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I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VI


Quella figura è più laudabile, che con l'atto esprime la passione del suo animo.
Leonardo


L’articolo è, sostanzialmente,  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V.

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il primo trimestre del 2010,  l’analisi delle performance economiche delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, prese in considerazione tutte le più importanti iniziative delle organizzazioni internazionali e nazionali.
L’articolo viene aggiornato quotidianamente.

Come sarà la situazione economica nel 2010? (4 gennaio 2010).
Come andrà il PIL nel 2010? La risposta degli esperti è che il futuro sarà meno nero. Lo scenario più probabile, per molti, è che la ricchezza delle nazioni crescerà. «Il Pil mondiale - scrive BofA Merrill Lynch - dovrebbe aumentare del 4,4 per cento». «L'incremento è stimato, nel 2010, attorno al 3,2 per cento», fa da eco City. E l'elenco degli esperti "votati" alla crescita potrebbe continuare. Tuttavia, guardando dietro al dato aggregato le differenze tra le economie saltano fuori, e con forza. «Il "decoupling" - dice al Sole24ore.com Andreas Uterman, Global Chief Investment di Allianz - è nelle cose: i paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina, ndr) guideranno l'economia globale. Gli stati più sviluppati, oberati di debiti e fiscalmente deboli, dipendono troppo dalla spesa al consumo e dall'edilizia. Di fatto stanno cercando di rimanere a galla dopo la stretta creditizia. Al contrario, molti emerging country godono di ottima solidità finanziaria, sostenuta dal crescente benessere della popolazione». Così, seppur partendo da basi relative di ricchezza inferiore all'Occidente, «i paesi emergenti in media - dice BofA Merril Lynch - cresceranno del 6,3 per cento, mentre quelli più industrializzati solo del 2, 7 per cento». «Il Pil della Cina - aggiunge Threadneedle - salirà dell 8,8%, a fronte di una ripresa negli Usa del 2% e dell'1% in Eurolandia». Sulle possibilità del Vecchio continente c'è qualcuno un po' più positivo. «Le nostre stime - scrive Ubs - indicano una crescita del 2,4% a fronte di un consensus dell'1,2 per cento». Ottimismo campato in aria? No, dice Ubs e per quattro ragioni: «Innanzitutto, la ripresa mondiale sosterrà l'export europeo, che non sarà affossato da un euro troppo forte; inoltre, le condizioni dei creditori stanno, seppur lentamente, migliorando» e non siamo più sull'orlo dell'abisso; «poi, il mix di stimoli, sia fiscali sia di politica monetaria, produrrà i suoi principali effetti nel 2010; infine, nonostante il consensus indichi una crescita del Capex pari a zero, noi scommettiamo che gli investimenti delle aziende in conto capitale ripartiranno già quest'anno». Al di là delle stime di crescita sull'intero anno, c'è una domanda che rimbalza tra gli economisti: sarà una ripresa pulita a «V», o assisteremo a una ricaduta con l'andamento del Pil che disegna una «W»? La passione per le lettere dell'alfabeto, vista anche la difficoltà di realizzare previsioni, è un po' ridicola. Tuttavia, il propendere per uno scenario rispetto a un altro significa osare più o meno ottimismo. «In Eurolandia non siamo ancora di fronte a una reale ripresa», spiega al Sole24ore.com Marco Valli, economista di UniCredit, che usa alcuni argomenti di Ubs ma in maniera differente. La spinta, infatti, è arrivata «da un andamento migliore delle attese del commercio mondiale» che, tuttavia, «potrebbe non continuare. Nella prima parte del 2010, quando peraltro importanti incentivi statali inizieranno a venir meno, potremmo assistere ad una certa debolezza dell'economia. Un rallentamento, con una ripresa nella seconda parte dell'anno. In generale, nel 2010 il Pil dell'Eurozona dovrebbe salire dello 0,9 per cento, per poi aumentare dell'1,3% nel 2011». Diversa l'impostazione di Citi. La banca americana, seppur parlando di Pil globale, indica che «la ripresa seguirà un andamento più simile alla figura della «V» che ad altre». Fabrizio Quirighetti, capo economista di Banca Syz, segue le "orme" di Valli ma sceglie un timing differente: «Il 2010 - dice l'esperto - rischia di rimanere una finestra positiva su di uno scenario che, nel 2011, potrebbe di nuovo rivelarsi negativo. Durante l'anno in corso (analogamente a quanto indicato da Ubs, ndr) sentiremo in pieno gli effetti delle politiche fiscali espansive messe in atto dai governi, oltre a quelle monetarie delle banche centrali. Poi, però, questi effetti verranno meno», e fondamentale sarà cogliere il momento giusto per l'abbandono delle misure d'eccezione. Altrimenti si rischierà di ricadere in recessione.

Aumenta l’indebitamento delle famiglie italiane (8 gennaio 2010).
L'indebitamento delle famiglie italiane ha raggiunto quota 524,1 miliardi di euro nel 2009. Il dato emerge da uno studio della Cgia di Mestre che sottolinea anche come, seppure in crescita, si tratti di un importo più contenuto di quello registrato nei principali Paesi dell'Ue. In Spagna, a esempio, il dato ha toccato quota 896,7 miliardi, in Francia 942,4 miliardi, in Germania 1.515,2 miliardi e nel Regno Unito addirittura 1.605,3 miliardi. In Italia, in termini di indebitamento per famiglia, l'importo medio nel 2009 è stato di 21.270 euro, contro i 36.150 euro registrati in Francia, i 37.785 euro dei tedeschi, i 55.886 euro degli spagnoli e i 63.477 euro degli inglesi. I 524,1 miliardi di euro di debiti dei nuclei familiari italiani incidono sul Pil nazionale per il 34,2%. Un valore ben lontano dall'oltre 100% rilevato in Gran Bretagna. Ma anche dal 49,1% segnato in Francia, dal 63,5% della Germania o dall'83,6% della Spagna. Insomma, commenta Giuseppe Bortolussi, segretario dell'organizzazione mestrina, “seppure in affanno le famiglie italiane sono le meno indebitate d'Europa. Le statistiche – aggiunge - non lasciano dubbi: nonostante gli effetti della crisi non accennano a diminuire, reggiamo il confronto con gli altri paesi Ue. Abbiamo i nostri conti pubblici che continuano a peggiorare, ma fortunatamente livelli di risparmio privato molto elevati e quote di indebitamento delle famiglie italiane sono molto contenute”.
E' interessante la lettura del rapporto dell'Osservatorio del Nord-Ovest: "La crisi e i consumi a inizio 2010".

Cala il potere d’acquisto delle famiglie (11 gennaio 2010).
Cala il potere d'acquisto delle famiglie italiane. La crisi ha spinto le famiglie italiane a contrarre consumi e investimenti più di quanto consentiva loro il reddito disponibile. Invece è aumentato il risparmio. Da ottobre 2008 a settembre 2009 il potere d'acquisto delle famiglie italiane è diminuito infatti dell'1,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Lo comunica l'Istat spiegando che il dato è riferito al reddito reale, mentre il reddito nominale è diminuito dell'uno per cento. Nel periodo considerato i consumi sono diminuiti in maniera maggiore rispetto al reddito (-1,5%) mentre la propensione al risparmio delle famiglie segna un aumento dello 0,4% (+0,2% su base congiunturale). Complessivamente la propensione al risparmio delle famiglie, ovvero il rapporto tra il risparmio lordo e il reddito disponibile, nel periodo ottobre 2008-settembre 2009 è stata pari al 15,4%. Secondo i dati diffusi dall'Istat, prosegue la flessione del tasso di investimento delle famiglie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi delle famiglie, che comprendono gli acquisti di abitazioni e gli investimenti strumentali delle piccole imprese classificate nel settore, e il loro reddito disponibile lordo), che nel terzo trimestre 2009 si è attestato al 9%, 0,3 punti percentuali in meno rispetto al trimestre precedente, risentendo di una riduzione degli investimenti (-2,9%) molto superiore a quella del reddito disponibile (-0,4%). Rispetto allo stesso periodo del 2008 il tasso di investimento delle famiglie si è ridotto di 0,8 punti percentuali. La quota di profitto delle società non finanziarie (dato dal rapporto tra il risultato lordo di gestione e il valore aggiunto lordo ai prezzi base) si è attestata nel terzo trimestre 2009 al 40,9%, con una riduzione di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Infatti, la riduzione del risultato lordo di gestione in valori correnti delle società non finanziarie, pari a -1,6%, è stata più marcata della contrazione registrata dal valore aggiunto (-1%). Rispetto al terzo trimestre dell'anno precedente, la quota di profitto delle società non finanziarie si è ridotta di 2 punti percentuali. Infine, il tasso di investimento delle società non finanziarie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi e il valore aggiunto lordo ai prezzi base) è stato nel terzo trimestre 2009 pari al 22,3 per cento, oltre tre punti percentuali in meno rispetto al corrispondente trimestre del 2008. Rispetto al secondo trimestre del 2009, il tasso d'investimento si è ridotto di 0,9 punti percentuali, risentendo di una caduta del 4,9% degli investimenti fissi lordi in valori correnti, ben più marcata della contrazione registrata dal valore aggiunto.

Per Trichet siamo in una fase di ripresa (11 gennaio 2010).
Con tutte le cautele del caso, Jean Claude Trichet, presidente del Global Economic Meeting di Basilea - il vertice dei governatori delle banche centrali - ha escluso una ripresa "a W", con un primo rimbalzo che si trasformerebbe in una seconda fase di crisi. Non ci sarà, dunque, una seconda recessione.  «C'è la conferma di una progressiva normalizzazione dell'economia a livello globale» ha detto Trichet, che è anche presidente della Banca centrale Europea. «Siamo in un clima di ripresa» ha poi aggiunto precisando poi che i governatori pur restando attenti a quanto accade, non prevedono che la crescita possa arenarsi. Il mondo sembra intanto ora sbarcato su un territorio nuovo. È più equilibrato, ha spiegato Trichet: per ragioni strutturali e congiunturali, i deficit con l'estero dei singoli paesi hanno una tendenza a ridimensionarsi, come prevedono gli obiettivi del G-20. Ritorna inoltre prepotente il tema dell'occupazione e della produttività del lavoro. La crisi ha mostrato reazioni profondamente diverse nei singoli paesi: in alcuni il calo della produzione non è accompagnato da una perdita altrettanto forte della disoccupazione, e non solo per l'esistenza di politiche pubbliche a favore del lavoro, ma anche per la «reazione spontanea delle imprese» che hanno scelto, per esempio, di preservare il loro capitale umano. Altrettanto diversificate sono le sfide poste alla politica monetaria: nei paesi emergenti, ora all'avanguardia della ripresa, il flusso di investimenti sta in particolare facendo salire i prezzi degli asset.
Non subirà ritardi, intanto, la riforma del Programma del comitato di Basilea. Il Gruppo dei governatori delle banche centrali e dei responsabili della vigilanza, anch'esso presieduto da Trichet, ha individuato con maggior precisione le aree che meritano più attenzione, dalle regole sugli accantonamenti per le perdite previste, ai requisiti patrimoniali, che dovranno essere tutti anticiclici, in modo da costruire "cuscinetti" di liquidità e di capitale da usare nei momenti difficili; fino alla vigilanza sui rischi delle "Banche sistemicamente importanti" (Bsi). In particolare sarà riconsiderato il ruolo degli strumenti contingenti di capitale, come le obbligazioni convertibili, nei nuovi requisiti patrimoniali. I nuovi standard saranno approvati entro il 2010 e applicati entro il 2012. «Un completamento del programma nei tempi previsti - ha detto Trichet - è cruciale per ottenere un sistema bancario più resistente agli urti che possa sostenere una sana crescita economica nel lungo termine». Ieri l'ex presidente del Comitato di Basilea, Tommaso Padoa-Schioppa, in un'intervista alla Bloomberg, aveva previsto un "allegerimento" delle regole per permettere alle banche di rispettarle.

Con l’euro perdita del potere d’acquisto (16 gennaio 2010)
Le famiglie italiane hanno perso in media 9.000 euro tra il 2002 e il 2008 a causa dei rincari per i prodotti di largo consumo seguiti all'introduzione della moneta unica europea. È quanto emerge da uno studio di Federconsumatori e Adusbef secondo il quale i prezzi dei prodotti e servizi a più larga diffusione (come gli alimentari e le assicurazioni) hanno viaggiato negli ultimi anni su vette superiori sia rispetto al «livello dell'inflazione ufficiale sia alla media di Eurolandia».  Al top degli aumenti dei prezzi tra i 99 prodotti e servizi monitorati tra il 2001 e il 2008 c'è il «cono gelato» (+290%) ma aumenti molto superiori alla media sono stati registrati anche da tramezzini, penne a sfera, pizza margherita e tazzina di caffè.  Per le due associazioni l'introduzione della moneta unica è, stata usata come scusa per rialzare i prezzi a danno dei consumatori. «Il pretesto dell'euro - spiegano - ha generato in sette anni un'odiosa speculazione di 9.178 euro a famiglia, trasferendo 183 miliardi dalle tasche dei lavoratori e dei pensionati».
 Lo studio si basa su due rilevazioni, una centrata sul fronte interno e l'altra aperta al confronto con lo scenario europeo. Riguardo alla prima, in Italia su 99 prodotti osservati lungo un periodo di otto anni, dal 2001 al 2009, ben 87 hanno registrato aumenti maggiori rispetto all'inflazione media cumulata, pari al 19,36%. Acquisti di tutti i giorni hanno subìto rialzi di oltre il 150%, basti pensare che il tramezzino è salito del 162%, la pizza margherita del 155% e il caffè del 104%. Ma a conquistare il vertice della classifica è stato il cono gelato, con un rincaro del 290%. Nella lista dei prodotti che hanno segnato i rincari maggiori ben 15 delle 20 prime posizioni sono occupate da prodotti alimentari. Ampliando la prospettiva, a confronto con l'Europa in Italia il termometro dei prezzi ha segnato qualche linea in più: la ricerca, prendendo a riferimento un periodo di 12 anni, dal 1996 al 2008, evidenzia un divario di 4,6 punti percentuali. Infatti, a fronte di un'inflazione media nell'eurozona pari a 27,4%, in Italia si arriva a quota 32%.  Tra i principali Paesi del Vecchio Continente fa peggio solo la Spagna, che supera un rialzo del costo della vita pari al 42,3%. Nella Penisola a far lievitare il livello generale dei prezzi ha contribuito il settore delle assicurazioni, che, sempre secondo la ricerca, ha visto schizzare i prezzi al 125,1%, mentre in Eurolandia il rincaro si è fermato al 32,6%. Alle stelle anche i rialzi nel comparto dei servizi finanziari, a quota 84,3%, ben oltre la media dell'area euro, che si è stabilizzata al 40%.

