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Carlo V e una vita da osservare.


Platone afferma non esserci alcun re che non sia discendente da schiavi e nessuno schiavo che non sia discendente da re.
Seneca Lettere morali a Lucilio


In questo sito, abbiamo illustrato vita e doti di grandi personaggi della storia, come Cesare, Alessandro Magno, Marco Aurelio, Sun Tzu, quali figure emblematiche da tenere come modelli; ugualmente ritengo doveroso prendere in considerazione la vita di Carlo V, che "navigò", in pieno Rinascimento, confliggendo con grandi re come Francesco I, Enrico VIII, Solimano il magnifico. Egli respirò l'atmosfera della grande cultura di quel secolo, godette dei vantaggi della conquista di immensi territori al di là dell'oceano e superò indenne tradimenti, intrighi, tentativi di assassinio, rivolte, rivoluzioni religiose, gli ostacoli postigli dalle Cortes spagnole e dalle Diete germaniche. Fu un uomo religioso e clemente, clemenza che gli costò la perdita del suo principale obiettivo, la realizzazione di un'Europa sovranazionale, della monarchia universale, ipotizzata da Dante, Machiavelli, Erasmo da Rotterdam e incultatagli dalla zia Margherita d'Austria, donna di grande cultura e autorevolezza; sotto l'aspetto della clemenza, come sotto quello della salute cagionevole, della mole di lavoro che riusciva a svolgere e della capacità di stare sull'obiettivo, fu molto simile a Cesare.
La particolare era in cui visse Carlo V è l'elemento che, in gran gran parte, spiega la statura dell'imperatore. Dotato di pronta intelligenza e di eccezionale equilibrio, seppe sfruttare l'aiuto di brillanti ministri, consiglieri e grandi generali: tempista e abile sfruttò a suo vantaggio la circostanza di poter essere il personaggio centrale di un secolo formidabile. Il secolo di Lutero e di Erasmo da Rotterdam, di Francesco I, di Enrico VIII, di Maria Tudor, di Maria Stuarda, di Elisabetta e di Solimano il Magnifico, di Tiziano, Durer e Holbein, di Michelangelo, Leonardo e Raffaello, di Machiavelli e Guicciardini, di Ariosto e Rabelais, della Compagnia di Gesù e del Concilio di Trento, dei grandi monasteri che diffondevano la scienza, la letteratura, l'arte, la musica, della Riforma e della Controriforma, dell'Inquisizione e dei mercenari lanzichenecchi, dei pirati saraceni, di Magellano e dei conquistadores, del primato dell'economia e dei banchieri sulla politica.
Carlo V d'Asburgo (Gand, 24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558) fu re di Spagna con il nome di Carlo I, re d'Italia, Arciduca d'Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero, padrone di un impero talmente vasto ed esteso, su tre continenti, che gli viene tradizionalmente attribuita l'affermazione secondo cui sul suo regno non tramontava mai il sole.

Carlo era figlio di Filippo il Bello d'Asburgo (da non confondere con il più famoso Filippo il Bello re di Francia), figlio a sua volta dell'Imperatore Massimiliano I d'Austria e di Maria di Borgogna, erede dei vasti possedimenti dei Duchi di Borgogna. La madre era Giovanna di Castiglia, detta "la Pazza" (che come ritengo non era affatto pazza), figlia dei Re Cattolici Ferdinando II d'Aragona e di Isabella di Castiglia. In virtù di questi avi, Carlo poté ereditare un vastissimo impero, oltretutto in continua espansione, ed esteso su tre continenti (Europa, Africa e America). Nelle sue vene scorreva sangue delle più disparate nazionalità, tedesca, spagnola, francese, polacca, italiana e inglese. Tramite il padre discendeva infatti, oltre che naturalmente dagli Asburgo, i quali ormai da tre secoli regnavano sull'Austria e da quasi 100 anni ininterrottamente sull'Impero Germanico, anche dalla casata polacca dei Piast, del ramo dei duchi di Masovia, attraverso la trisavola Cimburga di Masovia (e questa discendenza gli lascerà anche un segno fisico: il famoso "labbro sporgente all'Asburgo"). Il marito di Cimburga, il duca di Stiria Ernesto il Ferreo, era invece figlio di Verde Visconti, e ciò rendeva Carlo diretto discendente dei Visconti di Milano e quindi pretendente al Ducato di Milano. Tramite la nonna Maria Bianca, duchessa di Borgogna, egli discendeva dai Re di Francia della Casa dei Valois, diretti discendenti di Ugo Capeto; ciò rendeva dunque Carlo discendente del casato dei Capetingi, e quindi anche del fondatore dell'Impero, il suo omonimo Carlo Magno. Sotto molti aspetti egli fu il vero prosecutore della politica europeista di Carlo Magno. La madre Giovanna invece gli portò la discendenza dalla grande casata castigliana e aragonese dei Trastamara. Essi a loro volta avevano riunito nel loro blasone le eredità delle antiche casate iberiche di Barcellona, primi re di Aragona, di León, Castiglia e Navarra, discendenti degli antichi re delle Asturie, di origine visigota. I Re di Aragona erano inoltre discendenti degli Hohenstaufen tramite Costanza, figlia di re Manfredi; questo fatto permise a Carlo (che si trovava in questo modo a discendere dall'Imperatore Federico II di Svevia), di ereditare i regni di Napoli e Sicilia. Infine, due sue trisavole del lato materno erano Caterina e Filippa di Lancaster, entrambe figlie di Giovanni di Gand, figlio cadetto di Edoardo III Plantageneto, re d'Inghilterra.

carlo v geneal

Dalla nascita (1500) alla incoronazione di Aquisgrana (1520)
Il 21 ottobre 1496, Massimiliano I d'Asburgo, Arciduca d'Austria, nonché Imperatore del S.R.I., mediante un'accorta "politica matrimoniale", fece in modo che il proprio figlio ed erede al trono, Filippo, detto "il bello", prendesse in moglie Giovanna di Castiglia, la figlia minore dei cattolici sovrani di Spagna Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. I due si trasferirono nel 1499 nell'antica capitale Gand situata nella Contea di Fiandra, e il 24 febbraio 1500, nacque Carlo, perciò inizialmente detto Carlo di Gand. Oltre a Carlo, alla coppia nacquero altri cinque figli. Eleonora, la primogenita, che andò in sposa prima a Emanuele I di Aviz, Re del Portogallo e poi a Francesco I di Valois-Angouleme, Re di Francia. Dopo di lui, in successione, nacquero: Isabella che andò in sposa a Cristiano II di Oldenburg, Re di Danimarca; Ferdinando che sposò Anna Jagellone d'Ungheria dando inizio ad un rinnovato ramo austriaco degli Asburgo; Maria che andò sposa a Luigi II d'Ungheria e Boemia e infine Caterina che andò sposa a Giovanni III di Aviz, Re del Portogallo. Giova notare che Giovanna di Castiglia soffrì per il trasferimento dalla Spagna in Belgio e per gli oltraggiosi tradimenti del marito; inoltre, fin da piccola aveva manifestato intolleranza per il fanatismo religioso dei genitori e per la spietatezza dell'Inquisizione che aveva in Spagna un potere quasi maggioreadriaan di quello dei re; la madre Isabella aveva cercato in tutti i modi di piegare la figlia che si permetteva di mettere in discussione la santità dei metodi della Santa Inquisizione. Nel 1496 a diciassette anni Giovanna sposa Filippo il bello e, insinua lo storico Hillebrand, "Giovanna si affrettò ad accettare la mano di Filippo di Borgogna sapendo che l'avrebbe sottratta all'educazione durissima della madre "; il fatto poi che Filippo fosse uno dei più bei cavalieri del tempo era un incentivo in più per fuggire da quella corte lugubre, bigotta e feroce. Giovanna non poteva immaginare che anche Filippo era un violento e che l'avrebbe picchiata e umiliata in continuazione come e peggio della madre. Nel 1504, con la morte della Regina Isabella, Giovanna diventa l'erede di tutti i beni di Castiglia. Temendo l'interferenza laicistica e tollerante di Giovanna, il padre Ferdinando, da tempo, aveva fatto circolare la leggenda della pazzia della figlia, cosicchè, la reggenza di Castiglia fu assunta dallo stesso Ferdinando, il quale con astuzia aggirò le eventuali rimostranze di Filippo, che era più interessato a correre dietro alle donne di corte che agli interessi della moglie. Da qui si dipana un vero e proprio mistero, un tenebroso enigma della storia, perchè quelle poche volte nelle quali Giovanna ebbe l'occasione di essere liberata, come quando i castigliani le chiesero di prendersi il trono, ella rifiutò la libertà asserendo di voler essere fedele al volere del figlio Carlo. Importanti testimoni dell'epoca non parlano della follia di Giovanna. Maqueraux, ufficiale della Casa di Fiandra, in una documentata storia della dinastia di Borgogna non ne fa parola e Jean de Los, abate di Saint-Laurent, ha lasciato scritto della brutalità e irascibilità di Filippo, ma non della follia di Giovanna. Francisco de Borja che ha assistito alle ultime ore della vita di Giovanna (come farà con Carlo) trova la regina lucida e saggia e non potrà non essersi chiesto se la regina non fosse stata sacrificata alla ragion di stato e all'inarrestabile ascesa di suo figlio.I dati obiettivi ci informano che Giovanna, dalla morte di Filippo (1506), alla rivolta delle comunidades di Spagna (1520) venne tenuta prigioniera nella fortezza di Tordesillas; una sepolta viva.
Carlo fu esemplarmente crudele. Sacrificò la madre alla sua missione della monarchia universale, come Filippo l'aveva sacrificata alla sua dissolutezza, avarizia e brutalità e Ferdinando al suo disegno politico e alla sua ambizione. Carlo sapeva di essere assai impopolare in Spagna e che, soprattutto l'Inquisizione vi era odiata. Per il popolo Giovanna avrebbe potuto essere l'antitodo a quella tirannide, perciò Carlo doveva tenerla segregata e sepolta viva. Carlo doveva temere molto possibili azioni ostili della madre così, nel 1518, le assegnò come governatore don Bernardino de Sandoval y Rojas, marchese di Denia e conte di Lerna con due incarichi: assicurarsi che Giovanna non potesse avere alcun contatto con il mondo esterno e costringerla a farla abdicare; la prima impresa riuscì, ma la seconda, mai. Il 24 agosto 1520 l'armata dei comuneros spagnoli (la rivolta dei comuneros interessò gli abitanti dei comuni castigliani, che si sollevarono contro Carlo V, per protestare contro il fiscalismo regio), comandata da don Juan di Padilla, arriva a Tordesillas e libera Giovanna. Lo stesso Adriano di Utrecht scrive a Carlo "Vostra Altezza ha usurpato il titolo reale e ha tenuta prigioniera con la forza la regina che è del tutto assennata"; anche i capi della rivolta si rendono conto della sanità di Giovanna e le propongono di riprendersi la corona. Giovanna però non ha l'animo di mettersi a capo della rivolta che l'avrebbe sicuramente salvata. La sua educazione, il suo rango e il principio dell'autorità glielo impediscono. Preferisce tornare sepolta viva che abiurare a quel principio per cui il re era re anche se era un usurpatore. Per lei gli uomini che l'avevano liberata erano pur sempre ribelli contro l'autorità legittima. Le sue ultime parole ai capi della rivolta furono " Che nessuno provi a creare malintesi tra me e mio figlio. Ciò che mi appartiene è suo ed egli avrà cura del bene del regno". La seconda prigionia fu più dura della prima, Denia, furioso per lo smacco subito si vendicò sulla prigioniera infliggendole terribili supplizi. Forse a quel punto la sua ragione non resistette più. Carlo sacrificò alla ragion di stato e alla sua missione universalistica la vita della madre.
Alla morte di Filippo il bello, il 25 settembre 1506, Massimiliano individua nella zia di Carlo, l'Arciduchessa Margherita d'Asburgo la reggente dei Paesi Bassi nel 1507. Carlo si trovò dunque all'età di sei anni ad essere il potenziale erede oltre che di Castiglia, anche d'Austria e di Borgogna, da parte dei nonni paterni, in quanto il nonno Massimiliano d'Asburgo aveva sposato Maria di Borgogna, ultima erede dei Duchi di Borgogna. Giova notare che Carlo V, che in età matura sostenne la pazzia della madre fu, probabilmente, perseguitato dal rimorso per questo suo comportamento.

