Honorè de Balzac e la Commedia Umana.

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)

GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità.

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Honorè de Balzac

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Caricatura di Balzac disegnata da Nadar nel 1850

Honoré de Balzac, nato Honoré Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850) è stato uno scrittore, drammaturgo, critico letterario, saggista, giornalista, stampatore francese fra i maggiori della sua epoca, nonché il principale maestro del romanzo realista del XIX secolo. Scrittore prolifico, ha elaborato un'opera monumentale: La Commedia umana, ciclo di numerosi romanzi e racconti che hanno l'obiettivo di descrivere in modo quasi esaustivo la società francese a lui contemporanea o, come disse più volte l'autore stesso, di «fare concorrenza allo stato civile». La veridicità di quest'opera colossale ha portato Friedrich Engels a dichiarare di aver imparato più dal "reazionario" Balzac che da tutti gli economisti. La sua opera fu di grande influenza per molti autori come Flaubert, Zola, Proust e Giono ed è stata anche utilizzata per svariati film e telefilm; io ritengo La Commedia Umana una sorta di trattato di sociologia. A Balzac è stato intitolato il cratere Balzac sulla superficie del pianeta Mercurio.
Balzac proveniva da una famiglia borghese piuttosto agiata: il padre Bernard-François Balssa, di origine contadina, aveva raggiunto una posizione di rilievo nell'amministrazione dello Stato. Balssa sposò Anne-Charlotte-Laure Sallambier (quando lui aveva 51 anni e lei 19), dalla quale ebbe quattro figli (Honoré, Laure, Laurence ed Henri. Il primogenito, Honorè, studiò in collegio, prima a Vendôme (1807-13), poi a Tours (1814) e infine a Parigi, dove Balssa si trasferì con la famiglia nel 1815, nel quartiere del Marais. Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, lavorava come scrivano nello studio notarile di tale Jules Janin quando, a vent'anni, scoprì la vocazione letteraria. In una mansarda del quartiere dell'Arsenale, al numero 9 della rue Lesdiguières, dal 1821 al 1829, dopo aver tentato la strada del teatro con il dramma in versi Cromwell, scrisse opere di narrativa popolare ispirandosi a Walter Scott, con gli pseudonimi di Horace de Saint-Aubin, Lord R'hoone (anagramma di Honoré) o Viellerglé.
Le sue prime prove artistiche non furono molto apprezzate dalla critica, tanto che Balzac si diede ad altre attività: divenne editore, stampatore e infine comprò una fonderia di caratteri da stampa, ma tutte queste imprese si rivelarono fallimentari, indebitandolo. Nel 1822 conobbe Louise-Antoinette-Laure Hinner, una donna matura che gli rimase accanto affettivamente fino alla morte. Louise Hinner ebbe molta influenza sull'autore, incoraggiandolo a continuare a scrivere: nel 1829 Balzac pubblicò il suo primo romanzo (Gli Sciuani), utilizzando il suo vero nome e ottenendo un certo successo. Tra le tante esperienze amorose, che Balzac ebbe con dame dell'aristocrazia nel corso della sua vita, la più importante fu con Évelyne Hanska (1803-82), una contessa polacca, conosciuta nel 1833, che ebbe un ruolo importante nella stesura di Eugenia Grandet. I due si sposarono nel 1850, cinque mesi prima della morte dello scrittore.
A partire dal 1830, l'attività letteraria di Balzac divenne frenetica, tanto che in sedici anni scrisse circa novanta romanzi (sulla "Revue de Paris", sulla "Revue des Deux Mondes", ma anche in volumi e in tirature sempre più numerose, per non contare i continui racconti, aneddoti, caricature e articoli di critica letteraria). I suoi primi successi di pubblico furono La peau de chagrin (La pelle di zigrino, 1831) e, tre anni più tardi, Le Père Goriot (Papà Goriot, 1834).
Il 19 febbraio 1837 giunse a Milano - pare per sfuggire ai creditori parigini - ed ebbe modo di frequentare la vita meneghina per oltre un anno, recandosi regolarmente alla Scala e diventando un ospite ricorrente del Salotto Maffei, presso il quale transitarono i migliori letterati europei.. La tappa nella città italiana era ufficialmente dovuta a una questione relativa all'eredità che gli aveva lasciato la madre, ma le parole di una lettera alla contessa Hanska sembrano rivelare piuttosto una fuga da chi voleva riscuotere l'ingente somma di debiti accumulata negli anni precedenti: «J'ai plus de deux cent mille francs de dettes» («Ho più di duecentomila franchi di debiti»), confidava alla futura moglie. Nel marzo del 1838 si imbarcò da Marsiglia alla volta della Sardegna, dove sognava di coronare velleità di prosperità economica attraverso lo sfruttamento di giacimenti abbandonati nell'isola dagli antichi romani e dai sovrani locali medievali. Vana si dimostrò l'impresa: tarda nei tempi e velleitaria nei modi. Ma è durante le fatiche del viaggio in terra sarda che, secondo la più accreditata storiografia critica internazionale, Balzac concepisce la sua commedia teatrale L'école des ménages. Charles Baudelaire chiamò la prosa di Balzac «réalisme visionnaire»; pare perfino che il termine "surréalisme", coniato da Guillaume Apollinaire, sia stato ispirato al particolare punto di vista che caratterizza la produzione di Balzac.
Nel 1842 Balzac decise di organizzare la sua opera monumentale in una specie di gerarchia piramidale con il titolo di La Comédie humaine (La commedia umana): alla base di essa c'è il gruppo degli Studi di costume del XIX secolo, diviso in Scene delle vita privata, Scene della vita di provincia, Scene della vita parigina, della politica, della vita militare, della vita di campagna; poi c'è il gruppo degli Studi filosofici, ed infine quello progettato, ma non realizzato, degli Studi analitici. Si tratta di un grandioso progetto di analisi della vita sociale e privata nella Francia dell'epoca della monarchia borghese di Luigi Filippo d'Orleans. Accanito frequentatore di salotti, amante appassionato di diverse nobildonne che soddisfacevano il suo snobismo e il bisogno di partecipare alla vita aristocratica, nonché perseguitato dai creditori per le speculazioni sbagliate, Balzac riuscì a realizzare solo per poco tempo il sogno di ricchezza e ascesa sociale grazie al rapporto con la contessa polacca Ewelina Rzewuska (detta più frequentemente Évelyne Hanska), vedova di Waclaw Hanski (1791-1841), che Balzac sposò il 14 marzo 1850 (lei ne pubblicherà diversi inediti e, nel 1877, la prima raccolta di Oeuvres complètes, in 24 volumi). Honoré de Balzac morì per una peritonite complicatasi in gangrena. Venne sepolto, con orazione funebre tenuta da Victor Hugo, nel cimitero di Père-Lachaise. Furono erroneamente indicati come concause del rapido deterioramento della sua salma i suoi eccessi nel lavoro e il suo grande consumo di caffè. Già il giorno dopo la morte, la decomposizione veloce, anche a causa della stagione estiva, impedì di fare il calco in gesso per la maschera mortuaria.
Balzac pensava che ogni individuo ha a disposizione una riserva limitata di energia e che vivendo intensamente l'uomo brucia la sua vita. Il suo destino sembra aver ricalcato il contenuto de La pelle di zigrino (1831). Durante la sua vita Balzac viaggiò molto all'estero: in Ucraina, Polonia, Germania, Russia, Prussia austriaca, Svizzera e Italia (che appare spesso nei "racconti filosofici"), ma anche ampiamente nella provincia francese e nei dintorni di Parigi, puntualmente ripresi nella sua enorme mole di scritti.

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Auguste Rodin, Monumento a Balzac, 1898, fusione in bronzo, New York, Museum of Modern Art


Nel 1833, come rivelò in una lettera a sua sorella, Balzac entrò in una relazione illecita con la collega scrittrice Marie Du Fresnay, che allora aveva 24 anni. Il suo matrimonio con un uomo molto più anziano (Charles du Fresnay, sindaco di Sartrouville) era stato un fallimento fin dall'inizio. Nella lettera, Balzac rivela anche che la giovane donna era appena venuta a comunicargli che era incinta di suo figlio. Nel 1834, otto mesi dopo l'evento, nacque la figlia di Balzac, Marie-Caroline Du Fresnay. Tale rivelazione del giornalista francese Roger Pierrot nel 1955 ha confermato ciò che era già stato sospettato da diversi storici: la dedica del romanzo Eugénie Grandet, a una certa "Maria", si rivela essere per Maria Du Fresnay.
Nel febbraio del 1832, Balzac ricevette una lettera anonima di critica dalla città di Odessa, senza alcun indirizzo di ritorno, firmata semplicemente "L'Étrangère" ("La Straniera"). In essa si esprimeva tristezza per il cinismo e l'ateismo di La Peau de Chagrin e per il ritratto negativo delle donne che viene fatto nel romanzo. Balzac, in risposta, fece collocare un annuncio pubblicitario nella Gazette de France, nella speranza che la critica anonima lo vedesse. Fu così che iniziò una corrispondenza quindicennale tra Balzac e "l'oggetto dei [suoi] sogni più dolci": Ewelina Hanska. Ewelina (nata Rzewuska) era sposata con un nobile di vent'anni più anziano, il maresciallo Waclaw Hanski, un ricco proprietario terriero polacco che viveva vicino a Kiev. Si trattava di un matrimonio di convenienza, teso a preservare la fortuna della famiglia. In Balzac, la contessa Ewelina trovò uno spirito affine, con l'ulteriore vantaggio di poter stringere, grazie allo scrittore, un legame con la capitale glamour della Francia, Parigi. La loro corrispondenza rivela un intrigante equilibrio di passione, correttezza e pazienza; Il critico Robb afferma che è

"come un romanzo sperimentale in cui la protagonista femminile cerca sempre di attirare realtà estranee ma che l'eroe è determinato a continuare, qualunque sia il trucco che deve usare".

Marshal Hanski morì nel 1841 e la sua vedova e Balzac ebbero finalmente la possibilità di perseguire i propri affetti. Rivale del compositore ungherese Franz Liszt, Balzac visitò la contessa Hanska a San Pietroburgo nel 1843 e la conquistò. Dopo una serie di battute d'arresto finanziarie, problemi di salute e obiezioni da parte dello zar Nicola I, la coppia ebbe finalmente il permesso di sposarsi. Il 14 marzo 1850, con la salute di Balzac in grave declino, viaggiarono in carrozza dalla residenza di famiglia della donna nel Parco di Verhivnya in Volinia, alla Chiesa cattolica di Santa Barbara a Berdychiv (l'ex città bancaria russa, nell'odierna Ucraina), dove furono sposati dall'abate Ozarowski. Il viaggio di dieci ore per la cerimonia ebbe un effetto negativo su entrambi i coniugi: i piedi di lei erano troppo gonfi per camminare, mentre Balzac ne ricavò gravi problemi cardiaci.
Benché si fosse sposato tardi, Balzac aveva già scritto due trattati sul matrimonio: Physiologie du Mariage e Scènes de la Vie Conjugale. A questi lavori mancava la conoscenza di prima mano; Saintsbury sottolinea che "i coniugi non possono parlare di [matrimonio] con molta autorità". Alla fine di aprile, gli sposi partirono per Parigi. La salute del marito si andava deteriorando e Ewelina scrisse alla propria figlia che Balzac era "in uno stato di estrema debolezza" e "sudava copiosamente". Arrivarono nella capitale francese il 20 maggio, al cinquantunesimo compleanno dello scrittore. Cinque mesi dopo il suo matrimonio, domenica 18 agosto 1850. Quel giorno era stato visitato da Victor Hugo, che in seguito servì da paladino e elogiatore del funerale di Balzac. Balzac è sepolto nel cimitero di Père-Lachaise a Parigi. Nel suo elogio funebre, Victor Hugo ha dichiarato "Oggi abbiamo gente in nero a causa della morte di un uomo di talento, una nazione in lutto per un uomo di genio". Al funerale hanno partecipato "quasi tutti gli scrittori di Parigi", tra cui Frédérick Lemaître, Gustave Courbet, Dumas padre e Dumas figlio, e rappresentanti della Légion d'honneur e di altri dignitari. Più tardi, una statua (chiamata Monumento a Balzac) è stata creata dal famoso scultore francese Auguste Rodin. Eretto in bronzo, il monumento a Balzac si erge dal 1939 nei pressi dell'incrocio tra Boulevard Raspail e Boulevard Montparnasse in Place Pablo-Picasso. Rodin ha caratterizzato Balzac anche in alcune delle sue sculture minori.

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La contessa polacca Évelyne Hanska che che gli fu accanto tutta la vita


Le abitudini di lavoro di Balzac sono leggendarie. Scriveva dall'una di notte alle otto del mattino e talvolta anche di più. Balzac riusciva a scrivere molto rapidamente; alcuni dei suoi romanzi, scritti con una piuma, furono realizzati con un ritmo pari a trenta parole al minuto su una macchina da scrivere moderna. Il suo metodo preferito era mangiare un pasto leggero alle cinque o sei del pomeriggio e poi dormire fino a mezzanotte. Poi si alzava e scriveva per molte ore, alimentato da innumerevoli tazze di caffè nero. Lavorava spesso per quindici ore o più di seguito; ha affermato di aver lavorato una volta per 48 ore con solo tre ore di riposo nell'intermezzo. Balzac revisionava in modo ossessivo, ricoprendo le prove scritte a macchina di modifiche e aggiunte da ripristinare. A volte ripeteva questo processo durante la pubblicazione di un libro, causando notevoli spese sia per se stesso che per l'editore. Di conseguenza, il volume finito, abbastanza spesso, era diverso dal testo originale. Sebbene alcuni dei suoi libri non abbiano mai raggiunto il completamento, alcuni, come Les employés (Gli impiegati, 1840), sono tuttavia presi in considerazione dalla critica. Benché Balzac fosse "di volta in volta eremita e vagabondo", riuscì a rimanere in sintonia con le sfere sociali che alimentavano la sua scrittura. Era amico di Théophile Gautier e Pierre-Marie-Charles de Bernard du Grail de la Villette, e conosceva Victor Hugo. Tuttavia, non trascorse tanto tempo nei salotti e nei club di Parigi come molti dei suoi personaggi.

"In primo luogo era troppo occupato" - spiega Saintsbury- "in secondo, non si sarebbe sentito a casa lì ....e sentiva che era suo compito non frequentare la società ma crearla".

Trascorreva comunque spesso lunghi periodi nel castello di Saché, vicino a Tours, la casa del suo amico Jean de Margonne, amante di sua madre e padre del figlio più piccolo di lei. Molti dei tormentati personaggi di Balzac furono concepiti nella piccola camera da letto del secondo piano del castello. Oggi il castello è un museo dedicato alla vita dell'autore.

La Comédie humaine
È stata definita "la più grande costruzione letteraria di tutta la storia dell'umanità" ed è certamente una perfetta rappresentazione di quell'invenzione del XIX secolo che fu il romanzo moderno europeo. Tra tutti i romanzieri francesi, il nome di Balzac (con la sua Comédie humaine) è quello più fortemente associato a questa forma di narrazione. Tessuto di ragionamenti interessanti e a volte bizzarri, pervaso da uno spiritualismo fumoso e a tratti come interrotto per proseguire oltre, il suo pensiero corre lungo la penna quasi senza riuscire a seguirne la velocità. Pare che non abbia tempo di riflettere mentre si occupa di costruire e nutrire un mondo che però rappresenta in chiave "sociologica" i posti, i tipi e le persone reali della propria vita. Così come Gogol', Balzac è convinto che ciò su cui l'artista non pone il suo sguardo rivela solamente l'aspetto vegetativo della vita, e invece è solo nell'opera d'arte che il reale assume significato. Complice la pubblicazione a puntate che impone la fidelizzazione del lettore - il sistema di distribuzione in allegato ai giornali che si andava sperimentando per la prima volta - il romanzo di Balzac ha la tendenza di girare attorno a personaggi forti (come per esempio Goriot, Rastignac, o Eugènie, ormai leggendari), a loro volta circondati da molte comparse che ne amplificano l'energia. La precisione dei termini, la tessitura delle frasi, la scelta delle descrizioni e la ricchezza di parole "enciclopediche", nonché le molte correzioni, mostrano quanto fosse ambizioso e ricercato il progetto che sta dietro al suo lavoro, spesso considerato solo vulcanico e istintivo o biecamente realistico, e invece scoperto dalla critica più recente addirittura come "fantastico" e legato al desiderio di fare moderna "epopea". Si dice che descriva l'umanità come la vede, senza consolazioni o incantamenti arbitrari, ma lo slancio stesso della scrittura finisce con il superare la mera realtà. La Comédie humaine (titolo trovato da Balzac nel 1840) comprende 137 opere che includono 95 romanzi, novelle, saggi realistici, fantastici o filosofici, oltre a racconti e a 25 studi analitici (piano da lui dettagliato nel 1842).

Opere principali (dei più importanti inserisco un breve riassunto)

1824 - Argow il pirata (Argow le Pirate)
Chi è Argow? Un marinaio. Un marinaio ribelle. Nella sua prima vita si è messo a capo di un manipolo di suoi compari e si è ammutinato. È diventato un pirata. Nella sua seconda vita cerca il riscatto sociale. Ma ci può essere un delitto senza un castigo? Non ci sono giustificazioni per i suoi crimini. A nessuno interessa che la sua vera indole sia un’altra. Che è stanco di fuggire. È un malfattore e come tale va giudicato e condannato. “Argow il pirata” è la prima opera in cui si intravede lo spessore dell’autore. Balzac comincia qui l’introspezione dei caratteri umani, ne traccia un primo affresco. Charles Baudelaire, a proposito delle sue opere, diceva: “Tutti i suoi personaggi sono dotati dell’ardore vitale di cui era animato lui stesso. Tutte le sue finzioni sono tanto profondamente colorate quanto i sogni.” Ecco, Argow si può leggere come un sogno.