Pessimismo in Bankitalia (18 gennaio 2010).
L'Italia sta uscendo dalla recessione ma la ripresa dell'economia nel prossimo biennio sarà debole, con una forte incertezza legata all'andamento della domanda mondiale e alla debolezza del mercato del lavoro. Lo sostiene la Banca d'Italia nel bollettino economico, secondo cui il Pil - dopo un drastico calo del 4,8% l'anno scorso - aumenterà dello 0,7% quest'anno e accelererà all'1% nel 2011. Previsioni che per il 2010 sono in linea con quelle indicate dal governo a settembre (+0,7%), mentre per il prossimo anno sono più pessimistiche rispetto alle stime dell'esecutivo (+2%). Previsioni che non piacciono al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che attacca via Nazionale. Gli esperti di Bankitalia mettono l'accento sull'esplosione del debito. Nel 2009 l'indebitamento della pubblica amministrazione dovrebbe salire al 5,3% del Pil dal 2,7% dell'anno precedente. Il debito dovrebbe aumentare "di circa dieci punti" attestandosi al 115,1%. Tra le conseguenze più pesanti della crisi c'è l'elevato numero di disoccupati. La Banca d'Italia ritiene fra l'altro che, sommando i lavoratori disoccupati a quelli in Cassa integrazione e ai lavoratori 'scoraggiati', il tasso di disoccupazione, nel complesso dell'economia italiana, sarebbe stato, nel secondo trimestre del 2009, pari al 10,2% anziché al 7,4%. Il 2,8% in più è dovuto per 1,2 punti alla Cig e per 1,6 punti al fenomeno dello 'scoraggiamento'. E pertanto il numero dei lavoratori in cerca di occupazione sale a 2,6 milioni a fronte dei 2 milioni del secondo trimestre 2008. "Sommare, come fanno solo la Cgil e il Servizio studi della Banca d'italia, i disoccupati veri e propri con i cassintegrati (che sono e restano legati alle rispettive imprese da un rapporto di lavoro solo temporaneamente sospeso) e addirittura con i cosiddetti 'scoraggiati' è un'operazione scientificamente scorretta e senza confronto con gli altri paesi dove ci si attiene all'autorità statistica". Lo dichiara in una nota il ministro del Welfare. "Ciò - prosegue - significa negare l'effetto della politica di governo, concertata con le parti sociali, per cui in una crisi globale della domanda si è voluta conservare la base produttiva e occupazionale, attraverso la cassa integrazione e i contratti di solidarietà". La progressiva uscita dalla crisi avrà come effetto anche la ripresa dell'inflazione, che nel 2009 si è attestata su un tasso tendenziale dello 0,8%. "L'inflazione al consumo - si legge nel bollettino - risalirebbe all'1,5% nella media di quest'anno e si porterebbe all'1,9% nel 2011". Atteso anche un miglioramento ciclico molto marcato della produttività del lavoro che "si tradurrebbe in un notevole raffreddamento della dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto del settore privato (dopo i forti aumenti e in un deciso calo della componente interna dell'inflazione, che scenderebbe al di sotto del 2%". "I margini di profitto del settore privato, seguendo il consueto profilo ciclico, si espanderebbero complessivamente di tre punti percentuali nel 2010-11, recuperando più della metà della flessione registrata nell'ultimo biennio", è scritto ancora nel bollettino.

Atene in difficoltà (19 gennaio 2010).
Atene deve compiere ogni sforzo possibile per risanare le sue finanze pubbliche e rendere assolutamente trasparenti i suoi dati sui conti, rendendo affidabili le proprie statistiche economiche ed evitare in futuro le gravi irregolarità del recentissimo passato. È il monito che l'Eurogruppo ha lanciato alla Grecia, mostrando una linea di fermezza che non prevede ulteriori ritardi o passi falsi da parte del governo ellenico. I ministri della zona euro non hanno nascosto la loro preoccupazione per gli effetti della crisi greca sull'intera economia di Eurolandia, a partire dall'indebolimento della moneta unica che sta cedendo terreno sia contro il dollaro che contro lo yen. «Capisco perchè i mercati non sono ancora convinti dalle promesse greche», ha detto il ministro delle finanze olandese, Wouter Bos. Più duro il collega tedesco, Wolfgang Schauble, che teme un «contagio» della situazione greca in tutta Eurolandia: «Il governo greco deve prendere decisioni difficili ed attuarle. Perchè la Grecia - ha detto - deve assolutamente adempiere ai suoi obblighi». Il governo Papandreou nel programma di stabilità presentato a Bruxelles si è impegnato a portare il deficit sotto il 3% entro il 2012, attraverso un piano di riforme strutturali tese a modernizzare profondamente il sistema economico. Ma qualche dubbio anche tra i membri dell'Eurogruppo resta. Anche se toccherà alla Commissione Ue dare un giudizio, da trasformare in una nuova raccomandazione al governo ellenico che dovrebbe essere pronta a metà febbraio. A quel punto Atene avrà quattro mesi di tempo per compiere i passi richiesti, pena diventare il primo Paese dell'Eurozona a vedersi infliggere sanzioni per cattiva condotta sui conti pubblici. I ministri di Eurolandia temono dunque che la situazione greca possa in parte compromettere la ripresa dell'economia. Una ripresa ancora incerta, con altri Paesi che - per usare un'espressione adottata da un'agenzia di rating giorni fa a proposito di Grecia e Portogallo - rischiano una «morte lenta» per il loro elevato debito pubblico. Debito che li costringe a spendere la maggior parte della ricchezza prodotta per il pagamento degli interessi invece che per gli investimenti nello sviluppo. La situazione finanziaria ed economica di Eurolandia comunque migliora. Anche se - sottolineano i ministri dell'Eurogruppo, ai cui lavori ha partecipato anche il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet - l'incertezza rende difficile tracciare una precisa road map per le exit strategy. Quelle per ritirare le misure di rilancio dell'economia e gli aiuti al settore finanziario, e quelle per risanare i conti pubblici. Scetticismo generale, infine, sia sulla possibilità di estendere all'Europa una tassa sulle banche, come annunciato dall'amministrazione Obama in Usa, sia su una tassazione comune dei bonus dei banchieri, già annunciato a livello nazionale da Regno Unito e Francia.
Previsioni negative dalla BCE (21 gennaio 2010).
La disoccupazione nell'area dell'euro dovrebbe continuare ad aumentare, attenuando la crescita dei consumi". Lo scrive la Bce nel Bollettino mensile di gennaio, aggiungendo che si prevedeno "dinamiche complessivamente contenute dei prezzi, dei costi e dei salari, in linea con una lenta ripresa della domanda nell'area dell'euro e fuori dai suoi confini". Poi, l'indicazione ai Governi dell'area dell'euro: "Un'adeguata ristrutturazione" del settore bancario dovrebbe rivestire "un ruolo importante" per le riforme strutturali. L'istituto di Francoforte non precisa i singoli Paesi a cui si riferisce, ma è presumibile si riferisca in particolare a quelli che hanno dovuto effettuare durante la crisi massicci interventi di salvataggio degli istituti privati e pubblici. Non è il caso dell'Italia. "Situazioni patrimoniali sane, si legge nel Bollettino, un'efficace gestione del rischio e l'adozione di modelli imprenditoriali solidi e trasparenti sono essenziali per rafforzare la tenuta delle banche agli shock gettando le basi per una crescita economica sostenibile e per la stabilità finanziaria".
Esuberi alla Sony-Ericsson (25 gennaio 2010).
Tempi duri, anzi durissimi per il colosso svedese Ericsson, primo produttore mondiale di reti per tlc mobili. La crisi ha colpito duramente anche questo settore con la domanda da parte delle compagnie telefoniche in caduta verticale. E gli utili, nel quarto trimestre sono letteralmente crollati (-92% circa 30,7 milioni di euro). Così il gruppo ha annunciato una nuova stretta sui costi che porterà a un ulteriore taglio di 1.500 dipendenti. Che insieme ai 5mila annunciati a gennaio 2009 portano il numero degli esuberi a 6.500. Nel quarto trimestre il fatturato di Ericsson è diminuito del 13% a 58,3 miliardi di corone (contro una stima di 59,8 miliardi) di riflesso alla crisi economica e a una concorrenza nel frattempo aumentata - per quanto riguarda il settore degli apparecchi telefonici - da parte della cinese Huawei. "Nel corso della seconda metà del 2009 le vendite delle reti hanno scontato da un calo delle spese degli operatori in molti mercati" ha affermato il presidente Hans Vestberg, spiegando che le note negative sono arrivate soprattutto dall'Europa centrale, dal Medio Oriente e dall'Africa. Inoltre, non bisogna dimenticare che i pessimi risultati che le due joint venture della holding svedese, Sony-Ericsson e St-Ericsson, hanno presentato venerdì scorso hanno gravato sui conti (con un carico negativo pari a 1,46 miliardi di corone contro 1,28 miliardi del 2008). "Abbiamo mantenuto le quote di mercato in tutti i segmenti, il cash flow è buono e la nostra posizione finanziaria è forte" ha sottolineato ancora Vestberg. Pochi esperti comunque prevedono un forte rimbalzo dell'attività nel settore e, pur considerando i segnali di miglioramento evidenziati dall'economia mondiale, rinviano una ripresa al 2011. La diretta rivale di Ericsson, Alcatel-Lucent, stima per il 2010 una crescita piatta o di appena il 5% per il mercato, mentre Nokia-Siemens Networks prevede che non ci sarà alcuna crescita. Il gruppo svedese non ha dato alcuna previsione per l'esercizio in corso ma ha ricordato che, nel 2009, gli operatori di un certo numero di Paesi sono stati molto prudenti nel programmare i loro investimenti. I mercati di Cina, India e Stati Uniti tuttavia, dovrebbero rimanere forti, così come il segmento dei servizi professionali.
Per il FMI la ripresa è vicina (28 gennaio 2010).
La ripresa globale "è partita prima e più forte del previsto" ma sarà "lenta rispetto alle precedenti esperienze" e soprattutto procederà a velocità e intensità diverse nelle diverse regioni. La diagnosi è del Fondo monetario internazionale che ha aggiornato al rialzo le sue previsioni economiche. In particolare, l'istituto di Washington prevede ora che il Pil mondiale crescerà quest'anno del 3,9%, con un miglioramento dello 0,8% rispetto ai numeri diffusi a ottobre scorso. La stima per il 2011 sale invece dello 0,1% al 4,3%. Per l'Italia l'Fmi ritiene possibile una crescita dell'1% nel 2010. Nel complesso, il prodotto delle economie avanzate è previsto aumentare del 2,1% (+0,8%) quest'anno e del 2,4% (-0,1%) il prossimo. Gli Stati Uniti dovrebbero mettere a segno una crescita rispettivamente del 2,7% (+1,2%) e del 2,4% (-0,4%). Il Fondo monetario internazionale rivede al rialzo le stime di crescita per l'italia. Per il 2010 il Fmi prevede infatti una crescita del pil di 0,8 punti percentuali in più rispetto alle ultime previsioni ufficiali. Per il 2011 la stima è di una crescita dell'1,3% (+0,6 punti rispetto a ottobre). E la crescita italiana è in linea con quella di Eurolandia, che il Fmi stima crescere quest'anno dell'1,0% e il prossimo dell'1,6%. All'interno dell'area euro, il Fondo prevede per la Germania un'espansione del pil dell'1,5% quest'anno e dell'1,9% il prossimo (rispettivamente +1,2 e +0,4 punti percentuali rispetto alle precedenti previsioni), mentre il pil francese segnerà un +1,4% nel 2010 e un +1,7% nel 2011 (+0,5 e -0,1 punti percentuali rispetto a ottobre). La Spagna sarà invece il fanalino di coda: l'economia è prevista contrarsi dello 0,6% quest'anno per poi salire il prossimo dello 0,9%.; di questi tempi si scopre che il boom economico spagnolo era parzialmente drogato dalla massa di asset tossici delle sue banche. Lo stesso si può dire, anche se in tono minore della GB e dell'Irlanda. All'interno del Vecchio Continente, il Fondo prevede per il Regno Unito un pil in progresso dell'1,3% e per il 2011 del 2,07% (+0,4 e +0,2 punti percentuali rispetto alle precedenti stime di ottobre). Come sottolineato dallo stesso Fmi, ben altre dinamiche di espansione sono attese per le grandi economie emergenti. A cominciare alla Cina, che nel 2009 ha segnato un rialzo dell'8,7 per cento mentre il mondo accusava una contrazione dello 0,8 per cento. Quest'anno la crescita del dragone sarà un galoppante 10 per cento - l'unico tasso a due cifre tra tutti i paesi elencati - e a seguire un più 9,7 per cento nel 2011. Sull'India il Fondo prevede un più 7,7 per cento nel 2010 e un più 7,8 per cento nel 2011; sul Brasile più 4,7 per cento nel 2010 e più 3,7 per cento nel 2011. Per la Russia è atteso un più 3,6 per cento nel 2010 e un più 3,4 per cento nel 2011. Nel comunicato il Fondo Monetario Internazionale sottolinea però che restano sfide e importanti rischi per l'outlook. "Ci sono ancora significativi rischi per l'outlook. Il rischio al ribasso per l'economia è legato a un ritiro prematuro delle politiche di stimolo messe in atto che potrebbe mettere a rischio la crescita". A questo si aggiungono i rischi legati al peggioramento dei bilanci e a un aumento del tasso di disoccupazione. "Le ipotesi al rialzo per l'economia sono legati a un ritorno della fiducia e a una riduzione dell'incertezza che potrebbero portare a un miglioramento sui mercati finanziari e a una ripresa più forte del previsto del commercio e della domanda privata". Secondo il Centro studi di confindustria, prosegue a gennaio il graduale recupero della produzione industriale nel nostro Paese. Nel mese si registra un rialzo dello 0,9% su dicembre 2009, quando si era avuto un aumento dello 0,2% su novembre (dati destagionalizzati). Rispetto al picco pre-crisi (aprile 2008), spiega il Csc, il livello di attività rimane inferiore del 20,8%, avendo recuperato il 6,2% dai minimi di marzo 2009. L'attività media giornaliera diminuisce in gennaio del 2% sui dodici mesi, riduzione inferiore a quella di dicembre (-4,3%). Le aziende che lavorano su commessa rilevano in gennaio un recupero degli ordini sia in termini mensili (+1,3% su dicembre) sia annui (+3,5% su gennaio 2009). In dicembre erano aumentati dell'1,0% su novembre e del 2,8% annuo. L'andamento degli ordini, soprattutto quelli esteri, prosegue il trend rilevato dall'Istat in novembre (+2,6% mensile gli ordinativi totali e +2,8% quelli esteri) e suggerisce che l'incremento dell'attività industriale proseguirà nei prossimi mesi. La prospettiva è confermata dall'indagine Isae sulle imprese manifatturiere che ha segnalato in dicembre un forte miglioramento delle attese di produzione e del giudizio sugli ordini.
