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Come affrontare i problemi psicologici che sorgono nella gestione del personale di un'impresa


Per adottare la più efficace tattica di interlocuzione con un collaboratore timido dobbiamo metterci nello stato di Genitore Affettivo, assumere un atteggiamento protettivo nei suoi confronti e inviare al suo Bambino Adattato un messaggio del tipo «Stai tranquillo, non preoccuparti, mi prenderò cura di te e della tua incertezza». Questo intervento contribuirà a far sì che il collaboratore si senta rassicurato. Dobbiamo evitare, assolutamente, di andare nello stato di Genitore Normativo; ciò darebbe conferma al collaboratore della nostra "pericolosità" e porterebbe alla chiusura del rapporto.
A proposito di timidezza, all'autore è capitato di incontrare anche validi imprenditori che, sotto una scorza di durezza e freddezza, nascondevano un'innata timidezza. È interessante a questo scopo il racconto che Natalia Ginzburg fa dei suoi amici imprenditori Giulio Einaudi e Adriano Olivetti.

Einaudi

«L'editore non era più timido, o meglio la sua timidezza si ridestava solo a tratti quando doveva avere colloqui con estranei, e non sembrava più timidezza, ma un freddo e silenzioso mistero. Per cui la sua timidezza intimidiva gli estranei, i quali si sentivano avvolti d'uno sguardo azzurro, luminoso e glaciale, che li indagava e li soppesava di là dal grande tavolo di vetro, a una glaciale e luminosa distanza. Quella timidezza era così diventata un grande strumento di lavoro. Quella timidezza era diventata una forza, contro la quale gli estranei venivano a sbattere come farfalle sbattono abbagliate su un lume, e se erano venuti là sicuri di sé con bagagli di proposte e di progetti, si ritrovavano poi al termine del colloquio stranamente spossati e sconcertati, col dubbio sgradevole d'essere forse un po' stupidi e ingenui, e d'aver mulinato progetti senza nessun fondamento, alla presenza d'una fredda indagine che li aveva scrutati e sceverati in silenzio».

Olivetti

«Ed era ancora timido; e della sua timidezza non sapeva giovarsi come d'una forza, al modo dell'editore, perciò usava ricacciarla indietro, in presenza di persone che incontrava per la prima volta: fossero autorità politiche, o poveri ragazzi venuti a chiedergli un posto in fabbrica; buttava indietro le spalle, raddrizzava la testa e accendeva i suoi occhi d'uno sguardo immobile, freddo e puro».

Il collaboratore indeciso

I motivi dell'indecisione di un collaboratore possono essere diversi, ma possiamo ritenere che i più importanti siano due.

  1. Insicurezza sulla propria competenza rispetto a nuovi compiti affidatigli dall'impresa.
  2. Insicurezza per cause dipendenti dalla sua personalità.

Nel primo caso sarà sufficiente che, con transazioni Adulto - Adulto, il responsabile cerchi di verificare la reale consistenza di questa insicurezza, stando attento ad interpretare eventuali messaggi psicologici, che lo indirizzino verso altre ragioni dell'indecisione.
Il secondo caso è più difficile da gestire perché l'indecisione non è dovuta alla mancanza di elementi da parte dell'Adulto, ma ad uno stato di insicurezza generale dovuta a disarmonia nella personalità del soggetto. Il collaboratore mostrerà alcuni comportamenti tipici del Bambino Adattato; il tono di voce potrà essere bassa, o conciliante, o insolente, o esigente, i movimenti, in genere, rigidi e contratti. Il collaboratore di questo tipo può anche mostrare una tendenza al perfezionismo, alla meticolosità, alla spiccata attenzione verso particolari marginali.
Egli non è nemmeno sicuro se impegnarsi in una nuova mansione sia vantaggioso per lui, ma, d'altra parte, è portato a ricercare il massimo vantaggio, al di là di ogni ragionevole aspettativa. Questo atteggiamento lo porta a non sapere se deve andare avanti o fermarsi e rimane imbozzolato nella sua indecisione. Il collaboratore continua a manifestare al proprio capo, la sua perplessità circa un suo impegno nella nuova attività, e, generalmente, l'obiezione sembra venire dall'Adulto, ma, in realtà, trova origine nel Bambino e nel suo bisogno primario di avere il massimo. È proprio a questa esigenza che deve rispondere il responsabile, per poter rassicurare il collaboratore.

