Giovanni Ansaldo fondatore dell'omonimo gruppo.


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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Giovanni Ansaldo

Nacque a Genova nel 1815 da Giovanni Battista e Antonietta Traverso. A ventun anni conseguì la laurea di architetto civile e, un anno dopo, quella di ingegnere idraulico. In un primo tempo si dedicò alla libera professione: fu architetto dei marchesi Sauli, diresse i lavori nella chiesa di S. Maria in Carignano, progettò e costruì ville nella riviera, e a lui si deve la Badia di Cornigliano. Coadiuvò inoltre gli architetti Resasco e Grillo, suoi maestri, nel progetto del cimitero di Staglieno.
Dopo il 1840 compì viaggi per l'Europa, specie in Inghilterra, fermando la propria attenzione sui problemi della produzione meccanica e della costruzione di locomotive ferroviarie. Riconosciuto nel 1845 "dottore in collegio", nel 1847 fu chiamato alla cattedra di geometria descrittiva nella facoltà di filosofia e arti dell'università di Genova. Per il prestigio che già godeva e la fiducia che si era conquistata in mezzo ai nuovi gruppi liberali, politici ed industriali, e negli ambienti accademici, nello stesso anno gli venne affidata la cattedra di meccanica applicata alle arti, nella scuola tecnica serale istituita dalla Camera di commercio di Genova. Dal 1846 figurava fra i membri della Società economica di manifatture presieduta dal liberale Zenone Quaglia.
Nel 1852 quattro esponenti della finanza e della industria genovese, Carlo Bombrini, Raffaele Rubattino, G. F. Penco e Giovanni Ansaldo, costituita una società in accomandita semplice con capitale di L. 1.200.000, rilevarono dallo stato lo stabilimento meccanico di Sampierdarena, già della ditta Taylor e Prandi, che lo aveva fondato nel 1846 con prestiti statali, e successivamente rivenduto allo stato. Intestata a Giovanni Ansaldo, cui fu affidata la direzione, la società iniziava la sua attività ai primi del 1853; sul finire dello stesso anno Ansaldo si dimise dall'insegnamento.
Nell'agosto-settembre 1851 Ansaldo guidò una delegazione di operai e di tecnici che si recò a Londra per l'esposizione internazionale. Consigliere comunale, fece parte di numerose commissioni di studio, e molte furono le incombenze di carattere pubblico che gli vennero, affidate.
A suo merito va la realizzazione di uno dei maggiori gruppi manifatturieri d'Europa e il trasferimento delle conoscenze ingegneristiche nel settore ferroviario dalla Gran Bretagna in Italia.