Trichet contro le banche (28 gennaio 2010).
L'Eurozona ha tenuto alla crisi in maniera solida anche se «siamo ancora sotto stress». Lo ha affermato il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, in un panel a Davos insieme al premier greco Papandreu e al premier spagnolo José Louis Zapatero durante il World Economic Forum. «Abbiamo ancora lezioni da trarre dalla crisi - ha aggiunto Trichet - ma voglio ricordare che il Patto di stabilità e di crescita ha funzionato anche se permanentemente dobbiamo chiamare al rispetto rigoroso degli accordi». Il presidente della Bce ha poi lanciato un ammonimento alle banche: devono essere più trasparenti, ha spiegato, e il punto principale adesso è quello di «ristrutturare i loro bilanci affinché siano in grado di fare il loro lavoro, ovvero finanziare l'economia reale. Devono farlo con ogni mezzo possibile, mettendo da parte i loro utili per rafforzare i bilanci, evitare di distribuire ampi dividendi, pacchetti remunerativi o bonus», ha aggiunto.
Sale la disoccupazione in dicembre (30 gennaio 2010).
A dicembre il tasso di disoccupazione in Italia, comprensivo dei cassintegrati, è salito al 10,1%, in linea con quello europeo. Lo calcola il Centro studi di Confindustria parlando di «trend ascendente». «A dicembre - si legge - la percentuale di imprese che si attendeva una riduzione del numero di addetti (28,6%) era ancora nettamente superiore a quella che prevedeva un incremento (9,7%), benchè si fossero stabilizzate le opinioni sulle condizioni operative aziendali. La Cgil ha invece diffuso il rapporto sulla Cassa integrazione nel 2009, da cui emerge che dall'ottobre 2008 al dicembre 2009 le ore di Cig (tra ordinaria e straordinaria) autorizzate sono state oltre 1 miliardo. Nel solo 2009 - spiega il sindacato di corso Italia - c'è stato il maggiore ricorso alla Cig di sempre, con oltre 918 milioni di ore (+311% sul 2008). Dallo studio della Cgil emerge che la sola cassa ordinaria nel 2009 ha totalizzato oltre 578 milioni di ore, con un aumento del 410,37% sull'anno precedente, con alcuni grandi settori, anche in termini occupazionali, come quello Trasporti e comunicazioni e quello Metallurgico, che hanno visto un incremento rispettivamente di +1.025% e +1.245%. Il settore Meccanico ha aumentato la richiesta del +703% per un totale di quasi 300 milioni di ore. È cresciuta anche la cassa integrazione straordinaria (+209%), in particolare nella seconda parte dell'anno, anche con un raddoppio di ore sui mesi precedenti, raggiungendo i livelli attuali di erogazione di quella ordinaria: «Il risultato - spiega la Cgil - è segno di un peggioramento degli aspetti strutturali della crisi industriale ma anche il frutto dell'entrata in vigore della nuova normativa che ha introdotto la possibilità, una volta completate le 52 settimane di cassa ordinaria, di continuare la sospensione dal lavoro in regime di straordinario». Quanto alle regioni che hanno totalizzato un maggiore ricorso alla Cig ordinaria, si segnalano la Lombardia con 182 milioni di ore per un aumento del 627%, l'Emilia Romagna (+813%), l'Abruzzo (+618%), il Piemonte (+532%), il Veneto (+567%) e le Marche (+482%). «La Cassa integrazione - sottolinea la segretaria confederale della Cgil, Susanna Camusso - ha permesso di contenere, fino ad oggi, in parte i riflessi della crisi sull'occupazione e per questo resta essenziale intervenire per prolungare i massimali di quella ordinaria, come fondamentale obiettivo immediato per fermare i licenziamenti». Le ore di Cig hanno coinvolto un numero di lavoratori che ha superato il milione: per costoro i riflessi della loro condizione sul reddito sono stati molto pesanti. Nel rapporto si calcola che l'ammanco nelle loro tasche è di oltre 3 miliardi e 300 milioni mentre se consideriamo il valore assoluto, ovvero le zero ore, la minore disponibilità economica peggiora ulteriormente ed è di oltre 3 miliardi e 700 milioni (sempre considerando valori e perdite medie sugli stipendi). Ovvero, ogni lavoratore se è stato in Cig ordinaria o straordinaria in relazione ad un periodo di 25 settimane, ha perso tra i 3.000 e i 3.500 euro, mentre un lavoratore che è stato a zero ore per tutto l'anno ha perso tra i 7.500 e gli 8.000 euro. «L'alto ricorso alla Cig - fa notare ancora la Camusso - ha rappresentato nello stesso tempo una difesa dagli effetti della crisi produttiva ma anche il risultato di una crisi profonda che ha investito il nostro apparato produttivo».
Cala la disoccupazione negli Usa (5 febbraio 2010).
Le Borse europee riprendono fiato e Wall Street torna a ben sperare, dopo il giovedì (4 febbraio) di paura sulle piazze del Vecchio Continente (legato ai timori sul debito e sulla tenuta economica di Spagna e Portogallo). A dare tregua ai listini sono i dati sull'occupazione Usa: il dipartimento del Lavoro americano ha infatti annunciato che a gennaio l'economia degli States ha bruciato inaspettatamente 20.000 posti di lavoro ma che il tasso di disoccupazione è sceso dal 10% al 9,7%, segnando il livello più basso da agosto scorso. Vi sono segnali incoraggianti di «inizio di ripresa» ha commentato la Casa Bianca. «Anche se i dati odierni mostrano segnali di inizio di ripresa - ha commentato il consigliere economico Christina Romer - sono anche un promemoria di quanto sia lunga la strada per riportare la nostra economia ad un eccellente stato di salute e alla piena occupazione». Intanto il premier spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero, ha assicurato che il debito della Spagna resta su un livello «ragionevole» e lo status «di paese solvibile è garantito». «Dopo la crisi, è venuto il momento di ripianare i conti pubblici», ha commentato Zapatero durante una visita alla Camera di commercio americana. Da alcuni giorni, gli osservatori e gli analisti sono preoccupati per lo stato dei conti pubblici di Spagna e Portogallo, che agita il fantasma della Grecia, i cui deficit e debito sono talmente alti che la Commissione europea ha deciso di mettere il paese sotto semi-tutela. I mercati non hanno ragioni «oggettive» per essere preoccupati dell'andamento delle finanze pubbliche spagnole, è la precisazione del segretario di Stato spagnolo all'Economia, Josè Manuel Campa, spiegando che «i mercati prendono decisioni sulla base di percezioni del rischio che, da un punto di vista soggettivo, sono più elevate, ma che, da un punto di vista oggettivo, non hanno ragione d'essere».
Debito statale Cds (8 febbraio 2010).
«Il mercato spesso anticipa le agenzie di rating che, nei periodi più bui della crisi, non hanno dato grande prova di tempestività». È questo il leit motive che spesso rimbalza nelle sale operative delle investment bank quando si parla del debito sovrano. Un leit motive che, giocoforza, fa sorgere immediatemente una domanda: ma allora, attraverso quali strumenti gli analisti (il mercato) monitorano il debito degli stati? La risposta è complessa, Impresa Oggi ne ha già parlato, ma riteniamo che sia il caso di ritornare sull'argomento. In generale sono due gli elementi cui gli operatori guardano, almeno in prima battuta. Da un lato, lo sguardo si posa sui differenziali tra i rendimenti di obbligazioni simili (decennali) emessi da paesi differenti, tenendo come benchmark il bond dello stato considerato più "virtuoso". In Europa questa funzione è svolta dalla Germania e dal suo TBund decennale. Se il rendimento (il reddito prodotto da un investimento espresso in percentuale del capitale investito) del bond non tedesco è maggiore, cioè c'è una differenza tra lo yield dell'emissione di Berlino e quella dell'altro stato, significa che gli operatori si fidano poco e comprano di meno il titolo dell'altro stato. Giocoforza, quest'ultimo deve pagare di più per piazzare i suoi prestiti durante le aste o sul mercato secondario: il rendimento che incassa il creditore è il prezzo per il rischio. Ma non è solo questione di differenziali: ormai si fa sempre più riferimento ai Credit default swap (Cds). Questi sono dei contratti con cui un soggetto terzo assume il rischio, dietro un pagamento da parte dell'emittente, dell'eventuale insolvenza dell'emittente stesso: spesso si parla di una polizza per il bond. Se la loro quotazione sale, vuol dire che il premio della polizza sale e, quindi, che il mercato prezza un maggiore rischio sull'insolvenza; se, viceversa, le loro quotazioni scendono, allora il rischio di default diminuisce. Questi Cds, fino a poco fa, erano conosciuti solo da pochi esperti. Adesso non passa giorno che giornali e divulgatori li utilizzino come indizi sullo stato del merito di credito di un paese. Dimenticando, però, una cosa: come tutti i derivati sono soggetti a speculazioni o a bolle. Certo, la loro utilità non è irrilevante. Ma il loro "messaggio" deve essere maneggiato con cura, soprattutto perché sono trattati sui mercati Over the counter, cioè mercati opachi. In tal senso, è interessante notare che al 30 settembre 2009, negli Stati Uniti, il 96% dei contratti swap era intermediato da solo cinque banche: JpMorgan, Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup. Il dato, pubblicato dall'Office of the comptroller of the currency, è riferito a un valore nominale di oltre 172.000.000 milioni di dollari. Una cifra incredibile che, se ovviamente nulla dice rispetto all'operatività di queste banche, la pulce nell'orecchio (sulla possibilità della loro attività di trading con i Cds) la mettono. Insomma, di recente si è parlato della possibilità che sui Cds siano state svolte operazioni speculative, assolutamente lecite per carità, ma con la conseguenza che le loro quotazioni siano diventate più volatili e meno attendibili. Magari proprio in occasione delle ultime turbolenze sui mercati del credito sovrano, in seguito alle difficoltà di Grecia, Spagna e Portogallo.
Allarme per la Grecia (9 febbraio 2010).
La situazione della zona euro in particolare quanto sta avvenendo in Grecia è «senza precedenti ma la stiamo affrontando». Lo ha detto il commissario Ue per gli Affari economici e monetari Joaquin Almunia, durante il dibattito sulle difficoltà di Eurolandia. Il commissario, che da mercoledì sarà responsabile per la Concorrenza, ha fatto riferimento al programma «ambizioso» per rimettere in carreggiata i conti pubblici di Atene. La Commissione Ue dà il suo «appoggio» alle autorità greche in questo sforzo che richiede riforme strutturali, ha sottolineato Almunia, rilevando che «l'aumento dello spread fra i titoli di stato tedeschi e quelli greci mostra che la situazione rimane complessa». «La Commissione - ha sottolineato Almunia - è preoccupata per la situazione economica, in particolare in Grecia, che rappresenta un problema per la zona euro e per l'intera Ue». Le mosse del governo greco sono sotto stretto controllo Ue ed è chiaro che «se dovessero materializzarsi rischi di scivolamento rispetto agli obiettivi di consolidamento del bilancio saranno necessarie misure addizionali». Lo ha detto il commissario Joaquin Almunia all'Europarlamento. Almunia ha aggiunto che su questo sono d'accordo anche le autorità greche. La situazione dei conti pubblici greci costituisce fonte di preoccupazione per l'intera zona euro ed esiste il rischio di un possibile «rischio contagio». La Commissione appoggia peraltro pienamente il piano di rientro del deficit messo a punto dall'esecutivo ellenico, che rischia però di rivelarsi ottimistico come le parallele proiezioni macro. «La difficile situazione in Grecia è fonte di comune timore per la zona euro... c'è un grave rischio di contagio ad altre parti dell'unione monetaria» ha sottolineato Almunia. E' dunque cruciale, conclude Almunia, che Atene resti pronta ad adottare ulteriori provvedimenti per correggere il disavanzo eccessivo. Il governo greco ha annunciato una serie di riforme come il blocco dei salari dei dipendenti pubblici e la riforma delle pensioni. Riforme non accolte bene però dalla popolazione dato che è in programma uno sciopero del settore pubblico di 24 ore, che chiuderà scuole e ospedali e lascerà a terra tutti gli aerei da e per il paese.
Produzione industriale nel 1009 (10 febbraio 2010).
La produzione industriale nel 2009 è diminuita del 17,4% rispetto al 2008. Lo comunica l'Istat precisando che il calo corretto per gli effetti di calendario è stato del 17,5%. Si tratta della diminuzione più forte dal '91, primo anno di confronto delle serie storiche. Nel 2009, considerando i dati corretti per gli effetti di calendario, il calo della produzione più consistente si è avuto sui beni intermedi (-24,9%) e nei beni strumentali (-21,2%). Per i beni di consumo il calo della produzione è stato più contenuto (-6,9%) grazie a un calo della produzione dei beni non durevoli del 4,3% e di un calo per i beni durevoli del 17,8%. La produzione di energia ha registrato una diminuzione dell'8,9% sul 2008. Tra i settori la diminuzione più forte l'ha registrata la produzione di metallurgia (-29,1%) e la fabbricazione di macchinari (-28,7%) ma anche la fabbricazione di mezzi di trasporto (-25,2%). La diminuzione più contenuta è stata registrata dagli alimentari (-1,6%), mentre l'unico settore che ha registrato un aumento della produzione è la farmaceutica con un +2,8%. In totale controtendenza il settore auto nel mese di dicembre. La produzione industriale di autoveicoli a dicembre è aumentata del 85,1% rispetto a dicembre 2008. Nella media annua 2009 - precisa l'Istat - si è registrato un calo della produzione auto rispetto al 2008 del 20,5% in termini grezzi e del 21,3% secondo il dato corretto per gli effetti di calendario. Ieri il governo ha comunicato che per il 2010 non ci saranno incentici per il settore automiobilistico e Marchionne ha affermato che la Fiat produrrà 350.000 auto in meno.