I principali tutori di Carlo furono Adrian Florensz di Utrecht, all'epoca decano di San Pietro e vice-cancelliere dell'università, il futuro papa Adriano VI e, dal 1509, Guillaume de Croy, Signore di Chièvres, che ebbe una grande influenza sul ragazzo. Tutta l'educazione del giovane principe si svolse nelle Fiandre e fu ammantata di cultura fiamminga e in lingua francese, nonostante i suoi natali austro-ispanici. Praticò la scherma, fu abile cavallerizzo ed esperto nel torneare, ma di salute precaria, soffrendo anche di epilessia in gioventù.
Il 5 gennaio 1515, nella sala degli Stati del palazzo di Bruxelles, Carlo, all'età di 15 anni, fu dichiarato maggiorenne e proclamato Duca di Borgogna. Gli fu, quindi, affiancato un consiglio ristretto di cui facevano parte Guillaume de Croy, Adriano di Utrecht e il Gran Cancelliere Jean de Sauvage.
Al tempo dell'incoronazione di Francesco I Valois-d'Angoulême il re invitò Carlo quale duca di Borgogna alla festa di celebrazione; Carlo, volendo risaltare la sua superiorità dinastica rispetto a Francesco, inviò in sua vece Enrico di Nassau e Michel de Sempy, che trattarono anche affari di stato: si discuteva in particolare, di un possibile matrimonio fra Carlo e Renata di Francia (la secondogenita di Luigi XII di Francia e di Anna di Bretagna).
E' importante esaminare a fondo la figura di Francesco I, perchè nel momento cruciale della lotta per il potere in Europa egli fu l'unico vero contraltare di Carlo V. Possiamo affermare che Francesco I evitò che la Francia cadesse sotto l'influenza dell'impero, introdusse nel diritto e nell'amministrazione l'obbligo di parlare la langue d'oil al posto del latino, rafforzò il principio unitario dello stato francese e di questo i francesi gli dovrebbero essere perennemente grati, ma proprio le sue azioni, il suo carattere, le sue gesta mettono in risalto il carattere, il temperamento e il valore di Carlo. Francesco fu subdolo, spergiuro, superficiale, cristianissimo fu alleato dei turchi e dei luterani, sempre pronto a rompere le tregue e attaccare l'impero, rapace di gloria sperava di soggiogare l'Europa sotto i gigli di Francia; era ricchissimo, grazie alla saldezza dello stato, e potè sostenere le sue guerre contro Carlo grazie alla sua ricchezza. Di converso, Francesco I fu un vero principe rinascimentale; egli amò e protesse Rabelais, Raffaello, Leonardo, Tiziano, Andrea del Sarto, Benvenuto Cellini, Paris Bordone, Primaticcio e una schiera di architetti e artisti tra i più brillanti del suo tempo. Alla sua corte festosa trovarono accoglienza mecenatesca e gloria immortale i più splendidi ingegni del Rinascimento come Machiavelli e Baldassar Castiglione. Ispirò al suo protetto Rabelais il capolavoro Gargantua e Pantagruel nel quale la figura da fanfarone di re Picrochole è una burlesca caricatura di Carlo V. Carlo non ruppe mai un accordo, era leale e riflessivo, senza proclamarsi cristianissimo, era sempre portato a difendere il cristianesimo, ma seppe opporsi a papi ambiziosi e spergiuri, era fautore della pace a ogni costo, sperava in un'Europa unificata sotto il segno degli Asburgo, ma per il trionfo del cristianesimo, non disprezzò mai il nemico e si addossava sempre la responsabilità delle sconfitte; a causa delle liti e delle ambizioni dei vari stati dell'impero, per tutta la vita fu perseguitato dalla scarsità di danaro, che spesso non gli consentiva di pagare i suoi soldati che si ammutinavano.
Il 23 gennaio 1516 muore il nonno materno Re Ferdinando d'Aragona, e Carlo, a soli sedici anni, eredita anche il trono d'Aragona, concentrando nelle sue mani tutta la Spagna, per cui poté fregiarsi del titolo di Re di Spagna a tutti gli effetti, assumendo il nome di Carlo I (Carlos primero, da cui il nome del famoso cognac). Il 13 marzo avvenne la proclamazione ufficiale.
Nel 1516 Erasmo da Rotterdam accettò l'incarico di consigliere di Carlo I di Spagna. Una volta ereditato il trono di Spagna, Carlo aveva necessità di essere riconosciuto Re dai propri sudditi, in quanto, pur avendo come ascendenti i sovrani castigliano-aragonesi, era pur sempre un Asburgo. La richiesta avanzata in tal senso il 21 marzo 1516 venne rifiutata. All'epoca Francisco Jiménez de Cisneros, arcivescovo di Toledo era reggente di Castiglia, l'arcivescovo di Saragozza reggente d'Aragona, mentre Adriano di Utrecht era reggente inviato da Carlo. Carlo esitava mentre Jimenez dovette affrontare i disordini siciliani (che culminarono con la fuga del viceré Hugo de Monarca) e i rinnegati Horudj e Kahir ad-din. Si giunse al Trattato di Noyon, in cui si stabiliva il matrimonio fra Carlo e madame Luisa, la figlia di Francesco I, ma tali accordi suscitarono l'indignazione spagnola. I negoziati con l'Inghilterra vennero lasciati alla diplomazia di Giacomo di Lussemburgo che riuscì a stringere un accordo favorevole.
Intanto la sorella Eleonora aveva raggiunto i 18 anni e Carlo stava progettando un matrimonio diplomatico con il re del Portogallo. L'8 settembre Carlo partì da Flessinga con quaranta navi alla volta delle coste spagnole: il viaggio durò 10 giorni. Dopo un lungo tragitto sulla terraferma incontrarono il fratello Ferdinando e giunsero nella città di Valladolid. Giunse la notizia della morte di Jiménez avvenuta l'8 novembre. Convocate le Cortes di Castiglia sul finire del 1517, venne riconosciuto finalmente Re nel febbraio 1518 mentre le Cortes avanzarono ben 88 richieste fra cui quella che il sovrano parlasse lo spagnolo.
Il 22 marzo lasciò la città diretto a Saragozza, dove affrontò con difficoltà le Cortes d'Aragona, tanto che rimase nella città per diversi mesi. Intanto, il gran cancelliere Jean de Sauvage moriva il 7 giugno 1518; gli succedette Mercurino di Gattinara, mentre continuavano le trattative con le Cortes di Catalogna, convocate a Barcellona, dove Carlo rimase per buona parte del 1519, fino al riconoscimento della sua sovranità. Giova notare che Mercurino Arborio di Gattinara, forse la mente politica più fine dell'impero di Carlo V, si era distinto come eminente giurista alla corte del duca di Savoia. La duchessa Margherita che aveva sposato in seconde nozze Filiberto di Savoia, ebbe modo di apprezzare Gattinara e, quando tornò nei Paesi Bassi lo portò con sè; Carlo V, molto abile nel riconoscere il valore delle persone lo prese come proprio consigliere. Uno degli atti del re prima di lasciare la Spagna fu quella di appoggiare l'armamento e la formazione di una lega contro i pirati saraceni che infestavano le coste.
Successivamente, dovette recarsi in Austria per raccogliere anche l'eredità asburgica. Il 12 gennaio 1519, infatti, con la morte del nonno paterno Massimiliano I, Carlo, che era già Re di Spagna da tre anni, concorse per la successione imperiale, titolo che fu letteralmente messo all'asta. Gli altri pretendenti erano Enrico VIII d'Inghilterra e Francesco I di Francia. L'imperatore veniva eletto da sette elettori: i vescovi di Magonza, Colonia e Treviri, e i signori laici di Boemia, del Palatinato, Sassonia e Brandeburgo. Nell'occasione, per finanziare l'offerta e pagare gli elettori, Carlo venne appoggiato dai banchieri Fugger di Augusta, nella persona di Jakob II, mentre il cardinale Wolsey si impegnò per Enrico. L'elezione si risolse con la posizione di Leone X, che aveva nella persona di Federico il Saggio di Sassonia il successore; questi declinò l'offerta in favore di Carlo. Carlo alla fine venne eletto dai principi elettori con voto unanime, e a soli diciannove anni ascendeva anche al trono d'Austria, entrando in possesso, a pieno titolo, dell'eredità borgognona della nonna paterna. Si calcola che l'elezione venne a costare a Carlo la somma di un milione di fiorini d'oro, metà della quale servì a pagare gli elettori e i loro consiglieri; dagli archivi della Banca Fugger risulta che ben 500.000 fiorini erano costati alla Banca l'elezione di Carlo; giova sottolineare che da quel momento Carlo ebbe sempre immmensi problemi economici, sia per finanziare le guerre, sia per manternere le corti. Il 28 giugno 1519, nella città di Francoforte, Carlo viene eletto Imperatore del S.R.I. e, il 23 ottobre 1520, incoronato dall'Arcivescovo di Colonia nella cattedrale di Aquisgrana. Carlo di Gand, come Imperatore del S.R.I., assume il nome di Carlo V, e come tale è passato alla Storia. La scomparsa prematura di tutta la discendenza maschile della dinastia castigliano-aragonese, unitamente alla scomparsa prematura del padre Filippo "il bello" e alla "infermità" della madre Giovanna di Castiglia, fanno sì che Carlo V, all'età di soli 19 anni, risultasse titolare di un "impero" talmente vasto come non si era mai visto prima d'allora, neppure ai tempi di Carlo Magno. E così nel 1519 la casa d'Austria si ritrova in pugno la Germania, l'Austria, la Spagna, Napoli, la Sicilia, i Paesi Bassi e gran parte del Nuovo Mondo; proprio in quell'anno i conquistadores, dalle pianure bruciate dell'Estremadura, partiranno alla conquista dell'Eldorado americano. Sul suo impero non tramontava il sole ma non tramonteranno mai i problemi, primi fra tutti quelli che gli procurerà Francesco I che, furioso per la sconfitta nella corsa all'impero, si prepara ad aprire le ostilità.