Storia del complesso industriale
Alla base del fenomeno dell'industrializzazione di Genova ci fu l'evoluzione di un’élite imprenditoriale, che, da ricchi negozianti e artigiani (di olio, sapone, biacca, tessuti, ecc.) che si limitavano a piccoli investimenti locali, passa a quella di nuovi dinamici imprenditori. Nasce su un’area iniziale di 6.850 mq acquistata nel 1846 da Philip Taylor, la fabbrica da lui progettata e chiamata “Il Meccanico”. Cointestatario era il cav. Fortunato Prandi, uomo d’affari piemontese, con anni di lavoro in Gran Bretagna, esperto in questioni ferroviarie, che divenne il firmatario del prestito di 500mila lire senza interessi concesso da parte dello Stato nell’ottica di finanziamenti per le strade ferrate da restituire entro il 31 dicembre 1859. La cifra doveva essere così distribuita: duecentomila per il terreno e gli edifici; centoquarantamila per i macchinari, sessantamila per le materie prime con cui iniziare, centomila come capitale circolante.
Il progetto, scritto in francese era “plan general pour les Ateliers de construction de M.M. Taylor et Prandi à Gênes”. Il cantiere iniziava dalla spiaggia e salendo verso nord vedeva per primo un lungo “vieux magasins et logements” con al suo ponente il “chantier per le construction des coques en fer”. Sopra essi, sei capannoni messi due a due affiancati, sovrapposti, orientati est-ovest con in asse al centro un “environement du chemin de fer”: nel primo a levante il n.4 “modelage et charpenterie”; a ponente il n.3 “montage et ajustage ou reparation des Locomotives”; sopra il n.1 “fonderie” con a ponente il n. 2 “forge”; ancora sopra il n.6 “construcrion et riparation locomotives” col n.7 “magasins bureau”. Il capannone n.5, all’estremo levante al confine della ‘route vicinale’ la quale raggira tutta l’area chiudendola anche a nord, è separato dal n.4 da un’ area “chantier pour chaudieres a vapeur”, orientato nord-sud, ad uso “tolerie”. A nord del 5, “depot de charbon”.
Lo scopo era un’officina per riparazione e costruzione di macchinari necessari alle ferrovie del Regno; la prima ordinazione fu, l’anno dopo, di dieci serbatoi; la decisione di costruire una ferrovia tra Torino e Genova era nata nel febbraio 1845, e l’idea di aprire uno stabilimento capace di fabbricare e riparare materiale ferroviario, arrivò al momento giusto. Nei terreni di proprietà della moglie del marchese Fabio Pallavicini, espropriati quali “oggetto di pubblica utilità”, furono eretti due lunghi capannoni rettangolari affiancati e paralleli al mare e alla via al Ponte di Cornigliano; ad alta navata e grandi spazi, che prendevano luce da finestroni e da abbaini posti sul tetto tipicamente spiovente; l’entrata fu aperta su una nuova strada creata appositamente, e poi chiamata via Operai. Le difficoltà fecero chiedere due altri prestiti, di duecentocinquantamila e poi di sessantamila lire. Ma il 18 agosto 1852, i due dovettero rinunciare all’impresa, e per saldare il debito totale contratto con lo Stato di ottocentodiecimila lire di allora restituirono alla pari lo stabilimento al governo torinese.
Il tutto venne rilevato, con l’aiuto di un prestito statale di 812mila lire, dal gruppo genovese pilotato da Giovanni Ansaldo, intervenuto con l’investimento personale di quarantamila lire, unico dei quattro soci ad avere delle competenze in materia e quindi in grado di assumere la gestione dell’impresa. Carlo Bombrini, allora presidente della banca Nazionale Sarda che poi divenne la Banca del Regno d’Italia; senatore partecipò con ottantamila lire, Raffaele Rubattino, armatore e assicuratore marittimo, partecipò con ottantamila lire e Giacomo Filippo Penco con centoventimila lire. Penco era un classico esponente dell’alta borghesia genovese di metà ‘800 con interessi in agricoltura ed edilizia; fu tra gli artefici dell’espansione urbana di Genova in quel periodo; nonché finanziere nell’armamento, nell’industria mineraria e nelle saline sarde.
Questo gruppo, il 15 settembre 1852 (notificata in Tribunale nel gennaio 1853 in concomitanza della presa di possesso del materiale esistente) formò la “Società in accomandita semplice Gio. Ansaldo e C.”, con previsto principale incarico di lavoro da parte delle ferrovie. Inizialmente le ordinazioni pervennero col contagocce, preferendo il prodotto estero sia per diffidenza verso i genovesi, che per convenienza di alleanze belliche necessarie per la progettata guerra all’Austria (1859); però l’attività ufficiale iniziò il 26 gennaio dell’anno dopo, solo dopo la firma del Parlamento e di re Vittorio Emanuele sulla cessione della precedente gestione, il 19 giugno 1853.
In quell’anno fu inaugurata, la nuova linea ferroviaria Torino-Genova con la presenza del re e di Cavour sia alla cerimonia che nella fabbrica. Le officine Ansaldo furono le prime a essere collegate con quella linea, grazie a rotaie che collegavano i vari capannoni col porto e con la stazione locale, a mezzo traino dei vagoni con cavalli. In genere tutti gli operai sono di bassa qualifica e spesso analfabeti; agli inizi per l’azienda fu necessario assumere come capi officina personale straniero (inglese e tedesco). Nello stesso anno venne ratificato il contratto dell’Ansaldo dal Parlamento con legge 19 giugno 1853 n.1561. I relativi progetti di legge erano stati presentati da Cavour (ministro delle finanze) alla Camera dei deputati il 25 febbraio; e poi al Senato il 28 aprile. La legge fu approvata il 28 aprile 1853 alla Camera e l’ 11 giugno al Senato.

