Avere successo con il marketing. Capitolo 6. Elementi base del marketing.

La libertà dell’uno termina dove inizia la libertà degli altri.

Stuart Mill


Questo è il sesto di una serie di articoli tutti mirati a illustrare i vantaggi per l’impresa di un forte orientamento al marketing. Per il capitolo 5 clicca qui. Per il capitolo 7 clicca qui.


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Quando in un'impresa si affrontano i problemi di marketing strategico e di marketing operativo, oltre a quanto già detto nei precedenti capitoli, non si può fare a meno di valutare altri elementi che sono altrettanto fondamentali, sia nel modello classico, sia in quello relazionale, ai fini dell'elaborazione di qualsiasi progetto di pianificazione e controllo dell'attività di marketing (Eugenio Caruso, Il circolo virtuoso impresa- mercato, Tecniche Nuove, 2004) .

1 Il ciclo di vita del prodotto.

Nel marketing, il concetto di ciclo di vita di un prodotto viene elaborato da Levitt (Levitt, 1965) e si diffonde rapidamente. Esso si articola in quattro fasi: introduzione, sviluppo, maturità, declino. Il ciclo di vita vale anche per un servizio, per una competenza, per una qualsiasi fornitura.

Seguendo Lambin, pur senza rifiutare altri campi di applicazione, si ritiene che il modello di ciclo di vita di un prodotto (Cvp) dia i migliori risultati, attraverso l'analisi del prodotto-mercato e cioè di una fornitura vista come un insieme specifico di caratteristiche, destinato a un determinato gruppo di acquirenti. Uno stesso prodotto può, pertanto, avere un profilo del ciclo di vita diverso, a seconda dei mercati geografici presi in considerazione, o a seconda dei segmenti di uno stesso mercato di riferimento. In quest'ottica il Cvp non riflette soltanto l'evoluzione del prodotto, ma anche quella del mercato cui è destinato. L'una è determinata largamente dalla tecnologia, l'altra dalla domanda globale (Lambin, 2000).
Nel caso del prodotto-mercato è, essenzialmente, la domanda globale ad essere in gioco; i fattori che, maggiormente, determinano la sua evoluzione sono, da una parte, le variabili ambientali non controllabili e dall'altra la pressione di marketing delle imprese. I fattori ambientali non controllabili più importanti sono: l'evoluzione tecnologica e i cambiamenti delle abitudini di consumo o fruizione.

È interessante notare che il ciclo di vita di un prodotto:

  • era regolato dall'impresa quando essa era orientata alla produzione;
  • era diventato di pertinenza del mercato quando la customer satisfaction era il vangelo del sistema produttivo;
  • ora esso viene deciso dal complesso degli stakeholder.

Il ciclo di vita può essere valutato a priori da modelli probabilistici che prendono in considerazione un gran numero di variabili (Penati, 1994), ma non si ritiene, né utile, né interessante, per una PMI, approfondire questi modelli.

In genere è nella fase di maturità del prodotto che si pongono i maggiori interrogativi strategici: decidere cioè se investire nella protezione e nel rafforzamento delle posizioni di mercato oppure se cercare nuove possibilità di sviluppo.

La storia industriale mostra, che, generalmente, le aziende leader sono quelle che incontrano maggiori difficoltà nell'affrontare le transizioni imposte dall'evoluzione del mercato; difficilmente questo accade per i produttori dei grandi beni di consumo come detersivi o prodotti alimentari le cui dimensioni sono oramai tali che difficilmente una sfida tecnologica li trova impreparati.

Spesso la sfida ad un leader viene da aziende che non operano nel settore; la crisi degli orologiai svizzeri fu provocata dalla Timex, che abbatté i costi, ma, fondamentalmente, aggirò la rete di distribuzione convenzionale (gioiellieri e orologiai), vendendo nei drugstore e nei grandi magazzini frequentati da potenziali clienti molto sensibili al prezzo.
La crisi dei produttori di calcolatori da tavolo fu provocata dalla Texas Instruments (inizialmente produttrice solo di dispositivi a stato solido) che, con il lancio dei calcolatori tascabili, provocò l'ecatombe dei concorrenti e, nel giro di cinque anni, divenne leader nel settore.
Quando, per applicazioni militari nel campo dei radar, vennero realizzati i generatori a microonde con frequenze superiori ai mille megahertz, nessuno avrebbe immaginato che da questa tecnologia sarebbero nati i forni a microonde che, a loro volta, avrebbero dato impulso al settore dei cibi precotti e congelati e un contributo decisivo alla diffusione dei fast-food.
L'entrata e l'uscita da un mercato devono essere studiati in funzione del raccordo ottimale tra azienda e mercato. Entrare in un mercato alle sue prime fasi e seguirlo fino alla sua maturità può rivelarsi un errore; la vita del prodotto è limitata, ma il mercato ha doti di longevità che consentono di sfruttare il momento migliore per il matrimoniotra l'offerta dell'azienda e il mercato.

1.1 Fase di introduzione

Nella fase di introduzione il modello del Cvp prevede un'evoluzione delle vendite lenta a causa di quattro elementi.

  • I problemi di messa a punto di una nuova tecnologia non consentono all'impresa di alimentare il mercato ad un ritmo elevato.
  • La distribuzione può mostrarsi restia ad acquisire un prodotto non ancora consolidato sul mercato. Anche nel b2b il buyer industriale  deve acquistare familiarità con un nuovo prodotto.
  • I clienti potenziali possono essere lenti a modificare le loro abitudini di acquisto; solo i pionieri adotteranno il prodotto nella misura in cui sono consapevoli della validità dell'innovazione introdotta.
  • La concorrenza indiretta, cioè quella dei prodotti succedanei, può essere molto forte e rallentare la crescita della domanda verso il nuovo prodotto.

Obiettivo strategico del marketing, in questa fase, è la creazione della domanda attraverso l'informazione e l'"educazione" del mercato.

1.2 Fase di sviluppo

Se il prodotto supera con successo il test dell'introduzione, entra nella fase dello sviluppo, caratterizzata da una rapida crescita delle vendite. Le cause di questa crescita possono essere tre.

  • I primi acquirenti, soddisfatti, ripetono i loro acquisti e influenzano altri acquirenti potenziali.
  • La disponibilità del prodotto gli conferisce una visibilità che ne favorisce la diffusione.
  • L'entrata di qualche concorrente ha l'effetto di aumentare la pressione totale di marketing sulla domanda, in una fase in cui questa è espandibile ed elastica.

Caratteristiche importanti di questa fase sono: la diminuzione dei costi di produzione, grazie all'aumento dei volumi di vendita, e l'effetto "esperienza" che inizia a dare risultati anche sul fronte della competitività di costo.

