiva risulta particolarmente importante quando l'azienda è in una fase di transizione.

Durante i cambiamenti, in azienda, è noto che si sviluppano ansia, paura e sfiducia, forze negative che possono bloccare il processo in corso; solo la presenza della competenza emotiva permette alla leadership di illustrare uno scenario positivo e di far comprendere alle persone che l'azienda richiede loro responsabilità, iniziativa, lealtà, impegno, fiducia.

Essa è altresì fondamentale quando il valore di un'impresa è il tessuto delle sue relazioni e la capacità di creare, mantenere e sviluppare relazioni è un must aziendale.
E' opportuno notare che la competenza emotiva è l'ingrediente per ottimizzare anche i parametri visti prima.
La competenza emotiva permette di sviluppare energia positiva in situazioni ad elevato potenziale conflittuale, quando la comprensione dei sentimenti e delle aspettative altrui e la capacità relazionale giocano un ruolo importante.
La competenza emotiva, attraverso le capacità relazionali, permette di valorizzare i processi di comunicazione interna ed esterna per la trasmissione di un insieme di valori che costituiscono l'identità e l'immagine aziendale.
Il capitale intellettuale si sviluppa, se all'interno dell'azienda cadono confini e barriere organizzative, permettendo la libera diffusione della conoscenza; questo comporta accordare fiducia ai collaboratori, operazione facilitata se esiste una sintonia, tra i soggetti dell'impresa, che scaturisca da affinità emotiva, sensibilità ed entusiasmo.
La costruzione, nell'impresa, della cultura dell'innovazione comporta la diffusione e l'interiorizzazione di una tensione emotiva verso nuovi modelli mentali e una predisposizione verso la rottura di rendite di posizione e vecchi schemi.
La competenza emotiva è uno strumento fondamentale per mettere in atto i giusti comportamenti tesi al raggiungimento della soddisfazione dei collaboratori e dei clienti. Con riferimento ai collaboratori, rivestono particolare importanza le relazioni interpersonali e la percezione, da parte dei collaboratori, dell'esistenza di una particolare attenzione alle proprie esigenze, elementi profondamente influenzati da comportamenti che derivano dalla dimensione emotiva.
La customer satisfaction dipende dalla capacità dell'impresa di saper cogliere i bisogni espressi e latenti dei clienti e di soddisfarli, trasformando il contatto in un'esperienza memorabile. La dimensione critica sulla quale agire per raggiungere quell'obiettivo è la relazione ad elevato tasso di intelligenza emotiva per "incantare" il cliente e convincerlo ad essere fedele.

12. Sintesi delle azioni volte alla salvaguardia dell'impresa

Riassumendo, l'esplicitazione operativa delle azioni che la leadership aziendale dovrebbe seguire per la vitalità dell'impresa può essere descritta in una serie di azioni che riguardano cultura, organizzazione, processi di business, sistemi e metodologie.

Cultura e organizzazione

  • Diffondere cultura imprenditoriale nel sistema degli stakeholder
  • Diffondere un elenco di valori nel sistema degli stakeholder
  • Curare l'empowerment delle risorse umane
  • Sviluppare gli asset immateriali
  • Definire le responsabilità
  • Adeguare il sistema organizzativo alle vision e mission aziendali
  • Creare un'identità e un'immagine aziendali
  • Diffondere la cultura dell'organizzazione

 

Processi di business

  • Sviluppare prodotti e servizi con la "collaborazione" del cliente
  • Essere creativi nelle innovazioni di prodotto/servizio, di processo, di marketing, di management
  • Creare il sistema degli stakeholder
  • Preoccuparsi della soddisfazione di tutti gli stakeholder
  • Puntare sull'innovazione continua
  • Programmare accuratamente la produzione o la fornitura del servizio
  • Curare la logistica in uscita
  • Assistere il cliente
  • Monitorare la customer satisfaction
  • Essere creativi nelle attività di marketing

 

Sistemi e metodologie

  • Organizzare il total quality management
  • Puntare su flessibilità ed elasticità
  • Curare metodologie e strumenti gestionali
  •  Curare la qualità della comunicazione
  • Gestire per processi
  • Rilanciare l'impresa nelle fasi di forte energizzazione
  • Assicurarsi della remunerazione del capitale investito, inteso come bene comune per l'impresa e per gli uomini.

 

Per approfondire le caratteristiche che dovrebbero distinguere l'impresa moderna si rimanda al seguente successo editoriale: L'impresa in un mercato che cambia .