BANKITALIA . Cresce il numero delle famiglie indebitate (10 febbraio 2010).
La percentuale di famiglie indebitate è aumentata di quasi due punti percentuali, al 27,8%, un valore ancora inferiore a quelli dei principali paesi industrializzati, in particolare nel comparto dei mutui. Lo scrive Bankitalia nell'indagine sui bilanci delle famiglie italiane, aggiungendo come non sia tuttavia aumentato il loro grado di vulnerabilità finanziaria, misurato dall'incidenza della rata dei prestiti per immobili sul reddito disponibile, in linea con quanto rilevato nel 2006 e in altri paesi euro. Il numero medio di percettori di reddito per famiglia è maggiore al Nord e al Centro, scrive Bankitalia, mentre rispetto a una famiglia il cui capofamiglia ha un'età compresa tra 45 e 54 anni, quelle con capofamiglia di età compresa tra i 35 e i 44 anni presentano mediamente un numero di percettori inferiore del 10%. Per quanto riguarda la distribuzione del reddito c'è da osservare che quello dipendente è risultato pari a 16.373 euro, con una diminuzione del 3,3% in termini reali rispetto al 2006. Quello da lavoro indipendente è risultato invece pari a 20.374 euro, con una diminuzione in termini reali del 12,5%. Il reddito individuale medio da lavoro (autonomo e indipendente) è inferiore per le donne e al Sud e nelle isole, mentre i laureati guadagnano quasi il doppio rispetto a coloro che sono privi di titolo di studio. Nel biennio 2006-2008 il reddito medio delle famiglie si è contratto in termini reali di circa il 4%; tenendo conto dei cambiamenti nell'ampiezza e nella composizione della famiglia il reddito equivalente è caduto circa del 2,6%. La riduzione è sostanzialmente simile a quella osservata nel corso della precedente recessione tra il 1991 e il 1993. Nel dettaglio la riduzione dei redditi - spiega lo studio di Palazzo Koch - ha riguardato in misura maggiore i lavoratori indipendenti rispetto ai dipendenti e agli individui in condizione non professionale. Inoltre, la contrazione è stata maggiore per gli individui di età inferiore ai 55 anni ed in particolare per quelli con meno di 45 anni. La quota di individui residenti in Italia e nati all'estero - scrive ancora Bankitalia - è cresciuta fra il 2006 ed il 2008 di due punti percentuali portandosi a circa il 7% della popolazione. Di questi, circa il 36% ha cittadinanza italiana. Il 24% di quelli con altra cittadinanza è costituito da cittadini di paesi appartenenti all'Unione europea. Nel 2008, inoltre, la ricchezza familiare netta, data dalla somma delle attività reali (immobili, aziende e oggetti di valore) e delle attività finanziarie (depositi, titoli di stato, azioni e altro) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), presenta un valore mediano di 153 mila euro. In termini reali, dopo essere cresciuto di circa il 44% dal 1993 al 2006 soprattutto grazie all'aumento del valore degli immobili, questo importo è diminuito di circa l'1% nel biennio successivo. E sempre in relazione all'abitazione, Via Nazionale rileva che l'affitto medio pagato dalle famiglie è stato nel 2008 pari a circa 336 euro al mese per una casa della superficie media di 75 metri quadri. Considerando un'abitazione di dimensione mediana, nell'ultimo biennio l'incidenza della spesa dell'affitto sul reddito delle famiglie locatarie è aumentato di circa un punto percentuale, portandosi su un livello di circa il 18,6%.
Accordo europeo per salvare la Grecia (11 febbraio 2010).
I paesi della zona euro adotteranno se sarà necessario misure «determinate e coordinate per preservare la stabilità finanziaria» messa a rischio dagli attacchi verso la Grecia sui mercati. Lo ha detto il presidente della Ue Herman Van Rompuy, leggendo una dichiarazione ufficiale dopo l'incontro con il presidente francese Nicolas Sarkozy, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier Greco George Papandreou, il presidente della Bce Jean Claude Trichet e il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Durao Barroso, poco prima del vertice informale dei capi di stato e di governo della Ue a Bruxelles nel corso del quale sarà presentato l'accordo per il sostegno alla Grecia (Giova ricordare che Francia e Germania detengono più del 30% del debito dello stato greco). Il governo greco, ha aggiunto Van Rompuy, «non ha chiesto alcun sostegno finanziario». Nella dichiarazione si esprime «pieno sostegno al piano di risanamento della Grecia, che «dovrà fare quanto è necessario per realizzare l'ambizioso programma, inclusa l'attuazione di misure supplementari» per ridurre il deficit pubblico. La Ue non «lascerà cadere» la Grecia, ha commentato la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ha precisato che «la zona euro deve essere pronta a preservare la stabilità finanziaria minacciata dalla situazione della Grecia. «Da parte sua, la Grecia - ha aggiunto - deve essere pronta a fare tutto il necessario, anche decidere misure supplementari, per garantire che gli obiettivi di riduzione del deficit per quest'anno siano garantiti».
Nel 2009 il Pil è calato del 4,9% (12 febbraio 2010).
Nel 2009 il prodotto interno lordo dell'Italia è crollato del 4,9%, il dato peggiore dal 1971. Un unico sprazzo positivo per la crescita si è registrato nel terzo trimestre quando il Pil è cresciuto, a livello congiunturale, dello 0,6 per cento. Per il resto dello scorso anno il prodotto interno lordo nazionale ha messo a segno una serie di dati negativi. Segno negativo, in effetti, anche per l'ultimo trimestre dell'anno con il Pil, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 2,8% rispetto al quarto trimestre del 2008. Gli analisti contattati dall'agenzia Bloomberg avevano stimato una crescita dello 0,1% trimestre su trimestre. La diminuzione congiunturale del Pil è il risultato di una diminuzione del valore aggiunto dell'industria, di una sostanziale stazionarietà del valore aggiunto dei servizi e di un aumento del valore aggiunto dell'agricoltura. Il quarto trimestre del 2009 ha avuto due giornate lavorative in meno rispetto al trimestre precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al quarto trimestre del 2008. Oggi sono usciti anche i dati sul Pil tedesco e francese del quarto trimestre: l'Italia risulta l'unico dei tre grandi dell'Eurozona con crescita economica negativa. In Germania infatti il Pil è risultato pari a zero mentre in Francia è salito dello 0,6 per cento. Il ritorno in territorio negativo aumenta i timori di un "double dip", cioè di una seconda fase recessiva che si aprirebbe nel caso di un Pil negativo anche nel primo trimestre del 2010. A questo punto la crescita acquisita per il 2010 è già pari a zero. Si tratta del peggiore "abbrivio" tra i quattro big dell'Eurozona: l'effetto di trascinamento sul Pil 2010 è per la Francia pari a +0,61%, per la Germania +0,48%, per la Spagna +0,49 per cento. Più debole anche la ripresa di Eurolandia Si conferma fragile la ripresa economica dell'area euro, con il Pil del quarto trimestre che segna un limitato incremento dello 0,1% (stesso andamento anche nella Ue a 27) rispetto ai tre mesi precedenti, secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat. Nel terzo trimestre i tassi di crescita sono stati di +0,4% e +0,3% rispettivamente per Eurozona e nell'intera Unione. Rispetto al quarto trimestre 2008 -2,1% e -2,3% dopo -4% e -4,3%. Nel 2009 il Pil è calato nell'Eurozona del 4%, nella Ue del 4,1 per cento (inclusa una correzione per gli effetti dei giorni lavorativi).
Il deprezzamento dell'Euro dà ossigeno alle imprese europee (13 febbraio 2010).
Qualcuno, in qualche modo e con i tempi della politica europea salverà alla fine la Grecia. Qualcuno lo dovrà fare, perché lasciare Atene al proprio destino significherebbe attirare la speculazione internazionale su Spagna, Portogallo, Irlanda e, forse, anche Italia. In realtà la crisi ha già compilato una bella lista di costi: rendimenti molto più alti nei titoli di Stato dei paesi a rischio, che complicano ulteriormente il risanamento fiscale; una caduta delle borse europee che è quasi doppia rispetto a Wall Street (Milano e Parigi, per esempio, hanno perso l'11-12% dai massimi di qualche tempo fa contro il 6% dello S and P); un deprezzamento dell'euro che a ieri si misurava in un tondo 10%. Per fortuna la crisi non ha ancora intaccato la credibilità della Germania e dei suoi Bund (e forse nemmeno della Francia). Resta il danno all'euro. Ma è davvero cosa di cui la banca centrale europea e i nostri politici possono rammaricarsi? E per chi investe in Borsa? Sotto un certo aspetto la crisi dell'euro è una sorta di manna: per i paesi indebitati (verso altre aree valutarie), per le imprese che esportano e per i titoli industriali o, comunque, per i ciclici quotati in borsa. L'importante è che il deprezzamento della valuta non sia traumatico o caotico, perché costringerebbe le imprese a costose forme di protezione. Ed è importante che la svalutazione sia in qualche modo guidata, che si riesca a controllare o quanto meno a mitigare la speculazione al ribasso che tanto s'è accanita sull'euro. Infine, la correzione della valuta non dev'essere episodica, ma stabile il più a lungo possibile. Facile a dirsi: ma il clima d'incertezza sul salvataggio della Grecia, quasi non ci fossero i motivi per un'emergenza, potrebbe significare che sotto l'apparente indecisione di Francoforte e di Bruxelles c'è anche un calcolo. Facile a dirsi, perché sull'altra sponda, il Tesoro americano e la Fed stanno coltivando gli stessi propositi sul dollaro. E se Wall Street e i titoli di stato Usa sono sembrati fino ad oggi relativamente immuni dalla bufera europea, è probabilmente solo una questione di tempo. Quanto a finanze pubbliche e quanto all'indebitamento del sistema, gli Stati Uniti stanno forse peggio dell'Europa e la quasi bancarotta della California, che da sola vale il Pil di un medio stato europeo, ne è la prova. È soprattutto il tenore della ripresa economica che ora rischia di prolungare la recessione o più propriamente la stagnazione in Europa. Se gli economisti hanno stimato per il 2010 una crescita del Pil dell'area euro (attorno all'1,2%) che è meno della metà di quello Usa, i dati arrivati ieri (Pil in crescita dello 0,1% nel 4° trimestre 2009 contro il +0,3% delle attese) sono assai sconfortanti. Un euro debole potrebbe risollevare l'economia, specie in quei paesi (come Germania e anche Italia) dove più si esporta. Ne beneficerebbero i titoli ciclici sui quali alcuni investitori istituzionali stanno già pensando di puntare. Ma a Wall Street si creerebbe un danno più che proporzionale, perché il conseguente rafforzamento del dollaro, oltre a indebolire le esportazioni, ridurrebbe significativamente i ricavi (e gli utili) delle maggiori società che proprio fuori dagli Usa trovano ormai i loro maggiori mercati. Non va dimenticato che nelle previsioni degli analisti, circa il 30% dei maggiori ricavi stimati per le società industriali e tecnologiche dello S and P dovrebbero provenire dall'estero. Infine andrebbe notato che le borse europee sono un po' meno care di Wall Street: secondo il consenso (Thomson-Reuters), il rapporto prezzo utili dello Stoxx sarebbe di circa 12,5 per il 2010, contro il 13,5 dello S and P 500. In settimana lo S and P ha recuperato lo 0,9% (+2% il Nasdaq) e lo Stoxx l'1,5% (+1,6% Londra, +1,2% Francoforte, +1,1% Milano, +1% Parigi).
Export italiano nel 2009 (15 febbraio 2010).
Nel 2009, le esportazioni italiane sono crollate del 20,7% e le importazioni del 22%, rispetto al 2008. Lo comunica l'Istat, aggiungendo che si tratta dei peggiori dati sui flussi commerciali dal 1970, ovvero da quando esistono le serie storiche. Nel 2009 le esportazioni italiane verso i Paesi dell'area Ue sono scese del 22,5% e le importazioni del 17,8%, rispetto al 2008 sottolinea ancora l'Istat aggiungendo che si tratta dei peggiori dati dal 1993, ovvero da quando esistono le relative serie storiche. Nello stesso periodo il saldo è stato negativo per 1.791 milioni di euro, in forte peggioramento rispetto all'attivo di 9.942 milioni di euro registrato nel 2008. Nel periodo il saldo commerciale italiano è stato negativo per 4,109 miliardi di euro, con una netta riduzione del passivo di 11,478 miliardi rilevato nel 2008. Per quanto riguarda l’interscambio commerciale complessivo del mese di dicembre 2009, le esportazioni sono diminuite, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, dell’1,9% e le importazioni del 3%. Il saldo commerciale è risultato negativo per 123 milioni di euro, inferiore a quello, pari a 415 milioni di euro, dello stesso mese del 2008. Nel confronto con novembre, i dati destagionalizzati relativi all’interscambio complessivo presentano, a dicembre 2009, un incremento sia per le esportazioni sia per le importazioni, con tassi di crescita pari rispettivamente al 4,4 per cento ed all’1,6 per cento. Negli ultimi tre mesi, rispetto ai tre mesi precedenti, i dati destagionalizzati mostrano una flessione dello 0,2 per cento per le esportazioni e una crescita del 2,4 per cento per le importazioni.
Scudo fiscale e pil nel 2009 (22 febbraio 2010).
