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Analisi degli strumenti necessari all'impresa per essere competitiva


2.14.7 La logistica integrata

La distribuzione fisica dei prodotti è passata, in meno di dieci anni, da essere la cenerentola aziendale a essere un'attività primaria; è bastato chiamarla logistica integrata e ci si è accorti che.

  • Rappresenta un costo complessivo spesso maggiore di quello della produzione in senso stretto; in quanto nella logistica devono essere compresi i costi di trasporto e stoccaggio, finanziari, di svalorizzazione dei prodotti obsoleti o costruiti in eccesso rispetto alla domanda del mercato, di amministrazione e gestione degli ordini, di flessibilizzazione della produzione.
  • Può consentire enormi risparmi rispetto alle modalità di gestione tradizionale, purché venga trattata scientificamente e con investimenti specifici; l'investimento più importante è nelle risorse specialistiche, che devono essere di prim'ordine e non residuali, come, tradizionalmente, è stato nella maggior parte delle aziende.
  • Può essere un business, purché sistemi di gestione e impianti vengano condivisi fra più operatori.  La logistica integrata parte dal presupposto che, in mercati a rapida evoluzione, sia illusorio cercare di prevedere la domanda e sia invece molto più utile organizzarsi per rispondere tempestivamente a qualunque esigenza del cliente; ciò comporta una serie di cambiamenti nel sistema logistico aziendale.
  • Spostare il punto di personalizzazione degli ordini il più a valle possibile e nel momento più vicino possibile alla scelta del consumatore finale.
  • Progettare prodotti e cicli di produzione per una costruzione modulare.
  • Annullare i tempi morti lungo tutte le fasi del ciclo per mezzo di un utilizzo esteso dell'informatica e delle telecomunicazioni, e della conoscenza istantanea di tutte le variabili da parte di tutti gli stakeholder. La compressione dei tempi interessa sia i flussi fisici (dai produttori di componenti fino al consumatore finale) sia i flussi informativi (tutti gli operatori hanno istantaneamente le informazioni su vendite, ordini, giacenze, impegni di capacità e programmi di produzione e di approvvigionamento).
  • Impostare tutto il rapporto con i clienti su ordini piccoli e frequenti.
  • Utilizzare in modo esteso Internet anche per evitare che le manipolazioni dei dati, fatte da ciascun elemento della catena, abbiano un effetto di amplificazione delle variazioni del mercato.
  • Utilizzare una parte della capacità produttiva per prodotti standard e una parte per prodotti personalizzati secondo richieste specifiche del mercato.
  • Dare al cliente la possibilità di scegliere fra prodotti disponibili subito, prodotti approvvigionabili, con tempi certi, senza extra costi e prodotti disponibili a brevissimo tempo con extra costi.
  • Spostare la responsabilità della gestione delle scorte là ove è più efficace, indipendentemente dal rapporto storico fornitore-cliente.

2.14.8 Brand equity

Un aspetto che sembrerebbe di secondaria importanza nella gestione d'impresa è il "brand management"; a volte inconsapevolmente, un'impresa raggiunge l'eccellenza e diventa una brand company. L'entusiasmo di un nuovo business, le capacità della leadership, l'energizzazione diffusa, l'identità e l'immagine aziendale, la sensibilità nel trattare i clienti, la creatività, la qualità dei prodotti o dei servizi possono fare di un'impresa, anche se piccola o media, un'impresa di marca in un particolare settore, anche piccolo.

È noto che talvolta un'azienda vale più del patrimonio netto. Questo può accadere se, nell'azienda, vi sono asset che hanno un valore, ma che non generano flussi di cassa. Un asset in grado di provocare questo accadimento favorevole è proprio il marchio: se i prezzi riconosciuti dai clienti o le quantità vendute sono superiori a quanto sarebbe "normale", vuol dire che il marchio ha un effettivo valore (brand equity). A volte l'imprenditore si chiede a quanto potrebbe vendere il  marchio, per scoprire che l'impresa è interamente giustificata dal brand equity, e che la gestione corrente non aggiunge valore, anzi, eventualmente, tende a distruggerlo.

2.14.9 La globalizzazione

Quasi tutti i settori industriali hanno concorrenti situati ovunque nel mondo, almeno per una fase del business system (principalmente la produzione o l'acquisto di componenti).
Considerando che le condizioni operative sono disomogenee nei vari paesi, l'unica certezza che l'imprenditore di un particolare settore ha è che, probabilmente, restare ancorati al proprio mercato di origine ha buone probabilità di non essere più, nel tempo, la scelta vincente.
Ciò nonostante, la maggior parte degli imprenditori preferisce investire e competere in Italia o, al più, sul mercato europeo, in paesi, dei quali conosce le situazioni, nei quali può controllare l'operatività senza lunghi viaggi e con i quali esiste una lunga storia di eventi positivi.
Manager e imprenditori italiani cercano di convincersi che, dopo tutto, l'Italia e l'Europa sono ancora un buon posto per investire, perché la produttività è elevata, i mercati di sbocco sono vicini, il made in Italy è molto apprezzato, in Italia sono localizzate le basi operative di fornitori di macchine e impianti; tutti questi ragionamenti sono fatti per auto convincersi e per non dover affrontare le difficoltà dell'operare in un contesto globalizzato.

