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Adriano, l'imperatore pacifista e grande amministratore


Platone afferma non esserci alcun re che non sia discendente da schiavi e nessuno schiavo che non sia discendente da re.
Seneca Lettere morali a Lucilio

din. antonini

Dinastia degli antonini

In questo sito, abbiamo illustrato vita, caratteristiche e comportamenti di grandi personaggi della storia, come Cesare, Alessandro Magno, Marco Aurelio, Sun Tzu, Carlo V d'Asburgo, Nabucodonosor, Elisabetta I, Carlo Magno, Hammurabi, Pietro I di Russia, Caterina la Grande, Gengis Khan, Sargon il Grande, Attila, quali figure emblematiche da tenere come modelli perchè ritengo che coloro che hanno lasciato una traccia significativa nel corso della storia abbiano qualcosa da insegnare, a tutti non solo agli imprenditori, sotto gli aspetti dei loro lati, sia positivi, che negativi.
In questo scenario di grandi personaggi non può mancare l'imperatore Adriano, che affascinò a tal punto Merguerite Yourcenar da farle scrivere il suo capolavoro Memorie di Adriano. Adriano ruppe con l'atteggiamento militarista e votato alla conquista dei suoi predecessori; egli si era reso conto che l'impero romano stava implodendo a causa delle continue pressioni ai confini: Britannia, Reno-Danubio, Eufrate, Giudea, Egitto, Mauritania erano una preoccupazione costante per l'impero. Il tempo dell'espansionismo era esaurito perchè Roma non disponeva più dei mezzi necessari e le sue forze si esaurivano nel solo mantenimento dell'ordine; ma questa situazione i romani rifiutavano di vederla. D'altra parte, anche oggi, alcuni storici attribuiscono ad Adriano la responsabilità della decadenza dell'impero. Adriano aveva sempre presenti tre tragici momenti della storia espansionistica romana, quando Marco Licinio Crasso condusse alla morte più di ventimila legionari, inseguendo nel deserto siriaco l'esercito dei parti, oppure quando, sotto il principato di Augusto, un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni, sotto il comando di Publio Quintilio Varo, venne massacrato nella selva di Teutoburgo, oppure quando le legioni Fulminata e Schytica al comando del legato Lucio Cesennio Peto, furono sterminate a Rhandeia da un esercito parto-armeno. Lo stesso Traiano aveva dovuto abbandonare la folle idea di abbattere l'impero dei parti. Adriano impose al senato la necessità di assicurare all'impero un lungo periodo di pace per riorganizzare lo stato, rafforzare i confini, romanizzare le popolazioni sottomesse, omogeneizzare l'impero con i due fari della lex romana e della cultura greca, addestrare le legioni a compiti difensivi; durante il principato di Adriano le porte del tempio di Giano rimasero chiuse. Adriano fu un rivoluzionario e, pertanto, non ebbe buona stampa preso gli storici contemporanei. Questi facevano riferimento al senato che per cultura e per interessi economici non approvava la politica pacifista di Adriano. Svetonio, Plinio il Giovane, Tacito riportano un'immagine negativa di Adriano, mentre l'epigrafia o l'architettura ci mostrano un personaggio fuori dal comune (basti pensare alla magnificenza stilistica e misterica del Pantheon) e, in primo luogo, uno straordinario amministratore. Il greco Cassio Dione con la sua Historia Augusta è l'unico che ce lo presenta in modo ampiamente favorevole, ma, sulla Historia Augusta sono state fatte molte ipotesi di una vera e propria falsificazione; secondo molti storici, però, il testo non è da rigettare completamente, nonostante i numerosi svarioni storici che esso contiene. Inoltre l'epigrafia, in particolare quella africana, ci presenta un Adriano amante delle armi, degli affari militari e della disciplina marziale, pertanto il suo pacifismo era puramente strategico e mirava al rafforzamento dell'impero. D'altra parte, da giovane, egli aveva passato gli anni nelle legioni, era stato tribuno nella II legione Adiutrix in Dacia, nella V Macedonica in Mesia, nella XXII Primigenia in Germania, era stato membro dell'entourage di Traiano durante le guerre dacica e partica, aveva comandato la I legione Minervina in Dacia ed era stato legato in Pannonia con incarichi militari; alla morte di Traiano era legato in Siria per organizzare la guerra partica di Traiano. In parole povere aveva passato i primi anni della sua vita sui diversi fronti di guerra.
Giova osservare che è proprio sotto il regno di Adriano che lo stato prende una piega molto chiara con il riconoscimento, da parte dei giuristi, della forza della legge nelle decisioni del principe. Con Adriano la legislazione repubblicana viene definitivamente sepolta; il regime del principato, infatti, non si impose di colpo sotto il dominio di Augusto, ma diede luogo a un duro scontro politico, durato per tutto il I secolo, con il senato arroccato nei suoi poteri tradizionali. Nonostante le forti accelerazioni impresse da Caligola, Nerone e Domiziano, il principato venne, definitivamente, consacrato nel II secolo, proprio da Adriano. Le costituzioni imperiali conosciute con la formula augustea quod pricipi placuit acquistano pieno senso in epoca adrianea. Esse segnano la definitiva instaurazione a Roma. di una monarchia nella quale il potere del pronceps veniva concesso da una legge e non da una discendenza leggittima dai predecessori.