1829 - Gli Sciuani (Les Chouans)
All'inizio del romanzo, il comandante repubblicano Hulot viene assalito dagli Chouan, che convertono alla loro causa decine di coscritti. Una nobile, Marie de Verneuil, aiutata da un detective chiamato Corentin, viene inviata da Joseph Fouché per sottomettere e catturare il leader monarchico, il marchese de Montauran. Marie, tuttavia, si innamora del marchese de Montauran e, sfidando Corentin, escogita un piano per sposare il leader Chouan. Corentin le fa credere che Montauran ami Madame du Gua e Marie ordina a Hulot di distruggere i ribelli. Scopre troppo tardi il raggiro e cerca, senza successo, di salvare il marito il giorno dopo le nozze.

1830 - La fisiologia del matrimonio (La Physiologie du mariage)
Pubblicata per la prima volta nel 1829, con la misteriosa firma di "un giovane single", e censurata nel 1842 perché ritenuta immorale e scandalosa, Fisiologia del matrimonio fu una delle prime opere che portò Balzac, quando ne fu rivelata la paternità, a farsi apprezzare dal grande pubblico. Considerata dallo stesso autore come una delle pietre fondanti della Commedia umana, la Fisiologia è una meditazione, ricca di sarcasmo, che, oscillando tra lo studio dei costumi dell'epoca e un trattato analitico, viviseziona una delle più importanti istituzioni culturali e sociali dell'umanità. Nel testo ritroviamo così temi quali la luna di miele, la teoria del letto, i sintomi dell'adulterio, le nevrosi, le emicranie e le temibili suocere: tutto passa attraverso la penna di uno scrittore che ha fatto della costruzione letteraria intorno all'umanità il suo tratto distintivo.

1830 - Scene della vita privata (Scènes de la vie privée)
1830 - Sarrasine (Sarrasine)
Parigi, inverno del 1830. In un ricevimento nella villa dei ricchi conti di Lanty, l'io narrante nota uno stridente contrasto fra la sontuosità degli arredi e la gaiezza degli invitati da un lato, il freddo invernale e i funerei alberi spogli coperti di neve dall'altro. Il narratore è in compagnia della marchesa Béatrix de Rochefide, una donna allegra e vitale la quale è spaventata dall'aspetto spettrale di un vecchio invitato. Impaurita, conduce il suo accompagnatore in un salottino, dove rimane colpita dalla bellezza ideale di un Adone dipinto su una tela di Vien. Poco dopo, vede passare Marianina, la giovane figlia dei Lanty, che accompagna il vecchio in una stanza. Béatrix chiede con insistenza che le si racconti la storia del vecchio, e l'io narrante la accontenta l'indomani, nella propria dimora.
Metà del XVIII secolo. Ernest-Jean Sarrasine, figlio di un avvocato della Franca Contea, si dedica alla scultura opponendosi ai desideri del padre che avrebbe desiderato per lui la carriera forense. Allievo di Edmé Bouchardon, il giovane Sarrasine, dal temperamento estremamente passionale, può recarsi in Italia grazie a una borsa di studio del marchese de Marigny, fratello della Pompadour. A Roma Sarrasine si innamora di Zambinella, cantante d'opera, che vede esibirsi una sera al Teatro Argentina, rimanendo folgorato dalla sua bellezza e dalla sua grazia. Da quel giorno essere amato da quella donna diviene l'unico scopo della sua vita. Sarrasine ignora però che Zambinella è in realtà un castrato dalle fattezze femminili. Quando Zambinella confessa a Sarrasine la sua vera natura, ammettendo di averlo ingannato per divertirsi alle sue spalle, Sarrasine, in preda alla disperazione e alla furia, scaraventa il suo martello, mancando il bersaglio, contro una scultura che rappresenta le fattezze di Zambinella e si accinge a uccidere il cantante, ma viene colpito a morte dai sicari del cardinal Cicognara, protettore di Zambinella.
Il cardinal Cicognara entra in possesso della statua di Sarrasine e fa realizzare in marmo la scultura, che la famiglia Lanty ritrova nel 1791 al museo Albani, pregando Vien di copiarla. Così nasce la tela raffigurante Zambinella come Adone. Il vecchio dall'aspetto spettrale che nel 1830 si aggira fra gli ospiti della festa da ballo parigina è proprio l'ormai decrepito Zambinella, imparentato con i Lanty, che devono a lui la loro fortuna. Finito il racconto, la marchesa, disgustata delle passioni e della vita, si scaglia contro Parigi, dove le ricchezze costruite sul sangue e tutte le infamie riscuotono la simpatia della società, mentre la virtù rimane senza ricompensa.

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Alcide Théophile Robaudi, Litografia dalla prima edizione di Sarrasine, Parigi: Editore Charles Gosselin, 1831


1830 - Il ballo di Sceaux (Le Bal de Sceaux, ou le Pair de France)

1831 - La pelle di zigrino (La Peau de chagrin)
Un giovane, Raphaël de Valentin, perdendo le sue ultime risorse, desidera morire. Scopre, presso un vecchio antiquario, un talismano, una pelle di zigrino, che dovrebbe permettergli di soddisfare le tumultuose passioni della sua età. Di rara bellezza la descrizione del negozio dell'antiquario dove la storia dell'umanità viene riassunta e raccontata in una carrellata di oggetti. Cede il giovane all'impeto del piacere, conduce un'esistenza dissoluta, sogna anche l'amore e passa dalla crudele Fedora, una nobile russa dal cuore di pietra all'angelica Pauline, una ragazzina che incarna tutte le doti di candore, ingenuità e bellezza peculiari della femminilità idealizzata. Nelle sue esperienze successive Valentin si inaridisce. Ad ogni nuova gioia che si procura, la pelle, che è tagliata a misura per la sua vita, si restringe; un giorno si accorge che ormai è ridotta a qualche pollice e cerca invano di scongiurare il suo destino sfuggendo ad ogni desiderio, isolandosi, peregrinando fra stazioni termali e rifugi bucolici in Alvernia, ma non ci sarà nulla da fare: irrimediabilmente condannato, sparirà come il suo talismano.

1831 - L'albergo rosso (L'Auberge rouge)
Nei due racconti di questa raccolta, Balzac delinea due quadri della società francese ambientati in epoca napoleonica: il 20 ottobre 1799 per L’albergo rosso e i mesi seguenti alla battaglia di Wagram del 5-6 luglio 1809 per La pace coniugale. I personaggi che muovono l’azione narrativa sono militari a contatto con dei civili ovvero, rappresentanti di due mondi che spesso rispondono a logiche differenti.
Il primo racconto è un mistery: due giovani chirurghi e un comandante di guarnigione che non vuole lasciare impunito un omicidio, da un lato, e un imprenditore in fuga e un oste, dall’altro. Trait d’union e narratore, un imprenditore tedesco, al tempo dei fatti in prigione per essere caduto in un’imboscata dei francesi.
La pace coniugale: alti ufficiali dell’esercito francese, veri e propri sex symbol dell’epoca, e tante belle e ricche donne, alcune delle quali giovani vedove, a una festa nel momento in cui l’impero francese raggiunge il suo apogeo. Occasione per Balzac di mettere in scena un vero e proprio studio del comportamento umano, maschile e femminile, in cui le parole spesso dicono l’opposto di quanto dichiarano, e i comportamenti sono l’unica verità.

1831 - Il capolavoro sconosciuto (Le Chef-d'oeuvre inconnu)
Alla fine del 1612, il giovane Nicolas Poussin si reca all'abitazione parigina del pittore François Porbus, con l'intento di incontrarlo. Qui conosce un misterioso vecchio di nome Frenhofer, un borghese grande esperto di arte che in passato ha aiutato economicamente il pittore Mabuse, ottenendo in cambio di diventare il suo unico allievo. Dal maestro, Frenhofer ha imparato tutti i segreti della pittura, e dopo averli invitati a casa sua rivela a Poussin e Porbus di lavorare da sette anni a un dipinto che non esita a definire un capolavoro, ma che si rifiuta di mostrare loro, nascondendolo gelosamente. Tornato nella locanda in cui alloggia con l'amante e modella Gillette, Poussin, desideroso di ammirare il quadro, chiede alla ragazza di posare per il vecchio, riuscendo a convincerla nonostante le ritrosie. Tre mesi dopo, Porbus va a fare visita a Frenhofer, trovandolo in uno stato di grande scoraggiamento. Il vecchio non è infatti completamente soddisfatto del suo lavoro, e si ripromette di recarsi in Oriente per cercare nuovi modelli a cui ispirarsi. Porbus propone allora di usare come modella la giovane amante di Poussin, e mentre l'anziano pittore si ostina a rifiutare sdegnosamente l'offerta i due fanno ingresso nello studio. Tuttavia, di fronte allo sguardo intenso che Frenhofer posa su Gillette, Poussin ha un moto di gelosia e richiama la ragazza per riportarla alla locanda. Vinte le ritrosie, Frenhofer alla fine acconsente a mostrare loro il quadro a cui sta lavorando da tanti anni. Il dipinto desta però perplessità nei due artisti, che non riescono a riconoscere niente della figura di donna descritta dal vecchio, se non un piede di autentica bellezza. Accortosi che questi non comprendono la sua arte, frutto di continue ricerche e riflessioni, Frenhofer cade in una profonda sconsolazione e scaccia i suoi ospiti. Morirà nella notte, dopo aver bruciato tutti i suoi dipinti.

1832 - Due Contes bruns (Une conversation entre onze heures et minuit e Le Grand d'Espagne)
La raccolta fu preparata da Honoré de Balzac, Philarète Chasles e Charles Rabou per sfruttare il grande successo ottenuto dal genere letterario dei racconti a partire dal 1829, anno in cui sulla rivista Revue de Paris apparvero le traduzioni dei racconti di Hoffmann e i primi racconti di Stendhal. Poiché il volume, pubblicato anonimo da Canel e Guyot, ebbe grande successo, ne fu fatta una seconda edizione in cui erano rivelati i nomi degli autori (Balzac, Chasles e Rabou; quest'ultimo era all'epoca direttore della Revue de Paris). Fra i primi lettori di questa raccolta in Italia deve essere compreso anche il Belli, il quale tuttavia attribuì erroneamente tutti i racconti a Balzac. Il libro fu inserito nell'Indice dei libri proibiti il 16 settembre 1841.

1832 - Il curato di Tours (Le Curé de Tours)
La storia di don Birotteau, ingenuo parroco della cattedrale di Tours, animato da innocenti ambizioni da provinciale. Balzac segna con questo racconto la nascita di una nuova sensibilità: il realismo ottocentesco. «I celibi sostituiscono i sentimenti con le abitudini. Quando a questo sistema morale, che li porta ad attraversare la vita, piuttosto che a vivere, si somma un carattere debole, le cose materiali acquistano su di loro un potere sorprendente». Il primo degli innumerevoli modi in cui si può leggere, ed è stato letto, questo racconto lungo e durevole capolavoro, è che sia lo studio, disincantato e a tratti spietato, o addirittura sadico nel finale, di come le energie affettive non consumate si dirigano a pervertire tutti i rapporti umani. Una metafora del potere, e della sete di potere accentuata per la circostanza di trovarsi imprigionata dentro la soffocante angustia di una provincia bigotta: dunque tanto più feroce e famelica, quanto più meschina e risibile nelle sue prede. Balzac nel racconto dichiara di inscenare «le leggi naturali dell’egoismo», lasciandole agire in una lotta sorda di tortuosi interessi minuscoli, che lentamente assume la grandezza del dramma cosmico. E i tre personaggi che dominano il campo, dell’egoismo incarnano tre forme diverse: don Birotteau, il parroco di Tours, innocuo e viziato, «la cui bontà sfociava nell’idiozia», è così inetto a tener conto degli altri nel suo desiderio da non vederne nemmeno le trame ostili; don Troubert, maligno calcolatore, nel suo disegno di potere che lo trasforma dal canonico intrigante dell’inizio a genio del male, non trascura il piacere di una vendetta passeggera che travolge il povero Birotteau; la trista zitella Gamard finalmente «felice di poter coltivare un sentimento così fertile come la vendetta», diventa strumento docile di una rivalsa frivola che non le recherà alcun vantaggio o contentezza. La geometria degli egoismi ruota intorno a un appartamento e al suo mobilio, appartenenti alla zitella Gamard, cui il goffo Birotteau mettendovi le sue labili radici, ha legato tutto il significato dell’esistenza. Troubert con mossa facile lo depreda; mentre intorno i salotti della città passano dalla pietà per la vittima all’ostile abbandono. E Balzac, in una maestosa opera di «fusione di triviale e sublime, patetico e grottesco», fa del quotidiano oggetto di tragedia, segnando con questo racconto la nascita di una nuova sensibilità: il realismo ottocentesco.

1832 - Pierina

1832 - Louis Lambert (L'histoire intellectuelle de Louis Lambert)
La storia è scritta in prima persona; il narratore descrive l'incontro con un giovane talentuoso avvenuto nel collegio dell'oratorio di Vendôme: il ragazzo gode della protezione nientemeno che di Madame de Staël. Tutto preso nei suoi studi personali Louis rimane estraneo all'ambiente non legando con gli altri studenti della stessa età; viene inoltre spesso preso di mira con scherzi e prese in giro. Unico figlio di un conciatore di pelli nasce nel 1797 ed inizia a leggere fin dalla più tenera età; nel 1811 ha occasione d'incontrare l'autrice svizzera Madame de Staël la quale, colpita dall'acuto intelletto del ragazzino paga le spese per la sua iscrizione al Collegio di Vendome. Qui Louis incontra il narratore, suo compagno di classe e chiamato "il poeta" (identificato come lo stesso Balzac): i due diventano ben presto buoni e cari amici. Evitato dagli altri studenti e rimproverato dagli insegnanti per il suo prestar poca attenzione alle lezioni, il legame tra i due ragazzi si rafforza attraverso le svariate discussioni che vengono ad avere su argomenti di mistica e filosofia. Tra le sue letture troviamo anche Swedenborg (le cui teorie appaiono espresse anche in Séraphîta); il giovane ha forti componenti geniali ma gli insegnanti non riescono a comprendere la sua sete d'assoluto e tutti più o meno lo considerano un mezzo pazzoide. Dopo aver completato un suo saggio sui temi trattati a voce negli incontri con l'amico, Louis rimane sconvolto quando un insegnante glielo confisca definendolo "spazzatura"; poco dopo una grave malattia costringe il narratore a lasciare la scuola. Nel 1815 Louis si diploma all'età di 18 anni e comincia a vivere per i successivi tre anni nella capitale. Dopo il ritorno a casa di suo zio a Blois, incontra una donna di nome Pauline de Villenoix e cade appassionatamente innamorato di lei: il giorno prima del loro matrimonio però subisce un crollo mentale e tenta l'auto castrazione, volendo in tal maniera imitare il padre della chiesa Origene. Dichiarato incurabile dai medici a Louis viene ordinato un periodo di riposo assoluto in perfetta solitudine. Pauline lo conduce al castello di famiglia, ove si ritrova a vivere in una condizione di quasi coma; il narratore farà visita al suo vecchio amico, ma questi non riesce a dirgli altro che "Gli angeli sono bianchi". Solo la sua amata Pauline prende in seria ed attenta considerazione i suoi pensieri e riflessioni, riunendoli in un "trattato della volontà", opera ch'egli non ha avuto il tempo di portare a termine. Louis muore il 25 settembre 1825 all'età di 28 anni.

1832 - Il Colonnello Chabert (Le Colonel Chabert)
Nel 1817, dieci anni dopo la battaglia di Eylau, che vedeva contrapposte la fazione francese e quella Russa, il colonnello Hyacinthe Chabert, soldato della Grande Armata creduto morto ma in realtà rimasto sepolto vivo sotto i cadaveri, deve affrontare i disagi di un ritorno a casa nella Parigi della Restaurazione. Lì trova la moglie sposata con un altro uomo, il conte Ferraud, e i suoi beni usurpati. Racconta la sua storia all'avvocato Derville, il quale prende a cuore la sua causa e si adopera per aiutarlo a riprendere il proprio posto nella società. La nuova contessa Ferraud non è disposta però a cedere i soldi al marito e decide quindi di portarlo nella sua villa di campagna. Lì tenta di sedurlo e di fargli firmare un documento in cui dichiari di non essere Chabert ma un impostore. L'intento naufraga ma la contessa otterrà comunque dal colonnello quello che vuole. Il colonnello finirà i suoi giorni nell'ospizio dei vecchi. Derville invece disgustato dalla malvagità che vede ogni giorno, si ritira in campagna.