dimini

I domini di Carlo V, escluse le Americhe


Dalla incoronazione di Aquisgrana (1520) alla incoronazione di Bologna (1530)
Il 20 ottobre 1517 il navigatore Ferdinando Magellano giunse a Siviglia, riuscendo a farsi ascoltare da Carlo V, il 22 marzo 1518; l'imperatore fu entusiasta del progetto di Magellano e sottoscrisse un contratto con il quale finanziò l'impresa dell'esploratore. Da quel momento è Carlo a far premura per i preparativi della partenza. Vuole essere informato dei progressi della spedizione e a ogni ostacolo che insorge Magellano non deve far altro che rivolgersi al suo re. Per Magellano Carlo fu quello che era stata sua nonna Isabella la Cattolica per Colombo. Magellano morì nel viaggio dove scoprì lo stretto che porterà il suo nome e al suo posto tornò Juan Sebastian del Cano l'8 settembre 1522 sulla Victoria.
Gli inglesi volevano una sua visita che avvenne il 27 maggio 1520 a Canterbury; la visita portò all'alleanza del 29 maggio e a un nuovo incontro l'11 giugno.
A soli vent'anni Carlo si trovò a dover affrontare un enorme problema: Martin Lutero. I due si incontrarono alla dieta di Worms dell'aprile 1521, il monaco era stato convocato qualche mese prima. Il 17 aprile Carlo V sedeva sul trono presenziando la dieta. Nell'ordine del giorno vi era il problema relativo al frate. Iniziò l'interrogatorio posto da Giovanni Eck, il giorno dopo per via del suo linguaggio "inappropriato", Lutero venne interrotto per due volte da Carlo V, e fu l'imperatore stesso a scrivere la dichiarazione resa il giorno dopo con la quale condannava Lutero ma al quale venne fornito un salvacondotto che gli concedeva il ritorno a Wittenberg. Dimostrando clemenza verso l'avversario che fosse soldato o teologo.
Contrariamente a quanto avveniva comunemente in quei tempi, Carlo contrasse un solo matrimonio, l'11 marzo 1526 con la cugina Isabella del Portogallo (1503 – 1539) dalla quale ebbe sei figli; Carlo e Isabella si amarono profondamente ed erano molto religiosi, ciò non impedì a Carlo di avere anche sette figli illegittimi. Carlo V aveva ereditato dalla nonna paterna anche il titolo di Duca di Borgogna che era stato appannaggio anche di suo padre Filippo. Come Duca di Borgogna era vassallo del Re di Francia, in quanto la Borgogna era territorio appartenente, ormai da tempo, alla corona francese. Inoltre i Duchi di Borgogna, suoi antenati, appartenevano a un ramo cadetto dei Valois, dinastia regnante in Francia proprio in quel momento. La Borgogna era un vasto territorio ubicato nel Nord-Est della Francia, al quale, in passato e per interessi comuni, si erano uniti altri territori come la Lorena, il Lussemburgo la Franca Contea e le province olandesi e fiamminghe, facendo di queste terre le più ricche e prospere d'Europa. Esse erano situate, infatti, al centro delle linee commerciali europee ed erano il punto di approdo dei traffici d'oltremare da e verso l'Europa. Tant'è che la città di Anversa era diventata il più grande centro commerciale e finanziario d'Europa. Suo nonno l'Imperatore Massimiliano, alla morte della moglie Bianca, nel 1482, tentò di appropriarsi del Ducato per condurlo sotto il governo diretto degli Asburgo, cercando di sottrarlo alla corona di Francia. A tal fine intraprese un conflitto con i francesi protrattosi per oltre un decennio, dal quale uscì sconfitto. Fu quindi costretto, nel 1493, a sottoscrivere con Carlo VIII d'Angiò Re di Francia la Pace di Senlis, con la quale rinunciava definitivamente a ogni pretesa sul Ducato di Borgogna, mantenendo però la sovranità sui Paesi Bassi, l'Artois, e la Franca Contea. Questa rinuncia non fu mai veramente accettata da Massimiliano e il desiderio di rivalsa verso la Francia, si trasferì parimenti al nipote Carlo V, il quale, nel corso della sua vita, non rinunciò mai all'idea di appropriarsi della Borgogna.
Carlo, come Re di Spagna, era affiancato da un Consiglio di Stato che esercitava una notevole influenza sulle decisioni regie. Il Consiglio di Stato era composto di otto membri: un italiano, un savoiardo, due spagnoli e quattro fiamminghi. Fin dalla sua costituzione, nel Consiglio si formarono due schieramenti: uno faceva capo al Viceré di Napoli Carlo di Lannoy e l'altro al piemontese Mercurino Arborio di Gattinara che era anche il Gran Cancelliere del Re. Mercurino Arborio di Gattinara, nella sua veste di Gran Cancelliere (carica che mantenne ininterrottamente dal 1519 al 1530) e uomo di fiducia di Carlo, ebbe molta influenza sulle decisioni di quest'ultimo, anche se all'interno del Consiglio di Stato continuavano a sussistere quelle due fazioni abbastanza discordanti, soprattutto circa la conduzione della politica estera. Infatti, lo schieramento capeggiato da Lannoy era filo francese e anti italiano; quello capeggiato dal Mercurino Arborio di Gattinara era anti francese e filo italiano.
Nel corso del suo governo Carlo V raccolse anche molti successi, ma certamente la presenza di altre realtà contemporanee e conflittuali con l'Impero, come il Regno di Francia e l'Impero ottomano, insieme con le ambizioni dei principi tedeschi, costituirono l'impedimento più forte alla politica dell'Imperatore che tendeva alla realizzazione di un governo universale sotto la guida degli Asburgo. Egli, infatti, intendeva legare agli Asburgo, permanentemente ed in forma ereditaria, il titolo imperiale, ancorché sotto forma elettiva, in conformità delle disposizioni contenute nella Bolla d'oro emanata nel 1356 dall'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo, Re di Boemia. Il Re di Francia, Francesco I di Valois-Angoulême attraverso la sua posizione fortemente autonomistica, unitamente alle sue mire di espansione verso le Fiandre e i Paesi Bassi, oltre che verso l'Italia, si oppose sempre ai tentativi dell'Imperatore di ricondurre la Francia sotto il controllo dell'Impero. Questa opposizione egli la esercitò mediante numerosi e sanguinosi conflitti. Da ricordare, al proposito, è la battaglia di Pavia (1525) dalla quale Francesco I uscì sonoramente sconfitto, imprigionato e umiliato; ancora una volta Carlo aveva saputo scegliere due grandi generali, Carlo di Borbone e il marchese di Pescara.

