Michele Ferrero, l'uomo più ricco d'Italia


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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Michele Ferrero

Michele Ferrero Dogliani (Cuneo) 26 aprile 1925 - Montecarlo 14 febbraio 2015
Nasce da Pietro Ferrero e Piera Cillario. Pietro ha diverse esperienze lavorative a Dogliani, ad Alba fino a Torino, con una pasticceria nella centrale via Berthollet. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, spinge Pietro e sua moglie Piera a tornare ad Alba, nel 1942, dove decide di aprire un laboratorio in via Rattazzi. Comincia così la storia della Ferrero.
Nei dieci anni successivi alla costituzione formale dell'azienda Ferrero, che avviene il 14 maggio del 1946, la crescita costante e veloce dell'industria continua anche grazie al lavoro di Michele, che collabora alla sua conduzione. Alla morte del padre avvenuta il 2 marzo 1949, la direzione passa a lui, allo zio Giovanni e alla vedova Piera. Dal padre Pietro impara le capacità artigiane, dallo zio Giovanni l'importanza dell'organizzazione commerciale e dalla madre Piera il senso della struttura aziendale. A 32 anni Michele si trova a guidare l'azienda in piena fase di sviluppo.
Apre stabilimenti produttivi e di rappresentanza tra i quali Ferrero Germania e Ferrero Francia. Successivamente, esporta il marchio Ferrero oltreoceano, dall'Australia (1974) all'Ecuador (1975). Inventa numerosi dei più famosi prodotti Ferrero: da Nutella (1964) a Mon Chéri (1956), da Tic Tac (1969) a Ferrero Rocher (1982), fino alla linea Kinder che rappresenta circa il 50% del fatturato Ferrero (milioni di bambini in tutto il mondo sono cresciuti a pane e Nutella o sua imitazione).
Il 2 giugno 1971 viene nominato Cavaliere del Lavoro. Secondo Forbes, nel 2016 è stato l'uomo più ricco d'Italia (23,4 mld di dollari) e il 30° al mondo. In Italia nei primi anni settanta l'azienda investe molto in pubblicità televisiva nel primo spazio appositamente creato, il Carosello. Nel medesimo periodo firma un accordo con la C.P.C. per la diffusione in Italia della Knorr. Per volontà di Ferrero nel 1983 nasce la Fondazione Ferrero, con sede ad Alba, dedicata agli ex-dipendenti Ferrero e alla promozione di iniziative culturali e artistiche. Tra gli anni '80 e '90 rifiuta alcune proposte di candidatura in parlamento. Nel 2005 crea le Imprese Sociali Ferrero, finalizzate a creare posti di lavoro nei paesi emergenti, e a realizzare progetti per promuovere l'educazione e la salute dei bambini nelle aree in cui sono situati gli stabilimenti.
Ferrero è uno dei principali gruppi dolciari a livello mondiale: con oltre 34.000 collaboratori è presente in 53 Paesi, ha 20 stabilimenti produttivi, di cui 3 operanti nell'ambito delle imprese sociali in Africa e Asia e 9 aziende agricole. Quando Michele Ferrero lascia la carica di amministratore delegato, va a vivere a Montecarlo, dove ha sede un'altra società del Gruppo Ferrero, Soremartec (Société de recherche de marketing et technique), i cui compiti vanno dall'innovazione del prodotto al rinnovamento dei sistemi di produzione, fino ai test di mercato. Dopo una lunga malattia, Ferrero muore nel pomeriggio del 14 febbraio 2015 a Montecarlo all'età di 89 anni. Il 29 settembre 2015, viene intitolata a "Michele Ferrero, imprenditore" una piazza della città di Alba, fino ad allora denominata "Piazza Savona".
Due ali di operai, vestiti con le divise della Ferrero, ad attendere il feretro davanti alla chiesa di San Lorenzo, ad Alba. Quattro maxischermi allestiti nelle vie del centro. Piazza del Duomo gremita. Si contano 10mila persone. E, all’arrivo del carro funebre un lungo applauso da parte della folla. Alba ha salutato Michele Ferrero, scomparso a Monaco all’età di 89 anni. La salma è stata tumulata nella tomba di famiglia, accanto a quella del figlio Pietro. A rendere omaggio all’imprenditore anche il direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli, il presidente del Coni Giovanni Malagò, il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino Piero Fassino, dall’ambasciatore Paolo Fulci e il premier Matteo Renzi.