1833 - Il medico di campagna (Le médecin de campagne)
Nel 1829, il Genestas comandante dell'esercito napoleonico, arriva in un villaggio nel Delfinato, dove ha incontrato il dottor Benassis, che in dieci anni ha trasformato un paese arretrato in fiorente cittadina. I due uomini hanno ciascuno un segreto che verrà consegnato alla fine della storia. Genestas viene accolto a pensione dal dottor Benassis per dieci franchi al giorno, con lo scopo di curare lesioni ex militari. I due diventano amici e il comandante accompagna quotidianamente il medico nel suo giro di visite. In questo modo scopre come Benassis, sia diventato sindaco del paese e come, applicando le sue teorie, abbia portato prosperità. Con la costruzione di imponenti opere idrauliche, ha trasformato una terra arida in terreni coltivabili dove i contadini hanno potuto coltivare grano e alberi da frutto. Ha anche migliorato case, creato una piccola industria di paglia e segheria, ha costruito una strada che collega il paese alla città di Grenoble. Ha incoraggiato il trasferimento di parecchie persone quali il panettiere, il fabbro, e molti artigiani che in cinque anni hanno raggiunto una condizione di prosperità, con l'installazione di negozi, concerie, macellai, e le strutture comunali: municipio, scuola. Alla fine della storia, i due nuovi amici sono si raccontano i segreti della loro vita: Genestas confessa di avere un figlio adottivo, Adrian, che è malato e che vuole affidare al dottor Benassis. Il medico è d'accordo e riesce a guarire il bambino. Da parte sua, Benassis confida il suo segreto che lo ha portato alla necessità di espiare una grande colpa non volendo ricorrere al suicidio o al monastero. Confida che in gioventù ha sedotto una ragazza che rimasta incinta non è sopravvissuta alla vergogna ed è morta. Per questo motivo Benassis ha deciso di mettere la sua vita al servizio degli altri. Il medico di campagna (1833), romanzo tra i più politici di Balzac, nasce dalle ambizioni di Balzac che avrebbe voluto intraprendere una carriera politica ma ne era rimasto deluso. La lettura di questo vuole far comprendere che il politico deve essere generoso e disponibile verso coloro che rappresenta e soprattutto saperli ascoltare: la sua non deve essere bramosia di potere, bensì una missione umanitaria. ...Se ciascuno pensa solo a se stesso e non si fida che di se stesso, come volete che ci sia coraggio civile, dal momento che questa virtù si basa sulla rinuncia a se stessi? Coraggio civile e coraggio militare nascono dallo stesso principio. Voi siete chiamati a dare la vostra vita in un sol momento, la nostra si consuma a goccia a goccia. Da entrambe le parti è la stessa lotta, sotto forme diverse. Non basta essere onesti per far progredire il più piccolo paese, bisogna anche essere preparati; senza contare che istruzione, onestà, amor di patria non valgono niente se non c'è la ferma volontà di trascurare ogni interesse personale per dedicarsi al pubblico bene..

1833 - Eugenia Grandet (Eugénie Grandet)
La storia di Eugénie è ambientata a Saumur, piccolo paesino della campagna francese. Il padre di Eugénie, che in città è conosciuto come papà Grandet, è un vecchio vignaiuolo arricchitosi grazie all'eredità paterna fatta fruttare tramite giusti investimenti finanziari, ha un fiuto infallibile per gli affari e a una proverbiale avarizia, che suscita in lui un notevole attaccamento all'oro che “sembrava aver comunicato il suo colore al suo viso ”. Nonostante la sua ricchezza, quindi, il padrone di casa fa di tutto per nasconderla, non parlarne e, soprattutto, non spenderla; sua moglie, sua figlia Eugénie e la serva Nanon, scelta per la sua robustezza e possanza fisica, sono quindi costrette a vivere in una casa spoglia e povera. La vita scorre in maniera monotona per moglie e figlia, eccetto per le civettuole visite serali delle famiglie des Grassins e Cruchot, che ambiscono all'eredità del vecchio bottaio tramite la mano di sua figlia. La monotonia si interrompe a casa Grandet quando una sera giunge un elegante e raffinato giovanotto parigino: Charles, cugino di Eugénie. Come avrà subito modo di scoprire papà Grandèt, Charles era stato spedito presso lo zio da suo padre, padrone di un'azienda parigina che stava fallendo e che in seguito si suiciderà per la disperazione. Papà Grandet, più preoccupato per i soldi che dovrà investire per salvare l'onore del fratello che per suo nipote, acconsente ad ospitarlo per pochi giorni in casa sua. Le donne di casa, al contrario, sono affascinate dal giovane parigino, specialmente Eugénie, per la quale “il cugino suscitò nel suo cuore le stesse emozioni sottilmente voluttuose che suscitano in un giovanotto le fantastiche figure femminili disegnate da Westall nei keepsakes inglesi, incise dai Finden con tale abilità che si ha paura, soffiando sulla velina, di fare volare via quelle celestiali apparizioni ”. Il rapporto tra Eugénie e suo cugino diventa sempre più stretto e intimo, specialmente dopo che Charles ha appreso la notizia della morte di suo padre. Eugénie dedica le migliori attenzioni al cugino, anche al costo di disubbidire economicamente a suo padre, che non tollera assolutamente spese superflue. Eugénie è dunque innamorata perdutamente del cugino, ma di un amore lieve, etereo e assolutamente religioso. La storia però non è destinata a durare, in quanto papà Grandet decide di spedire il nipote a cercar fortuna nelle Indie; l'amore per il cugino spinge Eugénie a donargli tutto il suo oro, regalatole dal padre, mentre il cugino affida in pegno a Eugénie un cofanetto con il ritratto della madre, che diventa una sorta di feticcio amoroso per la ragazza. Dopo essersi giurati amore eterno, Charles parte con la promessa di tornare da lei non appena guadagnato il denaro per farlo. Intanto papà Grandet, con il pretesto di salvare l'onore della famiglia, rileva i debiti di suo fratello e, grazie al lavoro a Parigi del fidato De Grassins, riesce a soddisfare i creditori di suo fratello, guadagnando un'immensa fortuna. Quando il padre, però, si accorge che la figlia ha regalato tutto il suo oro al cugino, va su tutte le furie, la maledice e la chiude in camera a pane e acqua. La signora Grandet, profondamente sconvolta per le reazioni di suo marito, si ammala gravemente, pur continuando a pregare il marito di perdonare la figlia. Alla fine il perdono arriva, ma solo dopo la scoperta, da parte dell'avido Grandet, che la figlia è ereditaria di metà delle proprietà di sua moglie, e che quindi risulta molto più conveniente trattarla bene in modo poi da convincerla a rinunciare ad essa. Così accade, ma nonostante la riappacificazione la signora Grandet muore ed Eugénie acconsente a rinunciare alla sua eredità. Dopo qualche anno anche papà Grandet muore, solo nelle sue stanze colme di ricchezze, ed Eugénie rimane da sola ad amministrare l'immensa fortuna paterna, compito che conduce egregiamente. Intanto la serva Nanon, grazie a una regalia di Eugénie, si sposa e diventa madame Cornoiller, restando l'unico affetto di Eugénie. L'ultimo dispiacere della sua vita le arriva quando riceve l'unica lettera da Charles in tutti questi anni in cui era stato lontano: egli le scrive di essere una persona nuova, di essersi arricchito, ma soprattutto di aver conosciuto il mondo e le leggi che lo regolano. Le dice di rinunciare alla promessa fatta pochi anni prima e offre alla cugina solo la restituzione del prestito ricevuto alla partenza. Charles intendeva sposare la figlia del duca D'Aubrion, famiglia nobile ma decaduta a causa di rovesci finanziari, in modo da assumere una posizione importante nella politica francese, e ambire ad arrivare vicino alla cerchia del re. Eugénie reagisce a questo dolore con molta compostezza: paga i creditori di suo zio, restituisce il cofanetto d'oro al cugino, gli augura buona fortuna e acconsente a sposare il “presidente” Cruchot. Così Eugénie trascorre tristemente alcuni anni assieme a un marito non amato e senza figli in un piccolo paesino di provincia. In seguito anche questo muore, affidandole la sua eredità, ma lasciando la protagonista nuovamente sola.

Eugenia

Illustrazione di Daniel Hernandez. (1834)

1834 - La ricerca dell'assoluto (La recherche de l'absolu)
La famiglia Claës è una delle più agiate famiglie della città di Douai, il capofamiglia, il sig. Balthazar Claës è sposato con Joséphine, discendente della famiglia spagnola della Casa-Real. La delicatezza di Balthazar aveva esaltato in lei i più generosi sentimenti, i due vivevano in una felicità scambievole. La famiglia si componeva inoltre di due figli e due figlie. La vita scorreva pressoché serena e armoniosa, fino al giorno in cui Balthazar dedicherà il suo tempo alla chimica nella speranza di ricercare l'Assoluto, la sostanza comune a tutte le creazioni. In questa impresa verrà aiutato dal fedele domestico Lemulquinier il quale non lo abbandonerà mai. Questa sua attività di chimico lo assorbirà totalmente, fino a far venire meno quella felicità domestica che regnava in casa Claës, causando inoltre non pochi problemi economici per le spese sostenute nell'acquisto delle apparecchiature. Il perdurare della situazione porterà alla morte della moglie Joséphine, la quale soffrirà molto della mancanza di amore del marito, ma non cesserà mai di amarlo e aiutarlo economicamente, tanto che il giorno della sua morte farà promettere alla figlia maggiore, Margherite, di seguire il padre e di amarlo per sempre, qualsiasi cosa accada. La figlia assolverà la promessa fatta nonostante il perdurare degli sperperi economici da parte del padre, il quale in fasi alterne continuerà a cercare l'Assoluto, sperperando sei patrimoni. La figlia Margherite si sposerà con Emmanuel Solis, nipote dell'abate Solis, amico di famiglia da vecchia data. L'eredità ricevuta dalla famiglia Solis risulterà provvidenziale per permettere a Margherite di riportare la casa e la famiglia Claës ai vecchi fasti. Nella conclusione del romanzo Balthazar, invecchiato e povero (ancora una volta povero) in punto di morte con il suo fedele servo Lemulquinier, accudito da sua figlia Margherite e suo marito Emmanuel, leggendo un articolo di giornale mette a conoscenza il suocero della scoperta dell'Assoluto compiuta da altri ricercatori.

1834 - Papà Goriot (Le Père Goriot)
Il romanzo si apre con un prologo di venti pagine, in cui si narra l'antefatto di un dramma. Successivamente Balzac ci introduce nella pensione di Madame Vauquer, dove alloggiano Eugène de Rastignac, giovane studente universitario di giurisprudenza, Vautrin, un personaggio misterioso ed inquietante, Papà Goriot, pastaio in pensione e fabbricante di vermicelli, oltre che a svariati altri personaggi che avranno un ruolo secondario nella narrazione. Papà Goriot ha due figlie, Anastasie e Delphine (sposate rispettivamente con un conte e con un banchiere), che ama in modo patologico. Esse però lo vanno a trovare solo per ottenere soldi, in modo da soddisfare i loro capricci. La vicenda di Papà Goriot si intreccia poi con quella di Eugène de Rastignac. Egli, giovane molto ambizioso, tralascia gli studi di giurisprudenza attratto dall'alta società parigina. L'ambizione porta Rastignac a sedurre donne altolocate, tra cui Delphine, una delle figlie di Papà Goriot. Inoltre il signor Vautrin, che poi si rivelerà un pericoloso criminale, tenta di iniziarlo al male, spiegandogli come raggiungere i propri scopi con mezzi disonesti. Il romanzo si conclude con la morte di Papà Goriot, ucciso non solo dall'età ma anche dalle privazioni che si era imposto per amore delle figlie. A questo proposito, la scena finale mostra davvero la mancanza di affetto delle figlie verso il padre, costretto anche nell'ultimo viaggio ad essere accompagnato dal solo Rastignac.

Goriot

Illustrazione del celebre dialogo fra Vautrin e Rastignac nel cortile della Pensione Vauquer.

1835 - Séraphîta (Séraphîta)
Il romanzo ha una particolarità : il protagonista è un androgino, contemporaneamente uomo e donna ed è amato allo stesso tempo da un uomo e da una donna. Lo conosciamo inizialmente come Séraphîtüs, perché è maschio agli occhi di Minna: una giovane norvegese che lui sta guidando verso l’inarrivabile cima del Falberg. Si comprende bene che lei è innamorata di questo adolescente dalla forza e dalla maturità non comuni. Ma lui, pur dispiaciuto di non poterla contraccambiare, le ricorda che non può essere il suo compagno. I suoi obiettivi per sé e per il loro rapporto sono altri. Allo stesso modo, non può diventare la donna di Wilfrid, un uomo combattivo e sanguigno dal passato non molto limpido. Lo vediamo nel capitolo in cui Séraphîtüs si manifesta come Séraphîta. Non è una persona diversa: sono diversi gli occhi che la guardano. Questa figura così eterea, misteriosa, con conoscenze e pensieri inspiegabili in un adolescente che non ha mai abbandonato il castello avito non è nemmeno un essere umano.

serafita


Séraphîta - Illustrazione di Édouard Toudouze

1835 - Storia dei tredici (Histoire des Treize)

- Ferragus
La storia è ambientata intorno al 1820. Auguste de Maulincour è un giovane ufficiale di cavalleria e un giorno, camminando in uno dei quartieri malfamati di Parigi scorge da lontano una giovane donna sposata, Clemence, della quale è già da tempo segretamente innamorato; la vede entrare in una casa di tolleranza. Quale mistero cela questa signora, ampiamente conosciuta nella buona società della capitale come autentico modello di virtù coniugale? La ritrova quella sera stessa presso madame de Nucingen: Auguste, più che mai sorpreso, cerca di scoprire la verità. Decide così di cominciare a spiare la donna e finisce col trovarla in compagnia di un uomo quantomai inquietante di nome Ferragus. Nei giorni seguenti l'ufficiale giunge a scoprire e così anche a svelare molti dei segreti di alcuni personaggi potenti e misteriosi e deve sfuggire anche a diversi attentati contro la propria persona; viene anche sfidato a duello dal marchese de Ronquerolles e ferito. Successivamente Auguste finisce per essere avvelenato, ma prima di morire rivela il segreto di Clemence al marito, Jules Desmarets, un ricco agente di cambio: l'uomo la sorprende e lei non sembra in grado di giustificarsi. Jules intercetta una lettera inviata da Ferragus alla moglie e scopre quindi dove si nasconde l'uomo. Con la complicità della donna che ospita Ferragus, la madre di un'amante di quest'ultimo, Jules riesce a spiare un incontro tra Ferragus e Clemence e quindi a scoprire tutta la verità. Ferragus in realtà non è altri che il padre di Clemence: il suo vero nome è Bourignard ed è un imprenditore edile, molto ricco e bello durante la sua gioventù, prima d'esser imprigionato nel 1806 per motivi politici (era difatti membro e gran maestro dell'ordine massonico di Devorants) e condannato a 20 anni di reclusione. Evaso dal carcere aveva finito per vivere a Parigi sotto vari nomi e travestimenti; nel 1815 era anche stato coinvolto in diversi sordidi affari, tra cui quello che aveva coinvolto Marsay nel tentativo di liberare Pacquita, La ragazza dagli occhi d'oro. Ronqueroulles era stato uno dei suoi complici e gli aveva offerto aiuto e protezione durante la fuga: fanno parte d'una società segreta composta da 13 persone. I nervi di Clemence non sopportano tutta questa serie di eventi e la donna cede. Si ammala di una malattia nervosa e di li a pochi giorni muore. Incipit
- La duchessa de Langeais (La Duchesse de Langeais)
Il generale Montriveau ama la duchessa Antoinette de Langeais, una donna decisamente civettuola che cerca di sedurlo, dominarlo senza concedere nulla. Il generale cerca più volte di possedere la donna, sempre con esito negativo. Ronquerolles, amico del generale, gli consiglia di essere meno indulgente e più spietato con la donna per ottenere il suo amore. Quindi una sera, con l'aiuto di tre uomini incappucciati, il generale fa rapire la duchessa, minacciandola di marchiarla in fronte. L'atteggiamento della duchessa cambia, ha capito di amare il generale, che però oppone solo rifiuti alla donna che lo cerca insistentemente. La duchessa, dopo una serie di infruttuosi tentativi, decide di abbandonare Parigi e si rifugia a Cadice, nel convento delle carmelitane scalze. Aiutato dai suoi potenti amici detto il gruppo dei tredici, una sorta di massoneria dagli interessi occulti, il generale prosegue nella ricerca dell'amata scomparsa fino a che non la ritrova all'interno del monastero spagnolo ove s'era rifugiata sotto il nome di Suor Teresa. Lei dopo molte insistenze accetta di riceverlo e all'ultimo momento ammette la propria colpa, d'averlo cioè amato ma di aver tenuto la cosa nascosta a tutti fino ad allora. Il generale, con l'aiuto dei tredici, organizza il rapimento della suora, introducendosi di nascosto nel monastero. Ma quando arrivano nella cella della duchessa, la trovano morta. Portano comunque via la salma e durante il viaggio decidono di gettarla in mare. Lo spirito dei tredici permea l'intera vicenda, in particolare nella scena in cui si vede esplodere la violenza di Montriveu, consigliato da Ronquerolles, che minaccia la duchessa di marchiarla in fronte con una croce di Lorena rovente.
- La ragazza dagli occhi d'oro (La Fille aux yeux d'or)
La novella inizia con una lunga descrizione della città di Parigi e dei costumi dei parigini. Il conte Henry de Marsay, figlio naturale di Lord Dudley ed educato dall'abate de Maronis, è un dandy agguerrito il quale con la sua forza e capacità innate sembra riuscir a piegare chiunque al proprio volere. La storia ha inizio quando Marsay incontra per la prima volta Paquita Valdes, una "ragazza dagli occhi dorati", durante una passeggiata. Questa creatura misteriosa e d'una bellezza realmente eccezionale attira subitaneamente l'attenzione del conte. La ragazza vive sotto il costante controllo della governante ed è pressoché rinchiusa nel suo palazzo; infatti non esce mai sola e non riceve nessuno. Per l'annoiato conte, la conquista della fanciulla è una sorta di sfida e quindi da allora in poi cercherà di far di tutto per riuscire a conquistarla; con l'aiuto di Ferragus e del marchese di Ronquerolles spera di arrivare a sedurre la giovane. Ma è proprio il fedele servo di quest'ultima a contattarlo per organizzare un incontro con la fanciulla. La prima volta, il giovane riesce a incontrare Paquita in gran segreto nella casa di sua madre. Successivamente si incontrano altre due volte, con molte precauzioni, nella stanza di Paquita. Ma quando Henry è al culmine della passione, quando parlano di fuggire insieme, magari in Asia, Paquita invoca il nome di una donna. Il giovane diviene furioso e medita vendetta. Chiede quindi aiuto alla banda dei tredici, tra i quali c'è Ferragus. Quando fanno irruzione nella casa di Paquita la trovano morente di fronte alla marchesa di San-Real, sorellastra di Marsay, la quale è follemente innamorata di lei nonché estremamente gelosa e possessiva, ed è proprio la gelosia che l'ha spinta ad ucciderla. Ma quando si rende conto che Paquita l'ha tradita con il suo fratellastro, la marchesa si pente e decide di tornare in Spagna per entrare in un convento di los Dolores. Nelle ultime righe del racconto Marsay dice ridendo ad un amico che la ragazza è morta di tisi.