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Francesco I di Valois il maggior oppositore di Carlo V - Tiziano 1538

Gattinara suggerì di dare un ultimo colpo fatale alla Francia, ma Carlo non raccolse la sfida e fu clemente con Francesco. Questo è un punto fondamentale nel giudizio su Carlo; se avesse accarezzato sogni di dominio mondiale se fosse stato un Alessandro Magno, un Cesare, un Gengis Khan, dopo Pavia, avrebbe messo in ginocchio e smembrata la Francia o fatto valere diritti dinastici essendo anche lui un Valois; ma Carlo non voleva umiliare lo stato gallico voleva solo garantirsi da ulteriori aggressioni e avere la Borgogna. Nessuna delle due aspirazioni si realizzerà. Il 14 gennaio 1526 fu firmato il trattato di Madrid che Francesco non aveva nessuna intenzione di onorare.
Anche l'Impero ottomano di Solimano il Magnifico, che, con le sue mire espansionistiche verso l'Europa centrale, costituì sempre una spina nel fianco dell'Impero. Infatti, Carlo V fu costretto a sostenere diversi conflitti anche contro i Turchi; spesso su due fronti contemporaneamente: a oriente contro gli ottomani e a occidente contro i francesi. Su entrambi i fronti Carlo uscì vittorioso, vittorioso, sì, ma dissanguato economicamente, soprattutto perché agli enormi costi delle campagne militari si aggiungevano i faraonici costi per il mantenimento della sua corte nella quale egli aveva introdotto il lusso sfrenato delle usanze borgognoni.
Per tutto il corso della sua vita, Carlo V dovette affrontare anche i problemi sollevati prima in Germania e, subito dopo, anche in altre parti del suo Impero, dalla neonata dottrina religiosa diffusa da Martin Lutero, in opposizione alla Chiesa cattolica. Tali problemi si manifestarono non soltanto nelle dispute dottrinali, ma sfociarono anche in conflitti aperti. Carlo, che sul piano religioso si autoproclamava il più strenuo difensore della Chiesa cattolica, non fu in grado né di sconfiggere la nuova dottrina, né, tanto meno, di limitarne la diffusione. Tant'è che due Diete, quella di Augusta del 1530 e quella di Ratisbona del 1541, si conclusero con un nulla di fatto, rinviando ogni decisione sulle dispute dottrinali a un futuro Concilio ecumenico.
Carlo poté accrescere i possedimenti oltreatlantici della corona di Spagna attraverso le conquiste operate da due tra i più abili conquistadores dell'epoca: Hernán Cortés e Francisco Pizarro. Ma il più grande desiderio di Carlo, quando si vide che nuove terre si aprivano alla conoscenza e alla conquista, era la conversione di questo Nuovo Mondo al Cristianesimo. Non gli interessava d'essere l'Ulisse dantesco, mandava oltre oceano dei guerrieri, ma non volena un'Iliade, ma una Crociata , una Gerusalemme liberata. Il primo pensiero di Carlo era la fede, poi i vantaggi economici per la Spagna e per l'Impero. L'imperatore stimava l'audacia di Cortés che sconfisse gli Aztechi e conquistò la Florida, Cuba, il Messico, il Guatemala, l'Honduras e lo Yucatan. Il conquistatore sapeva che all'imperatore era piaciuto tempo prima il nome da dare a quelle terre: la «Nuova Spagna del Mare Oceano» e divenne governatore nel 1522. Carlo V lo fece prima diventare marchese della vallata d'Oaxaca e poi grazie al suo interessamento gli fece sposare la figlia del duca di Bejar. Pizarro, da parte sua, sconfisse l'Impero Inca e conquistò il Perù e il Cile, cioè tutta la costa del Pacifico dell'America meridionale. Carlo nominò Cortes Governatore dei territori assoggettati nell'America del Nord, i quali andarono così a costituire la Nuova Spagna. Mentre Pizarro fu nominato governatore del Vicereame del Perù.
Assieme ai galeoni carichi d'oro arrivavano in Europa, però, anche le notizie sulle atrocità commesse dai conquistadores e dall'inquisizione; Carlo seppe valutare a pieno il valore delle conquiste, ma come cristiano, come uomo e cavaliere non approvò i massacri e i saccheggi e tenne lontani dalla corte Cortez e Pizarro. Carlo V sanzionò gli statuti e i diritti degli indigeni delle colonie spagnole e nel 1542 promulgò "Le nuove leggi per gli indiani". Queste leggi comprendevano clausole che costringevano i coloni a preoccuparsi del benessere dei sudditi di colore, e uccidere un indiano era da considerarsi omicidio da punire come tale.
Oltre agli scontri con Francesco e Solimano, all'indomani della sua incoronazione imperiale Carlo V dovette fronteggiare, negli anni 1520-1522, anche le rivolte in Castiglia e in Aragona, dovute essenzialmente al fatto che la Spagna non solo era nelle mani di un sovrano di origini tedesche, ma anche che quest'ultimo era stato eletto Imperatore del S.R.I., e, come tale, tendeva ad occuparsi maggiormente dei problemi legati all'Europa austro-germanica che non a quelli della Spagna. In Castiglia vi fu la rivolta dei comuneros (o comunidades castigliane) che aveva come obiettivo il raggiungimento di un maggior peso politico nell'Impero da parte della Castiglia stessa. In Aragona vi fu la rivolta della Germanìa contro la nobiltà. La "germanìa" era una confraternita che riuniva tutte le corporazioni cittadine. Carlo riuscì a sedare queste rivolte senza danno alcuno per il suo trono. Due anni dopo la sua incoronazione d'Aquisgrana, Carlo raggiunse un accordo segreto con il fratello Ferdinando, circa i diritti ereditari spettanti a ciascuno dei due. In base a tale accordo fu stabilito che Ferdinando e i suoi discendenti avrebbero avuto i territori austriaci e la corona imperiale, mentre ai discendenti di Carlo sarebbero andati la Borgogna, le Fiandre, la Spagna e i territori d'oltremare. Poco più che ventenne Carlo già si preoccupava della transizione generazionale del suo immenso impero. La successione prevedeva la divisione dell' impero in due aree; evidentemente Carlo V si era reso conto della difficoltà di mantenere sotto un unico comando un impero tanto vasto.
Dal 1521 al 1529, Carlo V combatté ben due lunghe e sanguinose guerre contro la Francia per il possesso del Ducato di Milano, necessario per un passaggio dalla Spagna all'Austria senza passare per il territorio Francese, e della Repubblica di Genova. Decisiva per la conclusione della prima fu la battaglia di Pavia di cui si è gia parlato. In entrambi i conflitti, dunque, Carlo uscì vittorioso: il primo conclusosi con la Pace di Madrid e il secondo con la Pace di Cambrai. Nel corso della seconda guerra tra i due sovrani, nel 1527, si ricorda l'invasione della città di Roma ad opera dei Lanzichenecchi al comando del generale Georg von Frundsberg. Le soldataglie germaniche, sfuggite al controllo dei loro comandanti e senza soldo da mesi, devastarono e saccheggiarono completamente la città, distruggendo tutto ciò che era possibile distruggere e costringendo il Papa ad asserragliarsi in Castel Sant'Angelo. Questa vicenda è tristemente nota come il "sacco di Roma". Questi fatti suscitarono moti di sdegno talmente aspri in tutto il mondo civile, da indurre Carlo V a prendere le distanze dai suoi mercenari e a condannarne fermamente l'operato, giustificandosi col fatto che essi avevano agito senza il controllo del loro comandante che era dovuto rientrare in Germania per motivi di salute.
Giova ricordare come andarono i fatti; la nobiltà romana mal sopportava un Papa Medici, quindi chiese al giovane imperatore di inviare delle truppe mercenarie per indurlo a rinunciare. Alcune famiglie romane finanziarono la spedizione. All'arrivo a Roma i Lanzi sono allo stremo, male armati e devastati dalla peste, che poi trasmisero in tutta Europa. Dopo un assedio reso vano dalla mancanza di bocche da fuoco, per una situazione fortuita, riescono a penetrare nella sponda nord del Tevere. Il Papa che non si era arreso al loro arrivo, grazie al sacrificio della guardia nobile, riesce a rifugiarsi a Castel Sant'Angelo. I Lanzi si gettano su Trastevere saccheggiandolo. I Lanzi dilagano, quindi, nella città. Si dice che, prima di saccheggiare i palazzi, controllavano se la famiglia avesse pagato il loro ingaggio. Il saccheggio fu feroce e sacrilego, reso più crudele dalla loro appartenenza alla religione luterana, tanto che lo stesso imperatore ne rimase addolorato. Forse per questo motivo la sua incoronazione avvenne a Bologna, temendo la reazione dei romani. A parziale compensazione delle vicende romane, Carlo V si impegnò a ristabilire a Firenze la signoria della famiglia Medici, di cui lo stesso Papa era membro, ma quella che doveva essere una veloce operazione delle truppe imperiali divenne un lungo assedio che si concluse con una sofferta vittoria. Al termine del conflitto con la Francia Carlo acquisì un potentissimo alleato il generale Andrea Doria, che disgustato dal comportamento dei francesi li abbandona e li caccia dalla costa ligure; Carlo nomina questo immenso generale ammiraglio della flotta imperiale, mostrando ancora una volta grande abilità nella scelta dei suoi collaboratori.
In ottemperanza ai patti sottoscritti a Cambrai, il 22 febbraio 1530, a Bologna, Clemente VII incoronò Carlo V, come Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Re longobardi; sarà l'ultima incoronazione imperiale fatta da un papa. Due giorni dopo, nella Chiesa di San Petronio, Carlo V fu incoronato anche Imperatore del S.R.I, avendo ricevuto dieci anni prima in Aquisgrana la corona di Re dei Romani. Questa volta, però, la consacrazione imperiale gli venne direttamente imposta dalle mani del Pontefice.
Nello stesso anno della sua incoronazione bolognese si ha la morte del Gran Cancelliere Mercurino di Gattinara, il consigliere più influente e ascoltato. Dopo la scomparsa del Gattinara, Carlo V non si lasciò più influenzare da nessun altro consigliere e le decisioni che egli prenderà d'ora in avanti, saranno il frutto quasi esclusivo dei suoi convincimenti. Il processo di maturazione del sovrano era compiuto.
Giova notare che fino a trent'anni Carlo non prese mai una decisione senza consultare uno dei suoi consiglieri. Questo comportamento mostra il carattere riflessivo e responsabile di Carlo che nella "babele" del suo impero aveva bisogno di consigli e informazioni. Ma con la morte di Gattinara Carlo si rese conto che i consiglieri che lo avevano sempre ben aiutato erano anche portati a seguire le loro inclinazioni. In particolare Chiévres lo indirizzava verso una politica che privilegiasse i Paesi Bassi, mentre Gattinara lo portava verso l'Italia. Questo è un insegnamento molto importante per manager e imprenditori; circondarsi di abili consulenti conoscendone però le "debolezze". Dopo Gattinara, Cobos e Antoine de Granvelle furono anch'essi importanti consiglieri, ma nessuno esercitò più su Carlo un'influenza decisiva. Carlo, invece, si servirà in modo "scientifico" della famiglia per controllare l'impero; il fratello Ferdinando governava il Reich tedesco, la zia Margherita e poi la sorella Maria i Paesi Bassi, la moglie Isabella la Spagna. Inoltre la sorella Eleonora aveva sposato il re del Portogallo e la sorella Isabella il re di Danimarca. Carlo era un gran lavoratore, era un uomo d'azione e di meditazione e anche un fermo decisionista, ma nello stesso tempo coltivava una sorta di rassegnazione fatalistica; con queste doti e con il peso di una grande sofferenza interiore si appresta a governare, solitario, l'impero.