«Cosa dire? Ci sono forse parole per esprimere lo smarrimento, il dolore, il riserbo per la scomparsa di Michele? No. Ha reso pensabile l’impensabile» (Giovanni Ferrero al termine dei funerali del padre) [lastampa.it 18/2/2015].
L’ultima volta che l’hanno visto in pubblico è stato nella Cattedrale di Alba, per il funerale del figlio Pietro, morto a 47 anni d’infarto in Sudafrica, nell’aprile 2011, mentre andava in bicicletta. Ai vecchi collaboratori continuava a ripetere: «Che disgrassia», che disgrazia [Aldo Cazzullo, Cds 15/2/2015].
Adesso la successione dell’azienda è nelle mani di Giovanni, 51 anni. Nella storia del capitalismo è successo molto raramente che, scomparso l’imprenditore-innovatore, l’archetipo schumpeteriano, tutto sia rimasto come prima. Il figlio Giovanni, Ceo del gruppo, è riuscito a comunicare al padre la notizia dello storico sorpasso della Nestlé poche ore prima che si spegnesse dopo una lunga malattia. «Bravo, erano anni che aspettavo questo momento – è stato il commento di Michele Ferrero –. Prendi una bottiglia, che dobbiamo brindare» [Fiori, Sta 17/2/2015]. «Era un campione assoluto del capitalismo e non solo di quello italiano. Uno degli ultimi grandi che hanno ricostruito l’Italia dopo la guerra e l’hanno trasformata nel decimo paese industriale del mondo» (Stefano Cingolani) [Fog 17/2].
«La prima volta che entrai in una panetteria-pasticceria per vendere la crema alle nocciole che faceva mio padre, il negoziante mi chiese brusco: “Cosa vuole?”. Non ebbi il coraggio di offrirgli il prodotto. Comprai due biove di pane e uscii. Andò così in altri due negozi. Nel quarto lasciai la merce in conto vendita. Tornai il giorno dopo: l’avevano venduta tutta» (il discorso di Natale del 2013 ai suoi collaboratori) [Aldo Cazzullo, Cds 15/2/2015].
Il giorno prima della sua morte la Ferrero ha superato la Nestlé, diventando la terza industria dolciaria al mondo nel mercato del cioccolato. Secondo le classifiche della rivista americana Forbes, ha lasciato un patrimonio personale di 23,4 miliardi di dollari (20,5 miliardi di euro) che ne facevano il trentesimo uomo più ricco del mondo e il primo d’Italia .
«Quella dei Ferrero è una vita da formiche, più che da cicale. Niente vita mondana, nessuno scandalo, nessuno scoop. Troppo normale per essere vera? Se lo è chiesto anche Forbes quando ha chiamato nell’ufficio di Alba per comunicare la vittoria della classifica. Dall’altro capo del telefono pare che abbiano commentato con un serafico “Not bad”», mica male» (Fabrizio Goria) [Rif 21/11/2009]. «Dall’umiltà nasce la sua genialità. Poi certo c’era una grandissima cultura imprenditoriale. Teniamo presente che da ragazzino ha sofferto cos’era la povertà delle langhe negli anni 30. Se non si inquadra la realtà di allora non si capisce cos’è la vera povertà. Michele Ferrero è stato un imprenditore che a 28 anni ha creato due fabbriche, di cui una all’estero. Un pioniere e un prodigio. Basti pensare che la Ferrero era un’azienda internazionale che usciva dai confini dell’Europa, che lui diceva essere “un fazzoletto”, già nel ’65» (Wiliam Salice, braccio destro di Ferrero).«La storia di queste generazioni che rigorose e riconoscenti si passano i nomi di battesimo come in una staffetta, incomincia con l’agricoltore Michele (classe 1856) a Viaiano Soprano, frazione che da Farigliano scende al Tanaro, nel Cuneese. Michele ha nel 1898 un figlio, Pietro, che di fare il contadino non ha voglia e con il fratello Giovanni va a Dogliani: garzoni di panettiere e pasticciere. Sentono la voglia di provare, creare. E verrà il matrimonio di Pietro, con Piera Cillario, anche lei figlia di contadini (figura che sarà venerata dal figlio e dai nipoti): nel 1925 nasce Michele, chiamato come il nonno. Pietro e Piera aprono negozio a Torino, poi lui tenta un’avventura in Somalia per vendere panettoni, torna a Torino, grandi vetrine, poi guerra e bombe e la fuga ad Alba, i primi barattoli di cioccolata, anteprima della Nutella, il negozio sulla via Maestra» (Marco Neirotti) [Sta 7/3/2008].