L'ammontare di attività rimpatriate in Italia a seguito dello scudo fiscale è pari a 85,1 miliardi di euro. È quanto emerge dalle segnalazioni degli intermediari a Bankitalia, alla data del 15 febbraio 2010. Dalla sola Svizzera, si legge nelle segnalazioni, sono rientrati quasi 60 miliardi di euro, seguita a lunga distanza da Lussemburgo (7,3 miliardi) e Principato di Monaco (4,1 miliardi). Quasi il 50% dei capitali rientrati a seguito dello scudo fiscale arriva da depositi in conto corrente. E dicembre è stato il mese in cui si è sinora verificato il maggior ammontare di rimpatri, più del doppio del precedente mese di novembre. È quanto emerge dalle segnalazioni statistiche pervenute a Bankitalia al 15 febbraio 2010, che mostrano come i rientri legati allo scudo fiscale sia partito con il freno a mano tirato a settembre e ottobre (rispettivamente 524 e 6,16 miliardi di attività segnalate dagli intermediari), per poi decollare a novembre (25,18 miliardi) e dicembre (53,26 miliardi). L'importo indicato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con un comunicato stampa il 29 dicembre 2009 è pari a 95 miliardi di euro, ma la differenza tra i due valori, spiega Bankitalia, è motivata da diversi fattori. In primo luogo, dalle diverse fonti utilizzate (dati sul gettito dell'imposta, rispetto a segnalazioni ai fini della bilancia dei pagamenti); in seconda battuta dal fatto che la rilevazione della Banca d'Italia esclude alcuni beni patrimoniali (a esempio preziosi o opere d'arte) e le operazioni di importo inferiore alla soglia di rilevazione (50.000 euro se il paese di provenienza è nell'Ue, oppure Svizzera, Liechtenstein, Norvegia o Islanda, 12.500 euro negli altri casi); infine dal fatto che l'effettivo rimpatrio o regolarizzazione delle attività «scudate» può essere stato differito (l'effettivo rimpatrio o regolarizzazione può essere posticipato fino al 31 dicembre 2010) e, quindi, non ancora segnalato ai fini statistici. Sempre sul fronte economico da segnalare che l'Ocse sottolinea come il Pil nell'area Ocse nel 2009 ha segnato una contrazione del 3,4%, segnando il primo calo da quando si diede il via a questo tipo di statistica nel 1960. Accelera la crescita economica negli Stati Uniti e in Giappone nel quarto trimestre ma rallenta in Eurolandia. Secondo i dati dell'Ocse, il Pil nell'area è cresciuto dello 0,8% dopo il +0,6% del terzo trimestre ma mentre il Pil statunitense è cresciuto dell'1,4% e quello giapponese dell'1,1%, quello della zona euro ha segnato un modesto rialzo dello 0,1% dopo il +0,4% del trimestre precedente. Tra i Paesi di Eurolandia, prosegue l'Ocse, l'Italia ha visto una contrazione del Pil dello 0,2% negli ultimi tre mesi del 2009.
Il caso Grecia (26 febbraio 2010).
Il rating di Atene potrebbe essere tagliato di uno o due gradi entro un mese. Lo ha annunciato l'agenzia Standard and Poor's in un giorno difficile per la Grecia, quello dello sciopero generale contro il governo di Papandreu per le misure anti-deficit decise su pressione dell'Unione Europea. Standard and Poor's ha fatto sapere che manterrà il CreditWatch (vedi glossario finanziario) con implicazioni negative sul rating del debito sovrano della Grecia, già declassato a BBB+. Ciò significa che un ulteriore declassamento è possibile in tempi brevi. Un comunicato dell'agenzia internazionale di valutazione spiega che «un ulteriore downgrade di uno o due tacche è possibile entro un mese». I rischi connessi alla crescita reale e nominale greca sembrano infatti incrementare le dimensioni del necessario consoldamento fiscale «aumentando gli interrogativi circa la fattibilità degli ambiziosi obiettivi di bilancio del paese». L'annuncio arriva in una giornata di tensione ad Atene per il maxi sciopero contro il Governo. Nel centro di Atene ci sono stati tafferugli con giovani che scagliavano pietre ai poliziotti e questi rispondevano con lanci di gas lacrimogeni. Alcuni giovani con il casco in testa hanno tentato di staccarsi dal corteo per avvicinarsi ai grandi alberghi del centro della capitale greca. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per bloccarli. Circa trecento persone secondo una fonte di polizia, hanno in seguito lanciato bombe molotov verso i poliziotti e hanno causato danni ad alcuni negozi. Una persona è stata leggermente ferita, un giovane è stato arrestato dalla polizia. Lo sciopero generale di 24 ore ha paralizzato il paese. Chiuse scuole, ospedali, tribunali, uffici pubblici, banche, fermi i trasporti pubblici e gli aerei, meno i voli di emergenza. Chiusi anche i musei e i siti archeologici. Ad Atene circa 10 mila dimostranti, secondo i dati riportati dalla polizia, hanno sfilato per le strade, convocati dai sindacati, mentre un altro corteo dei comunisti ha manifestato separatamente. Lo sciopero è stato convocato dalla Gsee, la confederazione generale dei lavoratori privati, a cui si è aggiunto l'Adedy, il sindacato dei lavoratori del pubblico impiego. Ad Atene metro e bus hanno svolto servizi a ranghi ridotti per consentire ai dimostranti di raggiungere i punti d'incontro delle manifestazioni. Lo sciopero, il primo indetto contro l'esecutivo socialista, si aggiunge alle pressioni dell'Unione europea, che ha inviato ad Atene un'ispezione per controllare i conti del governo. La delegazione, che comprende esponenti della commissione Ue, della Bce e del Fmi, dovrebbe verificare la verità su presunti irregolarità dei bilanci dello stato. E una nuova tegola targata Ue per la Grecia è arrivata dal commissario alla concorrenza, Joaquim Almunia. «La Commissione Ue - ha fatto sapere - porterà la Grecia di fronte alla Corte di giustizia europea per aiuti illegali di stato». La decisione arriva dopo che Atene non ha ancora recuperato i fondi stanziati a favore delle imprese greche sotto forma di esenzioni fiscali. Esenzioni risultate poi in contrasto con le direttive europee al punto da imporre ad Atene il recupero di questi "aiuti di stato illegali". Di fronte all'inadempienza di Atene, la Commissione porterà la Grecia di fronte alla Corte di Giustizia europea per violazione delle norme comunitarie.
Considerazioni sulla crisi della Grecia (2 marzo 2010).
Il modo più semplice per fare soldi nel mondo finanziario è quello di far apparire un investimento meno rischioso di altri. Riuscì a Michael Milken che, sulla base di statistiche sbagliate, convinse gli investitori che i junk bond erano molto meno rischiosi di quel che si pensasse. Riuscì alle investment bank che trasformarono i mutui subprime in titoli con rating tripla A. Riuscì anche al "governo europeo" che trasformò il debito di paesi come la Grecia e l'Italia in titoli affidabili, riducendone il premio per il rischio. Perché l'operazione riesca ci deve essere una storia convincente. Per i junk bond, esistevano le serie storiche con pochi fallimenti. Per i subprime cartolarizzati esisteva l'idea che la diversificazione tra aree geografiche (anche se pur sempre americane) potesse ridurre il rischio. Nel caso dell'euro, la speranza che la partecipazione a un'unione monetaria potesse migliorare le istituzioni dei paesi membri meno affidabili. Affinché possa riuscire su larga scala, l'operazione deve avere effetti reali positivi. Avendo convinto gli investitori istituzionali che i junk bond erano titoli meno rischiosi, Michael Milken creò un mercato liquido che rese questi titoli più appetibili, aumentando le possibilità di finanziamento delle imprese a rischio e quindi riducendone la probabilità di fallimento. Lo stesso capitò coi titoli subprime che, rendendo facile ai clienti subprime rifinanziarsi, per i primi anni ridussero a livelli minimi i fallimenti dei creditori ad alto rischio. E lo stesso successe con l'euro. Entrando nell'euro, Grecia e Italia ottennero una fortissima riduzione dei tassi di interesse pagati, migliorando molto i loro deficit di bilancio pubblico e quindi apparendo come debitori più affidabili. Ma se questo feedback positivo non è sufficiente, il circolo virtuoso non dura per sempre. Prima o poi la cruda realtà prevale sull'illusione. Nel 1989 un professore del Mit dimostrò che i numeri usati da Michael Milken per promuovere i junk bond erano troppo ottimisti e il mercato crollò. Nel 2007 invece furono i crescenti fallimenti dei clienti subprime a mettere in luce l'errore. Oggi sono le manipolazioni contabili della Grecia a mettere in crisi l'illusione che l'appartenenza all'euro trasformi, come per incanto, dei paesi scialacquatori in esemplari teutonici di oculatezza di bilancio. Quando l'incantesimo si rompe sono in molti a illudersi che basti una piccola magia per ritornare indietro: basta riattivare il feedback positivo e l'illusione diventa realtà. Se solo Drexel non fosse stata lasciata fallire, se solo il governo americano avesse sostenuto temporaneamente i titoli tossici, se solo il governo tedesco intervenisse a prestare i venti miliardi di euro che servono alla Grecia ad aprile, il mondo potrebbe tornare indietro. Si tratta di un'illusione. Il salvataggio di Bear Stearns non evitò il disastro, lo pospose. E dopo i venti miliardi di aprile ce ne saranno altri trenta e poi ancora. La verità è che l'incantesimo dell'euro si è rotto e le sue ambiguità iniziali ora emergono in tutta la loro crudezza: l'euro è un'unità politica o un semplice currency board, un meccanismo per i paesi a valuta debole di acquisire stabilità dall'esterno, come fece l'Argentina con il dollaro? Al momento l'euro sta in mezzo. L'integrazione economica ed ancor più l'integrazione del sistema dei pagamenti rende l'uscita dall'euro molto più difficile dell'uscita da un currency board. Ma la mancata integrazione politica rende l'uscita dall'euro realmente fattibile. Questa ambiguità non può continuare. Gli europeisti a oltranza non hanno dubbi: l'unica soluzione possibile è accelerare l'integrazione, e nel frattempo la Grecia va aiutata. Si dimenticano, però, di un aspetto importante: non esiste un consenso per tale iniziativa. Non solo i tedeschi, ma anche i francesi e probabilmente gli stessi greci non sono pronti a rinunciare alla loro sovranità nazionale a favore di una completa unità politica. A maggior ragione, non sono disponibili a forti redistribuzioni di ricchezza, più di quelle già esistenti. Il processo di unificazione fu guidato da una generazione che aveva visto gli orrori della guerra e che era pronta a qualsiasi sacrificio per evitare un suo ripetersi. Ora quella generazione non siede più nelle stanze del potere e con essa è svanito il forte consenso politico. In questa situazione, per quanto l'idea sia nobile, forzarne l'applicazione da parte di un'élite illuminata è non solo antidemocratico, ma anche pericoloso. L'alternativa, però, non è la fine dell'euro, come si aspettano (e si augurano) molti negli Stati Uniti. È la trasformazione dell'euro. Un'unione monetaria non è necessariamente un'associazione di mutuo soccorso. Negli Stati Uniti i singoli stati (e le singole città) possono fallire (e sono fallite in passato) senza per questo mettere in dubbio la stabilità dell'unione. Per questo i singoli stati sono liberi di gestire le loro politiche di bilancio senza interferenze da parte del governo federale: perché sanno di non poter contare sui suoi aiuti. Quando nel 1975 la città di New York fu sul limite della bancarotta e tentò di chiedere soldi al governo federale, il presidente Ford le rispose di arrangiarsi. E si arrangiò. Perché non possiamo fare altrettanto con la Grecia? L'unica differenza è che la Grecia può più facilmente uscire dall'euro che la città di New York dal dollaro. Ma il valore di tale opzione può essere facilmente ridotto introducendo una norma che automaticamente escluda dall'Unione Europea quei paesi che decidano di uscire dall'euro. Non coloro che scelgono di non entrare (come la Gran Bretagna o la Svezia) ma coloro che entrano e poi decidono di uscirne. Sommandosi ai costi associati alla confusione nel sistema di pagamenti che un'uscita dall'euro comporterebbe, questa norma eliminerebbe de facto (anche se non de jure) il rischio di uscita non solo per la Grecia, ma anche per la Spagna, l'Italia, e l'Irlanda. Questo ridurrebbe enormemente gli effetti di un possibile default della Grecia. Se il fallimento della Grecia altro non è che il fallimento di New York City (e non l'uscita dell'Argentina dal currency board), diventa un evento molto meno drammatico. In questo caso la Grecia può essere lasciata al suo destino. Non per cattiveria nei suoi confronti, ma per equità. Visto che la Grecia (ma anche l'Italia) mal sopporterebbe una gestione di bilancio imposta da Francoforte, è giusto che non possano contare su di un aiuto da Francoforte. Altrimenti, non faremmo altro che creare cattivi incentivi o profondi risentimenti nazionalistici che avrebbero effetti ancora più devastanti sulle possibilità di un'integrazione futura. Se la recente crisi finanziaria ci ha insegnato qualcosa è che le assicurazioni implicite offerte dai governi sono pericolose: seminano i germi di crisi future. Se questo vale per il settore privato, vale a maggior ragione per quello pubblico. Se vogliamo salvare l'idea di Europa, dobbiamo rinunciare a queste assicurazioni implicite e invece rafforzare il senso di responsabilità dei singoli stati nazionali: cominciando a far pagare i greci per i loro errori. Un amico finanziere mi faceva notare l'incongruenza per cui se l'Europa dovesse salvare la Grecia sarebbe allora molto intelligente investire nei certificati del tesoro greci al 6% di interesse, piuttosto che nei solidi bond tedeschi all'1,5%.
Un fondo monetario europeo contro la crisi (8 marzo 2010).