2.15 La fortuna imprenditoriale

Sembrerebbe fuori luogo o poco professionale parlare di fortuna laddove si stanno analizzando gli elementi base per affrontare l'argomento del vantaggio competitivo; eppure, molto spesso, parlando con gli imprenditori, viene fuori questa parolina magica.
Fortuna, è il nome della dea dell'Olimpo romano governante il destino degli uomini, spesso raffigurata bendata a indicare imparzialità. Quindi, sinonimo anche di sorte, generalmente benigna, sinonimo di caso favorevole, che si avvera senza seguire alcuna legge e per questo imprevedibile.
Di contro, l'impresa è l'istituzione che, attraverso svariate tecniche di gestione, cerca di programmare e pianificare il suo futuro. E tuttavia proprio l'impresa, nella sua attività quotidiana, è costantemente soggetta agli influssi della fortuna, generando essa stessa scenari imprevedibili, frutto del grande gioco del caso.
Un celebre economista statunitense, Frank H. Knight in un suo libro dal titolo Risk Incertainty and Profit, aveva individuato nell'incertezza una delle peculiarità nel cui ambito si muove l'impresa. «Quello in cui viviamo è un mondo di mutamenti ed un mondo di incertezze», e ancora, «L'impresa rappresenta la più alta forma di incertezza, che non è suscettibile né di misurazione né di eliminazione» (Knight, 1960). In questo quadro Knight richiama anche, esplicitamente, il fattore fortuna come elemento dominante.  «Se si considera il mondo quale esso è, un mondo dove tutti i disegni e tutti gli atti umani sono caratterizzati dall'incertezza, dobbiamo prevedere un altro elemento, la fortuna». L'imprenditore, con la sua attività costantemente rivolta a generare innovazione concorre ad accrescere l'incertezza nello scenario economico, come aveva teorizzato Schumpeter. Secondo l'economista austriaco, infatti, «Chiamiamo impresa l'introduzione di nuove combinazioni nello scenario economico, e chiamiamo imprenditori quei soggetti economici la cui funzione consiste nell'introdurle» ( Schumpeter, 1971).
L'incertezza, dunque, domina a monte lo scenario che caratterizzerà l'azione imprenditoriale, e se la fortuna sarà propizia quell'azione si connoterà con il successo. Ma quella stessa azione imprenditoriale genererà situazioni le cui manifestazioni concorreranno a determinare uno scenario fortunato qualora la mano invisibile del caso avrà voluto operare con benigna propensione. Quella mano invisibile che Adam Smith aveva evocato per spiegare la formazione del benessere nazionale come evento generato, casualmente, dall'azione inconscia dei singoli produttori.
In sostanza, l'imprenditore decide di intraprendere la produzione sotto la spinta di un ragionamento egoistico, cogliendo le opportunità che la fortuna gli sottopone. Così, lui stesso diventa dispensatore di fortuna, concorrendo a promuovere il bene pubblico mediante il perseguimento del suo tornaconto personale sollecitato da eventi, il più delle volte, imprevedibili, casuali, fortunati.
È interessante, anche dal punto di vista storico, rileggersi le frasi con le quali Smith introduce il concetto della "mano invisibile". «Ogni individuo si sforza, nella misura del possibile, di impiegare il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva nazionale, e di dirigere quindi tale attività in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo opera necessariamente per rendere il reddito della società il massimo possibile. In effetti egli non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo. Quando preferisce il sostegno dell'attività produttiva del suo paese, invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo che il suo prodotto sia il migliore, egli mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo» (Smith, 1995).
Nell'imprevedibilità degli scenari, fortuna, caso o sorte sovente decidono le azioni imprenditoriali con una connotazione diversa rispetto a quanto accade per volontà del destino, cioè, per fatalità.

Giova sottolineare che questa versione è una sintesi dell'articolo in pdf.

Bibliografia
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Buell V. P., Manuale di marketing, FrancoAngeli, 1992
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Valdani E., Dalla concorrenza all'ipercompetizione, dall'evoluzione alla coevoluzione, Economia & Management, maggio 1997.

NOTE

(1) Si intende per marketing mix l'insieme delle politiche di marketing che coinvolgono: il prodotto/servizio, il prezzo, la promozione e la vendita.
(2) Secondo il cross-functional management della qualità totale giapponese.
(3) La lean production è stata introdotta dalla Toyota; è un sistema di produzione che impiega una modesta quantità di risorse aziendali, combina i vantaggi della produzione artigianale con quella di massa, consente di produrre un'ampia varietà di prodotti, impiega squadre di dipendenti multi-specializzati, è fortemente automatizzata, opera con un gran numero di sub-contractors, responsabilizza i lavoratori, che sono stimolati ad individuare eventuali anomalie nel processo di produzione. Alla squadra è affidato il compito della manutenzione di macchinari e impianti posti sotto la sua responsabilità.

Eugenio Caruso
14-01-2008

Tratto da E. Caruso, Come vincere le sfide della concorrenza, Tecniche Nuove, 2003

Questo articolo è una sintesi dell'articolo in formato pdf.



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