Dall'incoronazione di Bologna (1530) alla spedizione di Algeri (1541).
L'anno 1530 costituisce per Carlo V una svolta significativa, per la sua persona e per il suo ruolo di Re e Imperatore. Infatti, come persona, si affranca dalla tutela di qualsivoglia consigliere e inizia a prendere tutte le sue decisioni autonomamente, sulla scorta dell'esperienza maturata al fianco del Gattinara. Come Sovrano, attraverso l'imposizione della corona imperiale per mano del Pontefice, egli si sente investito del primario compito di doversi dedicare completamente alla soluzione dei problemi che il luteranesimo aveva creato in Europa e in Germania in particolare, col preciso scopo di salvare l'unità della Chiesa Cristiana d'Occidente.
A tal fine, nel medesimo anno 1530, convocò la Dieta di Augusta, nella quale si confrontarono i luterani e i cattolici attraverso vari documenti. Di particolare rilievo fu la "Confessio Augustana", redatta per trovare una sistemazione organica e coerente alle premesse teologiche e ai concetti dottrinali compositi che rappresentavano i fondamenti della fede luterana, senza che vi fosse accenno al ruolo del papato nei confronti delle chiese riformate. Carlo V confermò l'Editto di Worms del 1521, cioè la scomunica per i luterani, minacciando la ricostituzione della proprietà ecclesiastica. Per tutta risposta i luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di Smalcalda. Tale lega, dotata di un esercito federale e di una cassa comune, fu detta anche "Lega dei Protestanti", ed era guidata dal Duca Filippo I d'Assia e dal Duca Giovanni Federico, elettore di Sassonia.
Va ricordato che i seguaci della dottrina di Lutero assunsero la denominazione di "protestanti" in quanto essi, riuniti in "ordini riformati", nel corso della seconda Dieta di Spira del 1529, protestarono contro la decisione dell'Imperatore di ripristinare l'Editto di Worms (leggi scomunica e ricostituzione dei beni ecclesiastici), editto che era stato sospeso nella precedente prima Dieta di Spira del 1526. La Dieta decretò allora che fino alla convocazione del Concilio ogni stato tedesco, rispondendo verso Dio e verso l'imperatore, decidesse autonomamente sull'ottemperanza all'editto di Worms. Passò così l'importante teorema che i principi potevano liberamente imporre la loro fede e le loro convinzioni nei propri domini. I luterani approfittarono di questo principio per impadronirsi delle proprietà monastiche dei propri stati avviando la grande rapina e il grande saccheggio dei beni ecclesiastici che dovevano rendere ricchissimi tanti signori in Germania e Inghilterra.
In quello stesso anno Carlo risolse un problema che da lungo tempo gli causava imbarazzi. Nel 1522 i Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme persero, per mano degli ottomani, l'isola di Rodi, fino a quel momento loro dimora e da sette anni girovagavano per il Mar Mediterraneo in cerca di una nuova terra. La situazione non era facile perché i Cavalieri di San Giovanni non accettavano di essere sudditi di nessuno e ambivano a un luogo in cui essere sovrani in un Mediterraneo completamente occupato da altre potenze. Nell'1524 Carlo offrì ai Cavalieri l'isola di Malta che era sotto il suo diretto controllo. La proposta spiacque da principio agli Ospitalieri perché implicava una sottomissione formale all'Impero, però, dopo lunghe trattative, essi accettarono l'isola (a loro dire poco accogliente e non facile da difendere) ponendo la condizione di essere sovrani e non sudditi dell'imperatore e chiedendo che fosse loro assicurato l'approvvigionamento del necessario per vivere dalla Sicilia; i cavalieri presero possesso dell'isola nel 1530. La decisione di Carlo, più che riflettere un reale desiderio di venire in aiuto all'Ordine di San Giovanni, fu di carattere strategico: Malta, piccolissima isola nel centro del Mediterraneo, situata in una posizione di grande importanza strategica specialmente per le navi che vi transitavano e sostavano in gran numero, era oggetto degli attacchi e dei saccheggi dei pirati, perciò Carlo aveva bisogno di qualcuno che si occupasse a tempo pieno della sua difesa ed i Cavalieri erano perfetti per questo.
Il decennio che si aprì all'indomani dell'incoronazione di Carlo V a Bologna nella basilica di San Petronio il 24 febbraio del 1530 e che si concluse nel 1540, fu denso di avvenimenti, che crearono all'Imperatore non pochi problemi. Infatti si riaprì il conflitto con la Francia; vi fu una recrudescenza delle incursioni dell'Impero ottomano verso l'Europa e si dovette registrare una notevole espansione della dottrina luterana. Carlo V, come estremo baluardo dell'integrità dell'Europa e della fede cattolica, dovette destreggiarsi su tutti e tre i fronti, contemporaneamente e con notevoli difficoltà.
All'inizio degli anni trenta, sia Carlo V che Francesco I cominciarono ad attuare la cosiddetta "politica matrimoniale" attraverso cui intendevano acquistarsi quel controllo territoriale sugli Stati d'Europa che non avevano potuto acquisire attraverso il ricorso alle armi. Carlo V, infatti, progettò il matrimonio della propria figlia naturale Margherita con il Duca di Firenze, nonché quello della nipote Cristina di Danimarca con il Duca di Milano. Francesco I, dal canto suo, diede in sposa la cognata Renata di Francia al Duca di Ferrara Ercole II d'Este. Durante il suo soggiorno a Mantova fu ospite di Federico II Gonzaga al quale consegnò, il 25 marzo 1530, le insegne di primo duca. Nell'occasione l'imperatore gli propose le nozze con la zia Giulia d'Aragona (1492-1542), figlia di Federico I di Napoli. Ma il capolavoro, in questo campo, fu compiuto dal papa Clemente VII, il quale organizzò il matrimonio tra sua nipote Caterina de' Medici con il figlio secondogenito di Francesco I, Enrico, il quale, a causa della morte prematura dell'erede al trono Francesco, sarebbe diventato a sua volta Re di Francia con il nome di Enrico II. Questo matrimonio spinse Francesco I ad essere più intraprendente e aggressivo nei confronti di Carlo V, tant'è che concluse un'alleanza con il Sultano di Costantinopoli spingendo quest'ultimo ad aprire un secondo fronte di conflitto contro l'Imperatore, nel Mediterraneo, a opera dell'ammiraglio turco-ottomano Khayr al-Din, detto Barbarossa, suddito del Sultano ottomano.
Questa mossa provocò la decisione di Carlo V di intraprendere una campagna militare contro i musulmani in Nordafrica, che si concluse, nel 1535, con la conquista di Tunisi e la sconfitta del Barbarossa, ma non la sua cattura, avendo quest'ultimo trovato rifugio nella città di Algeri. Di ritorno dalla spedizione di Tunisi, Carlo V decise di fermarsi in Italia. Egli passò per le città più importanti della Sicilia e il 25 novembre 1535 entrò in Napoli. Ascoltò le critiche della nobiltà napoletana contro il governo del viceré, la difesa dell'Eletto del popolo Andrea Stinca, ma, decise per la riconferma. Giunse a Roma nell'aprile del 1536, anche per conoscere, e cercare di farselo alleato, il nuovo Pontefice Paolo III (Alessandro Farnese), succeduto a Clemente VII che era scomparso nel 1534. Il nuovo Pontefice si dichiarò neutrale nella ultradecennale contesa tra la Francia e l'Impero. Francesco I, forte di questa neutralità, riprese le ostilità, dando inizio al terzo conflitto con l'Imperatore, che si concluse soltanto due anni dopo, nel 1538, con l'armistizio di Bomy e la Pace di Nizza, che non portarono a nessun risultato, lasciando inalterate le posizioni della Pace di Madrid e della Pace di Cambrai, che avevano concluso i due precedenti conflitti. Contemporaneamente a questi avvenimenti, Carlo V dovette fronteggiare, come si è già detto, anche la diffusione della dottrina luterana che aveva trovato il suo punto di massima nella formazione della Lega di Smalcalda nel 1531, alla quale cominciavano ad aderire sempre più numerosi i prìncipi germanici. L'Imperatore si impegnò nuovamente contro i Turchi in un conflitto che si concluse con molta sfortuna in una sconfitta, maturata nella battaglia navale di Prevesa del 27 settembre 1537, dove lo schieramento turco, guidato dal Barbarossa ebbe la meglio sulla flotta degli imperiali, composta da navi genovesi e veneziane. Carlo V dovette affrontare questo confronto in condizioni meteorologiche avverse perchè non aveva suffuciente danaro per mantenere le truppe per i mesi necessari perchè arrivasse la primavera. Questa sconfitta indusse Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati della Germania, di cui aveva comunque bisogno, sia da un punto di vista finanziario che militare. Il suo atteggiamento più conciliante verso i rappresentanti luterani, tenuto nelle diete di Worms (1540) e Ratisbona (1541), gli valsero l'appoggio di tutti i Prìncipi, oltre che l'alleanza di Filippo I d'Assia. Ciò portò alla realizzazione di un'altra spedizione contro i musulmani, sia per riguadagnare credibilità e sia perché l'eterno rivale Francesco I si era alleato con il Sultano. Questa volta l'obiettivo fu Algeri, base logistica del Barbarossa e punto di partenza di tutte le scorrerie delle navi corsare contro i porti della Spagna. Carlo V raccolse una forza d'invasione estremamente ragguardevole, affidata ai comandi di valorosi ed esperti condottieri quali Andrea Doria, Ferrante I Gonzaga e Hernán Cortés. Nonostante ciò la spedizione dell'ottobre 1541 fu un completo fallimento, in quanto le avverse condizioni del mare distrussero ben 150 navi cariche di armi, soldati e approvvigionamenti. Con quel che restava Carlo V non fu in grado di concludere vittoriosamente l'impresa e dovette rientrare in Spagna, ai primi di dicembre dello stesso anno, dando l'addio definitivo alla sua politica di controllo del Mediterraneo.