La Commissione europea è «pronta» a presentare una proposta di costituzione di uno strumento finanziario per prevenire e gestire le crisi. Tale strumento potrebbe essere un Fondo monetario europeo. Lo ha confermato il portavoce del commissario agli Affari economici Olli Rehn. «Uno strumento di questa natura dovrà implicare una forte condizionalità» per gli stati, ha detto il portavoce. Il nuovo strumento dovrebbe anche frenare l'uso di strumenti derivati come i credit default swap (Cds) sul debito pubblico, che in ultima analisi rischiano di diventare una 'scommessa' contro i debiti sovrani. In mattinata a Milano il vicepresidente Antonio Tajani aveva già preannunciato che il punto sarebbe stato all'esame della riunione della commissione Ue domani, dopo che nel fine settimana la novità era stata anticipata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schauble. «Quella della costituzione di un Fondo Monetario Europeo - aveva detto Tajani - è un'ipotesi avanzata dal commissario Olli Rehn. È un argomento all'ordine del giorno. È possibile che se ne discuta anche domani nella riunione della Commissione europea a Strasburgo», ha precisato Tajani. A Basilea, dove si è riunito il Global economic meeting, non si è parlato della proposta della commissione Ue, come ha riferito il presidente Jean Claude Trichet. Il presidente del Financial stability board, Mario Draghi, ha però annunciato «regole sistemiche» sui Cds. Rehn fornirà all'esecutivo, ha spiegato il portavoce della Commissione, gli elementi del dibattito in corso sulla costituzione del Fme, che ha subìto una fortissima accelerazione nelle ultime 48 ore, anche dopo gli incontri del primo ministro greco, George Papandreou con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy. «Il dibattito è appena avviato, siamo in una fase preliminare per cui non è possibile conoscere i dettagli dello strumento finanziario al quale si pensa, c'è questa idea come ce ne sono altre», ha detto il portavoce di Rehn. Né Bruxelles si è sbilanciata sui tempi di una decisione: oggi c'è stata soltanto la conferma che entro la fine di giugno la Commissione presenterà una comunicazione con delle proposte per stringere le maglie della supervisione delle politiche di bilancio e delle politiche economiche in modo «che non si creino altri casi come quello della Grecia», ha detto il portavoce. Non ci sono dettagli, ovviamente, sugli aspetti legali del Fondo monetario europeo né ci sono conferme o indicazioni sul nome. «Dalla discussione in corso non è escluso nessun governo e nessun organismo - ha detto il portavoce di Rehn, è una discussione aperta che, va detto, si sta evolvendo molto velocemente». In ogni caso un Fondo monetario europeo, ha insistito il portavoce della Commissione, «non va visto come in concorrenza con il Fondo monetario internazionale che agisce su scala globale». Il 7 marzo Schauble aveva spiegato al Welt am Sonntag che l'intenzione «non è quella di creare un concorrente del Fmi, ma abbiamo bisogno di un'stituzione per garantire l'equilibrio interno della zona euro, che abbia a disposizione sia l'esperienza che gli strumenti del Fmi». Contro la proposta di un Fme si è schierato Juergen Stark, membro del board della Bce. In un intervento sul quotidiano tedesco Handelsblatt, Stark ha spiegato che un'ipotesi del genere potrebbe creare 'incentivi sbagliati', aggiungendo che la costituzione di un fondo monetario europeo infrangerebbe le regole Ue, incoraggiando la spesa. Un portavoce della Bce ha precisato che l'articolo rappresenta un'opinione personale di Stark.
Abolire i Cds? (9 marzo 2010).
Di solito non mi piace proporre divieti, ma non riesco a capire perché continuiamo a consentire di scambiare Cds (Credit default swap) senza la proprietà dei titoli sottostanti. Specialmente nell'Eurozona, attualmente soggetta a una serie di attacchi speculativi, una messa al bando generalizzata dei cosiddetti Cds "nudi" dovrebbe essere qualcosa di scontato. I Cds "nudi" sono lo strumento prediletto da chi specula a danno dei Governi europei, nel caso più recente la Grecia. Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, la settimana scorsa ha detto che la Fed stava indagando su «una serie di questioni relative alla Goldman Sachs e ad altre società nelle loro attività coi derivati in Grecia». Usare i Cds per destabilizzare un Governo, diceva, era «controproducente». Purtroppo, però, è legale.
I Cds sono contratti scambiati con transazioni dirette negoziate fra le due parti. Offrono all'acquirente un'assicurazione su un pacchetto di titoli sottostanti, a esempio titoli di Stato greci per un valore di 10 milioni di euro. Per assicurarsi contro il default, l'acquirente di un Cds paga al venditore un premio il cui valore è indicato in punti base. Giovedì scorso, un contratto di Cds su bond quinquennali greci era quotato a 394 punti base. Questo significa che all'acquirente assicurarsi contro il default costa 394mila euro l'anno per cinque anni. Se la Grecia dichiara il default, l'acquirente riceve in questo caso 10 milioni di euro. Per stabilire che cosa sia un default si utilizza una complicata definizione legale. Comprare un Cds "nudo" significa sottoscrivere un'assicurazione sui titoli senza possederli effettivamente. È una pura e semplice scommessa speculativa, senza alcun beneficio sociale o economico. Perfino gli speculatori più incalliti concordano su questo punto. Vietare i Cds "nudi" - specialmente se si considera che rappresentano una parte consistente di tutte le transazioni in Cds - equivale a vietare le rapine in banca. Dal punto di vista economico, i Cds sono un'assicurazione per la semplice ragione che assicurano l'acquirente contro il rischio di default di un titolo sottostante. Un aspetto universalmente accettato della normativa assicurativa è che si può assicurare solo quello che realmente si possiede. L'assicurazione non è concepita come un azzardo, ma come uno strumento per consentire all'acquirente di ridurre rischi incalcolabili. Nemmeno il liberista più estremo ti consentirebbe di stipulare una polizza sulla casa del tuo vicino o sulla vita del tuo capo. Dal punto di vista tecnico, i Cds non sono classificati come assicurazione, ma come swap, perché implicano uno scambio di flussi di cassa. La lobby dei Cds sfrutta questi aspetti tecnici per difendere lo status quo. Ma è una posizione ingannevole. Anche una polizza assicurativa tradizionale può essere concepita come uno swap, perché implica uno scambio di flussi di cassa. Ma nessuna persona sana di mente userebbe questo fatto come scusa per non regolamentare il settore delle assicurazioni. Il fatto che i Cds, a differenza delle polizze assicurative, siano scambiabili non cambia il senso economico di fondo. Tutta l'idea alla base dei moderni prodotti finanziari è quella di replicare i flussi di pagamento di altri strumenti più tradizionali ma offrendo condizioni migliori. Vendere un Cds è come comprare un'obbligazione. Comprare un Cds è un modo di vendere allo scoperto un'obbligazione, o di assicurarsi contro il rischio di default di quell'obbligazione. Ma questo non cambia il fatto che una volta eliminati tutti i complessi ingranaggi tecnici, ci si ritrova con un prodotto che offre assicurazione, anche se molto più versatile di una normale polizza assicurativa. Un altro argomento che ho sentito da un lobbista è che i Cds "nudi" consentono agli investitori di "coprirsi" in modo più efficace. È come dire che una rapina in banca apporta benefici al rapinatore. Un'altra obiezione che viene avanzata è che un divieto sarebbe difficile da far rispettare. È chiaro che mettere al bando un prodotto complesso come un Cds implica complicati aspetti tecnici che commentatori come me probabilmente sottovalutano. È concepibile, ad esempio, che il settore riesca a trovare rapidamente un modo legale per aggirare il divieto. Ma tornando al paragone con le rapine in banca, nessuno penserebbe di legalizzarle solo perché è difficile beccare il ladro. E allora perché tutte queste esitazioni? Dalle conversazioni con regolatori e legislatori il mio sospetto è che non abbiano molta familiarità con questi prodotti (per usare un eufemismo) e quindi probabilmente sono reticenti a regolamentare qualcosa che non capiscono. Capiscono, o credono di capire, che cos'è un hedge fund. Imporre dei vincoli agli hedge fund è qualcosa che possono vendere al loro elettorato. Gli hedge fund non hanno avuto un ruolo centrale nella crisi, ma sono un bersaglio conveniente, politicamente. Mettere al bando prodotti con brutti acronimi che nessuno capisce sembra una fatica non necessaria. Non voglio esagerare la gravità della cosa. Questo tipo di speculazione non è la causa di fondo della crisi finanziaria globale, e nemmeno delle tensioni economiche di fondo della zona euro. Ma i Cds "nudi" hanno giocato un ruolo diretto importante nella destabilizzazione del sistema finanziario. Ed è ancora così. E le banche, i cui azionisti e dipendenti hanno beneficiato dei programmi pubblici di salvataggio, ora stanno usando i Cds per speculare contro i Governi. Dov'è la risposta politica? I tedeschi vogliono coinvolgere il G-20, ma esitano a prendere iniziative unilaterali. Christine Lagarde, il ministro dell'Economia francese, ha detto recentemente: «Quello che possiamo ricavare da questa crisi è sicuramente la necessità di rivedere la validità e la solidità dei Cds sui titoli di Stato». Rivedere? Ma la prima volta, che cosa avevano visto? da Il Sole 24 Ore di Wolfgang Munchau.
Pil e produzione industriale, dati Istat (11 marzo 2010).
Crolla del 5,1% nel 2009 il Pil in Italia: si tratta del dato peggiore dal 1971, dall’inizio cioè della serie storica. L’anno scorso il prodotto interno lordo corretto per gli effetti di calendario è diminuito infatti del 5,1%. Lo rende noto l’Istat, nei «Conti economici trimestrali», spiegando che il 2009 ha avuto un giorno lavorativo in più rispetto al 2008 e rivedendo così al ribasso la stima provvisoria comunicata a febbraio che indicava un calo del Pil del 4,9% lo scorso anno. Il Pil non corretto per gli effetti di calendario, come comunicato dall’Istat il primo marzo, è diminuito del 5%. La crescita acquisita per il 2010 è pari inoltre a -0,1%. Lo comunica l’Istat spiegando che, se avessimo nel 2010 quattro trimestri su base congiunturale di crescita zero, il Pil quest’anno calerebbe dello 0,1%. A gennaio invece, sempre secondo l'Istat, la produzione industriale ha segnato un aumento del 2,6% rispetto a dicembre 2009. La media degli ultimi tre mesi è risultata invariata rispetto a quella dei tre mesi immediatamente precedenti. L'indice della produzione corretto per gli effetti di calendario ha registrato a gennaio un aumento tendenziale dello 0,1% (i giorni lavorativi sono stati 19 contro i 20 di gennaio 2009). L'indice grezzo della produzione industriale ha registrato una diminuzione del 3,3% rispetto a gennaio 2009. La media degli ultimi tre mesi è risultata invariata rispetto a quella dei tre mesi precedenti. L'Istat ha inoltre rivisto i dati di dicembre, portando il calo congiunturale destagionalizzato da -0,7% a -0,2%. Per quanto riguarda i principali raggruppamenti industriali, su base congiunturale si registrano tutte variazioni positive: +3,3% per i beni strumentali, +2,3% per l'energia, +2,1% per i beni intermedi e +1% per i beni di consumo totale (+3,3% per i beni durevoli, -0,1% per i beni non durevoli).
ECOFIN: mancato accordo sugli hdge fund (17 marzo 2010).
I ministri dell'Economia dell'Ue hanno deciso di rinviare la decisione sulle nuove regole per gli hedge fund, i fondi di private equity e gli altri fondi di investimento alternativi. L'argomento, all'ordine del giorno della riunione dell'Ecofin che si è tenuta oggi a Bruxelles, è stato posposto perché i 27 ministri non sono riusciti a trovare un accordo. Secondo la portavoce del Consiglio Ue, Cristin Gallach, «la questione è stata eliminata dal tavolo dei ministri per essere approfondita: c'è bisogno di avere un sostegno più ampio possibile». Ne discuterà ancora l'Ecofin in una prossima riunione «durante la presidenza spagnola», dunque entro il primo semestre dell'anno. L'obiettivo (fallito) della riunione di oggi era trovare un accordo politico sufficiente per avviare i negoziati con l'Europarlamento che ha potere di codecisione. Si puntava a un'intesa a maggioranza qualificata, non potendo contare sul voto favorevole della Gran Bretagna. Il «no» pesa, su una materia così delicata. Al centro dello scontro le regole per i gestori (europei e no) di hedge fund con sede non nell'Ue ma in altre piazze (comprese quelle offshore), settore in cui gli interessi britannici sono enormi ospitando Londra gran parte dei fondi di questo tipo. Per il Regno Unito è fondamentale il riconoscimento del 'passaporto europeo', la possibilità - cioè - che l'autorizzazione in un solo paese permetta la commercializzazione dei fondi in tutta l'Ue. L'idea prevalente all'Ecofin è di prevedere il passaporto solo per i gestori europei. Su questo si era aperto il conflitto con gli Stati Uniti che hanno accusato la Ue di protezionismo. Il ministro italiano dell'Economia, Giulio Tremonti, ha definito il rinvio una decisione «realistica» da parte dell'Ecofin, visto che tra i 27 «non c'è sufficiente coesione». «La cosa importante - ha detto - è che la macchina sia sia messa in movimento. Questo è molto importante, perché fino a qualche anno fa una discussione del genere con il Regno Unito era impensabile. È chiaro - ha aggiunto Tremonti - che non è semplice mettere insieme posizioni che sono state radicalmente diverse e che ora vanno via via convergendo». Per il commissario al mercato interno, Michel Barnier, la discussione sulla proposta di direttiva su hedge fund e private equity è solo rimandata, perché entro giugno l'Unione vuole nuove regole per mettere ordine in un mercato oggi selvaggio. «Il problema degli hedge fund - ha affermato il commissario - è molto importante, rappresentano la metà di tutte le transazioni, ed è un settore che oggi non ha regole né trasparenza», ha detto Barnier. Per evitare quindi rischi sistemici e per non mettere in pericolo la competitività dell'Ue, che deve basarsi su mercati sani, Bruxelles ha l'obbligo di arrivare a regole nuove, ha spiegato. «Non ho pressioni da nessuno, né da Londra né da Parigi né da New York», ha poi precisato Barnier. «Ci daremo da fare e prima dell'estate arriveremo, assieme al Parlamento, ad approvare una normativa su hedge fund e private equity».
""NOTA: Hedge funds. Alla lettera "fondi di copertura". Il nome però non deve trarre in inganno: gli hedge fund sono i fondi comuni più rischiosi. Essi non si limitano come i normali fondi comuni a investire il denaro dei risparmiatori su azioni, obbligazioni e liquidità, ma investono a tutto campo, sfruttando qualunque strumento per massimizzare il guadagno (e quindi anche l'eventuale perdita).Poiché l'alto livello di speculazione degli hedge fund li rende così rischiosi, la legge italiana ha permesso il loro ingresso sul mercato italiano solo recentemente, e ha fissato in 2 miliardi di lire la quota d'ingresso per proteggere i piccoli risparmiatori.""
Germania: fuori dall'euro chi non rispetta i patti (17 marzo 2010).