Bibliografia
D'Egidio F., La vitalità d'impresa, Sperling&Kupfer, 1999.
Goleman D., Lavorare con l'Intelligenza Emotiva, RCS Libri, 1998.
Johnson R., D. Redmond, L'arte dell'empowerment, FrancoAngeli, 2000.
Merli G., C. Saccani, L'azienda olonico-virtuale, Il Sole 24 Ore Libri, 1999.

NOTE

(1) Empowerment è l'affidamento di autonomia e responsabilità ai collaboratori

(2) L'ipercompetizione è caratterizzata da forti accelerazioni nei cambiamenti, dall'aumento dei livelli di concorrenza, dalle repentine evoluzioni nel campo delle tecnologie, dalla trasformazione della forza lavoro in knowledge worker, dall'instabilità economico-finanziaria.

Eugenio Caruso
27 dicembre 2007


Revisione del 28 settembre 2008

A integrazione dell’articolo è interessante analizzare un Rapporto Istat su Tasso di sopravvivenza delle imprese, in Italia, che conferma i dati statunitensi.
Quasi la metà delle nuove imprese non regge alla prova del mercato e, dopo cinque anni, sono costrette a chiudere.
Un giro vorticoso fra imprese che nascono e che muoiono che ogni anno coinvolge, secondo l’Istat, circa 600 mila imprese e un numero consistente di occupati: il tasso lordo di turnover occupazionale, cioè il complesso di posti di lavoro coinvolti da nascite e cessazioni  di imprese è pari al 5,8% del totale dell’occupazione e movimenta più di 900mila posti di lavoro.

Di fatto, stando ai dati Istat sulla demografia d’impresa, per ogni dieci imprese nate  nel 2001 solo 5,5 erano ancora operative alla fine del 2006. L’emorragia, però, è lenta quanto inesorabile: nel quinquennio 2002 – 2005, le imprese che sono riuscite a superare l’anno di vita variano da un minimo dell’86,9% (per le nate nel 2002 e 2004) a un massimo del 90,2% (per quelle registrate nel 2001).
Ma aver superato il primo anno di vita non è affatto una garanzia di sopravvivenza; infatti nel secondo anno la sopravvivenza minima scende dall’87% al 75%, nel terzo al 66%, nel quarto al 59% e nel quinto al 55%.
I tassi più elevati si registrano nel Nord Est (60% dopo 5 anni) e nel Nord Ovest con il 56%; Centro e Sud hanno percentuali di sopravvivenza del 54%.
Il tasso di mortalità delle imprese italiane è alto, attorno al 7,5% anno, poco sotto quello di natalità, confermando una vivacità demografica delle imprese italiane.
Nel quinquennio preso in considerazione dall’Istat  sono scomparse, mediamente, 290 mila imprese l’anno. Con punte più elevate per il settore delle costruzioni (9,1%) e del commercio (7,7%), mentre nei settori dell’industria  in senso stretto e dei servizi il tasso di mortalità è, relativamente, più contenuto.
La vita delle nuove imprese nate, almeno in questo ultimo decennio, è certamente più a rischio nel commercio, dove, dopo cinque anni dalla nascita, solo il 51,9% delle nuove imprese risulta ancora in attività, circa il 6,5% in meno rispetto alle imprese industriali.

D’altra parte nemmeno dopo cinque anni di attività l’impresa può ritenersi al sicuro dalla mortalità; in genere l’impresa cresce lentamente, lavora con pochi addetti e la struttura è ancora molto fragile. Infatti le imprese ancora operanti nel 2006 e nate 5 anni prima, avevano, mediamente, poco più di tre addetti: insomma si tratta di microimprese esposte ai marosi del mercato e della globalizzazione.
Ma la situazione varia in funzione della tipologia di business: il numero degli addetti aumenta per tutti sin dal primo anno di vita, mentre nell’industria  la crescita risulta più elevata, passando da 2,3 a 4,7 addetti medi.
Nel commercio la vita è meno facile e si cresce pochissimo sin dall’inizio. La dimensione media è la più bassa, sia alla nascita, (1,4 addetti) sia dopo 5 anni (2,2 addetti). M

Mentre alla nascita la dimensione media è sostanzialmente indifferenza  territorialmente, dopo il triennio emergono le prime differenze significative e dopo cinque anni la dimensione media è di 4,3 addetti nel Nord Ovest contro i 2,8 nel resto d’Italia.
Sono differenze importanti: il rapporto Istat mostra, infatti, che crescita e sopravvivenza  sono legate; le imprese più piccole hanno infatti, mediamente, una probabilità di sopravvivenza più bassa.



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