1836 - Giovanna la pallida (Jeanne la pâle o Wann-Chlore)

1836 - Il giglio della valle (Le Lys dans la vallée)
Il giglio della valle è la storia dell'intenso amore platonico tra Félix de Vandenesse, membro più giovane di una famiglia aristocratica, e la contessa Blanche de Mortsauf (soprannominata Henriette da Félix), moglie del conte de Mortsauf, uomo tenebroso e violento. Félix de Vandeness racconta della sua infanzia infelice, in cui non si sentiva amato, persino odiato, e del suo incontro con una creatura celeste che divenne per lui una madre sostitutiva e un'amante irraggiungibile, molto più pura e intransigente di Madame de Berny, musa ispiratrice e amante di Balzac. Henrietta, invece, era devota a volte fino all'eccesso, tanto da arrivare a rimproverare se stessa per la sua «mancanza di forza apostolica» in una delle confessioni con l'abate François Birotteau. Dopo diversi anni di relazione casta, Felix incontrò Lady Dudley a Parigi, dove, grazie a lei, inizia a frequentare i salotti. Lady Dudley era un'aristocratica inglese che lo introdusse alle gioie e alle passioni carnali. Henriette viene a sapere della loro relazione e, lasciandosi consumare dal dolore, muore. Da quel momento in poi, Félix si allontana da Lady Dudley. L'intera storia si presenta sotto forma di un'unica lettera di Felix alla sua amante del momento, la contessa Natalie de Manerville. Lei risponde dichiarando che non vuole e non può essere costantemente paragonata alla gentile e saggia Madame de Mortsauf, né alla grande e orgogliosa Lady Dudley e che pertanto vuole rompere qualsiasi tipo di rapporto con lui.

1837 - Storia della grandezza e della decadenza di Cesare Birotteau (César Birotteau)
Il personaggio principale è un profumiere parigino che raggiunge il successo nel settore dei cosmetici, ma fallisce a causa di speculazioni immobiliari. Come spesso nei romanzi di Balzac, il soggetto è stato tratto da un fatto reale: un certo Bully, profumiere di mestiere, che inventò una lozione a base di aceto a cui diede il suo nome. Il negozio di Bully venne saccheggiato durante la rivoluzione di Luglio del 1830, lasciando l'uomo sul lastrico. Balzac ha aggiunto una questione di speculazione, trasformando la storia in una vera avventura, in cui Cesare Birotteau è il tipico piccolo borghese di quegli anni, la cui ambizione è quella di raggiungere le più alte sfere della società parigina. Sempre pronto a sottolineare la crudeltà del mondo, Balzac volle dare un quadro sconvolgente di questo personaggio ingenuo (la cui fine sarà meno dura rispetto al modello originale).

1837 - Le sollazzevoli istorie (Contes drolatiques)

1837 - Il Centenario (Le Centenaire, ou les deux Béringheld)
Quando Honoré de Balzac pubblica Il Centenario o i due Béringheld sotto lo pseudonimo altisonante di Horace de Saint- Aubin, la Francia sta vivendo un vero e proprio revival del romanzo nero e del romanzo fantastico. A metà fra il fiammeggiante e il parodico. Il Centenario, già prettamente balzachiano, appare come il libro del tempo e della totalità, dell'errare dell'uomo e dell'inquietudine della passione, in un itinerario da sonnambuli dove il sovrannaturale tende a sfociare nella spiegazione scientifica. Centrato su un doppio eroe alla ricerca del sapere e del segreto della longevità, annuncia temi e figure dominanti della futura Comédie Humaine: il sogno dell'immortalità, il mistero del fluido vitale, la volontà di potenza, la corrosione del tempo ed il tormento dell'amore assoluto».

1838 - Gli impiegati (Les Employés)
L’impiegato risulta estremamente funzionale alla narrativa balzachiana perché nel suo “habitat”, l’ufficio, risponde con le stesse dinamiche che caratterizzano le vicende umane messe in scena nella Comédie humaine. Quando Balzac apre le porte del ministero dove lavora Rabourdin, appare al lettore uno spettacolo tanto eterogeneo quanto rappresentativo: per mezzo di una scrittura degna del migliore vaudeville, chi osserva entra in contatto con i colleghi del protagonista, maschere teatrali di un sistema che si regge esclusivamente sul servilismo e sull’arrivismo, contro cui il merito è costretto ad arrendersi. Cretini perché impiegati, o impiegati perché cretini («forse la responsabilità va divisa in parti uguali fra la natura e il governo»), i lavoratori ministeriali di Balzac sono i veri tarli del sistema, pronti a rosicchiare fino all’osso la macchina amministrativa per averne un qualsiasi (infimo) guadagno; piccoli e impossibili da schiacciare, perché «si appiattiscono sotto il piede», errano dagli uffici ai salotti in cui le femmes decidono del destino dei propri mariti; costantemente in cerca di un’amicizia da sfruttare o di una conoscenza utile per lo slancio risolutivo, si piegano a qualsiasi compromesso. Il successo professionale non è sicuramente ostacolato dall’incapacità, poiché si può far carriera anche solo «mettendosi in vista, stando in società, coltivando le [proprie] relazioni e stringendone delle nuove». Ne è tragica controprova il protagonista Rabourdin, il quale non raggiungerà la promozione proprio per la sua intelligenza, la sua lungimiranza, e in fondo anche la sua onestà intellettuale: il suo piano di riforma ministeriale, che pretende di trasformare l’amministrazione pubblica in una macchina più efficiente e meno dispendiosa, viene scoperto e divulgato, creandogli così un ambiente così ostile, da rendere obbligatorie le dimissioni. Alla partita messa in scena dal romanzo di Balzac (che fonda un genere, quello appunto del romanzo impiegatizio) partecipano tutti, dai chierici agli uomini di stato, dalle mogli alle amanti, passando per gli usurai e i proprietari terrieri. Ma di tutta questa bagarre, c’è solo un elemento, sembra voler sostenere Balzac, ad uscire veramente sconfitto: e questo non è di certo lo Stato, il quale «deruba gli impiegati quanto gli impiegati rubano il tempo dovuto allo Stato», quanto quell’entità astratta che possiamo chiamare l’animo umano. Man mano che ci si avvicina la morte, il lavoro impiegatizio rivela un processo di fagocitazione che distrugge l’identità dei suoi personaggi: «il barone ieri era ancor vivo e oggi non è più niente, nemmeno impiegato» Ma ciò non induca a vuoti romanticismi e pateticismi. La posizione di Balzac è prettamente politica: solo una monarchia d’ancien regime è capace di nobilitare l’uomo e il suo spirito. Il governo democratico, invece, è avvilente e induce i suoi cittadini ad un livello di sudditanza senza precedenti. E la figura dell’impiegato è quella più capace di mostrare questo processo.

1838 - Voyage en Sardaigne

1839 - Béatrix
Nella vecchia aristocratica Bretagna, a Guérande "circondata dalle sue possenti mura" , il giovane Calyste du Guénic cerca un ideale di vita che sembra offrirgli l'associazione di Félicité des Touches, scrittore e musicista già famoso con lo pseudonimo di "Camille Maupin" . Ma Calyste ha un rivale: Claude Vignon, celebre autore e assiduo corteggiatore di Félicité. Quando la marchesa Béatrix de Rochefide e il suo amante Gennaro Conti, musicista un tempo amante di Félicité, arrivano al castello, Calyste viene spinta tra le braccia della marchesa dalla stessa Félicité. Mentre vive un breve e intenso amore con Beatrix, Conti gli porta via all'improvviso la donna che ama. Il giovane bretone cade in una depressione da cui la stessa Félicité lo trarrà portandolo a Parigi e promuovendone il matrimonio con Sabine de Grandlieu, prima di ritirarsi in convento. Ritroverà però le braccia della marchesa, lasciate da Conti, con grande disperazione della moglie. Sabine riuscirà a “recuperare” il marito solo al termine di una cospirazione amorosa e sociale in cui interverranno e si intersecheranno diversi personaggi ricorrenti de La Comédie humaine.

beatrix

Beatrix. Illustratore Adrien Moreau


1839 - Il curato del villaggio (Le Curé de village) pubblicato a puntate su La Presse, poi in volume, nel 1841;
Véronique Graslin va ad espiare il suo passato colpevole di peccatrice adultera nel piccolo villaggio di Montegnac, nella regione centrale della Francia chiamata Limosino. Ha lasciato il proprio amante, condannato a morte, senza rivelare la sua partecipazione al crimine ch'egli aveva commesso. Jean-François Tascheron, l'assassino, è un contadino che cercava col suo delitto di reperire i fondi necessari per poter così realizzare una fuga d'amore all'estero con l'amata Véronique. L'uomo durante tutta la durata del processo non fa mai menzione del nome della donna e finisce per esser condannato alla ghigliottina. La donna si ritira in un monastero sotto la direzione di padre Bonnet, cercando in tal maniera di riscattare la colpa che l'assilla consacrando la vita al prossimo più bisognoso. Ella viene così a donare tutta la propria fortuna aiutando il buon padre, compresa tutta una serie di opere d'irrigazione per fertilizzare le terre aride del paese Véronique vivrà fino all'ultimo giorno in completa solitudine in una condizione quasi monacale; solo poco prima di morire confessa pubblicamente in chiesa i motivi delle azioni sue e dell'uomo che ha amato.

1841 - Un tenebroso affare (Une ténébreuse affaire)
1842 - Memorie di due giovani spose (Mémoires de deux jeunes mariées)
1842 - Casa da scapolo (La Rabouilleuse)


1842 - La donna di trent'anni (La Femme de trente ans)
La nostra Julie ci appare nel 1813 giovane e innamorata di un brillante colonnello di cavalleria, suo lontano parente, Victor conte d'Aiglemont. Lei non avrà idea che dopo un anno questo diventerà un matrimonio doloroso. Il padre della giovane, che conosce a fondo la delicata creatura cercherà di opporsi alla grossolanità di Victor. Ma invano. Pochi mesi dopo, i due sono già sposati. L'incompatibilità fra i due caratteri diversi si rivelerà più avanti, complicata da una certa insofferenza che intaccherà la fragile costituzione fisica della donna. "Come la maggior parte dei mariti che si sentono soggiogati da uno spirito superiore, il marchese salvava il suo amor proprio facendo derivare dalla fragilità fisica anche la debolezza morale di Julie, che si divertiva a compiangere, mentre si chiedeva perché la cattiva sorte gli avesse dato in sposa una ragazza malaticcia. Insomma, si considerava la vittima, mentre era il carnefice. La marchesa, oppressa da tutto il dolore di una esistenza del genere, doveva per di più sorridere al suo inetto padrone, ornare di fiori una casa in lutto, e mascherare di gioia un viso reso pallido dalle pene segrete". Mentre il suo amore per il marito si spegne, una fiamma si accende per un giovane lord inglese. Arthur Ormond, amore a cui lei resiste con tutte le sue forze, provocando una serie di incidenti. Arthur però pagherà con la vita l'onore di Julie. Ritroviamo Julie a trent'anni, ancora bella e attraente, rassegnata ormai anche alle isolate infedeltà del marito, disposta a trattarlo solo come un buon amico, alleata della nuova fortuna politica e mondana di lui. Ancora una volta troverà consolazione in un nuovo amore con meno ideali del primo: il diplomatico Charles de Vandenesse, dal quale avrà un figlio. Un rapporto punito drammaticamente dalla morte del piccolo e dalla fuga di un altra figlia, Hélène, con un assassino, insieme ad altre vicissitudini drammatiche successive. "La marchesa, a trent’anni, era bella anche se fragile di aspetto e delicatissima. La sua maggiore attrattiva veniva da un’espressione calma che rivelava una sorprendente profondità spirituale...Se lanciava sguardi intorno a sé, lo faceva con un movimento triste, come se riservasse il fuoco dei suoi occhi a contemplazioni segrete. Perciò ogni uomo superiore si sentiva stranamente attirato da quella donna mite e silenziosa" La donna di trent'anni, non pare un romanzo di Balzac tradizionale. Nell'idea dello scrittore come Scene della vita privata, intende mettere in evidenza i caratteri delle donne sposate nei primi anni del XIX secolo. Questo spiega la composizione di questo libro costruito come un mosaico da sei diverse scene che saranno via via unite come i capitoli di un romanzo. Una storia di delusione e profonda disillusione di una giovane sposa, privata del diritto di emancipazione e del piacere. Balzac aveva avuto una sorella, Laurence Balzac, morta a 23 anni in miseria e dolore dopo un matrimonio - in apparenza brillante ma infernale - con il nobile Armand Désiré Montzaigle (il modello del cattivo Aiglemont). Poco prima del matrimonio la madre di Balzac inviò una lettera a Montzaigle dove confermava che la figlia non era mai stata toccata da un uomo, era priva di qualsiasi malattia, e la sua salute era perfetta. Tutto il contrario del futuro marito: giocatore incallito e donnaiolo. Presto la coppia, con due figli a seguito, si impantanò fra debiti e pignoramenti e la giovane donna malata morì abbandonata e senza un soldo. Laurence Balzac è sepolta al Père-Lachaise. Lo scrittore aveva "inventato" la donna di trent'anni - scriverà Charles-Augustin de Sainte-Beuve - una della "scoperte più vere nell’ambito del romanzo intimo. La chiave del suo immenso successo era tutta in quel primo capolavoro. Le donne gli perdonarono poi molte cose, e gli credettero sulla parola, ad ogni nuovo incontro, per avere così ben azzeccato, una prima volta.". Come indicato nel capitolo centrale del romanzo, Balzac insiste particolarmente su questo periodo dei trenta, quando la donna ha raggiunto l'apice della femminilità. Una donna adulta, ma matura; più ricca, più interessante della ragazza o della sposa giovane. Nel XIX secolo, l'età di trent'anni non era affatto banale perché in realtà significava per una donna la fine della sua giovinezza spensierata. Come Julie - l'eroina del romanzo - a trent'anni, una donna era generalmente sposata, con la famiglia a cui pensare, e il suo futuro era spesso senza sbocchi. Questa donna doveva, seppure ancora nella pienezza del suo fascino, concentrarsi esclusivamente sui suoi doveri coniugali e nell'educazione dei figli, a parte forse in alcuni ambienti della borghesia o dell'aristocrazia, dove aveva l'opportunità di "continuare a vivere". Balzac ci mostra questo quando organizza un incontro commovente tra la vecchia contessa Listomère-Landon e la giovane sposa Julie d'Aiglemont. La contessa era probabilmente a suo tempo una donna "evoluta", lei vedrà la profonda disperazione di Julie e il suo vero "disincanto". Sposando Aiglemont, uomo insensibile, rozzo, senza fede, giocatore, povero e maleducato, Julie rinuncerà ai suoi sogni di ragazza romantica che non gli hanno dato la felicità come sperato. La Contessa, "una di quelle belle vecchie signore dal colorito pallido e dai capelli bianchi", un personaggio delicato e simpatico, cercherà di aiutare questa giovane donna proponendo di convertirla alle dottrine monarchiche dell'epoca di Luigi XV con alcune ricette efficaci per "frenare" il nipote bifolco, ma purtroppo la sua morte prematura interromperà questi bei progetti. Cambiano i tempi ma "la donna di trent'anni o la trentenne", rimane oggi un mito che non ha perso tutta la sua verità. Oggi, la moglie di trent'anni è diventata la moglie di quarant'anni e a volte di più. Ma alcune idee sono tuttora valide, affrontando regolarmente la questione della libertà delle donne "di una certa età", e soprattutto della loro libertà sessuale, il diritto al piacere e la realizzazione personale. stesso Balzac verrà attratto nel corso della sua vita da donne più grandi di lui. «La donna di quarant’anni farà tutto per te; quella di venti, nulla» ripeterà. Balzac scrisse La donna di trent'anni o La trentenne fra il 1829 e il 1842. La tempistica della pubblicazione è difficile da rintracciare in quanto egli ha costantemente modificato il testo, tagliandolo in frammenti o racconti pubblicati su riviste, prima di raccogliere il tutto sotto il titolo definitivo nel 1842. Non si può fare a meno di pensare al personaggio adultero della Bovary. Qualche anno dopo, nel 1857, un 36enne di nome Gustave Flaubert pubblicava con un certo scandalo Madame Bovary, probabilmente ispirato da questo romanzo, anche se raccontava un fatto realmente accaduto. Se da una parte Flaubert ammirava Balzac "era un uomo forte e che aveva assolutamente capito il suo tempo. Lui, che aveva così ben studiato le donne, è morto appena si è sposato, e quando la società che conosceva ha cominciato a dissolversi" (lettera a Louis Bouilhet 1850), dall'altra come giovane alla ricerca di una nuova forma letteraria lo disprezzava "Che uomo sarebbe stato Balzac se avesse saputo scrivere! Non gli è mancato che questo. Un artista dopo tutto non avrebbe fatto tanto, non avrebbe avuto quell’ampiezza" (a Louise Colet 1852). Se il realismo di Balzac risulta più immaginario o visionario, quello di Flaubert appare più rigoroso e razionale tanto che la Bovary gli costerà una condanna di oscenità, e poi l'assoluzione ..