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La prima locomotiva Ansaldo

La produzione di locomotive iniziò subito, e la prima di esse, chiamata “Sampierdarena”, fu consegnata nel 1855 per essere messa in azione nella tratta iniziale Torino-Rivoli. In tempi così ristretti, mancò la possibilità di essere competitivi con eguali prodotti stranieri; né il ministro, prima Paleocapa poi Bona, poteva giustificare lo spendere di più solo perché il prodotto era nazionale. In previsione di una guerra all’Austria non ci si poteva inimicare gli alleati. Questa locomotiva a vapore rimase in servizio fino al 1909 e nel 1953 fu messa in mostra all’interno della stazione ferroviaria di Savona. La seconda ordinazione fu di due locomotive per la tratta Torino-Novara. Dopo tre anni già venti locomotive erano attive sulla rete nazionale. In contemporanea, nel 1857 si costruì la complessa macchina idropneumatica inventata da Sommeiller e usata per il traforo del Cenisio.
Nel 1859, alla morte di Ansaldo, l’azienda già forte di 480 operai, fu affidata fino al 1865 all’ingegnere navale Luigi Orlando. Questi allargò il campo d’azione alla meccanica navale e cantieristica: nel 1860 furono costruite due cannoniere, le prime navi da guerra del Regno. Questo indirizzo obbligò i dirigenti dell’azienda ad allargare lo stabilimento verso il mare invadendo i terreni in quella direzione: nel 1882 l’area occupata era divenuta di 12mila mq, il doppio di quando era nata 25 anni prima.
Parallelamente c’è l’immissione di manodopera proveniente da tutta Italia, con diversità di cultura, tradizioni e lingua; anche la ferrovia importa maestranze per i cantieri, dotati di pochi mezzi meccanici e molta mano d’opera per scavi, muri, gallerie. Ovunque si costruisce, dentro l’Ansaldo e la città, e occorrono materiali nuovi come calce, cemento, esplosivi, attrezzi, legname, prodotti alimentari.
Le merci girano, e con loro, i capitali. Produzione importante furono nel 1858 i cannoni di ghisa di nuova invenzione. Alla vigilia delle ostilità con l’Austria (1859), Cavour ordinò la fabbricazione di cannoni in bronzo da 6, 8 e16 mm, fece modificare e rigare i cannoni navali e cerchiare quelli fatti in ghisa svedese, fece fabbricare proiettili adeguati; e in contemporanea le macchine per quattro cannoniere della flotta del Garda costituenti le prime navi da guerra a vapore italiane ovvero la “regia flottiglia interna”, utilizzate anche da Garibaldi nella campagna del 1866. Nel 1865 vi lavorano mille operai.
L’anno dopo si costruirono i motori per il “Regio Avviso Vedetta” (da 661 cavalli, primo per nave italiana a vapore e in ferro) e per la corazzata Conte Verde. Se all’inizio erano due, nel 1869 lo stabilimento aveva sette tettoie e occupava quasi 27.000 mq. con 1.00 operai e salario medio di lire 3,5 (variabile da 2 a 12). Si utilizzano sei macchine a vapore della forza di 65 cavalli, 5 forni fusori, un forno a riverbero, altri 15 forni minori e 100 fucine.

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La regia nave "Staffetta"

