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L'estinzione dei dinosauri di stato. Vigilia dell'autunno caldo. Si apre la stagione dello stragismo


Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestą, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant


Copertina

Con questo sesto articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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CAPITOLO II - IL CENTRO SINISTRA (1961-1976)

Alla vigilia dell'autunno caldo
I risultati del 19 maggio 1968 danno ragione alla DC, che vede ridimensionati i partiti di destra (Pli 5,8%, monarchici 1,4%, Msi 4,8%), accresciuti i propri voti (39,1%) e sconfitti i socialisti unificati (14,5%, rispetto a un ipotetico 16,5%, somma delle percentuali prima della riunificazione); Pci e Psiup raggiungono un buon 31,4%. Ora la DC ha un Pli indebolito alla sua destra, e non deve temere un forte partito socialista alla sua sinistra; pertanto, può trattare da una posizione di forza. Dopo le elezioni, il partito socialista unificato non ritiene opportuna la ricostituzione immediata del centro-sinistra, cosicché nella DC tranquillizzata dai risultati elettorali si aprono le ostilità per la sostituzione di Moro alla presidenza del Consiglio.
Si avvicina, intanto, una fase politica convulsa e violenta, innescata dal Maggio francese: l’esplosione della furia studentesca a Parigi. In Italia non ci fu una fiammata violenta come quella d’Oltralpe ma «una lenta combustione. I “rivoluzionari” del Movimento studentesco, che a Milano avevano trovato un leader in Mario Capanna, si esercitarono per anni nel punzecchiare un potere debole e sfuggente come gelatina» (Montanelli, 2000). Nell’autunno 1969 la protesta studentesca si salda con le rivendicazioni dei lavoratori per i rinnovi contrattuali che riguardano 5 milioni di dipendenti. Nelle Università regnano l’anarchia e l’indisciplina, nelle fabbriche si nobilita il sabotaggio. I Comitati unitari di base (Cub) scavalcano i sindacati e diffondono il verbo pseudo-maoista: «I salari devono essere uguali, perché gli stomaci sono uguali». Queste spinte estremistiche intossicheranno la vita politica italiana per anni, finché nel 1980 la marcia dei 40mila quadri della Fiat non porrà uno stop alle intimidazioni nelle fabbriche e all’arroganza dei sindacati (gli stabilimenti della Fiat erano diventati un souk dove vigevano violenza e omertà, dove si poteva vendere e comprare di tutto, anche il sesso).
Il monocolore “balneare” del secondo Leone (24 giugno-12 dicembre 1968) nasce con il compito di estromettere Moro. Le trattative tra DC e Psu portano al primo ministero Rumor (DC, Psu, Pri; 12 dicembre 1968-10 agosto 1969). De Martino è vicepresidente, Nenni ottiene il ministero degli Esteri, Mancini i Lavori pubblici, Tanassi l’Industria, cosicché tutti i più importanti capicorrente socialisti sono nel Governo. Fanfani è presidente del Senato. Rumor ritiene di aver costituito una coalizione a prova di correnti. Ha sottostimato però la possibilità di collegamento tra Moro, in cerca di rivincite, e la sinistra, ostile al patto tra dorotei e fanfaniani. Al consiglio nazionale della DC del gennaio 1969, il comportamento critico di Moro indebolisce i dorotei, che riescono, in ogni modo, a far eleggere segretario Flaminio Piccoli: quella che emerge da questo consiglio nazionale è l’immagine di una DC debole e divisa.
Non quanto i socialisti però: nel luglio si assiste, infatti, all’ennesima scissione; i socialdemocratici e alcuni dirigenti del vecchio Psi, escono dal partito per dissensi nei confrondi della leadership Mancini-De Martino e fondano il Partito Socialista Unitario (Psu) che, il 6 febbraio 1971, prende il vecchio nome di Psdi, con Enrico Ferri segretario; il partito di Mancini-De Martino riprende il nome di Psi, chiudendo così il circolo perverso delle unificazioni e delle scissioni.
I socialisti escono dal Governo e viene costituito il secondo gabinetto Rumor (10 agosto 1969-27 marzo 1970), un ministero “di transizione” (monocolore DC e voti esterni di Psi e Psu). Siamo alla vigilia dell’autunno caldo, stagione che sarà molto movimentata anche nella DC, ove si assisterà per mesi a scontri di bande, accordi e imboscate, che condurranno all’estinzione del correntone doroteo. L’oggetto politico degli scontri nella DC è relativo a possibili aperture al Pci: i dorotei sono contrari, Moro è favorevole, Fanfani possibilista, Andreotti è pronto a cogliere ogni occasione. Nel settembre 1969 Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani, che rappresentano la generazione nuova della DC, stringono il patto di San Ginesio, allo scopo di insediare un gruppo dirigente nuovo, di limitare il potere dei cosiddetti “cavalli di razza” della DC (in particolare Moro e Fanfani) e di ostacolare i tentativi di alleanze politiche con il Pci. I dorotei, Bisaglia, Rumor e lo stesso segretario Piccoli aderiscono all’iniziativa, sciolgono la corrente Iniziativa Democratica e, il 6 novembre 1969, portano Forlani alla segreteria, allo scopo di rassicurare l’elettorato moderato.