Il 2 marzo 1949, alle 16,30, Pietro Ferrero muore per un attacco cardiaco, a 51 anni. Dell’attività si occupa Giovanni Ferrero, il fratello, fiero del suo servizio nei carabinieri, delle bande rosse sui pantaloni, e fiero di quella “pasta Gianduja” che diventerà la Nutella. Con lui il nipote Michele, 24 anni, l’ex bambino e ragazzino dell’avventura torinese stroncata dal conflitto mondiale.
Poi era arrivato lui, Michele Ferrero. Per la verità, già i suoi si erano fatti conoscere, per via di quei camion della ditta che giravano le contrade e lasciavano alle drogherie dei paesi panetti marron striati di bianco: erano artigiani di genio che stavano facendo il salto verso l’industria con i piedi di piombo e tanti sogni. «Quando dicono “Michele è un genio”, rispondo facendo finta di aver capito altro: “Sì, è vero, di secondo nome faccio Eugenio, la mia mamma mi chiamò Michele Eugenio”. Meglio fare così, altrimenti finirei per crederci e per montarmi la testa» (a Mario Calabresi nel 2010) [Stampa 19/2/2015].
«“Quello che amo di più? Certo la Nutella, ma il Mon Chéri è il prodotto degli inizi, quello che mi emoziona ricordare. Era l’inizio degli Anni Cinquanta e andammo in Germania, perché avevo pensato che il mercato del cioccolato dovesse guardare a Nord, dove lo consumano tutto l’anno. Quando siamo arrivati era il dopoguerra, un Paese ancora pieno di macerie con i segni del conflitto, triste, depresso, in cui gli italiani erano visti malissimo. Ci consideravano traditori, malfattori e infidi, convincerli a comprare qualcosa da noi era una missione quasi impossibile. Cominciai ad andare dai distributori con l’idea di vendere cioccolatini in pezzo singolo, con dentro il liquore e la ciliegia. Mi dicevano che bisognava fare delle scatole, non degli incarti singoli, perché solo quelle si potevano mettere sugli scaffali dei negozi e quelle si vendevano. Io rispondevo che stavano mesi sugli scaffali e le persone le compravano solo per le grandi occasioni, per fare regali. Io invece pensavo a qualcosa che risollevasse il morale, che addolcisse ogni giorno la vita dei tedeschi: c’era il cioccolato, la ciliegia e c’era il liquore che scaldava in quell’epoca fredda e con scarsi riscaldamenti. Qualcosa che avesse una carta invogliante, elegante, lussuosa, di un rosso fiammante, che desse l’idea di una piccola festa ad un prezzo accessibile a tutti. Insistetti finché non trovai un uomo intelligente che si fece conquistare dalla mia idea. La Valeria (chiamava Valeria la casalinga/madre media che imponene gli acquisti della famiglia) tedesca aveva bisogno di essere confortata, di sentirsi bene ogni giorno, di potersi fare un piccolo regalo: poteva funzionare tra fidanzati, tra marito e moglie e non c’era bisogno di aspettare feste o ricorrenze. Poi in inverno feci mettere enormi cartelloni pubblicitari in ogni grande stazione della Germania, con un immenso mazzo di fiori che non sfioriva mai. Per Natale mi misi d’accordo con la Fiat e al centro delle dieci maggiori stazioni piazzai in bella mostra una topolino rossa che avrebbe premiato i vincitori di un concorso legato al Mon Chéri. Fu un successo travolgente e l’anno dopo facemmo le cose ancora più in grande e mettemmo in palio dei diamanti» (Michele Ferrero a Mario Calabresi nel 2010) [Sta 19/2/2015]