Nello stesso anno, scioperano gli operai del “Meccanico”, per 25 giorni. Saranno seguiti l’anno dopo dagli operai della “Carena e Torre”. La tensione politica preoccupa le autorità. Esse accusano “L’Associazione Generale di Mutuo Soccorso” quale fomentatrice e sovversiva, e la chiudono; rinascerà subito come “Associazione Universale”. Non esistono ancora i sindacati né Camere del Lavoro,che nasceranno a fine secolo, 1895, e la difesa del lavoratore sarà fino ad allora affidata alle Associazioni e Cooperative.
Nacque malgrado tutto nel 1872-3, come per sfida, la prima nave costruita completamente dall’Ansaldo. Dopo aver costruito il primo macchinario a vapore di costruzione interamente italiano per la corazzata “Palestro”, varata a La Spezia, fu aperto un cantiere navale sulla spiaggia cittadina accanto allo stabilimento; e quattro anni dopo fu varata la “Regio Avviso Staffetta” di 1.800 t. La “Staffetta” fu iscritta nel Naviglio Militare nel 1887, dopo tre anni fu messa a disposizione della regina; nel 1882 andò in missione speciale a Londra. Seguirono altri motori per l’ ”Avviso Marcantonio Colonna”, per gli incrociatori “Amerigo Vespucci” e “Savoia”, navi costruite in altri cantieri o parti di navi, pezzi per la corazzata “Lepanto”, “Duilio”, “Dandolo”, divenendo così il più vasto e importante stabilimento meccanico del Regno. Nel 1881 morì Rubattino; l’anno dopo Carlo Bombrini.
Nel 1883 la Commissione (presidente l’on. Brin), poté esclamare che l’Ansaldo era in grado di costruire ottime macchine motrici, per navi di qualsiasi grandezza.
La direzione guidata dai due figli di Bombrini, Giovanni e Carlo Marcello, abbandona San Pier d’Arena e si trasferisce a Genova. Intanto, anche in virtù dell’opificio, l’ampliamento in Sampierdarena (il censimento del 1881 contò 21.777 abitanti contro i 14.008 del 1861) fu progressivo e inesorabile. Le prime regole "sindacali" scritte, prevedono una giornata lavorativa che dura 10 ore; l’Azienda si preoccupa solamente di trovare il lavoro e non della qualità di vita dei lavoratori; questi hanno diritto a far festa la domenica, con 6 giorni all’anno, non retribuiti, di permessi; obbligatorie eventuali ore straordinarie, massimo 4 al giorno. Molti i licenziamenti per inosservanza di questo regolamento. Nel 1884 il varo non completamente riuscito del “San Gottardo” di 3.600 ton., che si incagliò sul basso fondale e richiese due mesi di lavoro per liberarlo, diede inizio a un programma di spostamento a Sestri dove il fondale vicino a riva era più scosceso.
Nel 1885, dall’occupazione di un’area di 42.750 mq (di cui 7.000 mq di spiaggia) si arriverà ben presto a raddoppiare il terreno occupato a 75.000 mq.; la costruzione di locomotive (in quindici anni ne erano state prodotte 389; diverranno mille nel 1912); Sempre del 1885con l’acquisto di nuovi terreni si ha lo spostamento del cantiere navale a Sestri ove il fondale è più alto; si evitò così che le navi, sempre più grosse, si incagliassero, minacciando di far perdere le importanti commesse che il ministro della marina Benedetto Brin stava affidando alle industrie italiane. Nel 1895 si ha la vendita dell’incrociatore Garibaldi all’Argentina; nello stesso anni si ha l'allargamento in zona Campi per nuove fonderie e acciaierie, lasciando a San Pier d’Arena il solo settore meccanico.
Negli anni tra il 1883 ed il 1890, l’applicazione di una legge sui premi per le costruzioni navali e protezione nazionale dell’industria meccanica in genere, fece aumentare le commesse non contrastate più dall’estero; iniziò per l’azienda quella dipendenza dalle ordinazioni statali che condizionerà per un secolo successivo tutta la storia cittadina. Si produssero 168 locomotive, si avviò una proficua attività di riparazione del materiale rotabile, si vararono a Sestri 8 torpediniere, 1 trasporto, 2 cannoniere, 2 rimorchiatori, 1 pontone, 22 barche trasportom, si fabbricarono 9 grossi motori, i più potenti del mondo, per navi da guerra (il primo, per la corazzata “Sicilia”), nonché lastre di blindaggio, pezzi forgiati per corazzare le navi, speroni e timoni, si era allargata la superficie occupata, espandendosi con un secondo stabilimento a Sestri.