Gli obiettivi strategici del marketing sono:

Superato il punto di flesso della fase di crescita si entra in una fase di turbolenza. Il tasso di crescita della domanda subisce una decelerazione, pur rimanendo alto, l'ambiente concorrenziale si modifica, notevolmente, e l'impresa deve porsi nuovi obiettivi:

  • Segmentare il mercato in modo creativo.
  • Massimizzare le quote di mercato per i segmenti obiettivo.
  • Posizionare chiaramente l'immagine del prodotto.
  • Comunicare al mercato il posizionamento scelto.

1.3 Fase di maturità

La crescita della domanda continua a rallentare per assestarsi, prevedibilmente, al ritmo di crescita del PIL. Il prodotto è entrato nella fase di maturità. Nelle economie industrializzate la maggior parte dei settori è situata in questa fase, che, normalmente, può essere molto lunga. Le cause di questa stabilizzazione sono tre.

  • Dove arriva la distribuzione, i tassi di assorbimento e penetrazione del prodotto sono a livello di saturazione.
  • La copertura del mercato, tramite la distribuzione, è intensiva e non può essere aumentata.
  • La tecnologia è stabilizzata e sono prevedibili solo modifiche di secondaria importanza.

I compiti del marketing diventano i seguenti:

  • Differenziare i prodotti per qualità, proponendo caratteristiche nuove o migliorative.
  • Esplorare nuove nicchie.
  • Evitare la concorrenza sui prezzi che può condurre all'implosione del settore.
  • Ricercare i vantaggi competitivi di costo e di differenziazione basandosi sulla catena del valore.
  • Adottare le tecniche del marketing relazionale che pone l'accento sulla fidelizzazione del cliente.

1.4 Fase di declino

La fase di declino si traduce in un decremento strutturale della domanda, dovuta, essenzialmente, a tre fattori.

  • Appaiono sul mercato nuovi prodotti con migliori prestazioni che sostituiscono i prodotti preesistenti svolgendo la stessa funzione. È l'impatto del progresso tecnologico.
  • Le preferenze, i gusti, le abitudini di consumo si modificano con il tempo e fanno sì che il prodotto appaia sorpassato.
  • Intervengono cambiamenti nell'ambiente sociale, economico, politico; per esempio vengono modificate le norme in materia di sicurezza, di igiene, di protezione ambientale. Il prodotto diventa obsoleto o, più semplicemente, ne viene vietato l'uso.

In questa fase le  imprese dispongono di una capacità produttiva superiore alla domanda e si scatenano, generalmente, furiose battaglie commerciali basate sulla competitività di prezzo. Si può avere l'implosione del settore; molte imprese disinvestono e si ritirano, altre, se il declino ha la caratteristica della progressività, si specializzano su un mercato residuo, tendente, con il tempo, a scomparire.
È interessante analizzare, ad esempio, il mercato di massa dei supporti musicali; il mercato ha visto il ciclo di vita del vinile, sostituito violentemente dalle cassette magnetiche, queste a loro volta sono state sostituite dal CD e questo è destinato a soccombere ai supporti di ultima generazione. Peraltro il vinile ha avuto una ripresa con un riposizionamento; esso è diventato il supporto musicale dei cultori e dei professionisti che preferiscono il segnale analogico a quello digitale degli altri supporti.

Concludiamo questo paragrafo mettendo in evidenza l'importanza dell'analisi del ciclo di vita ai fini dell'elaborazione di una politica di marketing.
Come si è visto, sia pur brevemente, ogni fase del ciclo di vita di un prodotto richiede un'adeguata operatività di marketing, pertanto, prima di avviare qualunque azione, l'impresa deve analizzare il proprio prodotto con il filtro dell'analisi del Cvp.

2 Il vantaggio competitivo

Per vantaggio competitivo si intende l'insieme delle caratteristiche o attributi detenuti da un prodotto e che gli conferiscono un grado di superiorità in rapporto ai concorrenti più immediati. Tali caratteristiche o attributi possono essere di varia natura e basarsi sul prodotto stesso, sulle funzioni accessorie od opzionali o sulle modalità di produzione, di distribuzione o di vendita.
Questa superiorità, laddove esista, è, dunque, una superiorità relativa al concorrente che occupa la posizione più vicina all'interno del prodotto-mercato o del segmento.
La superiorità relativa al concorrente più immediato può essere il risultato di una serie di fattori, che si possono suddividere in due categorie sulla base dell'origine del vantaggio competitivo a cui portano. Il vantaggio competitivo, infatti, può essere esterno o interno.

2.1 Vantaggio competitivo esterno

Un vantaggio competitivo si definisce esterno quando si basa su alcune qualità distintive del prodotto che costituiscono un valore per l'acquirente in quanto gli riducono i costi di utilizzo e/o aumentano le sue performance.
Il vantaggio competitivo esterno dà, dunque all'impresa un maggior potere di mercato, nel senso che la mette in condizioni di far sì che il mercato accetti un prezzo di vendita superiore a quello del concorrente prioritario che non è in grado di creare un prodotto che dia lo stesso livello di soddisfazione al cliente.
Una strategia basata su un vantaggio competitivo esterno poggia sull'analisi della catena del valore aziendale condotta sul principio della differenziazione.
Questa strategia, mette, principalmente, in causa l'abilità di marketing dell'impresa e la sua capacità di scoprire, più efficacemente, quelle aspettative del cliente che non sono state soddisfatte dai prodotti esistenti.

2.2 Vantaggio competitivo interno

Un vantaggio competitivo è interno quando si basa sulla superiorità dell'impresa nell'analisi della catena del valore aziendale, condotta sul principio della riduzione dei costi; questa superiorità è, quindi, il frutto della capacità organizzativa e tecnologica dell'impresa.
Un vantaggio competitivo interno si traduce in una maggiore produttività e di conseguenza dà all'impresa una redditività maggiore e una maggiore capacità di resistenza ad una riduzione dei prezzi imposti dal mercato o dalla concorrenza, che, trovandosi in difficoltà, attua questo tipo di strategia.
Giova osservare che, se per ridurre i costi di produzione, si sacrifica la qualità, oppure si riduce la differenziazione, la riduzione dei prezzi di vendita imposta dal mercato rischia di eliminare il vantaggio competitivo.

3 L'ambito competitivo

La scacchiera del possibile scontro competitivo può essere divisa in quattro quadranti  (Fiocca, 1994).