Con il Principato di Augusto i giuristi avevano ottenuto lo ius respondendi ex auctoritate principis. Si trattava di un segno di prestigio, ma anche di inesorabile fine dell'attività dei prudentes (i giuristi dell'epoca repubblicana). Se prima la loro interpretazione era stata la fonte primaria del diritto romano, ora la fonte principale diventa l'imperatore. Anche in questo caso, a dimostrarlo, è il cambio, graduale, della struttura processuale in uso: si passa dal processo per formulas (carico di formule ed espressioni desuete nonché di impiccio alle controversie per un impero) alla Cognitio extra ordinem, gestita non più da magistrati (in iure) o giudici nominati dal magistrato (in iudicio o apud iudicem), ma da funzionari, gerarchicamente sottoposti all'imperatore e il cui verdetto risulta ora appellabile, rivolgendosi direttamente all'imperatore. Con Adriano i Prudentes vengono formalmente integrati nel Consilium Principis, istituto di creazione augustea. Si può affermare che aver voluto includere i Prudentes nell'ambito del Consilium sia stata una strategia politica di Adriano diretta ad assorbire lentamente, ma in modo diretto, la giurisprudenza degli stessi Prudentes in favore dell'autoritas del Principe. Ciò detto si può affermare che con Adriano l'imperatore è diventato la fonte del diritto, come si deduce anche dall'importanza che acquistano le risposte date ai privati cittadini e trasmesse da magistrati che sottopongono all'imperatore le domande per iscritto (i cosiddetti rescritti), risposte che l'imperatore autentica con il timbro rescripsi, recognovi.

adriano

Busto di Adriano

Nascita e giovinezza
Publio Elio Traiano Adriano è stato un imperatore della dinastia antonina (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino, Marco Aurelio, Commodo) che regnò dal 117 alla morte, nel 138. Sulla nascita di Adriano le fonti non concordano: Dione Cassio afferma che Adriano nacque a Italica (il 24 gennaio 76), a 7 km da Siviglia, in Hispania Baetica; la sua famiglia era originaria della città picena di Hadria, l'attuale Atri, ma si insediò a Italica subito dopo la sua fondazione a opera di Scipione l'africano. Il padre, Publio Elio Adriano Afro, era nipote di Traiano, ma in Senato la sua voce non aveva mai contato. La madre, Domizia Paolina, era originaria di Cadice.
Traiano, non avendo avuto figli, divenne di fatto il tutore del giovane dopo la morte dei suoi genitori; d'altra parte tra i due c'era un legame di parentela. Ulpia, infatti, nonna di Adriano, era sorella del padre di Traiano. La moglie di Traiano, Plotina, lo aiutò notevolmente nel cursus honorum, trattandolo come un fratello. Inoltre sembra sia stata lei a spingerlo a sposare Vibia Sabina, figlia di Matidia Maggiore, nipote di Traiano. Il matrimonio avvicinò ulteriormente il futuro imperatore alle stanze del potere, grazie anche agli ottimi rapporti intrattenuti con la suocera Matidia. Per il resto il matrimonio fu un fallimento; il dissapore tra Adriano e Sabina era palese nell'impero, ciò non toglie che in moltissime monete dell'epoca i due coniugi appaiono come modelli di coppia perfetta. Giova notare che con Plotina, Sabina e Faustina Minore (moglie di Marco Aurelio) si rompe la tradizione del pater familias padrone assoluto del potere familiare e la donna entra prepotentemente nell'ambito decisionale, ambito nel quale fino ad allora era stata ritenuta incapace di avere un ruolo. La lezione dello stoicismo non aveva influenzato solo il comportamento degli uomini, ma anche quello delle donne. Dopo che l'imperatore Nerva ebbe nominato Traiano suo successore, presentandolo in senato nel 97, la carriera di Adriano fu notevolmente agevolata. Le cariche accumulate nel cursus honorum del futuro imperatore furono numerosissime. Per tre volte ricoprì la carica di tribuno militare presso una legione, fu anche questore, tribuno della plebe e pretore. Un cammeo del 112 mostra in primo piano l'imperatore Traiano, in secondo piano la moglie Plotina, la sorella Marciana e la figlia di questa Matidia Maggiore. Non c'è traccia nè di Adriano nè di Vibia Sabina; questo particolare ci induce a credere che Tiberio nel 112 non avesse ancora scelto il suo successore.
Al contrario del suo predecessore, Adriano non fu mai adottato ufficialmente, tramite la presentazione in senato. Su questo punto l' Historia Augusta riporta diverse teorie, una delle quali vorrebbe il suo avvento al potere come conseguente a una presunta nomina effettuata da Traiano morente. L'Historia sostiene come probabilmente si sia trattato di una messinscena organizzata da Plotina, che avrebbe orchestrato abilmente l'operazione, d'accordo con il prefetto del pretorio Attiano. La questione, in realtà, appare assai più complessa. Pare difficile che Adriano possa essere giunto al principato grazie agli intighi di Plotina e di Attiano. Alcuni coni monetali attesterebbero, in realtà, il titolo di Caesar per Adriano in un periodo compreso tra il 114 e il 117. Sulla scia di tali elementi, quindi, l'adozione di Adriano apparirebbe meno offuscata da dubbi. Tuttavia la ratifica da parte dell'esercito, che acclamò il nuovo imperatore, chiuse la questione. Traiano aveva sempre badato a tenersi buoni i senatori; se a ciò si aggiunge che l'imperatore, per la gioia dell'aristocrazia, era un convinto guerrafiondaio e che, con lui, Roma aveva ritrovato il suo istinto di conquista, si possono ben comprendere i buoni rapporti tra imperatore e senato. Inoltre, Traiano aveva saputo tessere ottimin rapporti con uomini potenti come Plinio il Giovane e Tacito il cui appoggio non era cosa di poco conto. Il mondo era quasi perfetto se non fosse stato per l'improvvisa morte di Traiano che lasciava in sospeso gravi problemi come la guerra con i parti, le difficoltà di difendere il confine reno-danubiano, le rivolte della Giudea, il problema di sfamare un milione di cittadini romani; si tattava di rifornire Roma di qualcosa che oscillava tra le 300.000 e le 400.000 tonnellate di grano all'anno. Già nel 117 Adriano mostrò quali fossero le sue intenzioni: e prime azioni diplomatiche furono la liberazione dell'Armenia e la creazione di uno stato indipendente e vassallo e la pace con Osroe, imperatore dei parti; Adriano sapeva che i parti temevano i romani e i romani temevano i parti e che da questa reciproca paura poteva scaturire la pace. Entrambi i popoli erano, inoltre, intenzionati a riaprire i traffici con l'oriente. Adriano sapeva di poter soggiogare intellettualmente Osroe e di poter corrompere i vari satrapi che, come i senatori di Roma, avevano convenienza a mantenere lo stato di belligeranza. Da quelle trattative, con la restituzione ai parti della Mesopotamia, ne risultò una pace che durò fino all'imperatore Lucio Vero (165 dC). L'anno successivo, in Bitinia, Adriano conosce Antinoo, che amò fino alla morte del giovane.
