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La sfiducia al governo Prodi e le imprese

Il 24 gennaio, poche ore prima di essere sfiduciato al Senato, si è tenuto un incontro tra Romano Prodi e manager di alcune multinazionali, incontro organizzato per stimolare gli investimenti esteri in Italia. Gli italiani si sono chiesti quali carte avrà usato Prodi per tranquillizzare i potenziali investitori sulla stabilità e sulla serietà del sistema paese. Fortunatamente i manager delle multinazionali sono più abituati e frequentare il mondo dell’impresa piuttosto che il mondo della politica.
Lo stesso giorno, il commissario europeo agli affari economici e monetari Joaquim Almunia, a margine del World Economic Forum di Davos, ha affermato «Vedremo cosa succederà in questi giorni. Spero in una prospettiva di stabilità politica in Italia perché possa affrontare la difficile situazione dell'economia. Ho le preoccupazioni che può avere chiunque quando un paese ha difficoltà politiche, e in questi giorni l’Italia ha difficoltà a causa dell’instabilità del governo».
Su Il sole 24 Ore è apparso un articolo di Nicoletta Cottone nel quale viene tastato il polso degli industriali a proposito della situazione politica.


Tra le imprese si fa largo la convinzione che prima di tornare alle urne sia necessario modificare la legge elettorale. «Votare con la legge attuale ci riporterebbe all'instabilità politica che abbiamo vissuto in questi anni e che è assolutamente dannosa. Meglio un Governo di transizione, che ci porti o al referendum oppure che vari una riforma del sistema elettorale. Non si può ignorare che l'orologio del referendum si è messo in moto. Non solo: non fare la riforma vorrebbe dire ritrovarci tra un anno con lo stesso problema», dice Gaetano Maccaferri, presidente degli industriali bolognesi e della Seci, la holding di famiglia che controlla il gruppo.
Ettore Riello, presidente dell'Anima (imprese metalmeccaniche e affini) è della stessa opinione: riforma elettorale prima del voto. «Mai come con Prodi abbiamo assistito ad un potere di ricatto dei partiti più piccoli. Senza una nuova legge elettorale ci ritroveremo con gli stessi problemi, a prescindere da chi vincerà», dice Riello, a New York per lavoro. Crisi politica e immondizia: sono le domande che gli rivolgono i colleghi americani. «Noi imprese dobbiamo sopperire al problema di immagine del Paese. Non ho ripercussioni negative sui contratti, però mi chiedono maggiori garanzie sul servizio, un atteggiamento che deriva dall'immagine inaffidabile che offre l'Italia», continua. «In caso vinca il Centro-destra – aggiunge – mi auguro che non prevalga la voglia di cambiare tutto a prescindere. L'impresa ha bisogno di certezze, investiamo: i cambiamenti per noi sono costi».
La preoccupazione è diffusa, ma va ancora peggio a chi vive soprattutto di mercato interno. «La crisi influisce negativamente su una crescita che già si prospettava bassa», dice Alberto Tripi, presidente di Confservizi (17mila imprese, nei servizi innovativi e tecnologici). «Bisogna lavorare, lavorare, lavorare: le imprese devono farsi carico delle inefficienze del Paese, politica compresa», dice l'imprenditore romano leader nel settore dell'informatica e delle nuove tecnologie. Le aziende del settore sono legate soprattutto alla domanda interna, alla Pubblica Amministrazione, al retail. «Una stasi del mercato avrebbe ripercussioni negative per il sistema Paese: vorrebbe dire perdere know how innovativo». Anche per Tripi, meglio fare una riforma elettorale e poi votare.
Ma tra gli imprenditori scarseggia la fiducia sul senso di responsabilità della classe dirigente: «Sono pessimista. Non percepisco dagli atteggiamenti quella coscienza e quella visione necessari per voltare pagina», dice Maccaferri. Lui, che ha stabilimenti in tutto il mondo, all'estero deve andare spesso: «Viaggiare offre elementi di confronto e di riflessione sotto tutti gli aspetti, economici e politici. Siamo molto indietro rispetto a come si muovono i player mondiali. Dobbiamo correre. Non mi sembra che la classe dirigente attuale ne abbia la consapevolezza».