  • Si fa lo stesso gioco con vecchie regole su tutta la scacchiera. È il caso in cui sono state ottimizzate le catene del valore relativamente, sia ai costi, che alla differenziazione e i margini di miglioramento sono esigui. In generale, o esiste un'azienda leader nel settore e le altre si accontentano di quote minori di mercato, oppure si è creata una situazione di market sharing tra diversi concorrenti di pari forza.
  • Si fa lo stesso gioco ma circoscritto a una nicchia di mercato. L'azienda si concentra su un segmento di mercato che valorizza la sua capacità di soddisfare una fascia ristretta di acquirenti. L'azienda di nicchia non deve però dormire sogni tranquilli, perché quella leader del settore potrà sempre cercare di scalzarla. La conquista della leadership in piccole nicchie di mercato è una delle armi preferite dalle PMI.
  • Si fa un nuovo gioco circoscritto a una nicchia di mercato. Le guerre veramente decisive si combattono quando cambiano le regole del gioco. Le nuove regole possono essere dovute a sensibili riduzioni dei prezzi, conseguiti grazie all'introduzione di un'importante innovazione tecnologica, oppure a un'accorta revisione della catena del valore dell'impresa secondo il modello della riduzione dei costi e della concomitante differenziazione, a innovative politiche di marketing o a campagne pubblicitarie aggressive. Spesso la strategia di fare un gioco nuovo crea nuove nicchie che nessun concorrente era stato in grado di raggiungere precedentemente.
  • Si fa un nuovo gioco su tutta la scacchiera. Questo quadrante è quello in cui i rischi sono maggiori ma anche le ricompense. Un'azienda che prende questa strada, per riuscire a dominare il mercato, ne riscrive tutte le regole e alla fine lascia i concorrenti senza risorse. Sono fin troppo banali gli esempi della Microsoft di Bill Gates nel campo dell'informatica, dell'Intel nel settore dei microchip, della McDonald's nel campo della ristorazione giovanile, della Culligan nella distribuzione dell'acqua da rubinetto. In generale questo ambito competitivo lo si conquista, o con la creazione di un nuovo prodotto che elimina quelli preesistenti, o con l'offerta di un vecchio prodotto a prezzi molto inferiori a quelli della concorrenza. Quando però la leadership diventa prevaricante e non lascia nicchie di mercato ai concorrenti, questi possono coalizzarsi e scatenare costose battaglie contro il leader. Sempre nel caso della Microsoft, ad esempio, è significativo che numerosissime azioni legali siano pendenti presso antitrust e tribunali americani, contro Bill Gates e la sua politica di accaparramento del mercato del software. Anche contro Intel si stanno coalizzando i competitor con azioni presso l'antitrust usa.

4 La differenziazione

La differenziazione (Fiocca, 1994) è un elemento base del marketing e, come già detto, importante strumento di vantaggio competitivo. Infatti, il successo di un prodotto può essere dovuto alla sua capacità di essere o di apparire diverso rispetto al "prodotto della concorrenza; di conseguenza, uno dei compiti più importanti del marketing deve essere quello di perseguire con creatività e originalità tutte le possibili strade della differenziazione.
La differenziazione può avvenire secondo due criteri, orizzontale o verticale. È verticale quella differenziazione che consente al cliente di apprezzare differenze oggettive e misurabili. È orizzontale quella apprezzabile solo con criteri soggettivi (la percezione che quel prodotto sia diverso dagli altri).
                                     
È doveroso sottolineare che la differenziazione esiste solo se la riconosce il mercato; ad esempio, nel settore dei prodotti tecnologici, un'azienda può realizzare un prodotto particolarmente innovativo, che si differenzia da quelli della concorrenza, ma se il potenziale acquirente non riesce a vedere le differenze, per lui non esistono, e se non esistono per l'acquirente non esistono per il mercato.
 
A volte la differenziazione se cattura un mercato ne «disgusta un altro» (Davidow, 1986); ad esempio Steve Jobs, una personalità nel business del personal computer, creò un rapporto speciale con i giovani, con il mondo della grafica e con quello dell'arte, diventando una sorta di «eroe contro un mondo dominato dagli uomini in grigio». Ebbene gli "uomini in grigio" tennero lontano il marchio Apple dal mondo delle imprese.

5 La segmentazione del mercato e il posizionamento.

Nello sviluppo del processo di marketing esistono due snodi fondamentali che sono rappresentati dalla segmentazione e dal posizionamento (Fiocca, 1994).

Con la segmentazione, infatti, l'impresa individua il proprio mercato obiettivo; con il posizionamento essa definisce la posizione che la propria offerta dovrà assumere rispetto alla domanda e rispetto alle caratteristiche dell'offerta della concorrenza, su quel mercato obiettivo.

Alla base della segmentazione, concetto proposto originariamente da W. Smith (Smith, 1956), sta il riconoscimento che "non esiste un mercato, ma una somma di segmenti di mercato, ciascuno caratterizzato da un insieme di clienti tra loro omogenei"; si intende, infatti, per segmento di mercato "un gruppo di clienti che condividono, desideri, bisogni e modalità di acquisto". La domanda è, per definizione, eterogenea, perché eterogenei sono i bisogni della clientela.
 
Un'interessante definizione di posizionamento l'ha data Regis McKenna «Posizionamento è la localizzazione psicologica nella mente del consumatore, relativamente alla qualità di un prodotto o di un servizio, al confronto con la competizione»; il posizionamento sarebbe, in pratica, stabilito dalla percezione che ne ha il cliente.

La prima fase di un'analisi strategica di marketing consiste, pertanto, nell'identificare il mercato in cui l'impresa intende competere e di definire una strategia di posizionamento. Questa scelta del mercato di riferimento implica la preliminare scomposizione del mercato in sottoinsiemi, omogenei in termini di bisogni dei clienti e di motivazioni d'acquisto. Ognuno di questi sottoinsiemi è in grado di costituire un mercato potenziale a sé stante.
L'impresa, pertanto, può scegliere di rivolgersi al mercato nel suo complesso o di concentrarsi su uno o più segmenti del mercato di riferimento.
La scomposizione si realizza, generalmente, in due tappe; la prima, detta macro-segmentazione, consiste nell'identificazione di prodotti-mercato, la seconda, detta micro-segmentazione, identifica i segmenti all'interno di ciascun prodotto-mercato preso in esame. Sulla base di tale scomposizione l'impresa potrà valutare la maggiore o minore attrattività dei diversi prodotti-mercato e segmenti, misurare la propria competitività e definire un proprio posizionamento.