Il Principato (117-138).
Il senato, ricevuto un messaggio dal neo eletto, nel quale quest'ultimo riferiva di non essersi potuto sottrarre alla volontà dell'esercito, si allineò a sua volta. Sia i militari che i senatori trassero notevoli benefici dalla loro acquiescenza: i primi ricevettero il tradizionale donativo in misura più cospicua che in passato e anche i membri del senato ebbero dei vantaggi. La fulmineità dell'ascesa al potere, accompagnata dall'eliminazione fisica dei principali potenziali dissidenti o concorrenti, portò a un insediamento rapido, seguito da un continuo rafforzamento che durò per tutto il ventennio in cui Adriano rimase al potere. Fu uno degli imperatori morti naturalmente e non eliminati violentemente in una congiura. Anche la designazione del successore e il suo insediamento, dopo la morte di Adriano, non furono ostacolati. Adriano non fu un assassino come Caligola o Nerone o Claudio, solo che il suo regno cominciò male a causa dell'esecuzione di quattro senatori (Palma, Celso, Nigrino e Lusio Quieto), avvenimento che segnò la rottura tra il princeps e il senato; fu un brutto risveglio per i senatori, il potere era oramai nelle mani del princeps e del suo prefetto del pretorio. Un'ipotesi plausibile è che i quattro consoli furono uccisui su ordine di Attiano, il precettore di Adriano e al tempo prefetto del pretorio, forse con l'avallo di Plotina; d'altra parte Cassio Dione sosteneva che Plotina amava Adriano e che ella avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. L'ipotesi potrebbe essere confermata dal fatto che Adrianio non si macchierà mai di alcun omicidio politico se non di quello di Serviano, che negli ultimi anni della vita di Adriano metteva in pericolo le sue decisioni in termini di successione. Ciò detto è abbastanza evidente che i quattro senatori ordirono un complotto, ben architettato prima che Adriano salisse al potere, e che il complotto rientrasse in uno scontro violento tra fazioni politiche opposte; i quattro consoli erano generali esperti che trovavano la loro felicitas nella politica militarista di Traiano, politica venerata a Roma perchè ridestava gli istinti di conquista della città. D'altra parte gli ambienti aristocratici che abbraccivano lo stoicismo non erano del tutto favorevoli alla politica imperialista di Traiano, come non erano d'accordo sull'instaurazione di un impero. D'altra parte la Historia Augusta riporta che "La quasi certezza dell'adozione di Adriano da parte di Traiano la si ebbe nel momento in cui i due senatori Palma e Celso, da sempre rivali di Adriano e contro i quali si accanirà lui stesso, caddero in disgrazia, sospettati di ambire al trono" Da queste parole risulta che già sotto Traiano covava la rivolta contro la posizione pacifista di Adriano.
Importante caposaldo della politica adrianea fu l'idea di ampliare, quando possibile, i livelli di tolleranza; probabilmente la sua omosessualità lo portava ad aprire finestre di tolleranza verso le donne, gli ellenisti, gli artigiani, ritenuti, dall'aristocrazia romana non in grado di assumere ruoli di potere. Si fece promotore di una riforma legislativa per alleggerire la posizione degli schiavi i quali venivano a trovarsi in situazioni disperate allorché si verificava un crimine ai danni del dominus. Anche nei confronti dei cristiani mostrò maggiore tolleranza dei suoi predecessori. Di quest'ultima questione rimane testimonianza, intorno all'anno 122, in un rescritto indirizzato a Gaio Minucio Fundano, proconsole della provincia d'Asia. In esso l'imperatore, a cui era stato richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani e delle accuse a loro rivolte, rispose di procedere nei loro confronti solo in ordine ad eventi circostanziati emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche.