1842 - Il colonnello Bridau (Un menage de garçon)
Agata Bridau, vedova di un amministratore statale, vive a Parigi e ha due figli che sono lo scopo della sua esistenza: il colonnello Filippo, già al servizio di Napoleone ma disoccupato durante la Restaurazione, e Giuseppe, un promettente pittore. Le simpatie della madre vanno soprattutto a Filippo, il quale però finisce in un vortice di vizio e perdizione che rovina l'economia familiare e la fiducia dei parenti verso di lui: arriva a commettere furti sempre più gravi e, partecipando a una cospirazione, finisce in carcere. La madre a quel punto, priva di soldi per farlo scarcerare e ridotta ormai a una vita di stenti, decide col figlio Giuseppe di recarsi nel suo paese di origine, Issoudun, per visitare il ricchissimo fratello, Gian Giacomo Rouget, che non vede da oltre trent'anni. Qui lo trovano inebetito dalle cure "interessate" della giovane e bella Flora Brazier, detta popolarmente la "Sciaguattiera" (poiché presa in protezione dal padre di Agata e Gian Giacomo quando era ancora bambina e, poverissima, "sciaguattava" l'acqua nei fiumi per la pesca dei gamberetti) e dell'amante di lei, Massenzio Gilet, detto Max, un altro bonapartista ritiratosi dalla vita militare. Il meschino Gian Giacomo, scapolo ancora a cinquasette anni e innamorato perdutamente di Flora, è ormai disposto a fare per la sua prediletta qualsiasi cosa, tanto che, oltre a prendere Max in casa sua, le ha intestato il suo testamento, che comprende cospicue rendite, capitali e proprietà per centinaia di migliaia di franchi. Agata e Giuseppe, che sono persone semplici, vorrebbero un aiuto dal Rouget e magari la loro legittima fetta di eredità, ma con uno stratagemma vengono messi in ridicolo da Max, capo di una combriccola segreta di giovani detta la "Compagnia dei Fannulloni": essi ripartono quindi precipitosamente per Parigi con un niente di fatto. Filippo nel frattempo riesce a far commutare la sua pena in un soggiorno forzato a Issoudun: qui, trovato in Max un avversario degno della sua astuzia, regolerà i conti di famiglia, riabilitandosi agli occhi della società. Amaramente però la sua famiglia constaterà, dopo il ritorno a Parigi, l'immutabilità del suo perfido carattere.

1842 - La finta amante (La Fausse Maîtresse)
"La fausse maitresse", pubblicato a puntate nel 1841 sul quotidiano "Le Siècle", è una narrazione rapida e paradossale, incentrata su una situazione bizzarra che non manca di elementi ambigui e grotteschi. Scrivendo questo feuilleton-roman Balzac "voleva dimostrare di saper sorprendere il proprio pubblico, non ricorrendo, come Sue, alle abusate ricette del romanzo gotico, ma calando una psicologia d'eccezione, con aspetti eroici, nel contesto ben poco eroico, se pure piccante e curioso, della società parigina contemporanea". "E' un 'mistero del cuore umano' a collocarsi al centro della Fausse maitresse: il mistero dell'attrazione invincibile che lega il conte polacco Thaddée Paz a Clémentine du Rouvre, la giovane sposa del suo compatriota, benefattore e fratello d'armi Adam Laginski. Per nascondere la propria passione, e suscitare nell'amata un irrevocabile disprezzo, Thaddée si attribuisce una 'falsa amante': la cavallerizza Malaga, muscolosa e sfrontata eroina del circo. Il giovane non ha però la forza sovrumana di reggere l'avvilente finzione sino alle estreme conseguenze."

1843 - Illusioni perdute (Illusions perdues)
Tutta l'azione si svolge durante il periodo storico della Restaurazione francese, dopo la caduta di Napoleone Bonaparte. La storia racconta del fallimento esistenziale di Lucien Chardon, giovane provinciale alla ricerca d'amore e gloria; le debolezze dell'uomo di provincia, associate all'idea di eroe infelice o antieroe, sono costantemente aggravate dal contrappunto di due circoli virtuosi: la famiglia di Lucien e il cenacolo degli uomini veramente grandi, gli intellettuali del tempo. Le illusioni perdute sono quelle di Lucien mentre affronta il mondo letterario alla ricerca di un suo futuro, ma anche quelle della famiglia nei suoi confronti, riguardanti le sue capacità e qualità personali.

1843 - La musa del dipartimento (La Muse du département)
Non c'è una sola opera di Balzac dove si mostri in maniera più sorprendente e più completa. l'attrazione continuamente sentita dall'autore della Fisiologia del matrimonio per gli irritanti sapori della corruzione»: così, il 15 giugno del 1843, l'autorevole «Revue des Deux Mondes» stroncava La musa del dipartimento. Ed echi di questo scandalo raggiunsero addirittura il parlamento. La storia di Dinah, ardente e ambiziosa musa provinciale, che trasgredisce e calcola, che non resiste né al desiderio erotico né all'ambizione, è stata disapprovata a lungo, anche nel nostro secolo, da chi privilegiava una interpretazione «idealista» dell'opera di Balzac. È solo molto recente il riconoscimento di questo romanzo come «un capolavoro misconosciuto», come il più flaubertiano (e uno dei più moderni) dei romanzi di Balzac. Si tratta piuttosto di un romanzo «balzachiano» per eccellenza. Lo scrittore nel pieno della maturità vi riunisce alcuni dei temi maggiori della sua opera: la donna di trent'anni, l'adulterio, la fatuità dei giornalisti, la vita provinciale, la formazione delle nuove fortune. E tutto è raccontato con una lucidità amara e disingannata, prima di allora forse sconosciuta e ancor oggi imbarazzante. .

1844 - Onorina (Honorine)

1844 - Un principe della Bohéme (Un prince de la bohème)
Parte del complesso dedalo di storie che compone la "Commedia umana", questa novella è stata inserita da Balzac tra le "Scene della vita parigina". Protagonisti sono la bella Claudine, vecchia gloria dell'Opéra, e il suo sfuggente amante, La Palférine, principe della bohème. Con divertito cinismo Balzac segue la parabola di una passione cieca, mai corrisposta, scandita dalle acrobazie amorose di una donna testarda e indimenticabile.

1844 - Un agente d'affari (Esquisse d'homme d'affaires d'après nature)
1844 - Gaudissart II


1846 - La cugina Bette (La Cousine Bette)
La bella e dolce Adeline, di origini contadine, sposa l'affascinante Barone Hulot d'Ervy e si trasferisce a Parigi, portando con sé la meno graziosa cugina Lisbeth, che sin dall'infanzia aveva accumulato rancori e invidie nei suoi confronti. Mentre Adeline vive in un sontuoso palazzo, è felice con il marito e ha due figli, Hortense e Victorin, Lisbeth vive in un quartiere povero ed è costretta a lavorare come ricamatrice. Gli anni passano e il barone Hulot si rivela un incorreggibile libertino, accumulando debiti per le amanti a scapito della famiglia. Victorin sposa Celestine, la figlia di Crevel, un ricco commerciante. Pure Crevel, anche se in maniera più discreta, è dedito al libertinaggio e si vede sottrarre la sua mantenuta Josepha proprio dal barone Hulot. Pensa quindi di vendicarsi provando a sedurre Adeline, che è troppo devota per cedere alle pressioni di Crevel. Il commerciante, indignato, manda a monte le nozze di Hortense Hulot con un ottimo partito che egli stesso le aveva procurato. Adeline, a causa della sempre più precaria condizione finanziaria, non riesce a trovare un altro marito per sua figlia, ormai ventiduenne. Lisbeth invece ha preso sotto la propria ala protettrice il conte esulo polacco Wenceslas Steinbock, ora scultore, che vive nell'indigenza. Hortense e Steinbock si incontrano, si innamorano e si sposano. Il rancore di Lisbeth aumenta ancora di più e medita vendetta. Spinge il conte Hulot tra le braccia di Valérie Marneffe, una vicina di casa di Lisbeth, giovane ed affascinante, il cui marito lavora nell'ufficio di Hulot. Le due donne stringono una perversa alleanza, il cui obiettivo è vendicarsi della famiglia Hulot. In breve Valérie diviene l'amante di Hulot, ma anche di Crevel, di Steinbock e di Montès, un conte brasiliano. Grazie alle trame delle due donne, Hulot è ormai sul lastrico; porta il signor Fischer, lo zio di Adeline e Lisbeth, al suicidio, e suo fratello, il maresciallo Hulot, alla morte. Hulot è costretto alla fuga, mentre sua moglie Adeline, che per salvare la famiglia si era gettata tra le braccia di Crevel, si ammala. Hulot trova rifugio dalla sua ex-amante Josepha, che gli offre come concubina una giovane e graziosa sarta, gli apre un'attività e gli concede una rendita mensile. Nel frattempo Adeline si riprende e comincia a lavorare come dama di carità. Crevel invece sposa la signora Marneffe. Ma Montès, messo al corrente del tradimento della sua amata Valérie, si vendica infettando i due coniugi con un virus che ben presto li porta entrambi alla morte, tra atroci sofferenze. Adeline riesce dopo molto tempo a ritrovare il conte e a riportarlo in seno alla famiglia, che nel frattempo, grazie a Victorin, si è risollevata economicamente. Steinbock infine si riconcilia con Hortense. Lisbeth, che ha visto fallire i suoi propositi di vendetta, addolorata per la morte dell'amica, la signora Marneffe, si ammala anche lei e muore. Dopo un periodo di tranquillità, il conte Hulot manifesta nuovamente il carattere del libertino, promettendo all'aiuto cuoca Agathe di sposarla una volta morta sua moglie. A quest'ultimo colpo Adeline non resiste e muore. Hulot, una volta rimasto vedovo, abbandona nuovamente la famiglia per sposare Agathe

1846 - Piccole miserie della vita coniugale (Petites miseres de la vie conjugale)
Per essere felici nella vita di coppia bisogna essere un uomo di genio sposato con una donna tenera e intelligente, oppure ritrovarsi, per effetto di una coincidenza che non è tanto comune quanto si potrebbe pensare, tutti e due particolarmente stupidi. L'ironia punzecchiante di sentenze come questa pervade l'intera scrittura delle Piccole miserie della vita coniugale. Quest'opera curiosa e inattesa - apparsa prima su Le Diable à Paris, poi su La Caricature e La Presse - riprende le tematiche che erano già state sollevate nella Fisiologia del matrimonio (1829). Con queste pagine frizzanti il grande maestro francese della narrazione getta un occhio ironico e divertito sulle piccole miserie della vita coniugale. Una miscela di consigli, racconti, aneddoti, battibecchi piccati, conflitti psicologici, conti economici, saggi pedagogici, viene impreziosita dal gaio défilé delle caricature di Bertall. Trecentodiciassette vignette, disegnate da uno dei più fecondi illustratori del XIX secolo, costellano le oltre trenta scene di vita coniugale, denunciando in modo ancor più icastico le infelicità che gravano sul giogo coniugale. Così, oltre a leggersi, il libro si guarda, creando una vertiginosa e graffiarne sinergia fra parola e immagine.

1847 - Il cugino Pons (Le cousin Pons)
Il cugino Pons viene presentato come un uomo antiquato, e con due manie di cui è vittima: è un buongustaio e ha una passione per il collezionismo di oggetti preziosi. Il poveruomo vive con il suo amico fedele, il tedesco Schmucke, in condizioni piuttosto squallide, è pronto a subire tutte le umiliazioni pur di essere invitato a una cena dalla famiglia Camusot di Marville, suoi parenti solo recentemente divenuti nobili. Questi ultimi sono in realtà poco più istruiti rispetto alla padrona di casa del cugino Pons e altrettanto rapaci: non si rendono conto dello spirito delicato del loro parente povero e non lo capiscono mai. Il giorno in cui si accorgono che la sua collezione di oggetti preziosi vale una fortuna, inizia una battaglia feroce in cui la cugina Camusot, la padrona di casa, Madame Cibot, il concessionario Remonencq e il collezionista Elie Magus si scatenano per appropriarsi del tesoro con l'aiuto del medico Poulain e del suo complice, l'avvocato deposto Fraisier. I due innocenti, Pons e il fedele Schmucke, verranno schiacciati da una cupidigia di cui non sono in grado di capire la violenza.

1847 - Splendori e miserie delle cortigiane (Splendeurs et misères des courtisanes)
Il giovane Lucien, in compagnia del misterioso "padre Herrera", giungono a Parigi (siamo nel 1824) dopo aver stipulato un patto; il fantomatico prete aiuterà il bel ragazzo a raggiungere il pieno successo e la fama nella capitale, se accetterà di seguire alla lettera le istruzioni di Herrera su come arrivarci. Subito dopo il loro arrivo un'ex cortigiana (prostituta da salotti) di nome Esther van Gobseck scombina un po' i piani dei due in quanto Lucien, conosciutala durante un ballo in maschera all'Operà, s'innamora di lei e lei lo ricambia affettuosamente. Invece di costringere Lucien ad abbandonarla, Herrera permette questa relazione segreta, trovando subito un modo per metterla a frutto e farne buon uso. La donna è da oramai più di quattro anni che rimane chiusa in casa di giorno, uscendo per fare brevi passeggiate solo di notte; in una di queste il barone Nucingen la vide rimanendone fortemente colpito ed affascinato. Quando Herrera, che in realtà si chiama Vautrin, si rende conto che l'ossessione di Nucingen è rivolta verso Esther, decide di utilizzare il fatto a favore del protetto Lucien. Il piano consiste nel far tirare fuori a Nucingen, tramite Esther, quanto più denaro possibile: Lucien ha contratto già da quando sono a Parigi debiti per più di 60.000 franchi, a causa dello stile di vita che ha dovuto mantenere. Ha inoltre bisogno anche di un milione di franchi per riscattar la vecchia terra appartenuta un tempo ai Rubempré, di modo che Lucien possa condurre a nozze Clotilde, la ricca ma brutta figlia dell'attuale proprietario Grandlieu, un personaggio molto influente; il che renderebbe Lucien un marchese che potrebbe benissimo anche essere nominato diplomatico. Siamo nel 1829. Le cose però non sembrano funzionare bene come Vautrin avrebbe voluto, perché Esther si suicida dopo essersi concessa per la prima ed unica volta a Nucingen, dopo averlo fatto attendere per mesi e mesi. Dal momento che la polizia ha già qualche sospetto nei confronti di Vautrin e Lucien, li arrestano con la duplice accusa di truffa ed istigazione al suicidio: una tale svolta degli eventi è particolarmente tragica perché si scopre che solo poche ore prima Esther aveva effettivamente ereditato una somma considerevole di denaro da un lontano familiare. Se solo lo avesse saputo Lucien avrebbe potuto sposarla tranquillamente. In prigione Lucien cade nella disperazione; anche se Vautrin riesce effettivamente ad ingannare i suoi accusatori facendo credere di poter esser effettivamente Carlos Herrera, ossia un prete in missione segreta per il re di Spagna, il ragazzo soccombe invece alle insidie degli interrogatori. Fatta una piena confessione, tra cui la rivelazione dell'autentica identità di Vautrin, Lucien successivamente si rammarica di tutto quel che ha fatto e si impicca all'interno della sua cella. Come era già successo per quello di Esther, anche il suicidio del giovane giunge al momento sbagliato; difatti in uno sforzo per non compromettere le signore dell'alta società che erano state coinvolte con lui, i giudici avevano già pensato e organizzato di rimettere in libertà Lucien. Dopo la sua morte tutto si fa invece più complicato; si finisce con lo scoprire che Vautrin possiede lettere molto compromettenti inviate da queste donne al suo protetto, e non esita ad utilizzarle per negoziare il proprio rilascio. Egli riesce ad aiutare e salvare anche molti dei suoi complici, facendogli evitare una sicura condanna a morte o condizioni di vita d'estrema miseria. Al termine del romanzo vediamo Vautrin diventare un membro effettivo delle forze di polizia prima di ritirarsi in pensione nel 1845; i membri della nobiltà, che erano stati così timorosi nei riguardi della propria reputazione, tirano un sospiro di sollievo.