L'impresa sarà in grado di soddisfare l'eterogeneità della domanda solo se il marketing saprà dare le indicazioni necessarie per combinare, in modo opportuno, l'eterogeneità della domanda con la relativa rigidità della produzione, effettuando una segmentazione del mercato per clienti sufficientemente omogenei.
La segmentazione, effettuata tenendo conto della eterogeneità della domanda, dovrà, inoltre, essere caratterizzata da una precisa delimitazione tra un segmento e l'altro, dalla sicura raggiungibilità del segmento da parte dell'offerta e dalla convenienza per l'impresa; infatti, vi dovrà essere una convenienza economica nell'approntare una politica di differenziazione verso ogni segmento.  Ad ogni segmento, dovrà essere indirizzato, infatti, uno specifico e originale marketing mix, con i relativi necessari investimenti.
Non esiste, peraltro, un unico modo per segmentare il mercato (Fiocca, 1994); ciascuna azienda dovrà utilizzare le variabili in modo diverso, funzionalmente alla propria identità.
Nel caso dei beni di consumo, le principali variabili per la segmentazione sono:

  • la segmentazione geografica;
  • la segmentazione demografica;
  • l'età del consumatore;
  • il sesso;
  • la segmentazione relativa agli aspetti sensoriali;
  • il reddito;
  • la segmentazione psicografica (classe sociale, stile di vita, personalità);
  • la segmentazione in base al comportamento: le occasioni, i vantaggi desiderati, lo status del consumatore (consumatore, ex-consumatore, potenziale consumatore), la frequenza dell'utilizzo del prodotto, la fedeltà al prodotto o all'azienda, il grado di informazione, l'atteggiamento nei confronti del prodotto.

Nel caso di prodotti e servizi per l'industria, la segmentazione può essere effettuata utilizzando molte delle stesse variabili. Le aziende possono essere segmentate in base a criteri geografici, ai vantaggi che si vogliono ottenere, alla frequenza dell'utilizzo, alla fedeltà, al grado di conoscenza che l'azienda ha del prodotto, oltre che, naturalmente, al settore merceologico di appartenenza e al suo giro d'affari.
 
Scegliendo come obiettivo il segmento, piuttosto che l'intero mercato, il fornitore del settore industriale ha maggiori possibilità di personalizzare l'offerta e di offrire valore all'acquirente, stabilendo con lui un legame e una barriera all'ingresso di un potenziale concorrente; questa è anche la strada che conduce alla partnership e successivamente al modello di impresa a rete.

La vera opportunità nel condurre una segmentazione del mercato sta nell'identificare le caratteristiche dominanti in una popolazione di acquirenti, selezionarle per segmenti di popolazione e quindi nel creare un prodotto che soddisfi i bisogni che nascono dalle caratteristiche dominanti di ciascun segmento.

Per concludere questo aspetto del marketing occorre notare che si possono effettuare infinite segmentazioni del mercato, ma occorre tenere conto che, per costituire un valore reale, i segmenti del mercato devono essere contraddistinti dalle seguenti caratteristiche.

  • Identificabilità: la segmentazione deve condurre ad un segmento definito in tutte le sue componenti.
  • Misurabilità: è necessario poter avere gli elementi per misurare il volume e la forza d'acquisto del segmento.
  • Reattività: indica la facilità con la quale il segmento reagisce agli stimoli promozionali.
  • Omogeneità: le risposte del segmento sono omogenee e coerenti.
  • Accessibilità: indica la facilità con cui è possibile raggiungere e servire quel segmento.
  • Convenienza in termini di utile atteso.
  • Fattibilità: normalmente ogni segmento ha una barriera d'entrata. Il costo necessario per superare la barriera va quantificato correttamente in modo da valutare la convenienza dell'investimento rispetto al volume di vendite atteso.

Una volta acquisita la leadership, un segmento è generalmente poco costoso da difendere e poco attrattivo per un attacco da parte di un competitor; specialmente se l'azienda leader focalizza tutto il suo business su quel segmento e riesce a far coincidere la propria immagine con quella del segmento.


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6 La Customer satisfaction

Si è già detto del ruolo che la customer satisfaction ha avuto sull'evoluzione del marketing, ma è ora opportuno sviluppare un certo approfondimento su questa componente che risulta sempre primaria per il successo dell'azienda.
Il primo elemento da sottolineare è che l'attuazione di piani di customer satisfaction è stata spesso frenata dalla difficoltà di individuare adeguati criteri di misura del grado di soddisfazione del cliente  (Fiocca, 1994). Eppure l'obiettivo principale della gestione dell'impresa del 2000 sarà la zero customer defection. Il cliente fedele, specie nella nuova accezione dell'impresa, è portatore di profitto ma anche di innovazione e di crescita, va quindi riconosciuto come un asset, nella catena del valore, da difendere e sviluppare.
Allo scopo di arrivare alla fidelizzazione del cliente, A. Fedel (Fedel, 1998) ha messo in evidenza l'importanza che può avere per un'azienda il reclamo. Esso va visto, infatti, come uno strumento che consente di mettere in collegamento diretto impresa e cliente. Davanti al reclamo l'azienda deve attivare comportamenti che consentano di:

  • Trasformare un cliente che reclama in un cliente per la vita.
  • Diffondere tra il personale la consapevolezza dell'importanza del reclamo.
  • Costruire strumenti atti alla gestione del reclamo.

6.1 Il grado di criticità della customer satisfaction

Giova osservare che il grado di criticità della customer satisfaction è aggravato da alcune tendenze del rapporto tra domanda e offerta, in atto nelle economie avanzate.

  • La prima tendenza è quella del progressivo incremento della pressione concorrenziale che mina i processi di fidelizzazione del cliente. L'aumento di concorrenzialità è dovuto sostanzialmente a tre fattori:
  • trasversalità delle tecnologie che affievolisce i confini tra settori teoricamente differenziati;
  • flessibilità dei nuovi processi produttivi che amplia il ventaglio e la varietà dell'offerta delle imprese;
  • globalizzazione dei mercati.
  • La seconda tendenza è la dinamica evolutiva della domanda. Con il progredire dello sviluppo economico e culturale, le esigenze del consumatore diventano sempre più sofisticate, nascono bisogni, complessi, specifici, differenziati e globalizzanti, che portano ad abbandonare il vecchio prodotto.
  • La domanda si sostanzia spesso nella terza tendenza, la formazione di grappoli di bisogni interconnessi ovvero nella tendenza a rivolgersi a un unico fornitore.
  • Il terzo comportamento è ricollegabile, sia alla complessità della domanda, ma anche alla quarta tendenza, e cioè alla maggiore rilevanza delle componenti immateriali dell'offerta (marchio, competenze tecnologiche, di marketing, manageriali, ad esempio) e degli aspetti relazionali relativi al rapporto di scambio

6.2 Strumenti per quantificare la customer satisfaction

Un tentativo sufficientemente valido per la quantificazione della customer satisfaction (Fiocca, 1994) è quello della verifica della consonanza esistente tra:

  • La qualità pianificata dal top management.
  • La qualità desiderata dal consumatore.
  • Gli obiettivi di qualità percepiti dal personale aziendale.
  • La qualità offerta al mercato.
  • La qualità percepita dal consumatore.