Riforma dell'editto pretorio
L'editto pretorio era una particolare forma di editto orientativo dell'attività del pretore. Il pretore, infatti, poteva, sia applicare il diritto vigente, che introdurre nuovi strumenti processuali, talvolta anche in antitesi al diritto civile. Si finiva così con l'avere un diritto desunto dal processo. Il diritto vigente era pur sempre, infatti, lo ius civile, nel quale però i vari pretori intervenivano adiuvandi, supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia, ovvero "con grazia di soccorrere, supplire o correggere il diritto civile", o meglio alcune sue lacune o imprecisioni. La finalità del pretore era infatti quella di mantenere l'aequitas (equità), ovvero di garantire pari condizioni ai cittadini in sede processuale. I pretori avevano la facoltà dello ius dicere inter cives romanos (giudicare trai icittadini romani), a loro spettava infatti decidere sulle controversie private all'interno della città di Roma (Praetor urbanus) e non (Praetor peregrinus). Il processo privato si svolgeva dapprima davanti al pretore che già decideva la norma da applicare e poi davanti ad uno iudex unus cioè davanti ad un privato con funzioni di giudice monocratico che applicava la norma. Quando durante la media Repubblica i pretori introdussero nei processi la procedura formulare, nella quale, per definire la questione riguardante un caso di fronte allo iudex si ricorreva ad un insieme di rigide formule prescrittive, l'editto pretorio divenne in pratica una raccolta di formule da utilizzare nei procedimenti. Secondo il giurista romano Papiniano (Dig. 1.1.7.1), l'editto serviva a completare, spiegare, e migliorare lo ius civile, diventando un veicolo importante per l'evoluzione del diritto civile romano. A partire dal 67 a.C., poi, una lex Cornelia imponeva al pretore di rispettare il proprio editto nell'esercizio delle sue funzioni. Nel tempo, dunque, si venne consolidando una serie di norme ripetute da ogni pretore che prese nome di edictum tralaticium, cioè di "editto trasmesso" quasi in via ereditaria da un pretore al proprio successore, che l'avrebbe quindi integrato e rinnovato, fino a che nel 133 l'imperatore Adriano non lo cristallizzò nella forma dell'editto tralatizio. L' Editto pretorio emanato dal pretore poteva essere di due tipi: Editto perpetuo: editto emanato pubblicamente che valeva per l'intera carica del pretore, successivamente uniformato per opera di Adriano nello standard dell'editto tralatizio Editto repentino: editto che veniva emanato per sopperire a occasioni particolari. Con la riforma adrianea, che l'imperatore affidò al giurista Salvio Giuliano negli anni dal 130 al 134, l'editto venne codificato, approvato da un senatoconsulto e divenne perpetuo (Edictum perpetuum). Sempre in campo giuridico Adriano,come già accennato, pose fine al sistema ideato da Augusto che, concedendo ad alcuni giuristi lo ius respondendi ex auctoritate principis, aveva consentito che il diritto si espandesse progressivamente attraverso l'opera creatrice di alcuni esperti scelti dall'imperatore stesso. Adriano sostituì al gruppo di giuristi isolati frutto dello schema augusteo il consilium principis che contribuì alla progressiva burocratizzazione di questa figura, togliendole l'indipendenza residuata. Giova notare che l'opera di riordino giuridico portata avanti da Adriano rimase in voga fino alle riforme di Giustiniano nel sesto secolo d.C.. L'amministrazione dell'Italia, lasciata per secoli alla mercè dei pretori, non era mai stata codificata; con l'Editto perpetuo essa venne regolata una volta per tutte.
I viaggi e la visita di tutto l'Impero romano
Appena il suo potere fu sufficientemente consolidato, Adriano intraprese una serie di viaggi in tutto l'Impero, allo scopo di rendersi conto di persona delle esigenze e prendere i provvedimenti necessari per rendere il sistema difensivo efficiente. E' in seguito a uno di questi viaggi che Adriano, nel 122, decide di costruire un muro lungo ottanta miglia per separare i romani di Britannia dai barbari provenienti dalla Scozia. A tale fine Adriano designa un nuovo legato nella persona di Aulo Platorio Nepote, al quale, con il rafforzo della VI legione Victrix, affida l'incarico della costruzione del muro. Non si trattava ovviamento di un semplice muro ma dall'insieme di avanposti e torrette di avvistamento, strada di transito, accampamenti, fortini e fossati, che integravano il muro vero e proprio.

vallo adriano

Resti del vallo di Adriano in Bretagna

Questo modello di barriera viene, successivamente, esportato in Africa, sul Reno e sul Danubio e per Adriano questi confini militarizzati non significano un ripiegamento di Roma su se stessa ma l'esaltazione di un mondo oramai adulto che ha saputo superare le pulsioni aggressive dell'adolescenza. Nel 123 inizia il lungo viaggio d'ispezione delle province orientali che lo impegna per due anni. Rifonda Stratonicea (ribattezzata Adrianopoli), nella Mesia fonda Adrianotera, trasforma Pergamo nella più grande stazione termale dell'impero, si reca a Efeso, Rodi e infine Atene dove avvia grandiose opere di ricostruzione, per dare alla città la grandezza di un tempo. E' nel 124 che, probabilmente, viene iniziato ai misteri eleusini. I misteri rappresentavano il mito del ratto di Persefone, strappata alla madre Demetra dal re degli Inferi, Ade, in un ciclo di tre fasi, la "discesa" (la perdita), la "ricerca" e l'ascesa, dove il tema principale era la "ricerca" di Persefone e il suo ricongiungimento con la madre. Tale iniziazione fu molto importante agli occhi degli ateniesi che fecero iniziare l'anno proprio da quell'avvenimento; e un'iscrizione del 184 definisce Adriano "fondatore di Atene".
A proposito della sua attitudine alla fondazione di nuove città mi piace ricordare questo passaggio della Yourcenar:
Le mie città nascono da incontri: il mio con un angolo della terra, quello dei miei piani imperiali con gli incidenti della mia esistenza d’uomo [...] Plotinopoli è nata dal bisogno di stabilire nuove banche agricole in Tracia, ma altresí dall’affettuoso desiderio di onorare Plotina. Adrianotera è destinata a servire d’emporio agli stranieri dell’Asia Minore: sulle prime, fu per me il ritiro estivo, la foresta ricca di selvaggina, un padiglione di tronchi squadrati ai piedi della collina di Attys, il torrente coronato di spuma nel quale ci si bagna ogni mattina. Adrianopoli, in Epiro, riapre un centro urbano nel mezzo d’una provincia impoverita, e nasce da una mia visita al santuario di Dodona. Andrinopoli, città agreste e militare, centro nevralgico ai margini delle regioni barbare, è popolata di veterani delle guerre sarmate; conosco personalmente ciascuno di quegli uomini, il lato buono e il lato cattivo, i nomi, il numero degli anni di servizio, le loro ferite. Antinopoli, la piú cara, sorta nel luogo della sventura, è serrata tra il fiume e la roccia su una fascia angusta di terreno arido. Ecco perché tenevo ad arricchirla con altre risorse: il commercio dell’India, i trasporti fluviali, le attrattive raffinate d’una metropoli greca. (M. Yourcenar, Memorie di Adriano, Torino, Einaudi).
Lasciata la Grecia si reca in Sicilia per un'ascesa sull'Etna e nell'agosto del 125 è nella sua villa di Tivoli.