Dalla spedizione di Algeri (1541) alla morte di Francesco I (1547)
A seguito di questa sconfitta, Francesco I, nel mese di luglio del 1542, diede l'avvio alla quarta guerra contro l'Imperatore che si concluse soltanto nel mese di settembre del 1544 con la firma della pace di Crépy, dalla quale il Re di Francia uscì nettamente sconfitto ancora una volta, anche se poté mantenere alcuni territori occupati durante il conflitto e appartenenti al Ducato di Savoia. Francesco dovette rinunciare alle sue pretese su Napoli, sull'Artois e sulla Fiandra e impegnarsi ad appoggiare l'apertura di un Concilio sulla questione luterana. Da parte sua Carlo rinunciava alle sue pretese sulla Borgogna.
Il Pontefice Paolo III convocò un Concilio ecumenico nella città di Trento, i cui lavori furono ufficialmente aperti il 15 dicembre 1545. Poiché i protestanti si rifiutarono di riconoscere il Concilio di Trento, l'Imperatore mosse loro guerra nel mese di giugno del 1546, forte di un esercito composto dai pontifici al comando di Ottavio Farnese, dagli austriaci di Ferdinando d'Austria, fratello dell'Imperatore, e dai soldati dei Paesi Bassi al comando del Conte di Buren. L'Imperatore era affiancato da Maurizio di Sassonia che era stato abilmente sottratto alla Lega Smalcaldica. Carlo V conseguì una schiacciante vittoria nella battaglia di Mühlberg nel 1547, a seguito della quale i principi tedeschi si ritirarono e si sottomisero all'Imperatore.
Invero, le cronache dell'epoca riferirono che l'Imperatore seguì la battaglia da lontano, steso su una lettiga, in quanto impossibilitato a muoversi a causa di uno dei suoi terribili attacchi di gotta. Un male che lo afflisse per tutta la vita, causato dalla sua smodata passione per i piaceri della tavola. Questa immane e smodata ingordigia sarà la causa di perdita di capacità decisionale e capacità operativa e lo porterà a dover abdicare. Gli epistolari di tutti coloro che ebbero modo di conoscerlo parlano di questa voracità dell'imperatore, voracità che rappresentava la caratteristica peculiare dell'uomo, caratteristica che superava l'ingegno, le capacità dialettiche, lo spirito cavalleresco.
Pensando all'ingordigia di Carlo V mi viene in mente il mito di Erisittone, uomo ricchissimo la cui unica gioia era accumulare e, che per arricchirsi ancora di più decide di tagliare il bosco sacro consacrato a Demetra; ebbene viene condannato a soffrire di una fame incessante, devastante che non potrà mai saziare. Così per nutrirsi si trova costretto a usare tutti i suoi averi e alla fine impazzito è costretto a divorare se stesso. Dal punto di vista psicologico si può far risalire l'ingordigia a una situazione di disagio emotivo-psicologico che non riesce a trovare altro sfogo se non nel ricorso al cibo. Generalmente si usa lo strumento-cibo per sentirsi meglio in una situazione di tristezza, noia o frustrazione, passando così da una visione di cibo come aspetto della vita da gustare, assaporare a una che vede gli alimenti come un qualcosa che viene a colmare il proprio vuoto interiore. Siamo dinanzi a una situazione di compensazione emotiva, in cui per evitare di sentirsi divorati dalle proprie emozioni si mangia il cibo. L'intemperanza nel cibo potrebbe essere dovuta alla mancanza dell'amore dei genitori, egli passò l'infanzia accudito da severi tutori, al carico delle responsabilità, a sedici anni era duca di Borgogna e Re di Castiglia e di Spagna. A sedici anni, consigliato dall'ottimo Guillaume de Chiévres dovette subito affrontare turbolenze in Spagna e nei Paesi Bassi e i risvolti della vittoria di Francesco I a Melegnano. Durante questo periodo difficile diede mostra di un atteggiamento volto a non prendere decisioni affrettate, ma dopo attenta riflessione e confronto con i consiglieri; infatti il primo atto importante, come già visto, fu il trattato di Noyon che congelò i rapporti tra Francia e Spagna.
Per i primi due anni il Concilio di Trento si dibatté su questioni di carattere procedurale, mancando l'accordo tra il Papa e l'Imperatore: infatti mentre l'Imperatore cercava di portare il dibattito su temi riformisti, il Papa cercava di portarlo, invece, più su temi di carattere teologico. Il 31 maggio del 1547 vede la morte del Re Francesco I e, poiché il Delfino Francesco era morto prematuramente nel 1536 all'età di 18 anni, salì sul trono di Francia il secondogenito di Francesco I, col nome di Enrico II. Non solo, ma, nello stesso anno, Paolo III trasferì la sede del Concilio da Trento a Bologna, col preciso scopo di sottrarlo all'influenza dell'Imperatore, anche se la motivazione ufficiale dello spostamento fu la peste.
Se il Concilio fosse stato radunato trenta o quarant'anni prima, quel Concilio avrebbe salvato l'unità religiosa e politica dell'Occidente cristiano. Ma la Santa Sede temeva di vedere resuscitare le teoria sulla supremazia del Concilio sul pontefice, già sviluppate nei Concili di Costanza e di Basilea. E così il temporeggiare dei papi, in particolare dei Medici, e della Chiesa, di fronte alle urgenze dell'imperatore, fece sì che si arrivasse all'adunata ecumenica quando già in Europa avevano attecchito la riforma, la rivolta e la disperazione. Nel 1545 la Germania luterana era oramai troppo forte perchè il Concilio la spazzasse via.