La presenza di uno o più scostamenti tra gli elementi sopra indicati non può che riflettersi negativamente sul grado di soddisfazione del consumatore. Il modello, in sostanza, riconduce le possibili forme di insoddisfazione del cliente ad otto tipologie di scostamento (o gap) tra i cinque elementi succitati.

1) Il gap di sintonia. Una vasta fascia di consumatori non ricerca più, solamente, prodotti o servizi ma soluzioni ai propri problemi. Su questi clienti, che saranno sempre più "il cliente tipo del futuro", devono concentrarsi gli sforzi delle imprese. La mancanza di allineamento tra l'offerta pianificata dall'imprenditore o dal management dell'impresa e le esigenze del cliente crea il gap di sintonia; questo gap indica che il marketing ha dedicato poca attenzione all'individuazione di ciò che il cliente desidera realmente.
Il gap di sintonia, che nasce da una scarsa conoscenza della clientela, può trovare spiegazione in tre specifiche cause:

  • i clienti palesano esigenze molto differenziate, dando vita ad una domanda complessa e articolata;
  • i clienti incontrano difficoltà ad esprimere e comunicare i propri bisogni oppure hanno bisogni inespressi;
  • i clienti manifestano esigenze mutevoli e aspettative di gratificazione dall'acquisto non standardizzate.

Il gap di sintonia è alla base dell'insoddisfazione del cliente perché rappresenta la distanza tra ciò che desidera il cliente e ciò che l'imprenditore ritiene che il mercato richieda; esso riporta ai primi stadi dell'evoluzione dell'impresa, quando il suo motto era "vendi ciò che produci".

2) Il gap di valoresi manifesta quando la qualità che i clienti percepiscono dell'offerta è inferiore alla qualità desiderata. La quantificazione di questo gap è di difficile valutazione perché presuppone la conoscenza dell'iter logico seguito dal cliente nel processo percettivo e valutativo del prodotto.
In estrema sintesi, il ragionamento che dovrebbe sottendere la determinazione del gap di valore può essere articolato in:

  • identificazione delle caratteristiche distintive del prodotto in esame e tentativo di individuare e analizzare i collegamenti attraverso i quali il cliente correla, sul piano cognitivo, tali caratteristiche ai benefici attesi;
  • identificazione delle posizioni assegnate dal cliente tipico, sul piano cognitivo, al prodotto dell'impresa e al prodotto ideale;
  • determinazione della distanza tra le due posizioni.

                                     
3) Il gap di percezione è riferibile ad una divergenza tra la qualità oggettiva offerta dall'impresa e la qualità percepita dal cliente. Nella sostanza, l'accertamento di questo gap presuppone un percorso analitico simile a quello precedente.
Essendo il prodotto percepito come un "insieme di attributi", ciascuno con una diversa importanza relativa, anche in questo caso è necessario:

  • procedere alla costruzione di una mappa che consenta di rappresentare gli attributi sui quali il cliente fonda i processi valutativi prima e dopo l'acquisto;
  • determinare la posizione che il profilo dell'offerta dell'impresa dovrebbe occupare nella suddetta mappa alla luce del valore oggettivamente posseduto dagli attributi che la compongono;
  • quantificare la dose di presenza di ciascun attributo che il cliente riconosce nell'offerta;
  • determinare la distanza tra la posizione teorica e la posizione percepita, alla quale può essere assimilato il gap.

4) Il gap di allineamento. Il successo di un prodotto dipende quasi sempre dalla qualità dell'organizzazione e dei processi sottostanti alla sua ideazione e sviluppo. Le aziende "marketing oriented" sono quelle che hanno dedicato più sforzi alla creazione di strutture e processi organizzativi capaci di favorire un clima di soddisfazione in tutto il sistema degli stakeholder. Si crea un gap di allineamento quando l'impresa non si preoccupa di:                    

  • suscitare una partecipazione diretta di tutte le componenti dell'azienda per una formulazione congiunta di una diagnosi sulla customer satisfaction;
  • generare una visione unitaria sui problemi derivanti dalla struttura organizzativa in termini di customer satisfaction;
  • analizzare le catene del valore al fine di valutare se sono state ottimizzate tutte le componenti che possono interferire con la customer satisfaction.

Una discrepanza tra vertice e personale viene facilmente percepita dal cliente (specialmente nel b2b) con reazioni negative per la credibilità della qualità dell'offerta e dell'azienda stessa.

5 e 6 ) I gap di progettazione e realizzazione. Il cliente che ha consolidato specifiche esperienze con un tipo di prodotto si aspetta che un nuovo modello assicuri un giusto equilibrio tra funzioni di base e costo. Per un prodotto di consumo il cliente ricerca spesso una risposta alle tendenze espresse dai mutamenti negli stili di vita. Il cliente di un prodotto industriale si attende che il bene si integri nei suoi processi di produzione e risponda alle attese di innovazione espresse.
Il gap di progettazione fa riferimento al processo di "creazione" del prodotto e nasce dalla divergenza tra gli standard qualitativi condivisi dall'organizzazione aziendale e la qualità effettivamente offerta al mercato.
Il gap di realizzazione deriva invece dalla incapacità di realizzare un profilo di offerta rispondente alle specifiche del progetto desunte dal bisogno espresso dal cliente.
Entrambi questi gap sono una effetto scontato dell'esistenza dei gap analizzati precedentemente.

7) Il gap di coinvolgimento. Il gap di coinvolgimento rappresenta uno degli ostacoli più critici per la diffusione dei valori della customer satisfactionin azienda. Esso può però essere ridotto intervenendo contestualmente su quattro fattori interconnessi:

  • la partecipazione dei dipendenti ad un nuovo progetto, in modo da stimolare una diagnosi congiunta tra il personale, sia per ricavarne suggerimenti, sia per promuovere il consenso nei confronti del progetto;
  • il coordinamento per integrare funzioni e attività diverse nella realizzazione e nel perseguimento del progetto anche attraverso il lavoro di gruppo. Vanno analizzate e controllate tutte le catene del valore;
  • l'individuazione delle competenze specifiche anche all'esterno della azienda;
  • la creazione di motivazioni, incentivi e meccanismi di riconoscimento.

