Indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane nel 2006

La Banca d’Italia ha condotto uno studio statistico sui bilanci delle famiglie italiane nel 2006. Lo studio mostra una serie di aspetti interessanti.

  • Il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente, depurato dall’inflazione, "è rimasto sostanzialmente stabile" (+0,96%) dal 2000 al 2006.
  • Il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore autonomo, nello stesso periodo, sempre in termini reali, è cresciuto del 13,86%.
  • La ricchezza netta degli italiani è aumentata ma è sempre più concentrata in poche famiglie. Infatti nel 2006 il 10% delle famiglie italiane più ricche possedeva quasi il 45% dell'intera ricchezza netta, una percentuale in crescita rispetto al 43% del 2004.
  • Nel biennio 2004-2006, si è registrata una crescita del 4,3% in termini reali per i redditi da lavoro dipendente. Ma questo incremento "compensa soltanto in parte la riduzione osservata fra il 2000 e il 2004".
  • Nella categoria dei lavoratori autonomi va meglio alle famiglie di artigiani e titolari di imprese familiari e imprenditori che hanno visto il loro reddito crescere dell'11,2% dal 2004 al 2006. Mentre è negativo l'andamento del bilancio familiare per le altre tipologie, come i liberi professionisti o i lavoratori atipici.
  • Nel 2006 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi previdenziali e assistenziali, è risultato di 31.792 euro, pari a 2.649 euro al mese. Rispetto alla precedente rilevazione, fatta nel 2004, il reddito familiare medio è aumentato del 7,8% in termini nominali, pari al 2,6% in termini reali.
  • Con riferimento ai singoli percettori (e non più al nucleo familiare), il reddito per i lavoratori dipendenti è risultato pari a 16.045 euro, con una crescita dell'1,2% in termini reali. Per contro, quello da lavoro indipendente è stato pari a 22.057 euro (in lieve diminuzione, -0,1%, rispetto al 2004).
  • Il reddito familiare medio mostra una crescita in termini reali maggiore al Sud e alle Isole (5,6%) rispetto al Centro (3,5%) e al Nord (0,7%). Bankitalia spiega che il migliore risultato, relativo sempre al biennio 2004-2006, registrato dai nuclei del Sud "è in misura significativa legato alla maggiore crescita del numero medio di percettori per famiglia".
  • Guadagnano più gli uomini che le donne, siano essi dipendenti o autonomi, più al Nord che al Sud, più i laureati che coloro che non hanno titolo di studio, più gli anziani che i giovani. Il divario uomini-donne è mediamente di oltre 5.000 euro l'anno. Un laureato invece guadagna mediamente più del doppio (25.090 euro annui) rispetto al lavoratore senza titolo di studio (10.436).
  • Tra il 2004 e il 2006 il numero delle famiglie italiane indebitate è cresciuto dal 24,6 al 26%. Si tratta di famiglie del Centro-Nord, di giovane età, con titolo di studio più elevato e con capofamiglia lavoratore indipendente. I mutui costituiscono il 60% del totale dell'indebitamento mentre quelli per acquisto di beni di consumo solamente il 10%.

La stampa e i media, in generale, hanno enfatizzato i dati della Banca d'Italia come se essi non fossero già noti. In questo Sito già da tempo abbiamo lanciato un allarme sul progressivo impoverimento degli italiani, specialmente dei lavoratori dipendenti, del disagio sociale delle famiglie e del senso di frustrazione e di indifferenza diffuso nel Paese. Il livello di povertà si sta alzando e inizia a lambire il segmento di coloro che un tempo erano considerati fascia a reddito medio alto. Per risolvere questo grave problema esiste una sola terapia ridurre il peso della fiscalità. Non è più tempo di disquisire circa le poriorità tra macroeconomia e redditi; adesso la priorità assoluta è quella di rendere più pesanti le buste paga dei lavoratori, non gravando sulle imprese, ma, alleggerendo il carico fiscale.

 

29 gennaio 2008


Aggiornamento del 26 febbraio 2008


Rapporto UE sulla povertà in Europa.


In Italia un bimbo su 4 è a rischio povertà. L’allarme viene dalla Commissione europea, che ha presentato il suo rapporto sulla "Protezione sociale". Peggio dei nostri ragazzi, tra gli 0 e i 17 anni, stanno i lituani, i romeni, gli ungheresi, i lettoni e i polacchi. La media Ue è del 19% per i bambini, contro il 16% della popolazione complessiva. L’Italia batte anche questa media, con un totale di cittadini a rischio povertà del 20%, più che in Romania (19%).


La classifica è pesante anche per i bambini britannici e spagnoli, appena prima degli italiani, al 24%. I più fortunati sono quelli del Nord Europa, in Danimarca e Finlandia (10%), ma anche in Slovenia (12%), Cipro (11%) e Germania (12%). Naturalmente il dato non è assoluto, è cioè calcolato in ragione del reddito medio del Paese di residenza, ma questo non consola molto chi è a rischio. Lo studio è ricchissimo di dati presi da ogni punto di vista, e ne emerge, spiega una nota, che le riforme nel campo della protezione sociale e le politiche di inclusione attiva hanno contribuito l’anno scorso a dare impulso alla crescita e all’occupazione in Europa. Si deve però fare di più per assicurare che tali ricadute raggiungano le persone ai margini della società e per migliorare la coesione sociale.

Il 16% dei cittadini dell’Ue rimane esposto al rischio di povertà mentre circa l’8% si trova a rischio di povertà nonostante il fatto di avere un lavoro. Sui 78 milioni di europei che vivono a rischio di povertà 19 milioni sono bambini. Per spezzare il circolo della povertà e dell’esclusione, si spiega nel rapporto, occorrono politiche sociali mirate e si deve fare in modo che ogni bambino renda meglio a scuola se si vogliono assicurare le pari opportunità per tutti. Si devono rafforzare le politiche di inclusione e di antidiscriminazione anche in relazione ai lavoratori migranti e ai loro figli e alle minoranze etniche. Se i bambini sono poveri, spiega il rapporto, è perché vivono in nuclei familiari con genitori disoccupati o a scarsa intensità lavorativa o perché il lavoro dei loro genitori non è sufficientemente redditizio e le iniziative a sostegno dei redditi sono inadeguate per ovviare al rischio di povertà. La lotta alla povertà infantile richiede quindi una combinazione di buone opportunità di lavoro che consentano ai genitori di accedere al mercato del lavoro e di progredirvi, azioni adeguate e ben concepite a sostegno dei redditi e la messa a disposizione dei necessari servizi per i bambini e le loro famiglie.

Corriere della sera 25/02/2008

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