Dalla morte di Francesco I (1547) all'assedio di Metz (1552)
Carlo V era ormai giunto al culmine della sua potenza. Il suo grande antagonista, Francesco I, era scomparso. La Lega di Smalcalda era stata vinta. Il Ducato di Milano, nelle mani di Ferdinando Gonzaga, era agli ordini dell'Imperatore, così come Genova, la Savoia e i Ducati di Ferrara, Toscana e Mantova, oltre alle Repubbliche di Siena e Lucca. L'Italia meridionale era già da tempo un vicereame spagnolo. Papa Paolo III, per opporsi a tale strapotere, null'altro poteva fare se non stringere un accordo con il nuovo Re di Francia.
Il culmine della sua potenza, però, coincise anche con l'inizio del suo declino. Infatti, nel biennio 1546-1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-spagnole in Italia. A Lucca, nel 1546, Francesco Burlamacchi tentò di instaurare in tutta la Toscana uno Stato repubblicano. A Genova, Gianluigi Fieschi organizzò, senza successo, una rivolta a favore della Francia. A Parma, infine nel 1547, Ferdinando Gonzaga conquistò Parma e Piacenza a spese del Duca Pier Luigi Farnese (figlio del Pontefice), ma la conquista fallì per mano del Duca Ottavio Farnese che riconquistò il Ducato, il quale fu successivamente riconquistato ancora una volta dal Gonzaga. Papa Paolo III morì il 10 novembre del 1549. Gli successe il Cardinal Giovanni Maria Ciocchi del Monte che assunse il nome di Giulio III. Qualche anno dopo il Papa strinse un accordo con Enrico II, adducendo, a sostegno della sua scelta, il fatto che il luteranesimo si stava espandendo anche in Francia e che le casse dello Stato Pontificio erano ormai esaurite. Carlo V, trovandosi in difficoltà per ragioni di carattere interno nei suoi territori in Germania, ratificò l'accordo e ritenne che il conflitto con la Francia fosse esaurito. Invece Enrico II cominciò una nuova avventura: la conquista di Napoli; a tanto sollecitato da Ferdinando Sanseverino, Principe di Salerno, il quale riuscì a convincere il Re di Francia a un intervento militare nel meridione d'Italia con lo scopo di liberarla dall'oppressione spagnola. Re Enrico, ben sapendo che da solo non sarebbe mai riuscito a strappare l'Italia meridionale a Carlo V, si alleò con i Turchi, e progettò l'invasione attraverso un'operazione congiunta della flotta turca e di quella francese; il cristianissimo Enrico proseguì la politica del cristianissimo Francesco di alleanze con i turchi. Nell'estate del 1552, la flotta turca, al comando di Sinan Pascià, sorprese la flotta imperiale, al comando di Andrea Doria e don Giovanni de Mendoza, al largo di Ponza. La flotta imperiale fu sconfitta. Ma poiché la flotta francese non riuscì a ricongiungersi con quella turca, l'obiettivo dell'invasione del napoletano fallì.
In Germania, intanto, l'Imperatore, dopo la vittoria di Mühlberg, aveva adottato una politica molto autoritaria, la quale ebbe come conseguenza la formazione di un'alleanza tra i Principi riformati della Germania del Nord, il Duca d'Assia e il Duca Maurizio di Sassonia, in funzione anti-imperiale. Questa Lega, nel mese di gennaio del 1552, a Chambord, sottoscrisse un accordo con il Re di Francia. Questo accordo prevedeva il finanziamento delle truppe della Lega da parte della Francia, in cambio della riconquista delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun. Il permesso accordato al Re di Francia da parte della lega dei Principi protestanti, per l'occupazione delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun, fu un vero e proprio tradimento verso l'Imperatore.
Carlo V dovette combattere tutta la vita con i tradimenti dei papi, dei principi tedeschi, dei francesi, delle signorie italiane.
La guerra con la Francia scoppiò, quindi, inevitabilmente nel 1552, con l'invasione dell'Italia del Nord da parte delle truppe francesi. Ma il vero obiettivo di Re Enrico era l'occupazione delle Fiandre, sogno mai appagato anche da Francesco I. Infatti Enrico si mise personalmente alla testa delle sue truppe e diede inizio alle operazioni militari nelle Fiandre e in Lorena. L'iniziativa di Enrico II colse di sorpresa l'Imperatore, il quale, non potendo raggiungere i Paesi Bassi a causa dell'interposizione dell'esercito francese, dovette ripiegare sul Nord Tirolo, con una fuga precipitosa verso Innsbruck. Rientrato in Austria Carlo V iniziò il rafforzamento del suo contingente militare facendo affluire rinforzi e danaro sia dalla Spagna che da Napoli; la qual cosa indusse Maurizio di Sassonia, condottiero delle truppe francesi, ad aprire trattative con l'Imperatore, nel timore di una sconfitta. Nei colloqui, svoltisi a Passavia, tra i principi protestanti capeggiati da Maurizio di Sassonia e l'Imperatore, si giunse a un accordo che prevedeva maggiori libertà religiose per i riformati in cambio dello scioglimento dell'alleanza con Enrico II. La qual cosa avvenne nell'agosto del 1552. Con il Trattato di Passavia l'Imperatore riuscì ad annullare gli accordi di Chambord tra i principi protestanti e il Re di Francia, ma vide vanificate tutte le conquiste ottenute con la vittoria di Mühlberg. Una volta ottenuto l'isolamento della Francia, Carlo V, nell'autunno dello stesso anno, iniziò una campagna militare contro i francesi per la riconquista della Lorena, mettendo sotto assedio la città di Metz, difesa da un contingente comandato da Francesco I di Guisa. L'assedio, durato praticamente fino alla fine dell'anno, si concluse con un fallimento e il successivo ritiro delle truppe imperiali.
Questo episodio è storicamente considerato l'inizio del declino di Carlo V. Fu a seguito di questa circostanza, infatti, che l'Imperatore cominciò a pensare alla propria successione.

Dall'assedio di Metz (1552) all'abdicazione (1556)
All'indomani del fallimento dell'assedio di Metz e della mancata riconquista della Lorena, Carlo V entrò in una fase di riflessione: su se stesso, sulla sua vita e sulle sue vicende oltre che sullo stato dell'Europa. La vita terrena di Carlo V si stava avviando alla conclusione. Carlo era combattuto da dubbi lancinanti sul proprio ruolo; non pensava, forse che, con la conquista del nuovo mondo, con la moderazione che aveva usato verso la religione, con gli atti di clemenza, con gli sforzi di risolvere i conflitti senza guerre, ma con la diplomazia, egli era la figura più significativa della nuova era.
I grandi protagonisti che assieme a lui avevano calcato la scena europea nella prima metà del XVI secolo erano tutti scomparsi: Enrico VIII d'Inghilterra e Francesco I di Francia nel 1547, Martin Lutero nel 1546, Erasmo da Rotterdam dieci anni prima e Papa Paolo III nel 1549.