8) Il gap di consonanza è riconducibile ad una divergenza tra gli standard di qualità percepiti e dichiarati dal personale dell'azienda e le percezioni maturate dal cliente sul livello qualitativo dell'offerta. Questo gap costituisce una minaccia di estrema gravità per la sopravvivenza stessa dell'impresa poiché mina alle fondamenta la credibilità e l'immagine aziendale. La rimozione del gap assume quindi una rilevanza centrale. L'individuazione del gap di consonanza implica un approccio analitico così articolato:

  • disaggregazione dell'offerta in una serie di attributi rilevanti, tangibili o intangibili, suscettibili di orientare il processo di formazione delle preferenze del cliente;
  • specificazione delle aree di responsabilità aziendali con riferimento ai vari attributi del profilo di offerta individuati in precedenza;
  • definizione degli standard qualitativi che ciascuna area funzionale (o ciascun process owner nel caso del management by process) si propone di conseguire, in relazione agli attributi dell'offerta di propria competenza e alle proprie possibilità operative;
  • quantificazione dei giudizi forniti dalla clientela, con riferimento ai diversi attributi, e verifica degli scostamenti esistenti tra il profilo di offerta percepito dalla domanda e gli standard qualitativi perseguiti dall'impresa.

Il gap di consonanza appare inoltre riconducibile all'errata identificazione delle esigenze palesate dal cliente (gap di sintonia) o all'incapacità dell'imprenditore di attivare efficaci processi di comunicazione degli obiettivi da conseguire (gap di allineamento).
Da quanto detto, risulta ovvio che una quantificazione della customer unnsatisfaction è un'operazione che solo una grande impresa può realizzare. La PMI, analizzando gli otto gap, può, però, condurre analisi qualitative, che, in genere, consentono di capire se c'è insoddisfazione nel cliente e quale può esserne la causa.

6.3 La mass customization

L'ossimoro mass customization, è un'espressione che lega concetti, sino a qualche tempo fa, opposti e inconciliabili, come mass, legato alla produzione di massa e alla conseguente standardizzazione dei prodotti e customization, che fa riferimento alla creazione di un prodotto su misura.
La mass customization fonde oggi i due concetti consentendo di produrre beni di massa con elementi personalizzati nel singolo prodotto e a un prezzo confrontabile a quello degli analoghi prodotti standardizzati. Ciò è reso possibile dalla grande flessibilità dei processi produttivi, descritta nel primo capitolo, e grazie al supporto delle tecnologie informatiche come il computer-aided design, il computer-aided manufacturing e il computer-integrated manufacturing.
Joseph B. Pine, uno dei maggiori studiosi della materia, sostiene che «Nel 21° secolo il ruolo economico della mass customization avrà la stessa importanza di quello della produzione di massa del ventesimo secolo». La mass customization può portare concreti vantaggi sia alle aziende che ai clienti. Le aziende vendono il bene prima che sia prodotto, i clienti possono acquistare prodotti personalizzati sulla base di specifiche esigenze e preferenze.
La mass customization non è un'ipotesi per il futuro, ma, già oggi, rappresenta una concreta realtà applicata a molti prodotti.
Ad esempio, il Levi's Personal Pair Jeans Program è stato introdotto in Usa in alcuni Original Levi's Stores, per la produzione di jeans su misura. Vengono prese al cliente quattro misure, vita, fianchi, cavallo e altezza. Le misure sono inserite in un computer e viene realizzato immediatamente un prototipo di prova: una volta verificata la soddisfazione del cliente, l'ordine viene trasmesso alla fabbrica della Levi's e, dopo due settimane il cliente trova il suo paio di jeans presso il Levi's Store.
Paris Miki è una catena giapponese di negozi di ottica che, partendo da una foto digitale del viso del cliente produce, grazie ad un sistema esperto, un paio di occhiali su misura sulla base della conformazione facciale, del colore della pelle e degli occhi, nonché del gusto del cliente, che partecipa alla fase di progettazione. Quando il cliente conferma la sua scelta l'ordine viene trasmesso alla linea di produzione.
L'azienda tedesca Creo Interactive coinvolge il cliente nella realizzazione di un paio di scarpe. La creazione del modello personalizzato avviene su Internet mediante un sistema a tasselli che vengono "montati" su alcuni modelli di suola standard, utilizzando le facili istruzioni riportate sul sito.
In alcuni negozi di abbigliamento italiani è possibile ottenere un abito su misura Corneliani. Il cliente prova tre prototipi di abito, da queste prove viene ricavata una scheda tecnica concernente taglia, altezza e larghezza, il cliente sceglie, quindi, tra 150 tipi di tessuto e 250 disegni. I dati vengono inviati alla Corneliani di Mantova e l'abito su misura è disponibile dopo tre settimane.
Uno dei pionieri della mass customization è stato, in Giappone, la National Bicycle Manufacturing Company, divisione della Matsushita, che da qualche anno produce con il marchio Panasonic, biciclette sportive su misura. L'azienda si serve del Panasonic Ordering System, un sistema che comprende, tra l'altro, un attrezzo simile a una bicicletta sul quale viene fatto sedere il cliente in modo da prendere, accuratamente, le misure di braccia e gambe. L'ordine è trasmesso elettronicamente alla fabbrica e la bicicletta è pronta in due settimane.
Andersen è il maggior produttore mondiale di finestre. In molti negozi degli Usa il cliente può produrre una finestra su misura utilizzando un computer e scegliendo tra quindici stili e 6.000 forme e dimensioni. Il computer trasmette alla fabbrica le specifiche richieste e comunica al cliente il prezzo.
Esistono altre aziende che utilizzano la mass customization nei campi più disparati come, quelli dell'auto, degli autocarri, della cioccolata, dei trattamenti cosmetici, dei pennelli da barba, dei libri, dei giornali, degli appartamenti, ecc., facendo prevedere, come già detto, un'impennata di questo modello di produzione (Nutrito, 2001).
 

7 Il ruolo strategico dell'azienda

Il ruolo strategico di un'impresa è classificato, generalmente, in quattro posizioni, che rispecchiano il tipo di strategia competitiva che l'azienda adotta. Esse sono:

  • Pioniere (o leadertecnologico).
  • Sfidante.
  • Imitatore.
  • Marginale.

Il ruolo di un'azienda va visto, anche, nell'ottica di quanto si è già detto sull'innovazione tecnologica. È interessante seguire il modello di Porter sull'introduzione e diffusione di una nuova tecnologia (Fiocca, 1994) come elemento in grado di assegnare un ruolo strategico a un'azienda.