La mia sensazione è che da sempre chi vuole far parlare il mondo dell’impresa non ha afferrato un semplice concetto.
Se si escludono alcuni gruppi, che, grazie alle azioni di lobby nei ministeri, riescono a ricavare alcuni benefici dallo stato, vedi a esempio le leggi sulle rottamazioni o le imprese che fanno fatturato grazie alle commesse con la Pubblica Amministrazione, o gli imprenditori che, grazie agli incarichi nelle associazioni datoriali, devono avere stretti rapporti con il mondo della politica, per la stragrande maggioranza delle imprese l’esserci o non esserci un governo in carica, l’esserci o non esserci un governo stabile non fa alcuna differenza.
Le imprese si sono oramai rese conto che possono contare solo su se stesse e sulle proprie capacità di sopravvivenza. Quale governo di qualunque colore ha mai legiferato per facilitare il loro lavoro? E’ più facile accontentare il mondo delle corporazioni che non chiede altro che non si tocchi lo status quo e che ringrazia nel segreto della cabina elettorale.
Qualche sera fa, durante la trasmissione televisiva Matrix,  Gian Antonio Stella ha ricordato che il costo di un’elezione è attorno ai 500 milioni di euro e che in caso di interruzione della legislatura i partiti prendono gli stessi soldi come se la legislatura durasse cinque anni, sono costi impressionanti, ma trascurabili, a esempio, se confrontati con i 7,5 miliardi di euro che lo stato dovrà sborsare per le modifiche apportate dal governo Prodi alla legge Biagi sull’età pensionistica.
In un paese nel quale la denuncia degli sprechi quotidiani è tale da riempire i palinsenti di Striscia la notizia o delle Iene, quanto costa il mantenimento della Casta e della pletora di “lavoratori fannulloni” impiegati nelle varie amministrazioni pubbliche?
Quanto costano al sistema paese le mancate liberalizzazioni e la lottizzazione partitica dei servizi pubblici, in particolare, della sanità?
Quali sono i costi diretti e indiretti del peso della fiscalità sulle famiglie e sulle imprese?
Qual è il costo per la perdita di immagine a proposito dei sacchi di spazzatura per le strade delle città campane, reclamizzati in ogni parte del pianeta?
Qual è il costo della vendita di Alitalia ad Air France, con la perdita di competitività per il sistema aeroportuale del Nord Italia?
Qual è stato il costo dovuto all’uscita dell’Italia dal nucleare, uscita che i politici hanno fatto passare per una scelta dovuta al referendum, ma che in realtà nascondeva incompetenza e sudditanza ai petrolieri nostrani ed esteri?
Qual è il costo del non fare?
Qual è il costo degli sprechi nei finnaziamenti alle imprese del Mezzogiorno?
Qual è il costo delle 5 milioni 127 mila cause civili pendenti presso i nostri tribunali o del record europeo di cause cadute in prescrizione?
Qual è il costo del disservizio che da alcuni mesi caratterizza le poste italiane?

La maggior parte dei commentatori politici italiani (giornali, radio, televisioni), in questi giorni grida allo scandalo di un ritorno alle urne con l’attuale legge elettorale che consente l’accesso alle camere a un numero enorme di partiti.
Tutti si accaniscono affermando che solo con una nuova legge elettorale si potrà uscire dall’emergenza dell’instabilità, come mostra anche l’articolo del Sole succitato. Il mio parere non conta al confronto con quello dei soloni della politica ma io sono pienamente convinto che il nostro paese sia malato e che qualsiasi legge elettorale i politici possano inventare, essa non scardinerà il potere di partiti e micropartiti; questi potranno nascondersi sotto l’ombrello di una lista o di un altro partito, si chiami Partito democratico o Partito del popolo della libertà, ma essi faranno sempre valere il proprio potere di veto e di interdizione. Ogni partito si considera il portatore della verità e nessuno potrà convincerli ad abdicare alla propria “missione”.

D'altra parte, indagini demoscopiche di istituti diversi dicono che gli italiani, per quasi il 70%, preferiscono andare subito alle elezioni, dimostrando un assoluto disinteresse per le alchimie della politica; in questi ultimi mesi, nei quali si è tentato un accordo su una nuova legge elettorale, si è visto chiaramente che ciascun partito proponeva una soluzione favorevole al proprio orticello.

Un racconto istruttivo a margine della crisi di governo
Spesso la classe politica italiana di formazione cattolica o socialista non perde occasione per additare al pubblico disprezzo il capitalismo, le imprese, gli imprenditori. La classe politica, invece, lotterebbe solo per l’interesse e il bene comune. Questo episodio è sintomatico di quanto non vi sia nulla di più falso. La moglie dell’onorevole Clemente Mastella, Sandra Lonardo, politico di spicco della Campania, riceve gli arresti domiciliari. Il marito, il 16 gennaio, con le lacrime agli occhi, annuncia, alla Camera, di anteporre l’amore per la famiglia alla politica e rassegna le dimissioni da ministro, consapevole che il giorno successivo sarebbe stato raggiunto da un avviso di garanzia. In quell'occasione, la democraziia in Italia tocca, forse, uno dei punti di massimo degrado: l'applauso di tutto il parlamento all'onorevole Mastella che difendeva se stesso e il suo partito dalla "persecuzione della magistratura". Il 24 gennaio l’Udeur toglie l’appoggio al governo che non ottiene la fiducia. Nel frattempo è interessante sapere che nell’ambito della riforma Castelli era stata approvata  la creazione della Scuola Superiore della Magistratura, con sedi a Bergamo, Firenze (designata a ospitare il Comitato direttivo) e Catanzaro.

Mastella, nominato Ministro della Giustizia, decide di spostare la sede di Catanzaro nel suo feudo di Benevento. Il 15 gennaio, il giorno precedente a quello delle dimissioni da ministro, Mastella decide che Benevento debba ospitare la sede del Comitato direttivo della Scuola e nomina i 5 rappresentanti del ministero nel Comitato della Scuola, si tratta del sostituto procuratore a Santa Maria Capua Vetere, firmatario di un esposto contro il procuratore che ha decimato l’Udeur in Campania, dell’avvocato difensore della moglie, del Preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Benevento e di altri due membri (Corriere della sera 25/1/08).
Il racconto non  ha bisogno di nessun commento.

Eugenio Caruso
27/01/2008

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