1847 - L'ultima incarnazione di Vautrin (La Dernière incarnation de Vautrin)
1854 - Il deputato d'Arcis (Le Député d'Arcis)
1855 - I contadini (Les Paysans) - incompiuto, portato a termine dalla vedova


1856 - I piccoli borghesi (Les Petits bourgeois) - incompiuto, portato a termine da Charles Rabou
Marie-Jeanne-Brigitte Thuillier, una vecchia zitella e accorta donna d'affari, ha creato un fiorente commercio di borse per la Banca, che ha poi rivenduto e che le fornisce un reddito confortevole. È stata sacrificata per suo fratello, come Mademoiselle Armande d´Esgrignon nel Gabinetto delle antichità, ma, come lei, i "sacrificati" non nutrono rancore contro di lui. Anzi, ha assunto un'influenza benevola anche sul fratello, nonostante la mediocrità del personaggio che, pur essendo un uomo attraente, non ottiene nulla nei suoi studi e si ritrova un semplice impiegato. Brigitte Thuillier protegge la figlia illegittima di suo fratello, Céleste Colleville, la cui madre naturale, Flavie Colleville, è divorata dall'ambizione e circondata da amanti. Balzac tratta ancora una volta del mondo degli impiegati già ampiamente trattata ne Gli impiegati, la donna anziana qui è la madre di Flavie Colleville, che intriga con i potenti personaggi che seduce per far avanzare la carriera di suo marito. Infatti, Colleville, semplice impiegato, proprio come Thuillier, spera nel progresso sociale per sé e per i suoi figli. Gli intrighi sono all'ordine del giorno, soprattutto quando viene coinvolto l'avvocato Théodose de La Peyrade (nipote del formidabile Peyrade). Si tratta di ottenere la mano e la dote di Céleste (Colleville) Thuillier già ambita da Minard (un altro impiegato). Théodose de La Peyrade cerca di attirare Mademoiselle Marie-Jeanne-Brigitte Thuillier con una transazione immobiliare il cui profitto sarebbe andato a Céleste Colleville (a cui Balzac ha dato il nome di Modeste Thuillier per evitare confusione). Ma il romanzo resta lo stesso confuso e l'autore perde interesse al punto da lasciarlo incompiuto. Balzac aveva senza dubbio in mente un affresco più importante: i personaggi sono innumerevoli, gli intrighi complicati, e molti "profili" erano già stati apparsi ne Gli impiegati di cui ha riciclato varie parti. Il manoscritto iniziale si interrompe bruscamente. Le opere di Charles Rabou, che riuscì a raddoppiare il volume del testo originale con Ewelina Hanska, furono molto criticate quando il libro fu pubblicato e restano tuttora discutibili, tanto che la Bibliothèque de la Pléiade pubblica nel volume VIII il manoscritto originale, su da un lato, e le aggiunte, dall'altro.

Teatro
Mercadet l'affarista (Le Faiseur) (1840)

balzac 5

Casa di Balzac a Parigi, in Rue Fortunée, dipinto di Paul Joseph Victor Dargaud, 1880

La commedia umana

L'idea di collegare fra loro i racconti facendo rivivere i protagonisti d'ogni romanzo o novella viene a Balzac nel 1835 con Papà Goriot, dove si vede riapparire per la seconda volta il personaggio di Eugéne de Rastignac già presentato nel 1832 in Studio di una donna e Altro studio di una donna, pubblicato allora con il titolo Conversazione tra le undici e mezzanotte inserito nei Contes bruns. Balzac cambiava spesso parere e titoli durante le sue classificazioni. Prima univa Il messaggio e La Grande Bretèche, poi li ripubblicava separatamente. Il Colonnello Chabert invece comparve nella sua forma definitiva nel 1844, dopo una prima versione pubblicata nel 1832 con il titolo La transazione. Si avrà un'idea della molteplicità dei mutamenti della Commedia Umana consultando le note di ciascun titolo e la storia di ogni pubblicazione, con gli innumerevoli rimaneggiamenti che Balzac apportava fino a rovinarsi in spese di stampa per la continua revisione delle bozze preparatorie. Balzac doveva certamente scrivere molto, velocemente e instancabilmente. Si racconta che abbia scritto la Grenadière in una sola notte, mentre era ospite presso il Polverificio di Angoulême, comandato dal marito della sua amica Zulma Carraud, la quale scrive che mentre giocavano al biliardo, Balzac "lasciava il gioco, pregandomi di scusarlo, e scarabocchiava su un angolo di tavolo, poi tornava alla partita per abbandonarla ben presto".
La struttura
A partire dal 1834 Balzac concepisce la struttura de "La commedia umana" come un edificio in tre parti. In una lettera a Éve Hanska, con la quale aveva già un rapporto profondo, Balzac le spiega che il testo della "Comédie humaine" potrebbe essere suddiviso in tre grandi parti:

«Alla base dell'edificio gli studi dei costumi, che rappresentano gli effetti sociali. La seconda parte è costituita dagli studi filosofici, poiché, dopo gli effetti verranno le cause. Poi, dopo gli effetti e le cause, si devono cercare i principi. I costumi sono nello spettacolo, le cause sono nei retroscena e nelle macchinazioni. I principi, è l’autore, ma, man mano che l'opera raggiunge in spirali le altezze del Pensiero, essa si misura e si condensa.»

Pertanto, in ogni opera della Commedia umana, gli effetti, le cause e i principi sono incessantemente mescolati come se ogni romanzo fosse costruito sul principio dell'edificio generale. In Il giglio della valle, la storia d'amore di Henriette de Mortsauf e Félix de Vandenesse si svolge sul piano degli "effetti", l'analisi delle cause del fallimento apparente di questo amore si rapporta ai "principi" posti nella raffigurazione dell'infanzia concepita come carattere e come destino. Gli studi dei costumi offrono la storia generale della società, ma gli studi filosofici, composti da romanzi, racconti e novelle fantastiche sono per Balzac la chiave che permette di comprendere l'insieme della sua opera. Assegna loro un'enorme importanza e non per caso raggiunge il grande successo con La pelle di zigrino. Secondo lui:

«Quest'opera lega gli studi dei costumi agli studi filosofici per mezzo dell'anello di una fantasia semi-orientale dove la vita stessa è presa dal Desiderio, principio di tutte le passioni.»

Honoré de Balzac impiega un metodo che Marcel Proust chiamò "chiarimento retrospettivo", che consiste nel rivelare il passato d'un personaggio soltanto molto tempo dopo la sua presentazione: un metodo che dona un soffio di vita in più e un supplemento di mistero alle sue opere. Jacques Collin, apparso in Papà Goriot, viene delineato col nome di abate Carlos Herrera in Splendori e miserie delle cortigiane. La viscontessa di Beauséant di cui si assiste al triste fallimento in La femme abandonnée era stata una seduttrice durante tutta la Commedia umana. La principessa di Cadignan (altrimenti chiamata Diane de Maufrigneuse in I segreti della principessa di Cadignan), non smette mai di essere precisata, mostrata sotto tutte le possibili angolazioni, anche quelle più generose e inattese in Le Cabinet des Antiques.
Balzac utilizza anche il principio del narratore, come se l'autore del romanzo riproduca il racconto fattogli da qualcun altro. Ciò permette una prospettiva di diversi luoghi alla volta allargando inoltre il panorama con storie nella storia. Balzac parte dall'ambiente immediato del narratore e sviluppa il racconto con ritorni e domande poste al narratore dai personaggi che lo circondano, introducendo suspense o commenti filosofici. Il medico Horace Bianchon è il narratore de La Grande Bretèche; il giornalista e scrittore Émile Blondet è testimone e narratore intermittente in Le Cabinet des Antiques.
Balzac è allo stesso modo scenografo, costumista e regista. Le minuziose descrizioni del mobilio di una casa, degli abiti dei personaggi fin nei più piccoli dettagli (impiega sempre i termini più precisi per le stoffe, l'architettura degli interni e degli esterni ecc.) sono quelle di uno scenografo. L'autore della Commedia umana allestisce le sue scene con una precisione quasi maniacale, cosa che spiega l'entusiasmo degli scenografi per i suoi testi, spesso adattati al grande e piccolo schermo.
Se è vero che si possono leggere separatamente le singole opere della Commedia umana e apprezzarle singolarmente, è anche vero che non si possono comprendere a fondo la loro profondità e i loro significati retrospettivi senza collocarle nel contesto dell'intera opera. Gli innumerevoli "esploratori" della Commedia umana che si sono succeduti, cominciando da Charles de Spoelberch de Lovenjoul fino ai nostri giorni (critici quali Ethel Preston, Marcel Bouteron, Samuel Rogers, Maurice Bardèche, Pierre-Georges Castex, Michel Butor ecc.) nonché coloro che continueranno a farlo, non finiscono mai di scoprire tutte le risorse dell'immenso "poema" che rappresenta questo insieme, comparabile a quelli di Omero e di Dante. Da molto tempo ci si inganna a proposito di Balzac considerandolo per esempio un romanziere unicamente realista, perché si credeva di poterlo giudicare in base a tre o quattro capolavori isolati dall'insieme. Era un errore, perché non si può avvicinarsi al suo segreto se non si penetra nell'immensità dell'opera globale e non la si esplora nel suo complesso. Essa prende allora le sue vere proporzioni e quel carattere "visionario" segnalato per primo da Charles Baudelaire. La Commedia umana, nata spontaneamente e sottoposta più tardi a un "programma" è certamente un edificio unico, una sorta di labirinto dove ogni personaggio ci indica la direzione d'un altro. Questo percorso non lineare può essere dal lettore seguito per un certo tempo, abbandonato, e poi ripreso anche molto più tardi: spesso accompagna lungo tutta una vita.
La società della Commedia umana
Balzac aveva analizzato a più riprese tutte le classi sociali della sua epoca, stabilendo una sorta di catalogo ragionato dei "tipi umani" rappresentativi del proprio ambiente. Secondo la definizione di Bernard Pingaud nella sua introduzione a l'Envers de l'histoire contemporaine, romanzo della Commedia pieno di complotti:

«La Commedia umana è lei stessa il prodotto di un complotto ordito sovranamente dall'autore durante quelle notti di veglia in cui egli aveva l'impressione di regnare sul mondo intero e di cui il senso celato gli è apparso da quando ha avuto l'idea di creare l'associazione immaginaria di personaggi che permette il loro ritorno da un libro all’altro. A partire da questo, si potrebbe imbastire tutta una teoria della finzione e mostrare che il romanzo balzachiano non somigli molto all’amalgama di piatto realismo e di romanzesco sbrigliato che spesso si intende con questo nome. Ma questa sarebbe un'altra storia, non meno segreta, qualcosa come l'inverso di un'opera

Il filosofo Alain ha definito la Commedia umana come un "incrocio dove i personaggi si incontrano, si salutano e passano. Da ciò deriva che invece di trovarsi in un romanzo, ci si trova in dieci". Per François Mauriac è una "rotonda [...] da cui partono le grandi strade che Balzac ha tracciato nella sua foresta d'uomini." Si possono elencare le figure principali del mondo balzachiano, quali tipi umani che riappariranno spesso, formando dei ritratti di gruppo: una tecnica letteraria che è stata ripresa in particolare da Marcel Proust e Émile Zola. Tuttavia, la frequenza delle riapparizioni e il numero di romanzi nei quali sono citati questi personaggi non corrisponde sempre alla loro importanza reale. Al contrario, personaggi fondamentali come Jean-Joachim Goriot, l'abate Birotteau della Curia di Tours, César Birotteau, Esther Gobseck sono le figure principali di un solo romanzo e riappaiono molto raramente, molto spesso solo sotto forma di evocazione.
Balzac parlava di denaro solo perché era una delle sue preoccupazioni primarie? O invece si faceva testimone di un'epoca in cui la parola d'ordine era "arricchirsi"? Ci sono buone ragioni che avvalorano entrambe le ipotesi. Charles Baudelaire, che vedeva in lui un visionario appassionato

("Tutti i suoi personaggi sono dotati dell'ardore vitale di cui era animato lui stesso. Tutte le sue finzioni sono tanto profondamente colorate quanto i sogni [...] ognuno in Balzac, anche i portieri, ha del genio. Tutte le anime sono cariche di volontà fino all'estremo."),

si dispiaceva tuttavia che quel cervello poetico era tappezzato di cifre come l'ufficio di un finanziere. Il fatto che il denaro abbia una tale importanza nella Commedia Umana è per Félicien Marceau una prova supplementare di questo "Balzac visionario":

«[...] di cui il realismo è poco attendibile. Si è detto talvolta: come ha fatto un uomo che si è ammazzato di lavoro ad avere avuto il tempo di vedere tutto quello che descrive? Questo significa ignorare i poteri dello scrittore, che non ha bisogno di guardare a lungo per vedere, che non ha alcun bisogno di v ivere prima quello che scrive... È per questo che Balzac è un visionario che, almeno nella sua analisi, precorre di qualche anno Karl Marx. Lo scrittore arriva sempre per primo e questo è tipico.»

balzac 8

Busto di Balzac - opera di Auguste Rodin.



In breve, con la Commedia umana Balzac non fa che constatare quello che Marx (suo grande ammiratore) discuterà nel Capitale. Non si tratta di un'ossessione, ma di una diagnosi. Balzac si prende cura di presentare ogni personaggio con il suo patrimonio esatto. Il denaro diventa l'unità di misura romanzesca per ogni protagonista, i possedimenti del quale variano da un romanzo all'altro.
Balzac prediligeva la Francia, la sua provincia e le sue campagne, che descrive a volte con lirismo e che osservava con attenzione maniacale. Visitava frequentemente i luoghi che intendeva descrivere e parlava direttamente con molte persone destinate a diventare i suoi tipi umani. Si immergeva nella conoscenza degli argomenti che i suoi personaggi avrebbero dovuto affrontare nei loro dialoghi. Il lettore ha perciò l'impressione che l'autore si muova nel suo campo. Ma il realismo balzachiano non si limita alla semplice descrizione delle cose vedute. Tutto viene poi ricreato in frammenti geografici uniti fra loro come in un quadro impressionista. La Borgogna descritta nei I contadini somiglia molto alla campagna poco fuori Parigi; e d'altronde i personaggi vi fanno un andirivieni incessante. Balzac ricorre anche a supplementi di informazione quando ritiene di non conoscere abbastanza i luoghi: Marceline Desbordes-Valmore, originaria di Douai, gli offrì elementi per completare il quadro della città (che Balzac conosceva poco) e della vita di una famiglia borghese nella Ricerca dell'assoluto. Se la provincia (soprattutto la Turenna e i paesi della Loira) ha un rilievo incontestabile nella geografia della Commedia umana, il vero teatro dell'opera resta Parigi, nella quale l'autore torna continuamente, dopo esserne partito (La musa del dipartimento, Casa da scapolo, Béatrix ecc.). Parigi, personaggio quasi autonomo, sembra modellare qualsiasi protagonista da ovunque provenga (così Lucien de Rubempré, Rastignac). La città è un personaggio vivente, che respira e agisce.

«Ci sono a Parigi delle strade disonorate tanto che potrebbero essere colpevoli d'infamia, oppure esistono strade nobili, o semplici strade oneste, o anche strade giovani sulle quali la gente non ha avuto ancora modo di formarsi un'opinione, e ancora strade assassine, vecchie strade tanto vecchie da far sembrare delle vecchie vedove più giovani» (Honoré de Balzac, Ferragus)

In questa città labirintica, si passa dai saloni dorati del quartiere Saint-Germain (in Splendori e miserie delle cortigiane), a strade fangose (nella Cugina Bette), a qualcosa di dantesco: "Ci sono due Parigi: quella dei saloni, delle atmosfere soavi, dei tessuti di seta, dei quartieri eleganti; e quella infernale delle orge, dei vicoli tetri (Ferragus), delle soffitte miserabili" (Jeanine Guichardet, Balzac, archéologue de Paris).
Nell'introduzione alla Ragazza dagli occhi d'oro, Balzac presenta il mondo parigino sotto cinque "fisionomie" che sono altrettante sfere percorse dal "movimento ascensionale del denaro", cinque cerchi dell'inferno. È probabilmente questo contrasto tra miseria e splendore che sedurrà Charles Dickens e Fëdor Dostoevskij, che a loro volta sviluppano i loro personaggi in città-labirinto, dal rigagnolo al palazzo. L'altro paese prediletto e ispiratore di Balzac è l'Italia, particolarmente Roma, Venezia (dove ambienta alcune opere in rapporto con le arti, pittura e scultura) e Ferrara (che è teatro di una versione balzachiana del Don Giovanni: L'elisir di lunga vita).
Lo studio dei costumi
È l'insieme degli effetti sociali che esercitano le guerre, la professione personale, l'etica e anche le passioni e la vita stessa delle persone. Tutto ciò influisce sul carattere di questi ultimi. Questa sezione è sua volta divisa in altre sezioni, più specifiche, esse sono: le scene della vita privata, le scene della vita di provincia, le scene della vita parigina, le scene della vita politica, le scene della vita militare e le scena della vita di campagna. È di gran lunga la sezione più vasta dell'opera, di cui fanno parte i capolavori più noti dello scrittore, come Papà Goriot (scene della vita privata), Eugenia Grandet (scene della vita di provincia), La cugina Bette (scene della vita parigina).
Dopo uno studio approfondito della società (studio dei costumi), l'autore studia quali sono gli elementi vitali delle persone, ciò di cui essi non potrebbero fare a meno. In questo modo passa dalla descrizione della società a un giudizio su di essa.
Lo si può trovare esplicitamente nella Fisiologia del matrimonio. Ora Balzac analizza in modo approfondito quali sono i principi basilari a fondamento delle cause e dei loro effetti. Questi principi non saranno altro che delle scelte prese dall'autore, il quale donerà caratteristiche precise ai suoi personaggi. Da qui l'idea di un autore moralista.