Si apre la stagione dello stragismo
Il 12 dicembre 1969 una bomba nella sede della Banca dell’Agricoltura a Milano uccide 16 persone e ne ferisce 100: inizia la stagione delle stragi, che alcuni chiameranno stragi di Stato, perché esse si rivelano utili per tenere viva la strategia della tensione e mostrare la necessità del principio di contrapposizione tra sinistra e Governo. La polizia e il ministro degli Interni annunciano che i responsabili della strage sono da ricercare tra gli anarchici: il ferroviere Giuseppe Pinelli muore, precipitando dal quarto piano della Questura di Milano; il ballerino romano Pietro Valpreda trascorre tre anni in carcere in attesa di giudizio, per essere prosciolto da ogni accusa solo nel 1985. Ci vorranno anni perché la rete di menzogne intessuta dai servizi si sfaldi ed emergano le responsabilità di un gruppo neofascista del Veneto, che fa capo a Franco Freda e Giovanni Ventura e che ha un rapporto stretto con Guido Giannettini, colonnello del Sid (Servizio informazioni della Difesa) e sostenitore dell’Msi.
Il processo si trascinerà per un interminabile arco di tempo, fino alla condanna all’ergastolo per Freda, Ventura, Giannettini e Marco Pozzan; a due e quattro anni, rispettivamente, per il generale Gianadelio Maletti e per il capitano Antonio Labruna, nel 1981 a Catanzaro, e alla loro successiva assoluzione presso la Corte d’Assise di Bari. Successivamente il magistrato Guido Salvini individua in Delfo Zorzi (già membro di spicco di Ordine Nuovo in Veneto, ora ricco imprenditore che opera in Giappone con cittadinanza giapponese), in Carlo Maria Maggi, all’epoca capo di Ordine Nuovo nel Triveneto e in Giancarlo Rognoni, leader dell’organizzazione di estrema destra La Fenice, i maggiori responsabili della strage. Nel giugno 2005, al termine dell’ultimo processo su Piazza Fontana, la Corte di Cassazione conferma la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage. Secondo la Cassazione, così come per le Corti d’Appello, anche «la cellula veneziana di Maggi e Zorzi» nel 1969 organizzava attentati, ma «non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre».
Anche se successive in ordine di tempo, non si possono non citare anche la strage di Brescia e di quella dell’Italicus, che vedono indagati esponenti degli stessi ambienti dell’estrema destra e dei servizi. Il 28 maggio 1974, nella centrale Piazza della Loggia di Brescia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. L’attentato provoca la morte di 8 persone e il ferimento di altre 94. La prima istruttoria della magistratura porta alla condanna, nel 1979, di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado sono commutate in assoluzioni, le quali vengono confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione. Un’altra istruttoria viene avviata presso la Procura di Brescia. Il 15 maggio 2008 sono rinviati a giudizio i sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. Tra i rinviati a giudizio, Delfino è un ex generale dei carabinieri, all’epoca della strage responsabile – con il grado di capitano – del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, e Maifredi era ai tempi collaboratore del ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani. Gli oscuri intralci di provenienza istituzionale manifestatisi durante le indagini verranno definiti dal giudice istruttore un’ulteriore «riprova, se mai ve ne fosse bisogno, dell’esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo». Il 16 novembre 2010 la Corte d’Assise ha emesso la sentenza di primo grado, assolvendo tutti gli imputati con la formula dubitativa.
Il 4 agosto 1974 una bomba ad alto potenziale esplode nella vettura 5 dell’Espresso “Italicus” Roma-Monaco di Baviera. Nell’attentato muoiono 12 persone e altre 48 restano ferite. La strage avrebbe avuto conseguenze più gravi se l’ordigno fosse esploso all’interno della galleria di San Benedetto Val di Sambro, come avverrà dieci anni dopo nella strage del Rapido 904. Aldo Moro si sarebbe dovuto trovare a bordo del treno quella sera, ma lo perse poiché venne raggiunto da alcuni funzionari del ministero e fatto scendere all’ultimo momento per firmare documenti importanti. L’attentato venne rivendicato dall’organizzazione Ordine Nero. I colpevoli della strage non sono mai stati individuati, ma la Commissione Parlamentare sulla Loggia P2 ha dichiarato in merito che «la strage dell’Italicus è ascrivibile a un’organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale».

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15 maggio 2013

Eugenio Caruso


Tratto da

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www.impresaoggi.com