Nel 127 visita la Gallia cisalpina e nel 128 intraprende un viaggio in Africa con uno scopo ben preciso: far uscire dalla logica coloniale un gran numero di città. Investe dello status di municipio Thizica, Avita, Bibba, Bisica Lucana, Thuburbo Maius Lares, Zama Regia, e Althiburos (tutte città della Tunisia). Tre delle più antiche città puniche, Utica, Bulla Regia e Zama Regia assurgono allo status di colonia onoraria. Adriano è spinto da forti motivazioni: inglobare nella Romanitas città ricche e dotate di un reale potenziale economico; ad esempio promuovere un'importante città portuale come Utica significava facilitare il trasferimento di grano dall'Africa verso Roma. Gran parte del tempo trascorso in Africa Adriano lo dedica all'ispezione delle truppe al fine di valutarne il livello di addestramento ed efficienza.
Dopo il ritorno a Roma, nell'autunno del 128 raggiunge, nuovamente, Atene dove consegue il secondo grado di iniziazione ai misteri eleusini. Nell'aprile del 129 si trova a Laodicea sul Lico (al confine tra Siria e Turchia), nel giugno è ad Antiochia, una delle maggiori città dell'impero e quindi lo troviamo ad Amaseia sulle sponde del mar Nero. Si reca, quindi, a Trebisonda e poi a Palmira; nel 130 è in Arabia e in Giudea.
In questa regione il fuoco cova sotto la cenere. Il problema della Giudea si era manifestato in tutta la sua gravità fin dai tempi della prima rivolta, nel 66, quando le truppe di Cestio Gallo, governatore della Siria, furono duramente sconfitte con perdite rilevantissime (poco meno di seimila uomini, secondo Giuseppe Flavio) e la perdita delle insegne da parte della Legio XII Fulminata. Il tutto ad opera di truppe che non si potevano tecnicamente definire all'altezza di quelle romane. Il che dimostra la fortissima motivazione dei giudei e, in particolare degli zeloti. La rivolta si protrasse fino alla distruzione di Gerusalemme, nel 70, ad opera del generale Tito, figlio di Vespasiano, e alla caduta della fortezza di Masada avvenuta nel 73, conclusasi con la morte per suicidio di tutti i resistenti e dei membri delle loro famiglie. Nel 115, sotto Traiano alla rivolta divampata a Cirene, in Egitto e a Cipro si unirono anche i giudei con effetti devastanti. Il problema era strutturale, dato che gli abitanti della Giudea rifiutavano decisamente la romanizzazione, sia per motivi nazionalistici che, soprattutto, per motivi religiosi. Infatti, professando una religione monoteista che, essendo per sua natura intollerante, non prevedeva l'affiancamento di divinità straniere come era avvenuto in tutte le province, l'integrazione diveniva impossibile, ma quando Adiano stabilisce che la circoncisione è illegale e che nella ricostruzione di Gerusalemme, rinominata Aelia Capitulina, sarebbero stati costruiti un tempio a Giove e uno a Venere, il fuoco divampa in tutta la sua violenza. Adriano invia uno dei suoi più valenti generali, Giulio Severo, il quale riesce a evitare la guerriglia alla quale lo spinge il capo dei ribelli Simon Bar Kokhba e, una ad una, distrugge le fortezze dei giudei; fonti giudaiche parlano di 580.000 giudei uccisi e relativo spopolamento della regione, ma anche l'esercito romano ne esce molto provato. Giova affermare che della guerra di Giudea nulla è certo, nè date, nè cause. Fu sicuramente una guerra durissima che costrinse Adriano a cancellare dalle mappe geografiche il nome di Giudea e sostituirlo con quello di Palestina. Nel 135 dopo aver soffocato la ribellione Adriano tenta di sradicare l'ebraismo considerandolo la causa delle continue ribellioni. Proibisce la Torah, il calendario giudaico e mette a morte gli studiosi delle "Scritture". I Rotoli sacri vengono formalmente bruciati nel Tempio. Gerusalemme divenuta Aelia Capitolina è preclusa ai giudei. Più tardi si permette loro di piangere la loro umiliazione una volta all'anno nel giorno del Tisha B'Av. Era evidente che l'impero non poteva permettersi di mantenere in vita un potenziale focolaio di ribellione in un'area così delicata, soprattutto in considerazione della presenza di comunità ebraiche in molti paesi al di fuori della Giudea derivante dalla diaspora avvenuta in seguito ai fatti del 70.
Mentre Giulio Severo combatte i giudei, Adriano si reca in Egitto; ad Alessandria intraprende importanti lavori nel Serapeum (il tempio di Serapide) dove offre un sacrificio funebre in onore di Pompeo. Con questo atto Adriano fa un gesto di riconciliazione verso il senato e mostra di inchinarsi dinanzi all'ideale superiore dell'eternità di Roma. Il viaggio prosegue con una risalita del Nilo, contrassegnata dalla tragedia della morte di Antinoo, il giovane amante di Adriano, il 30 ottobre del 130. Adriano pianse per una settimana la morte di Antinoo gli dedica una nuova città, Antinopolis, e conia molte monete con la sua effigie e in Oriente lo divinizza. Nell'impero corse la voce che Antinoo si fosse suicidato per prolungare la vita di Adriano, perchè, pratiche magiche orientali richiedevano che qualcun altro morisse al suo posto in devotio. Dopo un nuovo passaggio ad Alessandria, attraverso la Cilicia e la Mesia ritorna ad Atene dove inaugura il mastodontico Olimpieion (il tempio di Giove) del quale Pisistrato aveva gettato le fondamenta nel VI secolo aC.. Gli archeologi vi hanno trovato molte statue di Adriano, a dimostrazione che in Grecia l'imperatore era considerato una divinità. Ad Atene, Adriano realizza una grandiosa biblioteca e un ginnasio. Si reca, nuovamente in Egitto, e da qui ritorna a Roma all'inizio del 134. Da allora amministrerà l'impero dalla sua villa di Tivoli.