BALZAC Il romanzo del mondo

Forse Balzac visse soltanto negli anni della giovinezza. Allora interrogava i misteri dell' universo: l' energia, le forze, i rapporti, i presentimenti: studiava appassionatamente filosofia; e, dall' alto delle mansarde dove abitava, i suoi sguardi frugavano il mondo reale e immaginario. Passeggiava per Parigi, incontrava uomini e fantasmi, assorbiva un' immensa ricchezza di fatti e di persone, si appropriava come un vampiro di ciò che vedeva e sentiva. Poi tutto cadeva nei recessi della sua memoria, dove le idee e gli eventi si conservavano meravigliosamente attivi. Quando, dopo i trent' anni, cominciò a scrivere la Comédie humaine, ciò che aveva conosciuto fermentò e si moltiplicò dentro di lui come una foresta di alberi e di cespugli viventi, con i rami pieni di linfa e di sangue. Come disse Sainte- Beuve, non fu mai uno di quegli scrittori superiori alla propria creazione, che la guardano dall' alto, la dominano e la tengono lontana da sé, imitando il Dio della Bibbia. Egli fu preda e vittima della propria creazione. In un certo senso, fu generato, anima e corpo, dalla Comédie humaine. Fu risucchiato dentro di lei: si inebriò di lei; e abitò in lei come l' ultimo e il più devoto degli inquilini - in quegli spazi di là dalla vita dove poteva soggiornare grazie a una specie di ipnosi sonnambolica. Lo spiegò egli stesso in un luogo di Splendori e miserie delle cortigiane: "L' uomo, sotto la pressione di sentimenti giunti al punto di essere una monomania a causa della propria intensità, si trova sovente nella situazione in cui lo immergono l' oppio, l' hashish e il protossido d' azoto. Allora appaiono gli spettri, i fantasmi, allora i sogni prendono corpo, le cose distrutte rivivono nelle loro condizioni passate. Ciò che, nel cervello, non era che un' idea, diventa una creatura animata o una creazione vivente". Conosceva l' allucinazione creatrice, il punto supremo di quella tremenda malattia che è il genio. Vedeva i suoi personaggi, parlava con loro; e tutti lo circondavano e facevano cerchio attorno a lui. In quel tenebroso palazzo sotterraneo che era la Comédie humaine, accadevano straordinari processi di dilatazione: o addirittura violente esplosioni. Balzac, chiuso nella sua opera, dava una parte di sé a tutti i suoi personaggi, anche i più infimi e lontani da lui. Aveva idee a cui teneva moltissimo, che difendeva nei suoi scritti e nelle sue lettere, come fossero il suo bene più caro; ed ecco queste idee riapparire, identiche, sulla bocca di un idiota, o di un assassino, o di un' oca romantica, o di un personaggio completamente negativo. Egli li parodizzava; e insieme parodizzava grandiosamente sé stesso. Intanto accadeva il fenomeno inverso: Balzac si appropriava di qualsiasi idea avvertisse nell' aria e la faceva propria. Aveva piena coscienza di questo fenomeno. Quando uno dei suoi più corrotti giornalisti afferma: "Mio caro, in letteratura, ogni idea ha il suo rovescio... Tutto è bilaterale nel dominio del pensiero. Le idee sono binarie. Giano è il mito della critica e il simbolo del genio", noi dobbiamo ascoltare, dietro la voce arsa e losca del giornalista, la voce di Balzac che sostiene la fatale bilateralità e ambiguità di ogni creazione letteraria, e soprattutto della Comédie humaine. Egli condivideva tutti i punti di vista, specialmente i più estremi: si identificava con tutti i personaggi: era presente dovunque e dappertutto e in nessuna parte; adottava ogni opinione come fossero correnti elettriche, stabilite o interrotte col premere un bottone. Quale vertiginosa ubiquità! Quale proteiforme onnipresenza! In realtà, non sappiamo quello che Balzac pensasse: sappiamo soltanto quello che pensa il suo libro. Solo in Dostoevskij, soprattutto quando racconta di Stavrogin nei Demòni, abbiamo un senso più angoscioso della fatale ambiguità del narratore e della narrazione. Non gli bastava contemplare la realtà dove viveva immerso così profondamente. Così fecero la Austen, o Manzoni, o Flaubert, o Cechov, o anche Tolstoj. Lui, quella realtà doveva possederla completamente, a costo di distruggerla. Nessun romanziere, mai, nemmeno Dostoevskij e Proust, portarono così all' estremo questo spirito di dominio del mondo. Tutto, nella Comédie humaine, parla di questo spirito. Ne parlano i suoi negozianti, i suoi avari, i suoi usurai, che vogliono ingoiare il danaro col corpo: i suoi golosi rabelaisiani, che seggono a tavola fino a tarda notte. Ne parlano i suoi giovani Rastignac e Rubempré, che cercano di conquistare Parigi e le donne, mentre con lo stesso desiderio e la stessa violenza Balzac cerca di conquistare, molto più che Parigi, il Tutto. Ne parlano le sue spie, che tentano di cogliere i misteri con uno sguardo a cui nulla cede. E i suoi padri - ossessivi e incestuosi, che vogliono amare ed essere amati dalle loro figlie, come Balzac voleva essere amato dalla propria creazione. Questo desiderio di possesso lascia, alla fine, un suono amaro. Quanto più profondamente Balzac si avvicina all' essenza del proprio mondo, tanto più esso gli rivelava di essere vanità, infamia, corruzione, empietà, sangue, male, male assoluto, un oceano di fango, nel quale siamo immersi sino al collo. "Quanto a me, diceva Rastignac, sono all' inferno, e bisogna che ci resti. Qualsiasi male ti dicano del mondo, credilo!, non c' è Giovenale che possa dipingerne l' orrore coperto d' oro e di gioielli". Non c' è salvezza, tranne per pochi, che non appartengono al mondo - e che, forse, Balzac ama meno dei colpevoli. Eppure, insiste Rastignac, bisogna vivere a Parigi. Eppure, qualsiasi cosa accadesse, Balzac non perse nemmeno una parte del suo immenso amore per il mondo: per quella Comédie humaine, che portava in sé stesso e lo nascondeva in sé stessa. Tutti i suoi personaggi erano - egli pensava - sublimi e eccezionali: tutti erano genii: tutti gli eventi rappresentati memorabili; ed egli, chiuso come un palombaro nella sua opera, non poteva che esaltarli e venerarli, con una eroica mitomania che costituisce la prima delle sue doti di creatore.
Quale slancio infinito di passione abita la Comédie humaine: passione di Goriot per le figlie, di Vautrin per Lucien, di Grandet e di Gobseck per il denaro. Non c' è limite al sentimento. Una grande passione assorbe tutti i sentimenti e le sensazioni che le fanno corona: ne eredita la forza: in essa si concentra l' universo: mira a possedere senza riserve la persona amata: talvolta la crea, suscitandola dal nulla; e intorno a lei lascia irradiare una fibrillazione indistinta. "Non si conosce - dice un personaggio della Comédie humaine - tutta la potenza nervosa che si nasconde nell' uomo sovreccitato dalla passione. La dinamica e le matematiche sono senza segni né calcoli per constatare questa forza". Il mondo poetico di Balzac è posseduto dal desiderio: desiderio di persone e di oggetti, talvolta di persone e oggetti indefinibili; desiderio scatenato, che non si calma né raggiunge mai la propria meta, che non si riposa mai su di essa, come Balzac non è mai soddisfatto di ciò che crea e che pure sembra renderlo felice. Così il diapason di ogni desiderio non può essere che la follia: il culmine della follia. Non è giusto usare la parola sentimenti. Tutte le passioni, che attraversano la Comédie humaine, sono vibrazioni fisiche, irradiazioni elettriche. L' anima, in cui la tradizione platonica e cristiana è abituata a scorgere l' opposto del corpo, è una qualità fisica, come i fiumi e i torrenti. Il pensiero vede, come lo sguardo: di colpo, rapidissimamente. E le idee percorrono lo spazio e colpiscono come proiettili: creazioni viventi, crescono come bambini, arrivano alla pubertà, diventano mature, suscitando in noi una gioia superiore a ogni altra; lente o pronte, pesanti o agili, sgorgano, riposano, si risvegliano, invecchiano, rimpiccioliscono, s' atrofizzano, si ravvivano, ora sole ora a sciami, ora nello splendore, ora nella tenebra. La chiave di Balzac è la frase del prologo del Vangelo di Giovanni: Et verbum caro factum est: la parola è carne, si fa carne; anche se Balzac immaginò, in un momento di quasi follia, che tutta la carne aveva rappresentato nella sua opera potesse ritrasformarsi nel verbo di Dio. Queste idee e sentimenti sono ora gassosi, ora fluidi, ora diventano quasi solidi, come i mobili della pensione Vauquer. Ma niente sta fermo: il verbo- carne è mobilissimo. "Tutto è movimento. Il pensiero è un movimento. La natura è stabilita sul movimento. La morte è un movimento di cui i fini ci sono poco conosciuti... Dio è il movimento, forse. Ecco perché il movimento è inesplicabile come lui; come lui, profondo, senza limiti, incomprensibile, intangibile". Quale vortice di metamorfosi e di spostamenti e di rapporti e di concatenazioni e di intrecci percorre la Comédie humaine. Il movimento è contrastato, alle volte sopraffatto, da una forza opposta. C' era, in Balzac, oltre il desiderio d' infinito e la passione del movimento e una specie di leggerezza femminile, un potentissimo istinto di concentrazione, nel quale egli scorgeva la fonte principale del suo genio: qualcosa più profondo della stessa volontà. Questo istinto di concentrazione mira, nella Comédie humaine, a condensare ogni pagina e capoverso. Tutto vi è folto, stipato, gremito: peso, volume, massa compatta, chiusura; abolizione di ogni spazio libero, di ogni respiro, corrente d' aria e leggerezza. Balzac proclama: "Il vuoto non esiste": "Il nostro globo è pieno, e tutto è collegato": "La natura è una e compatta": "Tutto s' incatena e comunica". Mentre racconta, malgrado le sue affermazioni contrarie, ci ricorda continuamente che noi siamo prigionieri dello Spazio e del Tempo: non c' è mai nessuna vera redenzione metafisica, nessun battito d' ali. Il mondo è un carcere: la Comédie humaine una prigione: la prigione letterale dove ha abitato Vautrin; o una prigione metaforica, come il sinistro mondo di ossessioni che è la pensione Vauquer. Nemmeno Dostoevskij portò così all' estremo questo sentimento della concentrazione e della condensazione. Non c' è mai un' omissione: Balzac si sente obbligato a non trascurare niente - né la descrizione di un interno, né quella di un esterno, né di un vestito, né il volto di un personaggio, né un' analisi psicologica o sociologica. Non ama gli scorci. I dialoghi, che sono il luogo attraverso il quale la leggerezza e la mobilità penetrano nel romanzo, non esistono quasi: perché vengono trasformati in brani di stupenda oratoria drammatica. Il commento non lascia mai libera la realtà: Balzac vuole dominarla con l' intelligenza, ingoiarla colla mente, come un Bossuet o un La Bruyère diventati giornalisti alla moda. Infine non è felice se non ha documentato tutte le condizioni e le situazioni sociali: se non ci ha fatto conoscere, per rendere ancora più greve la narrazione, gli alberghi di Parigi, i nomi dei sarti, le vecchie e nuove tipografie, i librai- editori, i giornali e i giornalisti, il codice commerciale, le cambiali, le procedure, i brevetti, le diverse polizie, il diritto criminale, il teatro, le cortigiane... Questa densità compatta suscita in noi ammirazione - anche se qualche volta soffochiamo e ci ribelliamo contro un cosmo troppo greve. Invochiamo leggerezza, come Henry James, il suo antagonista, in un bellissimo saggio. Da Tolstoj a Flaubert a James a Kafka, il romanzo moderno, che ama l' omissione e la suggestione e la rarefazione del tessuto, non è che una cosciente, grandiosa ribellione contro Balzac. Questa forza di condensazione porta al trionfo degli oggetti, - che trovano un rilievo quasi eroico. Abbiamo l' impressione che il flusso di sentimenti e di pensieri fisicizzati che percorre la Comédie humaine, si fermi, si arresti, si blocchi, talvolta si innalzi, talvolta si degradi, nei mobili, nei vestiti e nelle case di Balzac. Tutta l' energia è qui, pietrificata. Quale senso di esaltazione abbiamo tastando con le mani dello sguardo, la sala da pranzo della pensione Vauquer, o le presse di legno e il vestito del vecchio Séchard, o il salotto di madame Bargéton a Angoulême. Gli oggetti non sono stati d' animo o simboli lirici come in Flaubert e in Proust. Non sono nient' altro che oggetti, nei quali si rapprende l' energia dell' universo. Hanno un valore sociologico: dagli arredi di Goriot possiamo ricostruire chi egli è stato, così come i mobili simili, ma profondamente diversi, di madame Nucingen e di madame de Beauséant ci rivelano le differenze di classe che le dividono. Soprattutto gli oggetti ci insegnano che non esistono sentimenti puri, voci di un cuore che nulla contamina e influenza. I vestiti determinano le passioni di un personaggio: una sapienza che Racine non conosceva. Quando madame de Bargeton e Lucien de Rubempré fuggono a Parigi, chiusi nella loro passione immaginaria, subito, appena arrivati nella capitale, il loro amore finisce. Si sono guardati a vicenda con gli occhi dei parigini: Lucien ha capito che madame de Bargeton è una malvestita signora di provincia: madame de Bargeton ha compreso che Lucien veste come un garzone di bottega. In un istante, l' "amore eterno" si dissolve davanti a noi come una nuvola parodistica, per via di due abiti che non sono alla moda. Anche la Comédie humaine nasce, come diceva il Baron Corvo, dal "desiderio e dalla ricerca del Tutto". Balzac vuole raccontare tutta la società: ha scelto un osservatorio privilegiato, la Francia e Parigi, dove la modernità si rivela meglio; e nelle vene di questa società e nei suoi abissi, scopre le leggi dell' universo, che il processo del racconto gli svela. E' il mondo più vasto che l' arte del romanzo abbia mai narrato; e a noi è quasi impossibile fissarlo e comprenderlo con la mente, perché dovremmo leggerlo e rileggerlo per tutta la vita, senza smettere mai; quando abbiamo finito il dodicesimo volume della Pléiade (e poi i romanzi che preludono alla Comédie humaine), il primo è già dimenticato. Nulla poteva mancare: dalle fatiche del contadino alla ricerca dell' assoluto, dalle cortigiane di Parigi al "giglio della valle" e all' androgino, dalla pelle di bue alla magica pelle di zigrino.
"L' autore - diceva Balzac - ha intrapreso l' analisi e la critica della società in tutte le sue parti". Questo movimento conduce verso un centro, e dal centro riconduce verso la periferia; e così sempre di nuovo. I personaggi ritornano: i romanzi sono intrecciati; ciò che è diverso e molteplice viene accompagnato, con mano ferma, verso l' Uno. Ma questo Uno-Tutto, o Tutto- Uno, è un magma ardente e infuocato, concepito nel più profondo degli inferni moderni, piuttosto che una cattedrale, come dirà Proust della Recherche. Abbiamo il senso continuo di un rischio. Ogni cosa sta per esplodere: ogni cosa può condurre a "qualche combustione istantanea"; ogni creazione contiene in sé il principio della distruzione - anche se la forza di condensazione blocca e pietrifica il fuoco un attimo prima che divampi. La Comédie humaine non è un' unità come la Recherche, la sola, vera cattedrale della letteratura moderna. Balzac lo sapeva benissimo. Affermava che la Comédie era solo un mosaico: "non c' è niente a questo mondo che sia di un solo blocco. Tutto vi è mosaico". E poi aggiungeva ironicamente: non era un mosaico a fondo d' oro come quelli di san Marco, né a fondo di marmo come quelli dell' antichità classica, né a fondo di pietre preziose come quelli di Firenze. Il suo era soltanto un mosaico di volgare pietra cotta, come certe chiese di campagna in Italia. Tutto era un grandioso frammento: un cumulo di frammenti: un caos di frammenti attraversati dal bagliore e dal presentimento dell' Uno; un attimo prima o un attimo dopo l' esplosione definitiva.
Quando leggiamo Balzac, ci chiediamo continuamente chi abbia creato Parigi. Forse l' ha creata il caso. Come tutti i prodotti del caso, Parigi è nata a pezzi, a brandelli, aggiungendo una casa all' altra, allungando dissennatamente i viali e le strade tortuose, aprendo piazze, costruendo babeli di scale, di passaggi e di arcate. Oppure l' ha creata una fantasia ignota? In certe improvvise illuminazioni, sembra che un' immaginazione insieme chimerica e razionale, delirante e freddissima abbia progettato "questo mostro enorme, spaventoso ed ingenuo", che è Parigi. Chiunque abbia creato Parigi, Balzac pensa che essa è una creatura unica. Mentre tutti gli altri vedono strade, case, piazze, persone diverse, membra divise, egli scopre un solo, immenso organismo vivente. Talvolta, Parigi gli appare come un essere umano: le soffitte, sepolcri aerei dai quali si contempla la ondulata e muschiosa savana dei tetti, sono il capo, i primi piani lo stomaco, le banche l' acre intestino; e là, nelle periferie dove vivono gli operai, si muovono freneticamente le braccia. Talvolta, Parigi gli sembra un gigantesco animale, con migliaia di articolazioni, di tenaglie e di piedi, le quali si agitano in modo convulso, come il crostaceo che conosce, tra le pietre e le sabbie abbandonate dal flusso della marea, gli ultimi sussulti vitali. Insieme alla Londra di Dickens, Parigi è il luogo dove si concentrano le miserie e brutture del mondo: i muri sono umidi e macchiati, le ringhiere tarlate, i vetri sporchi, gli odori nauseabondi, le finestre sconnesse; i fiori non riescono a crescere, la polvere si confonde con l' unto, il fango fetido filtra dal suolo avvelenando l' acqua dei pozzi. Ma è anche il luogo più incantato della terra. In alcune ore della giornata, verso la mezzanotte, o al mattino, quando l' aurora si affaccia rabbrividendo col suo vestito rosa e verde sopra la Senna deserta, in certi vicoli profondi o in palazzi protetti da mura altissime dove nessuno osa penetrare, si raccoglie quanto la più ardita fantasia umana abbia mai sognato. Allora, tra le mura di Parigi, rinascono le Mille e una notte: il romanzesco, l' esotico e l' assurdo più inverosimili: "la langoureuse Asie et la brûlante Afrique", che Baudelaire cercava in paesi lontani; tutti i profumi, i suoni, i colori che un poeta possa desiderare. Parigi è la città dei vivi. Chi l' attraversa per la prima volta, vi scorge una vitalità inesauribile: un' energia così intensa e febbrile, che le ore del giorno non bastano, i minuti vengono rubati alla notte, il tempo viene divorato; e qualcuno sogna giornate senza notti, da attraversare con gli occhi aperti, tesi ed arrossati. Altre volte, i parigini sembrano delle maschere, col viso già estenuato, spossato e contorto dalla mano avida della morte. Forse la vera Parigi è il cimitero che si estende alle sue porte: una città identica a quella dei vivi, con le case-tombe, i portieri, i ciceroni che ci guidano nei suoi dedali, le gerarchie, le burocrazie, e persino le ore in cui i morti non sono visibili, come noi non siamo sempre visibili a chi ci cerca. Chissà che, un giorno, l' unanime città dei morti non muova all' assalto della moribonda città dei vivi. Dovunque posiamo lo sguardo, Parigi ci nasconde un mistero. La gente cammina col volto coperto da maschere, portoni non si aprono, vicoli ci conducono non sappiamo dove, muri arrestano il passo, dai sotterranei sta per emergere qualcuno. Tutto ci invita più lontano: ogni apparenza si apre sopra un abisso. Qualche volta abbiamo l' impressione che Parigi sia un oceano: dovunque gettiamo la sonda, non vi toccheremo mai il fondo; vi sarà sempre un luogo vergine, un antro sconosciuto, dei fiori, delle perle, dei mostri, qualcosa dimenticata dai palombari. Balzac cerca di conoscere questo mistero: dilata all' estremo l' occhio: acutissimo e vorace, esso vibra, scintilla, possiede le cose che incontra; tende lo sguardo fino a raccogliere la forza visionaria che abita ogni angolo della terra. Con questo occhio insaziabile, passeggia per la città, come se fosse soltanto un viandante distratto, e si addentra sempre più profondamente nel corpo gigantesco che giace ai suoi piedi. Spalanca gli occhi sulle fessure rimaste aperte, sui vuoti che lasciano intravedere almeno un' ombra del grande mistero. Condivide le passioni della spia, le passioni del ladro, le passioni del poliziotto, le passioni del giudice, le passioni del giocatore, le passioni del cacciatore: tutte le passioni del romanziere moderno. Verso questa città misteriosa, si muovono i giovani della Francia: è il più bel tema della Comédie humaine. Sognano follemente, dal fondo della provincia, la sua "veste d' oro, la testa coperta di gioielli regali, le braccia aperte ai talenti". Qualche volta sono soli, coi loro pensieri, e guardano dall' alto delle mansarde di Parigi il paesaggio dei tetti bruni, grigiastri, rossi, d' ardesia e di tegola, coperti da muschi gialli o verdi, dove la sera le luci pallide dei lampioni proiettano riflessi giallastri: guardano a lungo le immobili, ondulate savane di Parigi. Ma il sogno non dura. Presto i giovani provinciali muovono all' assalto di Parigi, con la testa alta e il cuore altero. Rastignac vede la città tortuosamente distesa lungo le due rive della Senna: i quartieri nei quali abita il mondo elegante dove vuole penetrare; e lancia su quest' arnia ronzante uno sguardo che sembra succhiare il miele e dice: "A noi due, ora!". Lucien de Rubempré guarda quel "tino in fermentazione": "Ecco il mio regno! ecco il mondo che devo domare!". Cosa resta di tanti sogni? Questi giovani cercano la ricchezza e la fama: pochissimi vi riescono: gli altri si abbandonano a tutti gli eccessi, ubriachi, dementi, stracciati, miserabili, abbietti, suicidi, "presto coperti dall' agitazione quasi marina della grande città". Il più affascinante tra i giovani innamorati di Parigi è Lucien de Rubempré, il protagonista delle Illusioni perdute, che ritorna negli Splendori e miserie delle cortigiane. Guardatelo: "I suoi abbondanti e fini capelli biondi li fece arricciare, profumare, scorrere e sfavillare in anella brillanti... Le sue mani da donna furono curate, le unghie a mandorla divennero limpide e rosee. Sul colletto di raso nero, le bianche rotondità del suo mento scintillarono". Lucien ha un segreto, che Balzac non si preoccupa di celare. E' un uomo-donna: ha piedi e anche da ragazza; e tutti lo amano per il suo aspetto vellutato, femminile e corrotto - gli uomini con nascosta o aperta passione materna e omosessuale, le donne con materni desideri di lesbiche - l' eros che Balzac comprendeva più profondamente. Lucien è pigro, inconstante, senza volontà: intimamente passivo, bisognoso di essere posseduto da una persona più forte: ha l' istinto del momento, il genio delle sensazioni; è mobilissimo, veloce e rapido come l' acqua a cui assomiglia. Perciò diventa un grande giornalista: i suoi articoli teatrali e i suoi pezzi di costume, con gli scorci improvvisi, il ritmo diabolico, lo scontro delle parole, il tintinnio degli avverbi e degli aggettivi, - brillano come fatue e lussureggianti meteore nel cielo del giornalismo parigino. Balzac sapeva di portare in sé stesso un Lucien de Rubempré: anche lui era tenero, femminile, passivo, mobilissimo. Proiettò questa parte di sé in quel personaggio bianco, biondo e riccioluto; e però questo Lucien de Rubempré ci incanta così da vicino, e ci fa condividere così intensamente il suo destino, come accadeva, un secolo fa, a Oscar Wilde. Con un desiderio inesauribile, Lucien ama la corruzione, perché egli stesso è un germe passivo e attivo di corruzione. A Parigi tutto è contaminato: l' aria, le strade, le case, gli oggetti, il rumore, la natura e l' artificio. Tutto è abbietto: il giornalismo, la letteratura, il teatro, l' editoria, il commercio, la banca, l' alta società, la borghesia e il popolo. Il culmine del variegato-contaminato, triste eppure brillante, lo troviamo nelle Gallerie di Palais-Royal, il cuore del libro. "Una imprudenza poteva infiammare in un quarto d' ora questa repubblica di tavole disseccate dal sole e come infiammate già dalla prostituzione, ingombre di velo, di mussola, di carta, qualche volta ventilate dalle correnti d' aria... Era orribile e gaio. La carne splendente delle spalle e dei seni scintillava in mezzo ai vestiti maschili quasi tutti cupi, e produceva le più magnifiche opposizioni. Il frastuono delle voci e il rumore delle passeggiate formava un mormorio che si sentiva da metà del giardino, come un basso continuo, ricamato dagli scoppi di risa delle ragazze o dalle grida di qualche rara disputa. Le persone per bene, gli uomini di rilievo si trovavano gomito a gomito con persone dal viso patibolare. Queste mostruose mescolanze avevano un non so che di provocante, e gli uomini più insensibili erano turbati". Una cosa è curiosa. In questi libri che parlano tanto di cortigiane, l' unica cosa non corrotta è l' eros: Le illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane sono completamente privi di profumo erotico. La grandezza della letteratura moderna è nata qui, da questa Parigi, "da questo flagello ardente e fumoso", tra le tavole sporche del Palais-Royal e dei teatri, dalla contaminazione e corruzione che Balzac e Baudelaire hanno così superbamente rappresentato. Solo che, tra le loro mani di "perfetti alchimisti", il fango è diventato oro.
Alla fine delle Illusioni perdute, lasciando Le père Goriot dove l' avevamo incontrato per la prima volta, riappare monsieur Vautrin, oppure Jacques Collin il forzato, oppure Trompe-La-Mort, come veniva chiamato in galera. Sebbene Balzac sia un prodigo signore delle apparizioni, è la più sublime apparizione della Comédie humaine. Come nel Pére Goriot, "Vautrin è grosso e corto, con mani larghe, un busto largo, una forza erculea, uno sguardo terribile, ma addolcito da una mansuetudine di circostanza, un colore di bronzo che non lasciava passare nulla dal dentro al fuori". Questa volta si chiama Carlos Herrera, è spagnolo e gesuita, e pretende di essere l' intermediario nascosto tra Ferdinando VII di Spagna e Luigi XVIII. Nella nuova apparizione, ci colpisce la sua sublime qualità sacerdotale: la "gravità" spagnola, una solennità che gli viene insieme da Bossuet e dagli oratori sacri del Seicento, e dagli uomini di stato e dai consiglieri segreti di Filippo II e di Luigi XIV - una delle ossessioni che dominavano la fantasia di Balzac. Come il barone di Charlus nella Recherche, assomiglia a un grande inquisitore dipinto dal Greco: un inquisitore tremendo, forse interdetto dalla sua chiesa. Che profondità tenebrosa dell' anima, che cupa grandezza del gesto, che stupenda unzione retorica lascia attorno a sé Carlos Herrera, il finto gesuita. Chi sia Vautrin, Balzac lo dice persino con troppa chiarezza. E' il Male Assoluto: l' ultimo figlio di Caino: il re dei forzati; l' immensa tenebra, dove sprofonda la società, che Balzac politico vorrebbe salvare dal disastro. Già nel Pére Goriot, ecco una definizione più precisa: "voi - egli dice a Rastignac - troverete in me quegli immensi abissi, quei vasti sentimenti concentrati, che gli sciocchi chiamano vizi". Vautrin è un immenso abisso; e muovendo dalla propria sovrumana concentrazione vuole possedere il mondo. Nessuno gli è pari in spaventosa durezza: proclama di essere "una sbarra di ferro"; la sua concentrazione è la stessa che regge l' edificio ardente della Comédie humaine. Come il demiurgo, alternando la durezza e la più squisita diplomazia, indossando le vesti del forzato e del gesuita, mentendo, macchinando, orchestrando, Vautrin cerca di dominare gli uomini, possedere Parigi e l' universo. Alla fine, quando Lucien de Rubempré si uccide, sembra vinto e sopraffatto. Ma proprio allora, come se la rinuncia all' amore gli desse una nuova forza, Vautrin diventa il capo della polizia, il vero signore della società: vuole fare il Bene, o essere utile al Bene. "Non ho altra ambizione che essere un elemento d' ordine e di repressione, invece che la corruzione stessa". L' allegoria di Balzac è semplice. Il Bene, o per meglio dire la società costituita in tutte le sue istituzioni e verità, può reggersi e salvaguardarsi, come diceva Il libro del Signore di Shang, solo a patto di affondare le sue fondamenta in quegli "immensi abissi, in quei vasti sentimenti concentrati", che gli sciocchi chiamano vizi, o Male. Non c' è dubbio che Balzac, anche come politico, fosse d' accordo con Vautrin teorico della politica. Nella sua essenza, Vautrin vive di segreto. Dovunque abiti, nella galera o alla pensione Vauquer o nell' alta società parigina, egli si nutre di segreto: i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue sensazioni, il suo corpo sono fatti di segreto, come un uomo è composto di ossa, di carne e di sangue. Nessuna luce, mai, lo attraversa. La sua forza sta nello sguardo: "fisso e abbagliante come due getti di piombo fuso", o come due smeraldi. "Abbracciava con uno sguardo avido e completo le case dal loro ultimo piano fino al pianoterra. Vedeva tutti i passanti e li analizzava. Dio non afferra meglio la propria creazione nei suoi mezzi e nel suo fine di come quest' uomo afferrava la minima differenza nella massa delle cose e dei passanti". Il suo occhio guarda, scruta, spia, avidamente, fissamente, possedendo e pietrificando: in un romanzo dove tutti spiano tutti, nessun personaggio ha il dono rivelatore di questo sguardo abbagliante, davanti al quale il mondo è sempre sul punto di crollare come un gioco di carte. Anche Charlus, nella Recherche, spia. Molto più di Charlus, Vautrin conosce i misteri, le "storie segrete", le "vere cause degli avvenimenti". "Come un giudice severo, il suo occhio sembrava andare al fondo di tutte le questioni, di tutte le conoscenze, di tutti i sentimenti: simile, ancora una volta, a un' imitazione di Dio, o a un moralista francese e spagnolo del Seicento". Eppure questo sguardo si intenerisce. Sebbene ci sembri impossibile, Vautrin ama: ama Lucien de Rubempré con una furia, una passione, una dolcezza, una venerazione, una devozione, una dedizione, un' estasi, che Balzac attribuisce soltanto alle donne o alle cortigiane. Come Coralie e Ester, prende Lucien per l' orecchio, lo bacia sulla fronte, gli accarezza la mano, intenerisce e ammorbidisce la voce. "Obbeditemi - gli dice - come una donna obbedisce a suo marito". Vuol crearlo, possederlo, sacrificarsi e immolarsi per lui, vivere e godere attraverso di lui, amarlo come la Vergine amava Gesù bambino - dice con straziante empietà. "Voglio amare la mia creatura, foggiarla, impastarla a mio uso, per amarlo come un padre ama suo figlio. Girerò nel tuo tilbury, mio ragazzo, mi rallegrerò dei tuoi successi con le donne, dirò: "Questo bel giovanotto, sono io! Questo marchese di Rubempré, io l' ho creato...". Potrebbero inchiodarmi per il resto dei miei giorni alla mia antica catena, mi sembra che potrei restarci tranquillamente dicendomi: "Lui è al ballo, lui è alla corte"". Non possiamo dire se Vautrin e Lucien siano legati da un vero rapporto, omosessuale: Balzac non lascia tracce, per una volta omette; o se quella di Vautrin resti una omosessualità sublimata. Non dimentichiamo la qualità essenziale di Vautrin. E' un grandissimo attore, un genio della metamorfosi: si camuffa, si maschera, si trucca, assume sempre nuove figure, ora forzato, ora trafficante borghese, ora sacerdote, ora giudice conciliatore, ora messo segreto, ora poliziotto, come una specie di ubiquo e onnipresente Harun al- Rashid. Non si arresta mai: non muore mai, e si perde, alla fine del libro, nell' indeterminato del bianco narrativo. Mentre recita, escogita sempre nuove macchinazioni romanzesche e intrecci e maschere e casi capricciosi e sorprese e colpi di scena, che nascono da una fantasia immensa, grottesca e innamorata dell' inverosimile. A lui rispondono le macchinazioni, non meno inverosimili, della polizia: finché le macchinazioni si fondono nella sola fantasia romanzesca di Vautrin. Balzac non si è mai divertito tanto. Come sembra compatta e folta la realtà che egli raffigura: eppure, verso la fine degli Splendori e miserie delle cortigiane, sotto l' impulso di Vautrin, gli avvenimenti diventano volubili e leggeri - pochade, vaudeville, farsa, come Sodoma e Gomorra, il romanzo di Proust che Vautrin ha foggiato. Senza saperlo, creando Vautrin Balzac aveva creato l' immagine simbolica del grande romanziere moderno, che ancora oggi (sebbene molto più raramente) torna a visitarci: colui che conosce il male e lo trasforma in bene, il signore segreto di tutti i misteri, la spia, il creatore assoluto, l' attore, il signore della metamorfosi e dell' inverosimile, lo scrittore, che in fondo alla più terribile tragedia trova la grazia assurda della farsa.
Di PIETRO CITATI