  • In una prima fase, chiamata dello "shock tecnologico", l'innovazione viene introdotta da parte di un'impresa innovatrice che si assume il ruolo di leader tecnologico. A titolo di esempio si ricordano, nel settore dei detersivi, le scosse subite dal mercato quando vennero introdotti i detersivi concentrati o gli shampoo con il balsamo o i dentifrici al fluoro. All'inizio l'introduzione della nuova tecnologia può provocare all'azienda pioniere un aumento di problemi e l'insorgere di costi che nascono man mano che i problemi vengono affrontati e superati. Per tali motivi, a volte, l'introduzione della nuova tecnologia viene confinata in aree di sicura applicabilità e comunque non in grado di intaccare il processo produttivo nel suo complesso. Va sottolineato che ogni nuova iniziativa è quasi sempre messa in moto dai creativi, persone che, spesso, vivono il loro tempo come se fossero stranieri in patria. Osservano tutto da angolazioni diverse e cercano, con naturalezza e curiosità, nuove strade. Spesso non vengono capiti e devono procedere da soli dovendo superare ostacoli posti, anche, dalla loro stessa organizzazione. Il più delle volte la tenacia, la fiducia e la collaborazione dei più fedeli e indispensabili collaboratori dimostrano che la nuova idea è vincente e, in tal modo, si produce nel mercato quello che Porter chiama "lo shock tecnologico".      
  • Nella seconda fase, quella della "propagazione tecnologica", l'innovazione si diffonde tra le aziende sfidanti più reattive le quali reagiscono prima che comincino a manifestarsi minacce concorrenziali da parte del leader tecnologico. Le aziende imitatrici più reattive (sfidanti), anche se non dispongono dei creativi del leader tecnologico, dovranno disporre di collaboratori in grado di capire immediatamente le potenzialità dell'innovazione presentatasi sul mercato. In generale il pionieree gli sfidanti riescono ad effettuare un'analoga politica dei prezzi; il pioniere è partito prima, ma, in generale, lo sfidante non ripercorre gli stessi errori. Nel caso in cui il leader tecnologico riesce ad attivare un processo cumulativo dell'innovazione, ad esempio, attraverso consorzi tra aziende che consentono di utilizzare un grappolo di tecnologie, in tal caso la rincorsa dei follower può risultare molto più complicata e il leader può realizzare un buon vantaggio.
  • Nella fase della "saturazione tecnologica" l'innovazione è oramai dominio di tutto il settore ed entrano in gioco gli imitatori, che non avendo subito i costi del primo impatto con il mercato possono attuare una politica di competizione sui prezzi. Ma non tutte le aziende dispongono di risorse materiali e immateriali per adottare quella particolare tecnologia cosicché molte sono costrette ad uscire dal settore o ad occuparvi una posizione marginale.

8 La strategia competitiva

La strategia competitiva è il modo in cui un'azienda può effettivamente sostenere un vantaggio competitivo nel proprio settore (Porter, 1980).

La prima determinante della redditività di un'azienda è l'attrattività del settore in cui essa opera. La strategia competitiva dell'azienda deve quindi nascere, in prima analisi, da una conoscenza approfondita delle regole della competizione che, a loro volta, determinano la maggiore o minore attrattività verso quel dato settore industriale.

La competizione nasce dal concorrere di cinque forze:

  • L'entrata di nuovi concorrenti.
  • La minaccia di prodotti sostitutivi.
  • Il potere decisionale dei clienti.
  • Il potere contrattuale dei fornitori.
  • La rivalità tra i concorrenti presenti.

 
La presenza di queste cinque forze è l'elemento di analisi partendo dal quale un'azienda può valutare la propria capacità di guadagnare in quel dato settore. La redditività di un settore potrebbe, infatti, non dipendere tanto dalla tipologia del prodotto o dal fatto che esso incorpori alta o bassa tecnologia, ma proprio dalla struttura del settore stesso. Le cinque forze succitate determinano la redditività del settore perché influenzano prezzi, costi e investimenti.

La seconda determinante della strategia competitiva di un'azienda è la modalità con la quale, all'interno del settore industriale, l'impresa realizza il proprio vantaggio competitivo. Secondo Porter, come già visto, un'azienda può godere di due tipi di vantaggio competitivo: costi bassi o differenziazione.

Questi due tipi di vantaggio competitivo, combinati con i mercati obiettivo nei quali un'impresa cerca di ottenerli (l'ambito competitivo), porta a tre strategie di base: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione. La focalizzazione ha due varianti: focalizzazione sui costi e sulla differenziazione.
Le leadership di costo e di differenziazione tendono a conquistare il vantaggio competitivo in una vasta gamma di segmenti del settore industriale, mentre le strategie della focalizzazione mirano al vantaggio in un segmento o in una nicchia di mercato.

Giova notare che spesso le leadership di costo e di differenziazione sono insidiate proprio dalle aziende che attuano la strategia di focalizzazione; operando infatti su segmenti stretti è più facile ridurre i costi e differenziarsi.

In ogni caso ogni strategia ha i suoi rischi.

  • La leadership di costo deve temere: i concorrenti che imitano, i cambiamenti della tecnologia, l'erosione degli elementi che nella catena del valore sono responsabili dei bassi costi, la perdita della similitudine con la concorrenza nella differenziazione, i concorrenti che attuano la strategia della focalizzazione.
  • La leadership nella differenziazione deve temere: i concorrenti che imitano, l'erosione degli elementi responsabili della differenziazione, la perdita della similitudine con la concorrenza nei costi, i concorrenti che operano la strategia della focalizzazione.
  • La focalizzazione deve temere: i concorrenti che imitano, l'erosione della struttura del segmento, la scomparsa della domanda, i concorrenti leader che invadono il segmento, o perché diminuiscono le differenze con gli altri segmenti, o perché aumentano i vantaggi di avere una gamma di prodotti più ampia, i concorrenti che subsegmentano.

Nello scenario della strategia competitiva, il confronto può essere condotto con tre diversi tipi di "guerra" (Valdani, 1997):

  • La guerra di movimento.
  • La guerra di imitazione.
  • La guerra di posizione.