In questi lunghi viaggi, nei quali praticamente Adriano percorse tutto l'impero, non si occupa solo di questioni legate alla difesa dei confini ma anche di esigenze amministrative, edificazione di edifici pubblici e, più in generale, di cercare di migliorare lo standard di vita delle province. Al contrario di altri imperatori, che governarono l'impero senza muoversi praticamente mai, Adriano scelse un metodo di conoscenza diretta derivante dal ritenere ormai in atto un consolidamento della situazione interna, in quanto allontanarsi dalla sede del potere per periodi così prolungati presupponeva una certezza assoluta della tenuta del sistema. Un altro elemento era la curiosità propria del suo carattere e la propensione per i viaggi che lo accompagnerà tutta la vita.
La grande riforma della pubblica amministrazione
Malgrado avesse seguito personalmente più di una campagna militare, Adriano si dimostra, oltre che esperto di cose militari, anche un grande riformatore della pubblica amministrazione. Il suo intervento sulle strutture amministrative dell'impero fu molto profondo e dimostra che era parte di un piano globale che l'imperatore andava applicando, mano a mano, alla struttura dell'esercito, alla difesa dei confini, alla politica estera, alla politica economica. Adriano ha una sua precisa visione dell'impero e cerca di uniformare le singole parti al suo disegno. La sua filosofia risulta evidente dai suoi atti: il ritiro da territori indifendibili, il controllo dei confini basato su difese stanziali, la politica degli accordi con gli stati cuscinetto che facevano da interposizione fra il territorio dell'impero e quello dei popoli confinanti.
Adriano si rese conto che il problema delle strutture difensive era strettamente connesso col territorio e col tipo di difesa che si voleva instaurare e, pertanto, adattò la stategia difensiva alla tipologia di confine. Strutture particolarmente pesanti e durature, oltre a richiedere tempi di realizzazione e costi ingenti, mal si adattavano a mutamenti strategici nelle linee difensive. Se un territorio era particolarmente soggetto a incursioni in un determinato periodo, una struttura leggera, formata da fossati, terrapieni e palizzate, poteva fornire una discreta tenuta, dando, alle truppe di stanza nelle fortificazioni, il tempo di intervenire. Diverso era il caso di incursioni in profondità o vere e proprie invasioni che richiedevano strutture molto più resistenti, le quali però una volta edificate diventavano definitive e non seguivano le evoluzioni politiche e strategiche del territorio. Molte regioni passavano da situazioni di occupazione vera e propria allo stato di protettorati, i cosiddetti "stati clienti", il che modificava notevolmente le necessità difensive. Quando la politica del protettorato si consolidava, si mantenevano in loco le risorse strettamente necessarie spostando le risorse liberate in zone più calde. Questo sistema detto delle Vexillationes, cioè di distaccamenti prelevati da una legione e comandati altrove, dette ottimi risultati conferendo un'elasticità di manovra notevole. Il sistema dei distaccamenti consentiva anche di non turbare gli equilibri regionali faticosamente raggiunti, in quanto non si effettuava lo spostamento di un'intera legione ma di singoli reparti. Il che, con il consolidamento di una difesa sempre più stanziale e conseguenti legami instaurati tra legionari e abitanti dei territori, consentiva di mantenere il controllo del territorio disponendo comunque di una massa di manovra da destinare a operazioni belliche ove fosse necessario. Per mantenere alto il morale delle truppe e non lasciarle impigrire, Adriano stabilì intensi turni di addestramento, ispezionando personalmente le truppe nel corso dei suoi continui viaggi. Poiché non era incline, già dai tempi delle campagne daciche, a distinguersi per lussi particolari, si spostava a cavallo e condivideva in tutto la vita dei legionari. Di questa attività rimane memoria nelle cosiddette Iscrizioni di Lambesi che vennero erette dopo una permanenza dell'imperatore nel castrum omonimo, sede della Legio III Augusta di stanza in Numidia. In questo documento viene descritta una serie di esercitazioni molto complesse che la legione svolse con successo nell'anno 128. Ciò a dimostrazione della nuova dottrina difensiva di Adriano che intendeva ottenere il massimo dell'efficienza militare anche in quadranti, come quello numidico, abbastanza pacifici. Da un punto di vista della struttura organizzativa non portò grandi innovazioni nell'esercito, salvo creare truppe, basate su leva locale, denominate Numeri. Ciò al fine di dare un apporto alle truppe ausiliarie: i cosiddetti Auxilia. I motivi erano vari, innanzitutto tecnici, si trattava di mettere in linea truppe molto specializzate, ad esempio lanciatori, o destinate a terreni particolari o equipaggiate in modo non convenzionale (ad es. alcuni corpi di cavalleria pesante). Inoltre i Numeri non fruivano come gli Auxilia del diritto di vedere arruolati stabilmente i loro figli nelle legioni e quindi ciò contribuiva a mantenere gli organici in numero costante. Di fatto i Numeri erano molto più vicini degli Auxilia ai gruppi etnici stanziati nei territori che si intendevano controllare e conservavano organizzazione e armamento loro propri. Il tutto a costi nettamente inferiori rispetto a quelli che si sostenevano per i legionari regolari, i quali oltre a una paga di tutto rispetto, fruivano di donativi saltuari e una liquidazione finale, spesso costituita dal diritto di proprietà di terreni.
L'intervento sulla struttura amministrativa dell'impero fu radicale. In luogo dei liberti cesarei diede spazio e importanza a nuovi funzionari provenienti dalla classe dei cavalieri. Essi erano preposti alle varie branche amministrative suddivise per materie: finanze, giustizia, patrimonio, contabilità generale e così via. Le carriere furono determinate, così come le retribuzioni e la pubblica amministrazione divenne più stabile essendo meno soggetta ai cambiamenti connessi con l'avvicendarsi degli imperatori. Attento amministratore, Adriano pensò anche a tutelare nel migliore dei modi gli interessi dello stato con l'istituzione dell'advocatus fisci cioè una sorta di avvocatura dello stato che si occupasse di difendere in giudizio gli interessi delle finanze pubbliche (fiscus). Va considerato che in epoca tardo-imperiale l'originaria bipartizione tra aerarium (la finanza pubblica di area senatoria) e fiscus (la finanza pubblica di competenza del princeps) era andata scomparendo, per l'avvenuta unificazione delle due aree nelle mani dell'imperatore.