Frequentavo la terza media e la professoressa di italiano ci esortava a leggere; io dissi "Ho già letto tutti i libri di casa mia, fondamenralmente Salgari e Dumas ". Ero un lettore insaziabile e quando andavo a letto mettevo l'abait jour sotto le coperte per non farmi scoprire dai genitori. "Vai alla biblioteca comunale in Piazzale Oberdan e chiedi del bibliotecario" rispose la signora professoressa, come si diceva allora. Così andai, conobbi il signor Mantovani che mi prese in simpatia e mi avviò alla lettura "impegnata"; grazie a lui lessi quasi tutta la letteratura russa oltre a Kafka, Flaubert, Proust, Conrad, Faulkner, Marquez, Hemingway, Shakespeare e, inconsapevolmente, anche una decina di libri di Virgilio Brocchi che allora andava molto di moda e molto Bacchelli (non potevo disilludere l'opinione del signor Mantovani), e quasi tutta la Commedia Umana. Purtroppo allora non avevo la preparazione per capire cosa realmente significasse quell'opera e non ne fui coinvolto; solo dopo molti anni compresi la grandezza di Balzac, che divenne uno dei miei idoli letterari. Terminato il liceo iniziai a creare la mia biblioteca, Mantovani aprezzava le mie scelte e restammo in contatto per anni, finchè non andò in pensione.
EUGENIO CARUSO
Eugenio Caruso - 15 agosto 2022

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