Dal 1883 era in attività (nell’attuale via Ulanowsky) anche la “Soc. Cooperativa di Produzione” formatasi con operai licenziati dall’Ansaldo in quell’anno. Ricevette commissioni, dal 1889, pure la “Soc. Meccanica Storace Frioli” divenuta poi “Roncallo, Storace e C.” Gravi periodi di crisi ci furono negli 1853-60; 1861-77; 1890-5. La ripresa dell’Azienda avvenne dopo il 1895, in rapporto all’aumentata produzione di locomotive (in sette anni, ben 270), all’acquisto all’asta, a metà prezzo dopo otto incanti, della “Soc.Italiana Delta” di Cornigliano, all’acquisto (1903) della “Armstrong” inglese (fabbrica di cannoni a Pozzuoli), divenendo “Soc. An. Italiana Gio. Ansaldo – Armstrong Whitworth e C. Ltd.”, divenendo così proprietaria di stabilimenti di artiglieria a Pozzuoli con una capacità di impiego di 16.000 operai e con afflusso di nuovo capitale (anche dai Bombrini, per nove milioni e da Ferdinando Maria Perrone).
Nell’anno 1903 l’Ansaldo era particolarmente specializzata nel campo delle costruzioni e riparazioni navali (in concorrenza con i cantieri Odero e Orlando) e malgrado comprendesse attività produttive a Sampierdarena (lo stabilimento Meccanico), a Cornigliano (le Fonderie e Acciaierie, l’Officina Elettrotecnica e lo Stabilimento Metallurgico ex-Delta), a Sestri Ponente (il Cantiere navale), e a Genova (l’Officina Allestimento Navi al Molo Giano e l’Officina Riparazioni al Molo Vecchio), rischiò di rimanere fuori del mercato, scalzata dal trust delle grandi aziende metalmeccaniche.
Allo scopo concluse l’accordo con l’azienda inglese onde potersi assicurare la fornitura dei materiali necessari a resistere alla pressione del trust avversario. In questo modo ebbe solo un relativo calo nel settore cantieristico e del suo indotto nel 1904-6, e riuscì a svincolandosi dalla dipendenza dei gruppi siderurgici. L’accordo con la Armstrong dopo aver trovato una nuova soluzione al proprio problema si interruppe nel 1912. Ma fino ad allora fu positivo per l’economia aziendale l’allargamento produttivo alla fabbricazione di armi di qualsiasi tipo (cannoni, proiettili e corazze).
Dopo l’inserimento dell’Italia nella Triplice, era ovvia la possibilità di uno scontro con le potenti squadre inglesi e francesi; e pertanto il Ministro della Marina nel 1893 commissionò la corazzata “Garibaldi” a Sestri e le altre, rispettivamente a Venezia e Livorno. La “Garibaldi”, fu varata nel 1899; e consegnata il 23 febbraio 1902 con solenne cerimonia nella quale venne letta per la prima volta la preghiera del Marinaio di Antonio Fogazzaro. Aveva sperone a prora; cannone da 254mm, due da 203, 14 da 152, dieci da 76, sei da 47; due mitragliere e 4 tubi lanciasiluri. La fiancata aveva spessore di 150mm; la plancia di 40 circa; dislocava 8.100 t.; lunga 111,76, larga 18,20; 24 caldaie per due motori alternativi e con relativa elica. Il primo impiego bellico fu nella guerra italo-turca, con il bombardamento di Beirut nel 1912 e l’affondamento della cannoniera turca “Aunillah”. Scoppiata la guerra del 1915, fu mandata a difesa dell’esercito serbo sbaragliato dalle forze dell’impero. Nella notte tra 17 e 18 luglio 1915 la nave fu silurata al largo di Dubrovnik da un sottomarino austriaco (U4).
Chiudo qui la storia dell'Ansaldo perchè con l'arrivo dei Perrone si apre tutto un altro capitolo. Ferdinando Maria Perrone, nel 1902 entra nella società Ansaldo, diventandone unico proprietario due anni dopo. Al suo nome si legherà la storia dell'azienda per tutto il primo ventennio del XX secolo. Perrone perseguì - in una maniera assolutamente originale per l'epoca - l'obiettivo della completa autonomia produttiva, sia nel campo della siderurgia, sia in quello degli armamenti che proprio in quegli anni divenivano la principale attività dell'azienda genovese. Perrone seguì l'esempio di Ford nella completa integrazione del gruppo. Nel 1918 l'Ansaldo poteva contare su oltre 80.000 dipendenti e sul controllo di numerose società tra cui A. Cerpelli e C., Banca Industriale Italiana, Cantieri Officine Savoia, Dinamite Nobel, Gio. Fossati e C., Lloyd Italiano, Nazionale di Navigazione, Fabbrica Aeroplani Ing. O. Pomilio, Società Idroelettrica Negri, Società Piemontese Automobili e Transatlantica Italiana; poteva disporre di decine di stabilimenti. Con la proprietà dei Perrone il capitale sociale dell'Ansaldo passò da 30 a 500 milioni di lire nei soli cinque anni della prima guerra mondiale (1914-1918). La crisi post-bellica del 1921 portò al rilevamento dell'Ansaldo da parte di un consorzio di salvataggio promosso dalla Banca d'Italia. Diretta conseguenza fu un ridimensionamento delle strategie e delle strutture dell'impresa diretta da Perrone. Da allora venne a cessare ogni suo impegno in campo industriale mentre continuò quello nell'ambito editoriale, concretizzatasi fra l'altro con l'acquisizione dello storico quotidiano di Genova, Il Secolo XIX, ancor oggi controllato dagli eredi della famiglia Perrone.

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Eugenio Caruso - 3 febbraio 2017



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