Il collaboratore diffidente

Questo tipo di collaboratore è, sottilmente, convinto che gli "altri" vogliano raggirarlo, truffarlo o sfruttarlo ed è portato a vedere in ogni iniziativa dell'impresa un tranello. Il collaboratore, per lo più, non agisce sotto lo stimolo di prove concrete, ma agisce in base a considerazioni pregiudiziali.
Se la diffidenza dipende da motivazioni di tipo Adulto è facilmente gestibile con interventi di tipo Adulto; la situazione è più complessa quando la diffidenza nasce dallo stato dell'Io Bambino. Nel collaboratore diffidente l'idea immotivata di essere raggirato, tipica del Bambino, produce o una reazione aggressiva da parte del Genitore Normativo, o una reazione di chiusura tipica del Bambino Adattato.
Alle obiezioni del nostro collaboratore diffidente dobbiamo rispondere a due livelli, con il nostro Io Adulto, allo scopo di fornire dati chiarificatori al suo Io Adulto, e con il nostro Genitore Affettivo, per tranquillizzare il suo Bambino Adattato.

Il collaboratore egocentrico

La persona egocentrica, inconsapevolmente, ama fare sfoggio di sé e prova una profonda soddisfazione quando gli altri riconoscono in lui doti e qualità. Il collaboratore egocentrico è riconoscibile per gli atteggiamenti esibizionistici ed è, tipicamente, portato all'egoismo. L'interlocutore è visto più come un mezzo per soddisfare i suoi bisogni, che come una persona. Un'altra caratteristica di questo tipo di collaboratore è una certa rigidità di pensiero e di comportamento. In lui sono riconoscibili i comportamenti tipici del Genitore Normativo e del Bambino Adattato, attivati dall'ansia di non riuscire ad essere il migliore.
Dovremo rivolgerci, con il nostro Genitore Affettivo, al suo Bambino Adattato per rassicurarlo che lo teniamo nella massima considerazione. Il collaboratore sarà tanto più ben disposto nei nostri riguardi, quanto più sapremo superare le aspettative di apprezzamento del collaboratore. Poiché il collaboratore egocentrico si ritiene meritevole della massima attenzione, per motivarlo, è necessario enfatizzare le sue prestazioni professionali.

Il collaboratore rimandatario

Sono schiavi del «Domani è un altro giorno», sono i rimandatari, persone che rinviano sempre a dopo; in genere rimandano perché pensano di avere tanto tempo davanti. Questo è un atteggiamento trappola che può avere gravi conseguenze sull'efficienza del lavoro in impresa, ma anche sulla salute del dipendente: non decidere fa sprecare energie, l'adrenalina scende in campo e lo scompenso brucia gli zuccheri, il risultato è quello della stanchezza, dell'insoddisfazione e dell'insofferenza. Ci si accorge di questa forma di patologia quando un nostro collaboratore consegna un lavoro solo se sollecitato più volte, quando proponendogli un nuovo lavoro ci dà la sensazione che stiamo facendogli uno sgarbo, quando cerca ogni pretesto per sfuggire alle responsabilità. La persona si autogiustifica  convincendosi che gli dànno tutti i lavori poco piacevoli e non abbastanza gratificanti dopo tanti anni di dedizione all'azienda. In realtà, a monte c'è una patologica paura di sbagliare e di non farcela. Con collaboratori di questo tipo dovremo impiegare al massimo grado l'intelligenza emotiva, dare molte carezze e far capire al Bambino Adattato, con il nostro Genitore Affettivo, che ha il "permesso" di sbagliare.

Il collaboratore meticoloso e competente

Il collaboratore meticoloso rivela, spesso, un attaccamento all'ordine e al perfezionismo e una marcata attenzione a particolari marginali, fino alla pignoleria. In generale ha trovato il tempo per documentarsi sull'oggetto di un colloquio o di un meeting e ne fa sfoggio.
Per questo tipo di collaboratore, la competenza acquisita sui vari aspetti della vita nell'impresa serve, certamente, ad appagare un bisogno di tipo Adulto (quindi di concretezza e di vantaggio personale), ma anche per soddisfare il bisogno del Bambino, che vuole essere sicuro di non sbagliare mai.
Per creare una situazione empatica, all'interno della quale il nostro collaboratore possa sentirsi a proprio agio, dovremo, innanzitutto, rispondere al bisogno dello stato del suo Io Bambino di sentirsi confermare che quello che fa è giusto e sano.

Dopo questa carrellata di tipologie diverse di collaboratore qualcuno potrebbe pensare che la gestione del personale sia un impegno gravoso. Infatti lo è, e, a chi compete la responsabilità della gestione, non dovrebbe mancare la sensibilità di capire che gli individui sono diversi e che queste diversità vanno, prima, individuate e, poi, tenute in considerazione per comprendere i comportamenti e le reazioni.

Per un approfondimento dell'argomento si rimanda al successo editoriale: Gestire e motivare le persone.

Eugenio Caruso


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Tratto da Eugenio Caruso, Gestire e motivare le persone, Tecniche Nuove, 2004

http://www.tecnichenuove.com


www.impresaoggi.com