Per volontà di Adriano il Consilium principis diventa il centro dell'attività amministrativa, uno strumento di unificazione dell'impero mediate il diritto. Il principe finisce con l'assorbire qualsiasi attività giurisprudenziale, visto che i cittadini privati si rivolgono, oramai, esclusivamente a quest'organo e i rescripta (risposte su determinate questioni di diritto privato) vengono elaborate, unicamente, dall'amministrazione imperiale e, per le questioni più importanti, dal Consilium principis. Il diritto scaturisce dalla volontà dell'imperatore, favorendo il decisionismo e dando il via a un diverso modo di governare che vede il senato fortemente indebolito.
Adriano non è rimasto passivo rispetto alla società e ha operato nelle direzioni che riguardavano i grandi, i piccoli e le donne. Sul primo punto la sua fu una politica tradizionalista: evitare che i maggiorenti ingrandissero le loro clientele, accrescessero la loro popolarità fino a diventare un pericolo per il princeps. Le clientele non scomparvero ma furono poste sotto controllo, furono "contingentate" così emerse una nuova gerarchia sociale. L'ordine senatorio continua ad occupare il vertice della piramide, ma il mondo è oramai governato dal principe e dai suoi amici, i quali ricoprivano i ruoli più importanti della gestione dello stato. L'attenzione di Adriano verso i piccoli si manifesta in modi diversi, in particolare attraverso la legislazione. Egli fu attento alla sorte degli schiavi; proibì di condannare a morte gli schiavi colpevoli e perfino di imprigionarli nelle galerte private. Analogamente fu proibita la vendita di schiavi alle imprese gladiatorie; si facevano largo le idee sostenute dagli stoici. Occorre notare che, nonostante la permanenza dei grandi possedimenti, le decisioni di Adriano portarono a una moltiplicazione de facto delle proprietà piccole e medie, favorendo l'integrazione del popolo minuto delle varie provincie nella Romanitas. Per quanto riguarda l'attenzione alle donne, Adriano accordò alla madre di famiglia il diritto di successione sui beni dei figli a condizione che ella godesse del privilegio dello ius liberorum, ovvero che avesse tre o quattro figli; con Adriano una donna poteva fare testamento se di età maggiore di 12, un uomo se di età maggiore di 14 anni. Non si trattava di una politica femminista ante litteram, ma di disposizioni che favorivano la fecondità, in ogni caso, queste disposizioni segnarono la fine della società basata sull'onnipotenza del pater familias.
Prima ancora d'essere un grande riformatore, Adriano è stato un grande amministratore; con la meticolosità che lo contraddistingueva voleva essere messo al corrente della produzione delle miniere dell'impero, delle produzioni agricole e finanche delle quantità di xilobalsamo ricavato dai germogli di balsamo in Giudea; Adriano cercò di porre fine allo scandalo delle terre lasciate incolte dai grandi proprietari poco solleciti al bene pubblico. Impose una legge secondo la quale ogni campo non coltivato per cinque anni sarebbe passato all'agricoltore che si fosse incaricato di lavorarlo.
Attività culturali e protezione delle arti
Adriano protesse l'arte essendo egli stesso un fine intellettuale, amante delle arti figurative, della poesia e della letteratura. Ma era l'architettura l'arte che lo appassionava più di tutte e durante il suo principato si adoperò per dare un'impronta stilistica personale agli edifici via via edificati. Seguendo l'esempio di Augusto, Adriano volle per sè e per i suoi successori un importante mausoleo, quel monumento stupefacente noto come Castel Sant'Angelo. Iniziato da Adriano nel 125, ispirandosi al mausoleo di Augusto, fu ultimato da Antonino Pio nel 139. Venne costruito di fronte al Campo Marzio al quale fu unito da un ponte appositamente costruito, il Ponte Elio. Il mausoleo era composto da una base cubica, rivestita in marmo lunense, avente un fregio decorativo a teste di buoi e lesene angolari. Nel fregio prospiciente il fiume si leggevano i nomi degli imperatori sepolti all'interno. Sempre su questo lato si presentava l'arco d'ingresso intitolato ad Adriano, il dromos (passaggio d'accesso) era interamente rivestito di marmo giallo antico. Al di sopra del cubo di base era posato un tamburo realizzato in peperino e in opera cementizia (opus caementicium) tutto rivestito di travertino e lesene scanalate. Al di sopra di esso vi era un tumulo di terra alberato circondato da statue marmoree (ce ne restano frammenti). Il tumulo era, infine, sormontato da una quadriga in bronzo guidata dall'imperatore Adriano raffigurato come il sole posto su un alto basamento. Attorno al mausoleo correva un muro di cinta con cancellata in bronzo decorata da pavoni, due di essi sono conservati al Vaticano. All'interno pozzi di luce illuminavano la rampa elicoidale in laterizio rivestita in marmo che collegava il dromos alla cella posta al centro del tumulo. Quest'ultima, quadrata ed interamente rivestita di marmi policromi, era sormontata da altre due sale, forse anche esse utilizzate come celle sepolcrali. Il Mausoleo ospitò i resti dell'imperatore Adriano e di sua moglie Sabina, dell'imperatore Antonino Pio, di sua moglie Faustina maggiore e di tre dei loro figli, di Lucio Elio Cesare, di Commodo, dell'imperatore Marco Aurelio e di altri tre dei suoi figli, dell'imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei loro figli Geta e Caracalla.