Il Cancelliere tedesco Angela Merkel è favorevole all'eventuale esclusione di un paese dalla zona euro in ultima istanza, "quando non rispetta le condizioni, più e più volte". La Merkel ha affermato che un sostegno immediato alla Grecia "non è una buona risposta" ma occorre "affrontare il problema alla radice". "Intervenire rapidamente per solidarietà non è una buona risposta", ha detto la Merkel in un discorso al parlamento tedesco. Il problema, a suo avviso, va affrontato alla radice e la Grecia deve rimettere ordine nei propri conti pubblici. "Fare diversamente sarebbe fatale", ha aggiunto. Il problema dell'aiuto finanziario alla Grecia è stato dibattuto il 15 marzo dai ministri finanziari europei che hanno deciso a grandi linee di intervenire, in caso di necessità. Ma la Germania non è favorevole. Angela Merkel ha confermato la posizione già espressa a inizio settimana dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, sull'eventuale uscita dalla zona euro di un paese incapace di rispettare le regole. Il meccanismo del Patto europeo di stabilità e crescita prevede sanzioni e multe contro i paesi che non rispettano i limiti del budget, non sono applicabili a paesi "che non hanno risorse per pagare", come è il caso attuale della Grecia. È del dicembre 2009 uno studio Bce, firmato da Phoebius Athanasiou, intotolato "Espulsione e ritiro dalla Ue e dall'Uem. Alcune riflessioni". La conclusione "dall'euro non si torna indietro" è però in contrasto con la posizione espressa negli ultimi giorni dalla Germania.
Decreto "Incentivi" (19 marzo 2010).
Via libera del Governo al decreto legge per sostenere i settori industriali in crisi che mobilita una dote di 300 milioni di euro. Tra i comparti che beneficeranno degli incentivi non ci sarà l´auto ma figurano elettrodomestici, motocicli, cucine, gru, macchine agricole e abitazioni ad alta efficienza energetica. Restano fuori, invece, gli 800 milioni di fondi per lo sviluppo della banda larga che erano previsti nelle bozze originarie. Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha spiegato che il provvedimento servirà a rilanciare l´economia italiana e a centrare l´obiettivo di crescita 2010 previsto tra l´1 e l´1,2% del Pil. Gli incentivi scatteranno dal 6 aprile. L´accesso ai bonus sarà consentito, su prenotazione, fino al 31 dicembre 2010 e fino ad esaurimento delle risorse. Per l´Adoc si tratta di una misura importante perchè "tende a favorire il risparmio energetico, con sconti per l´acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica e di eco-case". La critica mossa dall´associazione riguarda "la limitatezza dei fondi. Infatti, la regola del chi arriva prima tende a discriminare chi non usufruisce di immediata disponibilità economica, avvantaggiando di fatto chi ha già a disposizione le somme necessarie per l´acquisto". Grande soddisfazione, invece, da parte del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha rivendicato a nome del governo "la gestione attenta" della crisi, da cui l´Italia a suo parere sta uscendo meglio di altri Paesi europei. A Piazza Affari hanno reagito bene i principali titoli interessati al decreto: Piaggio, Elica e Indesit. La casa di Pontedera guadagna il 2,94% a 2,36 euro, il gruppo marchigiano è in rialzo del 5,51% a 2,01 euro, mentre la società specializzata nella produzione di elettrodomestici avanza dell´1,41% a 8,97 euro. Per quanto riguarda la copertura dei 300 milioni, un terzo proviene da due fondi in capo al ministero dello Sviluppo: 50 milioni dal fondo per la finanza d´impresa e 50 milioni dal fondo per il credito d´imposta. Il resto, come precisato dal ministro Tremonti, verrà raccolto attraverso nuove misure per accelerare la lotta all´evasione fiscale. "L´impatto sui conti pubblici del decreto è nel senso che non crea deficit perchè sono tutte entrate da contrasto all´evasione che noi riteniamo assolutamente realistiche" ha dichiarato il titolare del Tesoro.E' confluita nel decreto anche una misura che nelle intenzioni del governo dovrebbe anticipare parte del Piano casa, il progetto delineato nella primavera del 2009 ma bloccatosi nei fatti dopo il terremoto che il 6 aprile scorso ha devastato L'Aquila. "Con l'articolo che abbiamo inserito oggi, le opere interne alla casa o la casetta per i bambini si potranno fare, a meno che non ci sia una legge regionale che le vieta", ha detto Tremonti. Motocicli. Il decreto prevede uno sconto del 10% sul prezzo di acquisto per motori fino a 70 kw e senza limiti di cilindrata. Contributo massimo 750 euro. Motocicli elettrici/ibridi. Sconto del 20% del prezzo di acquisto. Contributo massimo 1.500 euro. Cucine componibili complete di elettrodomestici efficienti. Beneficio del 10% del prezzo di acquisto e contributo massimo 1.000 euro. Elettrodomestici: lavastoviglie, cucina da libera installazione, cappe, forni elettrici, scaldacqua a pompe calore, stufe. Agevolazione del 20% sul prezzo di acquisto. Contributo massimo da 80 a 500 euro a seconda del prodotto. Acquisto nuovi immobili ad alta efficienza energetica di classe A e B. Contributo per un importo pari a 116 euro al metro quadro (con massimo di 7.000 euro) per la classe A e 83 euro al metro quadro (con massimo di 5.000 euro) per la classe B. Internet veloce per i giovani. Contributo per i giovani che acquistano nuovi pacchetti di Adsl. Macchine per uso agricolo e industriale: macchine agricole, movimento terra. Contributo del 10% del prezzo di acquisto legata a pari sconto da parte del concessionario. Gru a torre per edilizia. Sconto del 20% del prezzo di acquisto. Contributo massimo di 30.000 euro.
Finanza ed economia reale (19 marzo 2010).
Serve al più presto una riforma del sistema finanziario: il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, sottolinea l'importanza di valutare con attenzione le lezioni della crisi economica e - durante un convegno alla Commissione europea - ribadisce la necessità che «la finanza sia nuovamente e adeguatamente collegata all'economia reale». Il presidente della Banca centrale europea chiede poi maggiore trasparenza nel mercato dei derivati, in particolare dei Cds (i credit default swap): «Le autorità devono essere capaci di raccogliere informazioni, valutare i rischi possibili e rilevare le eventuali condotte improprie». Per uscire definitivamente dalla crisi, aggiunge Trichet, «abbiamo bisogno di recuperare la fiducia a lungo termine, e questo richiede quadri di azione politica che dovranno essere robusti contro le sfide future». «Nel momento di massima crisi avevo affermato ripetutamente che il recupero della fiducia era essenziale. Da allora la fiducia a breve termine è stata recuperata, non per ultimo grazie ad azioni politiche coraggiose a livello globale», sottolinea Trichet. Una delle sfide centrali per la gestione delle crisi, a questo punto, è «la velocità». «La rapidità di eventi imprevisti è una delle più grandi sfide per i policy makers», afferma Trichet. Anche se «le crisi finanziarie non sono assolutamente fenomeni nuovi, la velocità della loro trasmissione è aumentata tremendamente negli ultimi decenni - spiega - e l'ultimo intensificarsi della crisi attuale si è diffuso in tutto il mondo nel corso di una mezza giornata».
Accordo franco tedesco sulla crisi greca (26 marzo 2010).
Il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno trovato un accordo sugli aiuti alla Grecia su un quadro europeo che coinvolga il Fondo monetario internazionale (il cui intervento è stato giudicato «negativo» dal presidente della Bce Trichet) e preveda aiuti bilaterali su base volontaria, come auspicato dalla stessa cancelliera Merkel. La cancelliera ha inoltre insistito affinché il piano sia da applicare solo se Atene davvero non dovesse essere più in grado di onorare il debito. Nell'intesa non vengono fornite cifre sull'entità degli aiuti ad Atene. Nelle ultime settimane si era parlato di una somma tra 20 e 30 miliardi di euro. Fonti della presidenza francese hanno precisato che la partecipazione dei governi della zona euro ai prestiti alla Grecia sarà «maggioritaria» rispetto al contributo Fmi. L'intesa è ora al vaglio del presidente della Commissione europea, Herman Van Rompuy, che dovrà valutare il testo per poi darne copia agli altri leader. L'Eliseo conferma inoltre che ci sarà in serata una riunione dell'Eurogruppo. La nostra impressione è che l'attivismo di Germania e Francia nel concedere prestiti alla Grecia sia dovuto al fatto che i due paesi detengono una grande parte del debito greco. TRICHET: DISCORSO DAVANTI A 15 EURODEPUTATI - Ad ascoltare (il 25 marzo) il presidente della Banca centrale europea (Bce), Jean-Claude Trichet, al Parlamento europeo c'erano solo una quindicina di eurodeputati. Palpabile l'imbarazzo del presidente dell'Europarlamento, Jerzy Buzek, quando il numero uno della Bce ha iniziato a parlare davanti a un'aula praticamente vuota. Nel suo intervento, Trichet ha ribadito l'importanza e la necessità di «un'azione determinata ed efficace per garantire la stabilità della zona euro». In generale, il presidente della Bce ha spiegato che «la ripresa è in corso ma la crisi non è finita», ribadendo come «La finanza deve tornare ad essere collegata all'economia reale». Quanto alla Grecia, Trichet le viene incontro e fa sapere che la Bce accetterà anche dopo il 2010 collaterali con rating BBB- in cambio dei prestiti. Il numero uno della Banca centrale ha spiegato anche che l'attuale livello dei tassi europei è appropriato.
Una scossa per il rilancio dell'economia mondiale (30 marzo 2010).
La ripresa dell'economia mondiale «rimane fragile» e occorre pertanto «coordinare» le politiche economiche e proseguire con le riforme della finanza decise al vertice di Pittsburgh a settembre. E' l'appello contenuto nella lettera ai paesi membri del G20 diffusa dall'Eliseo e firmata da Barack Obama, Gordon Brown, Nicolas Sarkozy, Stephen Harper e Lee Myung-Bak. La lettera mira a ridare slancio a riforme che appaiono al momento ancora lontane dalla dirittura d'arrivo. «Vi scriviamo oggi - si legge nella lettera inviata ai leader del G20 - per sottolineare la necessità di tradurre nei fatti i nostri impegni a coordinare le nostre politiche macro-economiche. Il nostro lavoro non è ancora finito e la ripresa dell'economia mondiale in atto rimane fragile». Secondo i cinque presidenti, «le tensioni attuali dimostrano che permangono rischi per l'economia mondiale e per la stabilità finanziaria». Per questo «occorre rimanere vigili affinché si attuino le riforme indispensabili e non si ceda a un sentimento di compiacimento per la ripresa in atto». Il «primo obiettivo è il ritorno a una crescita sostenuta e la creazione di posti di lavoro». Per conseguire questo obiettivo, abbiamo bisogno di mettere a punto strategie di cooperazione e di lavorare insieme per assicurare che le nostre politiche fiscali, monetarie, valutarie, commerciali e strutturali siano collettivamente coerenti con una crescita forte, sostenibile ed equilibrata». Le nuove regole di Basilea sul capitale delle banche vanno «sviluppate entro fine anno e rafforzate con la piena armonizzazione delle regole sull'uso della leva finaziaria (leverage ratio)». L'accento dei leader non è solo sul «livello del patrimonio» ma anche sulla «qualità del capitale». Le nuove regole vanno «applicate» man mano che si consolida la ripresa, con l'obiettivo di non superare «la fine del 2012». Tutti i centri finanziari devono aver adottato «Basilea II dal 2011», spiega la lettera. Il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, ha espresso soddisfazione per la lettera e dichiarato di «condividerne i messaggi principali». «Il presidente Barroso - ha detto la sua portavoce Pia Ahrenkilde Hansen - saluta la dichiarazione fatta in questo comunicato dai presidenti passati, presenti e futuri del G20 e ne condivide i messaggi principali».
Il pensiero di Martin Wolf sulla crisi greca (31 marzo 2010).