carlo v

Carlo V - Tiziano 1548

Il bilancio della sua vita e di ciò che aveva compiuto non poteva dirsi del tutto positivo, soprattutto in rapporto agli obiettivi che si era prefissato. Il suo sogno di Impero universale sotto la guida asburgica e la benedizione della chiesa cattolica era fallito; così come era fallito il suo obiettivo di riconquistare la Borgogna. Egli stesso, pur professandosi il primo e più fervente difensore della Chiesa di Roma, non era stato in grado di impedire l'affermarsi della dottrina luterana. I suoi possedimenti oltre-atlantico si erano accresciuti enormemente ma senza che i suoi governatori fossero stati in grado di dar loro delle valide strutture amministrative. Aveva però consolidato il dominio spagnolo sull'Italia, che sarà ufficializzato soltanto dopo la sua morte con la pace di Cateau-Cambresis nel 1559, e che sarebbe durato per centocinquanta anni. Così come era riuscito, con l'aiuto del Granduca Ferdinando suo fratello a fermare l'avanzata dell'Impero ottomano verso Vienna e il cuore dell'Europa. Carlo V cominciava a prendere coscienza che l'Europa si avviava ad essere retta da nuovi prìncipi i quali, in nome del mantenimento dei propri stati, non intendevano minimamente alterare l'equilibrio politico-religioso all'interno di ciascuno di essi. La sua concezione dell'impero stava tramontando e cominciava ad affermarsi il potere della Spagna.
Nel 1554 si celebrarono le nozze tra Maria Tudor (Maria la sanguinaria), Regina d'Inghilterra e figlia di Enrico VIII, con Filippo; nozze fortemente volute da Carlo V che vedeva nell'unione tra la Regina d'Inghilterra e il proprio figlio, futuro Re di Spagna, un'alleanza fondamentale in funzione antifrancese e a difesa anche dei territori delle Fiandre e dei Paesi Bassi. Carlo V si pentì enormemente d'aver voluto il matrimonio di Filippio con Maria Tudor perchè questa rivelò un carattere dispotico e sanguinario che rese vani gli sforzi di Carlo V di riportare l'Inghilterra sotto lo scettro da San Pietro e Filippo non fu in grado di consigliare e guidare la moglie. Per accrescere il prestigio del figlio, l'Imperatore assegnò a Filippo, definitivamente, il Ducato di Milano e il Regno di Napoli, che andavano ad aggiungersi alla reggenza del Regno di Spagna di cui Filippo era già in possesso da alcuni anni. Questa crescita di potere nelle mani di Filippo non fece altro che aumentare l'ingerenza di quest'ultimo nella conduzione degli affari di stato che causò un incremento della conflittualità con il proprio genitore.
Questa conflittualità ebbe come conseguenza una cattiva gestione delle operazioni militari contro la Francia che erano riprese proprio nel 1554. Il teatro del conflitto era costituito dai territori fiamminghi. L'esercito francese e quello imperiale si confrontarono in aspre battaglie fino all'autunno inoltrato, quando iniziarono le trattative per una tregua di cui tutti avevano bisogno, soprattutto a causa del dissanguamento finanziario di entrambe le parti. La tregua fu conclusa, dopo estenuanti trattative, a Vauchelles nel mese di febbraio 1556 e, ancora una volta, così come spesso era accaduto in passato, le ostilità si conclusero con un nulla di fatto, nel senso che restavano congelate le posizioni acquisite. Ciò significava che la Francia manteneva l'occupazione del Piemonte e delle città di Metz, Toul e Verdun.
Carlo V, a questo punto degli avvenimenti, fu costretto a dover prendere decisioni importanti per il futuro della sua persona, della sua famiglia e degli Stati d'Europa sui quali si stendeva il suo dominio. Era giunto a 56 anni di età e la sua salute era alquanto malferma. L'anno precedente, il 25 di settembre, aveva sottoscritto con i Principi protestanti, tramite il fratello Ferdinando, la Pace di Augusta, a seguito della quale si pervenne alla pacificazione religiosa in Germania, con l'entrata in vigore del principio cuius regio, eius religio, con cui si sanciva che i sudditi di una regione dovevano professare la religione scelta dal loro reggente. Era il riconoscimento ufficiale della nuova dottrina luterana.
Questi avvenimenti indussero il nuovo Papa, Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, napoletano, eletto appena l'anno precedente, a stringere una solida alleanza con il Re di Francia in funzione anti-imperiale. Paolo IV sosteneva che l'Imperatore non fosse più il baluardo della Chiesa di Roma contro gli attacchi provenienti dalla nuova dottrina luterana, soprattutto dopo il Trattato di Passavia e la Pace di Augusta. Ecco perché ritenne opportuno stringere alleanza con la Francia. Il papa, inoltre, nutriva un odio personale verso Carlo V, che lo aveva fatto attendere a lungo prima di concedergli l'arcivescovado di Napoli, d'altronde la politica della famiglia Carafa era fortemente anti-imperiale.
Il Principe Filippo ormai governava sia sulla Spagna che sulle Fiandre oltre che nel Regno di Napoli e nel Ducato di Milano. Il matrimonio di Filippo con la Regina d'Inghilterra assicurava una salda alleanza antifrancese. Il fratello Ferdinando aveva acquistato potere in tutti i possedimenti asburgici e lo esercitava con competenza e saggezza oltre che con notevole autonomia dall'Imperatore. I legami con il Papa si erano ormai allentati, sia a causa della Pace di Augusta e sia per la svolta subita dalla Chiesa cattolica con l'avvento del Carafa al soglio pontificio. Tutte queste considerazioni, aggiunte alla salute malandata che lo costringeva a terribili sofferenze, indussero Carlo V a decidere per la propria abdicazione, che ebbe luogo con una serie di passaggi successivi. Carlo prende la decisione di abdicare nel 1555 e, probabilmente, l'evento che più di ogni altro lo induce alla grave decisione è la morte della madre Giovanna, avvenuta il 13 aprile 1555, sempre nella fortezza di Tordesillas. Giova ricordare che lo stesso dramma perseguiterà Filippo II che farà morire nella prigione di Madrid il proprio figlio, don Carlos, accusato di cospirazione contro il padre.
Come Duca di Borgogna aveva già abdicato in favore del figlio Filippo II, nella città di Bruxelles il 25 ottobre 1555. Il 16 gennaio del 1556 Carlo V cedette le corone di Spagna, Castiglia, Sicilia e delle Nuove Indie ancora al figlio Filippo, al quale cedette anche la Franca Contea nel giugno dello stesso anno e la corona aragonese nel mese di luglio. Il 12 settembre dello stesso anno cedette la corona imperiale al fratello Ferdinando. Subito dopo, accompagnato dalle sorelle Eleonora e Maria, partì per la Spagna diretto al monastero di San Jeronimo di Yuste nell'Estremadura. Carlo non risedette mai all'interno del monastero, bensì in una modesta palazzina che si era fatto costruire anni addietro, in adiacenza al muro di cinta, ma all'esterno. Nonostante il luogo piuttosto lontano dai centri di potere, egli continuò a mantenere rapporti con il mondo politico, senza per questo venir meno alla sua volontà di soddisfare l'aspetto ascetico della propria indole. Continuò ad essere prodigo di consigli sia alla figlia Giovanna, reggente della Spagna, e sia al figlio Filippo che governava i Paesi Bassi. Soprattutto in occasione del conflitto scoppiato con Enrico II di Francia, sobillato dall'irascibile e spergiuro Paolo IV; Carlo, dal suo eremo di Yuste e con l'aiuto della Spagna, riuscì a riorganizzare l'esercito di Filippo il quale ottenne una schiacciante vittoria sui francesi nella battaglia di San Quintino il 10 agosto 1557. Il comandante in capo dell'esercito di Filippo II era il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, detto "Testa di Ferro". Possedimenti come Milano, Napoli e la Sicilia rimangono saldamente in mano degli Asburgo e lo saranno a lungo. Flippo II non seguirà le orme del padre, condizionato dai papi, dai vescovi, dall'inquisizione intrapprese una guerra "personale" contro Elisabetta d'Inghilterra portando il suo regno al disastro della sua invincibile armada; alla sua morte la Spagna sarà in bancarotta e dovrà definitivamente cedere la supremazia dei mari all'Inghilterra elisabettiana.
Il 28 febbraio del 1558, i Principi tedeschi, riuniti nella Dieta di Francoforte, presero atto delle dimissioni dal titolo di Imperatore che Carlo V aveva presentato due anni prima e riconobbero in Ferdinando il nuovo Imperatore. Carlo usciva definitivamente dalla scena politica. Il 18 febbraio 1558 morì la sorella Eleonora. Carlo, presago che la sua vita terrena volgeva ormai al termine, accentuò ancor più il suo carattere ascetico, assorto nella penitenza e nella mortificazione. Ciò nonostante non disdegnava i piaceri della buona tavola, cui si lasciava ancora andare, nonostante fosse tormentato da gotta, diabete e asma, e sordo ai consigli dei medici che lo spingevano ad una dieta meno pesante. Nel corso dell'estate la sua salute diede segni di peggioramento che si manifestò con febbri sempre più frequenti che lo costringevano spesso a letto, dal quale poteva assistere ai riti religiosi attraverso una finestra che aveva fatto aprire in una parete della sua camera da letto e che prospettava direttamente nella chiesa. Il 19 di settembre chiese l'estrema unzione, dopo di che si sentì rianimato e la sua salute manifestò qualche segno di ripresa. Il giorno successivo, stranamente, quasi avesse avuto un presentimento, chiese ed ottenne l'estrema unzione per la seconda volta. Morì il 21 settembre 1558 dopo tre settimane di agonia. Erano le due del mattino. Il suo corpo fu immediatamente imbalsamato e sepolto sotto l'altare della piccola Chiesa di Yuste. Sedici anni dopo la sua salma fu traslata dal figlio Filippo nel monastero di San Lorenzo, all'interno del grande palazzo dell'Escorial che lo stesso Filippo aveva fatto costruire sulle colline a Nord di Madrid, e destinato a luogo di sepoltura di tutti i sovrani Asburgo di Spagna.
Tra il 1555 e il 1558 si compie il capitolo più tragico dell'avventura di questo grande sovrano, con l'abdicazione e il soggiorno in un chiostro dell'Estremadura, la terra dei conquistadores e degli hidalgos, poveri di moneta ma ricchi di orgoglio e di spirito d'avventura. Dopo la fuga di Innsbruck e la sconfitta di Metz, Carlo dirà spesso ai suoi ministri "La fortuna non ama che i giovani". Così, il più potente monarca della storia esce dalla scena del mondo e lo fa in modo inconsueto. Si isola lontano dal trono e dal potere, nell'inazione, nella monotonia della solitidine, in mezzo a pratiche minuziose, umili e persino maniacali di pietà. Si delinea così ai nostri occhi l'enigma di un uomo che aveva occupato per quarant'anni la scena del mondo e che, improvvisamente, se ne ritrae, con il più straordinario degli atti rinuncia alla più vasta delle dominazioni. Basta questa sua ultima decisione per rendercelo simpatico.

LOGO Eugenio Caruso - 5 settembre 2013


Tratto da

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www.impresaoggi.com