9 Cenni di marketing internazionale

Nell'era del mercato globale è d'uopo affrontare il tema del marketing internazionale (Pellicelli, 1989) e quindi dell'esportazione, che tanto contribuisce, sia alla bilancia commerciale italiana (penalizzata dalla folle politica energetica adottata dal sistema paese), sia alla sopravvivenza di molte nostre imprese.
Se un'azienda è intenzionata ad affrontare i mercati internazionali dovrà operare con le tecniche di marketing che ha affinato sul mercato interno, avendo però ben presente che quello estero è generalmente più complesso di quello interno, se non altro per le diverse culture, consuetudini, burocrazie; l'azienda dovrà pertanto presentarsi con un prodotto che su quel mercato abbia un inequivocabile vantaggio competitivo.
Le prime decisioni dovranno essere prese a livello di "area degli obiettivi globali": l'imprenditore o il top management devono essere convinti e determinati, devono trasmettere questa determinazione ai livelli operativi e indicare quante risorse umane, tecniche e finanziarie l'azienda vuole dedicare per avviare l'iniziativa.
Successivamente il marketing strategico dovrà condurre un'analisi preliminare sul potenziale di mercato, sulla sua segmentazione e sulla capacità competitiva dell'impresa (specie in termini di differenziazione, di certezza della qualità e di tempestività nelle consegne), avendo presente che per entrare nel mercato estero l'azienda può adottare diverse strategie.

  • Esportazione indiretta. Il mercato di origine resta il più importante sia per la produzione che per la scelta dei prodotti. L'azienda lascia l'iniziativa di vendere i suoi prodotti a soggetti esterni: importatori-distributori, imprese di intermediazione internazionale (trading company), consorzi tra imprese del paese produttore, imprese di consulenza commerciale (in generale per i prodotti industriali). I vantaggi del canale indiretto sono rappresentati dai costi e dai rischi modesti, dalle ridotte risorse umane e finanziarie necessarie, dall'utilizzo di intermediari che hanno in genere una buona conoscenza del mercato locale e che spesso assumono in proprio i rischi finanziari delle operazioni. Questa strategia potrebbe essere adottata, in una fase iniziale, per condurre sondaggi sulla competitività dei prodotti dell'azienda. Essa presenta infatti una serie di svantaggi: l'azienda non ha contatti diretti con i clienti e di conseguenza manca di informazioni sul mercato, è in balia dell'importatore, che potrebbe cambiare fornitore da un momento all'altro o che potrebbe adottare la tecnica di ottenere buoni risultati solo sul breve periodo.
  • Vendita diretta. L'azienda prende direttamente l'iniziativa. Il mercato di origine resta il più importante per quanto riguarda la produzione, ma i prodotti sono realizzati anche nella prospettiva di vendere all'estero e in tal caso l'azienda dovrà adattare le tecniche del marketing mixalle esigenze del nuovo mercato. L'azienda può utilizzare una propria forza di vendita, inviata periodicamente all'estero per allacciare e mantenere relazioni con i potenziali clienti, o costituirvi una propria base operativa oppure stipulare un contratto con un agente locale monomandatario il quale visita i clienti e raccoglie le ordinazioni. Nel caso della vendita di prodotti industriali l'azienda può prendere contatti diretti con il potenziale compratore.
  • Vendita concertata. L'azienda adotta una forma intermedia tra canale indiretto e diretto. Entra nel mercato estero attraverso altre imprese (non intermediarie) con le quali ha stipulato particolari accordi: piggy-back(accordo con un'impresa di produzione locale), franchising (distribuzione attraverso una rete di imprenditori indipendenti che, oltre ad acquistare il prodotto, acquistano anche le attrezzature e seguono un'omogenea politica di marketing), consorzi tra imprese omogenee,joint-venture con la cessione di quote del capitale dell'azienda produttrice.
  • Integrazione con il mercato estero. L'azienda entra nel mercato estero con la produzione e con la distribuzione, spesso in joint venture con imprese locali.
  • Multinazionale. Può essere realizzata da un'impresa che costruisce la propria strategia in una "prospettiva mondiale", oppure da una trading company.

Esistono due tipi di prodotto che esulano dalle strategie succitate e che pure hanno un'ampia diffusione di vendita all'estero; sono gli impianti "chiavi in mano" e gli impianti "prodotti in mano". Con questi contratti la fornitura riguarda un complesso funzionante, pertanto l'azienda, oltre a possedere le conoscenze tecnologiche per realizzare gli impianti, deve anche garantire la gestione dell'opera, deve formare il personale tecnico necessario per il funzionamento, deve offrire assistenza post-vendita e spesso deve anche occuparsi del finanziamento.
Per questo tipo di prodotto come anche, in generale, per la gran parte di quelli industriali, le aziende presentano i loro prodotti in fiere internazionali specializzate con la certezza di poter raggiungere un gruppo sia pure ristretto di potenziali compratori. Successivamente, a quei visitatori che hanno manifestato interesse per il prodotto, vengono inviati cataloghi e altra documentazione tecnica; se l'interesse diventa da generico a reale verso l'acquisto inizia la fase dei contatti diretti.
Giova notare che la partecipazione a fiere, mostre, esposizioni, è una forma di promozione poco costosa che consente di entrare in contatto con potenziali clienti e con operatori del settore. Consente anche di raccogliere informazioni sulla concorrenza, sui prodotti meglio accolti dalla domanda e sulla disponibilità di intermediari. Un'altra forma abbastanza economica di promozione dei prodotti industriali è la pubblicità sulle riviste specializzate a diffusione internazionale e la realizzazione di un buon sito Internet.
Una volta che un'azienda ha avviato una politica di vendita all'estero si accorge che possono sorgere problemi di natura finanziaria: se i cicli di recupero del capitale circolante investito sono molto lunghi si corre il rischio di perdere nella gestione finanziaria quanto si è guadagnato nella gestione industriale, se la fatturazione avviene nella moneta del paese compratore si corrono i rischi legati alla fluttuazione dei cambi, nel caso poi di vendita verso paesi in via di sviluppo subentra il "rischio paese".
Per evitare questi "inconvenienti" l'azienda potrà utilizzare le seguenti forme di difesa:

  • Fatturazione in moneta forte.
  • Finanziamento nella valuta del paese esportatore.
  • Counter-trading, combinazione cioè di importazioni ed esportazioni.
  • Inserimento di clausole di revisione dei prezzi nei contratti di medio e lungo termine.
  • Assicurazione contro il "rischio paese".

 

Bibliografia

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Lambin J. J., Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill, 2000.
Levitt T., Exploit the product life cycle, Harward Business Review, December, 1965.
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Pellicelli G. Il marketing internazionale, Etas Libri, 1989.
Penati L., Marketing: piano, azione, verifica, FrancoAngeli, 1994.
Porter M. E., Competitive strategy, Free Press, McMillan Inc. 1980.
Smith W., Product differentiation and market segmentation as alternative marketing strategies, Journal of marketing, july 1956.
Valdani E., Dalla concorrenza all'ipercompetizione, dall'evoluzione alla coevoluzione, Economia & Management, maggio 1997.

Eugenio Caruso
16 gennaio 2009

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