Martin Wolf, commentatore del Financial Times, su Il Sole 24 Ore sostiene "So bene quale impegno abbia profuso la classe dirigente europea per garantire il successo del progetto comunitario. Ma la crisi è profonda: per Eurolandia, per l'Unione Europea e per il mondo intero. Come ha sottolineato Wolfgang Münchau, il Consiglio europeo della scorsa settimana non è stato una soluzione, ma un pasticcio". Secondo Wolf La sfida immediata è la Grecia. Da questo punto di vista, i capi di governo hanno deciso che come parte di un pacchetto che comporta un sostanziale finanziamento da parte del Fondo monetario internazionale e una quota maggioritaria di finanziamento europeo, gli stati membri della zona euro sono pronti a contribuire a prestiti bilaterali coordinati. La dichiarazione prosegue: «Qualunque erogazione sarebbe decisa dagli stati membri della zona euro all'unanimità, in subordine a una stretta condizionalità e sulla base di una valutazione da parte della Commissione europea e della Banca centrale europea. L'obiettivo di questo meccanismo non sarà fornire il finanziamento ai tassi di interesse medi della zona euro, ma creare incentivi per ritornare quanto prima al finanziamento da parte del mercato». La Germania, il paese più potente della zona euro, l'ha avuta vinta. Ma altrove, soprattutto a Parigi e nella Bce, che non vuole che l'Fmi intervenga sulla politica monetaria, il risultato del Consiglio non è stato accolto molto bene. Nicolas Sarkozy, il presidente francese, sicuramente è inorridito al pensiero dell'intervento di un'istituzione che ha sede a Washington ed è diretta da Dominique Strauss-Kahn, uno dei principali candidati a prendere il suo posto all'Eliseo. Ma sarebbe un errore saltare alla conclusione che siamo di fronte a una vittoria importante dell'Fmi, o anche della Germania. L'esito del Consiglio europeo appare impraticabile. Per cominciare, sarebbe un programma dell'Fmi o un programma della Ue? Che cosa succederebbe se Fmi e Commissione europea dovessero trovarsi in disaccordo? E non è un'eventualità improbabile. Il risanamento dei conti pubblici accettato dalla Grecia, pari al 10% del Prodotto interno lordo in un arco di tre anni, appare impossibile considerando l'assenza di flessibilità sul fronte della politica monetaria o del tasso di cambio. Forse nessun programma ha speranza di avere successo di fronte a condizioni di partenza tanto sfavorevoli. In secondo luogo, quante possibilità ci sono che la zona euro agisca all'unanimità a sostegno di un programma del Fmi? Per finire, chi l'ha detto che gli aiuti ventilati saranno effettivamente di aiuto? Il problema immediato della Grecia sono gli alti tassi d'interesse che è costretta a pagare. Offrire liquidità a un tasso penalizzante, in un momento in cui la Grecia non ha accesso al mercato, aggraverebbe il suo problema di solvibilità. E inoltre, per il momento in cui questa assistenza verrebbe fornita, sarebbe decisamente troppo tardi. Fin qui tutto male. Ma è quando si pensa alle grandi sfide incombenti che vengono davvero i brividi. Uno dei problemi è l'indisponibilità ad accettare il default. E ancora più importante è che le idee della Germania su come dovrebbe funzionare Eurolandia sono idee sbagliate. Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, ha dichiarato dopo il vertice che «la nostra speranza è che questa decisione rassicuri tutti i detentori di titoli di stato greci: la zona euro non lascerà che la Grecia vada in bancarotta». Ci sono solo due modi per onorare questo impegno: o gli stati membri si firmano reciprocamente degli assegni in bianco, oppure sottraggono agli stati "peccatori" il controllo delle loro finanze pubbliche (e quindi della loro sovranità di governo). La prima cosa la Germania non la permetterebbe mai, ma la seconda sarebbe la politica a non consentirla, specialmente nei grandi paesi. Ecco perché la dichiarazione di Van Rompuy appare assurda. E ora passiamo al punto più importante. Nella dichiarazione della scorsa settimana si affermava anche che «l'attuale situazione evidenzia la necessità di rafforzare e integrare il quadro esistente per assicurare la sostenibilità fiscale nella zona dell'euro e aumentare la sua capacità di agire in periodi di crisi. Per il futuro occorre rafforzare la vigilanza sui rischi economici e di bilancio nonché gli strumenti per la loro prevenzione, compresa la procedura per i disavanzi eccessivi». L'idea dominante qui è che il peggioramento dei conti pubblici nei paesi della periferia sia il risultato di una mancanza di disciplina di bilancio. Questo vale per la Grecia e, in misura minore, per il Portogallo. Ma l'Irlanda e la Spagna hanno bilanci apparentemente solidissimi. Il loro punto debole sta nel disavanzo finanziario del settore privato. È stato solo quando il settore privato ha accusato la crisi che è esploso il disavanzo di bilancio. Dal momento che il problema è nel settore privato, e non in quello pubblico, il monitoraggio deve estendersi anche al primo, e non solo al secondo. Ma le bolle speculative e l'espansione del credito del settore privato nei paesi della periferia sono stati anche il risultato dell'assenza di crescita della domanda reale nei paesi del centro. È questo che ha consentito alla politica monetaria della Bce di produrre un tasso più o meno adeguato di espansione della domanda complessiva nella zona euro. Perciò, se cerchiamo la causa di fondo dell'attuale disastrosa situazione dei conti pubblici, ci rendiamo inevitabilmente conto che sono il risultato, in ultima analisi, della centralità accordata a una politica monetaria accomodante, adottata per compensare la fragile crescita della domanda nel centro di Eurolandia e soprattutto in Germania. Questo dibattito sulla domanda interna e gli squilibri della zona euro non è molto gradito alle autorità tedesche. Fintanto che sarà così, le prospettive per un «coordinamento delle politiche economiche», come scritto nella dichiarazione del Consiglio, sono pari a zero. Ancora peggio: la Germania vuole vedere da parte dei suoi partner un impegno a ridurre il disavanzo di bilancio. La zona euro, la seconda economia mondiale, si avvierebbe dunque a diventare una grande Germania, con una domanda interna cronicamente debole. La Germania e altre economie simili potrebbero trovare uno sfogo attraverso un incremento delle esportazioni verso i paesi emergenti. Per i suoi partner, strutturalmente più deboli, specialmente quelli afflitti da costi anticompetitivi, il risultato sarebbe, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione lunga anni. Sarebbe questa la millantata stabilità? Il progetto di unione monetaria si trova di fronte a una sfida colossale. Non c'è una soluzione facile alla crisi greca. Ma la questione più importante è che Eurolandia non funzionerà come auspica Berlino. Come ho detto precedentemente, Eurolandia potrà diventare tedesca solo esportando l'enorme eccesso di offerta, oppure condannando fette importanti dell'economia della zona euro a una stagnazione prolungata, o, più probabilmente, entrambe le cose. La Germania ha potuto essere tale perché gli altri non erano la Germania. Se Eurolandia dovesse diventare come la Germania, non vedo come la faccenda potrebbe funzionare. La Germania può imporre la sua volontà sul breve periodo, ma non può sperare che Eurolandia diventi quello che lei desidera. Gli enormi disavanzi nei conti pubblici sono un sintomo della crisi, non una causa. Esiste una via d'uscita soddisfacente a questo dilemma? Per quanto riesco a vedere, no. Ed è qualcosa che fa paura sul serio.
Il tasso di disoccupazione in Italia (31 marzo 2010).
Il tasso di disoccupazione italiano si stabilizza a febbraio all'8,5%, allo stesso livello di gennaio, sotto la mediana dell'8,7% delle previsioni raccolte da Reuters fra gli analisti. L'economia italiana continua tuttavia a bruciare posti di lavoro e ci si aspetta un picco di almeno il 9% in corso d'anno. Secondo le statistiche destagionalizzate diffuse oggi da Istat, il tasso di disoccupazione resta fermo rispetto a gennaio ma sale di 1,2 punti percentuali sullo stesso mese del 2009, quando era del 7,3%. Da Bruxelles Eurostat ha fatto sapere che il tasso di disoccupazione nella Zona euro è salito al 10% dal 9,9 del mese precedente. "L'Italia si conferma insieme alla Germania il paese dell'Area euro dove il mercato del lavoro ha tenuto meglio", dice Paolo Mameli, di Intesa San Paolo. "La disoccupazione in Italia sarebbe ovviamente molto più alta se non fosse per la Cassa integrazione", commenta Gilles Moec, economista di Deutsche bank, a proposito della forbice fra Italia ed Europa. Istat classifica infatti i dipendenti in Cassa integrazione come occupati poiché formalmente sono solo "temporaneamente" sospesi dal lavoro. Parallelamente alla diffusione dei dati il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, comunicava di aver rinviato alle Camere il disegno di legge sul lavoro, che introduce in via preventiva la possibilità di ricorrere all'arbitrato per le controversie di lavoro. Contro il provvedimento aveva scioperato la Cgil lo scorso 12 marzo, accusando il centrodestra di aver voluto aggirare l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori che vieta i licenziamenti senza giusta causa. Lo spaccato fotografato da Istat indica che la disoccupazione continua a crescere in termini assoluti anche se a ritmi meno intensi del passato. Rispetto a gennaio l'economia italiana ha perso nel complesso 16.000 posti di lavoro, che diventano 395.000 se si guarda al confronto tra febbraio 2010 e lo stesso mese del 2009. La situazione più critica si registra sempre tra i giovani, penalizzati da contratti di lavoro spesso discontinui e privi di significativi sussidi. Tra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione è pari al 28,2%, in aumento di 0,8 punti su gennaio. "La disoccupazione tra i giovani è di 7,6 punti superiore alla media della Zona euro, che è del 20,6%", sottolinea Mario Albisinni, responsabile statistiche sul lavoro di Istat. La disoccupazione delle donne, altra categoria solitamente più esposta al rischio di perdere il lavoro, si attesta al 9,7% ma scende di un decimo di punto sul mese precedente. In effetti l'incremento della disoccupazione si spiega soprattutto grazie alla componente maschile, che brucia nel mese di gennaio 3.000 posti in più rispetto a quella femminile. Febbraio dovrebbe rappresentare solo una pausa in un trend visto in peggioramento. In linea con la teoria economica generale che vede il tasso di disoccupazione in crescita per altri uno o due trimestri dopo la fine della recessione, gli economisti si aspettano un picco nel 2010 attorno al 9%. Secondo l'ufficio studi di Intesa San Paolo la disoccupazione continuerà ad aumentare fino a inizio 2011, quando dovrebbe attestarsi al 9,5%. Penalizza l'Italia anche una cospicua quota di persone che sono di fatto fuori dal mercato del lavoro: non solo studenti e pensionati, ma anche lavoratori talmente "scoraggiati" dalle difficoltà che hanno smesso di cercare attivamente un impiego. "Il dato sugli inattivi chiaramente non è incoraggiante. Avevamo avuto nei mesi scorsi una stabilizzazione, il fatto che abbiano ripreso a salire ci fa dire che è necessaria ancora un po' di cautela", commenta Davide Stroppa di Unicredit. L'area inattivi vale 14,9 milioni e mostra in febbraio un incremento di 13.000 persone su gennaio e di 251.000 sullo stesso mese del 2009. Tra le donne il tasso di inattività raggiunge il 49% ed è superiore di 22,4 punti percentuali al 26,6% che si registra tra gli uomini.
Il rappoprto deficit/Pil (31 marzo 2010).
Nel 2009 il rapporto deficit/Pil si è attestato al 5,2% (2,7% nel 2008), il dato peggiore dal 1996. Lo ha comunicato l'Istat, sottolineando che il numero è al netto delle operazioni di swap. Se anche queste venissero considerate, il defict/Pil si assesta al 5,3%, in linea peraltro con quanto previsto dal Governo nel Dpef. «Il numero non mi stupisce - commenta Fabrizio Pezzani, docente di programmazione e controllo nelle Pa all'univesità Bocconi - . È la conseguenza, da un lato del calo della ricchezza del nostro paese nel 2009, con il Pil che è diminuito del 5 per cento; e dall'altro, dell'aumento della spesa legato, anche e soprattutto, agli ammortizzatori sociali». Notizie negative sul fronte dell'indebitamento al netto degli interessi passivi (ciè quelli che lo stato paga sulle proprie emissioni obbligazionarie): qui, se è ben vero che nell'ultimo trimestre c'è stato un saldo primario positivo pari a 866 milioni (era 11,036 miliardi nello stesso periodo del 2008), sull'intero 2009 si registra un disavanzo primario dello 0,6% del Pil, a fronte di un avanzo del 2,5% nell'anno precedente. È dal 1991 che l'Italia non registrava un saldo primario negativo rispetto al Prodotto interno lordo. «Sugli interessi passivi -dice Pezzani - l'attuale congiuntura, che crea problemi all'economia reale, dà invece una mano al governo con i tassid'interesse molto bassi. Tuttavia, come indicato nello stesso Dpef, l'attuale ammontare di circa 82 miiardi di interessi passivi è destinato ad aumentare a 100-102 nel 2012. E questa dinamica, ovviamente, deve tenuta ben in conto» per evitare seri problemi in futuro. Rispetto al tema delle entrate totali, l'Istat indica che, in termini tendenziali, nell'ultimo trimestre 2009 hanno «registrato una diminuzione dell'1,2%; (..) lo stesso valore del quarto trimestre del 2008». A livello complessivo, sull'intero scorso esercizio, c'è stata una diminuzione del 2%, mentre nel 2008 erano cresciute dello 0,9 per cento. Le sole entrare correnti «hanno registrato nel quarto trimestre 2009 una diminuzione tendenziale del 3,7%, dovuta alla diminuzione delle imposte dirette (-9%), di quelle indirette (-0,3%), dei contributi sociali (-0,3%) e delle altre entrate correnti (-1,2%). Rispetto, invece, alle entrate in conto capitale questi i numeri: qui c'è stato un forte aumento, in particolare le imposte in cui sono contabilizzati i versamenti una tantum relativi allo scudo fiscale, per un importo pari a circa 5 miliardi. Per quanto riguarda le uscite totali, queste sono aumentate in termini tendenziali nell'ultimo trimestre 2009 del 2,5%. Il loro valore, in rapporto al Pil, è stato pari al 59,3 per cento. Sull'intero anno le uscite totali sono aumentate del 3% contro il 3,5% del 2008. Più in particolare, le uscite correnti nel quarto trimestre del 2009 sono salite dell'1,6% (tendenziale) a causa, tra le altre cose, dell'aumento dei consumi intermedi, delle prestazioni sociali in denaro e della dimunizione dei redditi da lavoro dipendente. Giova osservare che se il rapporto deficit/Pil in Italia si attesta poco sopra il 5%, negli Usa è del 15%, in GB del 13%, in Francia dell'8%; solo la Germania fa un buon 5%; in sostanza l'Italia si comporta abbastanza bene, anche consederando che il rapporto deficit primario/Pil è tra i più bassi del pianeta.
Fmi: previsioni del Pil italiano nel 2010 (31 marzo 2010).
Il Fondo Monetario Internazionale rivede le stime di crescita per l'Italia. Nell'ultima bozza del World Economic Outlook (Weo) che sarà ufficializzato il 21 aprile, il Fmi prevede che il Pil italiano salirà dello 0,8% quest'anno e dell'1,1% nel 2011. In entrambi i casi si tratta di un taglio di 0,2 punti percentuali rispetto alle stime dell'ultimo aggiornamento del Weo di gennaio. Rispetto al rapporto di ottobre, invece, la crescita italiana per il 2010 è stata rivista al rialzo di 0,6 punti. Le ultime stime del governo presentate con l'aggiornamento al Patto di stabilità parlano invece di una crescita del Pil dell'1,1% quest'anno. Su scala globale il Fmi rivede al rialzo le previsioni di crescita di tutto il mondo. Quest'anno il Pil mondiale dovrebbe progredire infatti del 4,1%, con un rialzo di 0,2 punti percentuali rispetto alle ultime previsioni di gennaio e di addirittura un punto rispetto alle stime di ottobre scorso. «Il risanamento e la riforma del sistema finanziario costituiscono una priorità massima». Nelle economie più avanzate, si legge nel rapporto del Fmi, «progressi nel porre rimedio alle inefficienze del settore finanziario e nel riformare le politiche prudenziali aumenteranno l'efficacia della politica monetaria e ridurranno il rischio che un'ampia offerta di liquidità possa tradursi in nuove distorsioni speculative». Il Fondo fa poi notare che «l'accesso al credito resta difficile per alcuni settori. I mercati monetari si sono stabilizzati. I mercati azionari e obbligazionari si sono ripresi. Nelle economie avanzate l'irrigidimento degli standard creditizi sta finendo e la crisi del credito sembra volgere al termine». Tuttavia, osservano gli economisti di Washington, «le condizioni finanziarie restano più difficili di prima della crisi. In modo particolare nelle economie avanzate il capitale delle banche resterà probabilmente un ostacolo alla crescita» dal momento che le stesse banche continuano a ridurre i propri bilanci«. Il Fmi ricorda inoltre che »settori che hanno un accesso solo limitato al mercato dei capitali - aziende del segmento consumi e piccole e medie imprese - continueranno con ogni probabilità a incontrare limiti stringenti ai prestiti».

Eugenio Caruso
Gennaio – marzo 2010

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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