Un'altra importante eredità lasciataci da Adriano è il Pantheon, il tempio dedicato a tutti gli dei. L'area era quella delle antiche terme pubblice offerte ai romani da Agrippa, genero di Augusto. Del vecchio edificio non restava che un portico e una lastra di marmo di una dedica al popolo romano che fu collocata sul frontone del nuovo tempio. Che i lavori siano stati avviati nel 110 o meno, il Pantheon corrisponde alle manie architettoniche di Adriano. Non v'è alcun motivo di privare Adriano della paternità del monumento e della sua audace concezione. Certo la cupola la si trova anche nelle terme di Traiano, ma le sue dimensioni non hanno nulla a che vedere con quella del Pantheon (appena 20 metri di diametro contro i 43 del Pantheon) cosicchè si può affermare che, sebbene la cupola non sia stata inventata da Adriano, fu lui a darle lustro portandola a un livello ineguagliato fino al XX secolo. Sotto Adriano l'edificio venne interamente ricostruito. I bolli laterizi appartengono agli anni 115-127 e si può ipotizzare che il tempio fosse stato inaugurato dall'imperatore durante la sua permanenza nella capitale tra il 125 e il 128. Rispetto all'edificio precedente fu invertito l'orientamento, con l'affaccio verso nord. Il grande pronao e la struttura di collegamento con la cella occupano l'intero spazio del precedente edificio, mentre la rotonda venne costruita quasi facendola coincidere con la piazza augustea circolare recintata che divideva il Pantheon dalla basilica di Nettuno. Il tempio era preceduto da una piazza porticata su tre lati e pavimentata con lastre di travertino.L'edificio è costituito da un pronao collegato a un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare intermedia. Le dimensioni smisurate della costruzione si accordano con il carattere orgoglioso di Adriano il quale riorganizzò l'intero quartiere facendo erigere numerose basiliche. La dedica che si legge sull'architrave fa riferimento ad Agrippa, ma il fatto non stupisce perchè Adriano non appose il suo nome su nessuno dei templi che fece costruire, ad eccezione di quello di Traiano come affermazione della sua discendenza.
Villa Adriana a Tivoli fu l'esempio più notevole di una dimora immensa costruita con passione, intesa come luogo della memoria, intessuto di citazioni architettoniche e paesaggistiche, di riproduzioni, su varia scala, di luoghi come il Pecile ateniese o Canopo in Egitto. La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero.. In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese piuttosto come suggestioni evocative che non come ricostruzioni reali. L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ettari: si tratta di un'estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo. Dopo la morte di Adriano la villa continuò a essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata per gli eccessivi costi del suo mantenimento, e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce. Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così - dalla fine del secolo - l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma del cardinale.
Il tempio di Venere e Roma era il più grande tempio conosciuto dell'antica Roma. Situato nella parte orientale del Foro occupa tutto lo spazio tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Era dedicato alle dee Venus Felix (Venere portatrice di buona sorte) e Roma Aeterna. Il tempio fu costruito sull'atrio della Domus Aurea di Nerone, dove era collocato il colosso dell'imperatore, un'enorme statua bronzea alta 35 metri più la base. Quando Adriano decise la costruzione del tempio, procedette a ridedicare la statua al dio Sole e la fece spostare, con l'aiuto di ventiquattro elefanti. L'architetto del tempio fu lo stesso imperatore Adriano. La costruzione, iniziata nel 121, fu inaugurata ufficialmente da Adriano nel 135 e finita nel 141 sotto Antonino Pio. L'opera venne aspramente criticata dall'architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita la sua audacia.
Da non dimenticare il restauro del Colosseo, già iniziato da Traiano e completato da Antonino Pio, purificato dai ricordi di Nerone e arricchito con una colossale effigie del Sole, Helio-Re, con allusione ad Elio, il nome gentilizio di Adriano.
Adriano fu un umanista profondamente ellenofilo. Tra i poeti amò la rusticità di Quinto Ennio, la follia di Lucrezio Caro, la frugalità di Esiodo, la lucentezza di Orazio e Ovidio la mollezza di Catullo; secondo Dione Cassio non amò Omero. Studiò le filosofie platoniche ed epicuree, e la lingua greca, che amava, anche perchè riteneva che tutto ciò che l'uomo ha detto di importante l'ha detto in greco. In omaggio ai filosofi greci, fu il primo imperatore a portare sempre la barba, un uso che verrà poi ripreso da molti suoi successori (tra i quali Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo e Giuliano). Fu anche il primo imperatore romano a essere iniziato al rito greco dei misteri eleusini e, a parte Caligola e Nerone, a interessarsi fortemente alle culture orientali dell'impero, ma allo stesso tempo riaffermò le antiche origini di Roma, valorizzando elementi arcaici e augustei della religione romana, come il richiamo a Romolo e Numa Pompilio.

Lucio Elio Cesare nato con il nome di Lucius Ceionius Commodus, fu, inizialmente, il successore designato di Adriano. Fu adottato dal vecchio e malato Adriano nel 136 e nominato successore al trono. Adriano temeva per la salute cagionevole di Lucio e per temprarlo lo inviò in Pannonia, a Carnuntum, quello stesso anno per combattere le popolazioni suebe di Marcomanni e Quadi che avevano compiuto scorrerie lungo il limes di questo settore strategico. Elio era il padre di Lucio Vero che sarà co-imperatore di Marco Aurelio, dal 161 fino alla morte, avvenuta nel 169. Lucio Elio non divenne mai imperatore in quanto morì poco prima di Adriano. Adriano adottò allora Antonino Pio, con la condizione che adottasse, a sua volta, il giovane Lucio Vero e Marco Aurelio, figlio di Domizia Lucilla Minore, in qualche modo imparentata con Adriano. Storicamente è incomprensibile l'adozione di Lucio Elio Cesare, poichè Adriano aveva sempre avuto in mente Marco Aurelio al quale aveva imposto, già da piccolo, un'educazione improntata a una futura carica imperiale. Adriano morì nella sua residenza di Baia di edema polmonare, a 62 anni come il predecessore Traiano.

LOGO Eugenio Caruso - 13 maggio 2014


Tratto da

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www.impresaoggi.com