«Pensi che ancora oggi noi ritiriamo tutto il nostro prodotto di cioccolato all’inizio dell’estate, per evitare che si sciolga, per evitare che la Valeria resti delusa e trovi qualcosa che non è all’altezza. Per evitare che ci associ con qualcosa di sciolto, di rovinato, con qualcosa che non vale la pena comprare. Per questo il trimestre estivo è il nostro periodo peggiore e per questo la missione che tanti anni fa ho dato ai miei figli miei figli è quella di colmare il vallo estivo, di inventare prodotti che diano alla nostra produzione e al nostro fatturato un’uniformità tutto l’anno”» (a Mario Calabresi nel 2010) [Sta 19/2/2015]
Michele governò l’improvvisa fortuna e fece fabbriche nei quattro continenti, ma un pensiero speciale lo ebbe sempre per il posto dov’era nato. Conosceva le facce, le fatiche, i dolori della sua gente. Sapeva anche che, per un contadino che aveva fatto sempre il contadino, andare in fabbrica per bisogno era una resa. E allora, senza fare teorie sul rapporto industria-territorio, senza impancarsi a costruttore di nuovi modelli sociali, semplicemente capì che bisognava andargli incontro e lasciarli stare dov’erano, nei loro paesi. Lui li avrebbe mandati a prendere ogni giorno con la corriera, all’orario dei turni e li avrebbe riportati a casa. Molto amato dai dipendenti e in genere dagli albesi, amava distribuire le gratifiche di persona, talora infilate nel taschino. Ragioniere, rifiutava le lauree honoris causa, rispondendo che «basta il buon senso». In privato era anche più severo: «Mi raccomando, pochi laureati»; «pì a studiu, pì ven stupid», più studiano più diventano stupidi. Leggendaria la sua capacità di lavoro: il giorno preferito per le riunioni è sempre stato la domenica. Un’altra frase ricorrente era «vag ’n chimica», vado nei laboratori, dove faceva notte in camice bianco con i collaboratori più stretti ad assaggiare cioccolato e a provare decine di varianti. Seguiva di persona ogni cambiamento nella formula della Nutella, più riservata del Sacro Graal, e la ricerca dei nuovi prodotti, dai Rocher al Grand Soleil. «Ricordatevi: ca piasa a madama Valeria», che piaccia alla signora Valeria, simbolo della casalinga media. Alla fine affidava ai suoi uomini un pacchettino con le diverse varianti: «Ca lu fasa tasté a sua fumna», lo faccia assaggiare a sua moglie; il verdetto della signora sarebbe stato decisivo.
«Il mio segreto? Fare sempre diverso dagli altri, avere fede, tenere duro e mettere ogni giorno al centro la Valeria. La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decide che Wal-Mart sia il più grande supermercato del mondo, che decreta il successo di un’idea e di un prodotto e se un giorno cambia idea e non viene più da te e non ti compra più, allora sei rovinato. Sei finito senza preavviso, perché non ti manda una lettera dell’avvocato per avvisare che taglia il contratto, semplicemente ha deciso di andare da un’altra parte, di non comprarti più» (Michele Ferrero a Mario Calabresi nel 2010).
A Vallecrosia si faceva portare al supermercato Conad per vedere le ultime generazioni di espositori e come la gente prendeva gli ultimi nati della produzione, come il ghiacciolo al sapore di Estathè o le vaschettine di gelato digestivo. Parlava con le donne che facevano la spesa, che per lui erano il consumatore che decideva il futuro e le sorti del prodotto, e poi si soffermava con le cassiere. Incedere elegante, bastone, cappello. Salutava e sfilava via con un sorriso. Le sue visite erano esclusivamente di prima mattina, subito dopo l’apertura, «come un’ombra gentile» – ricorda qualcuno. A Monaco non e difficile vederlo andare in un supermercato per controllare se i suoi prodotti sono esposti bene e soddisfano tutti gli standard aziendali, rigorosissimi ad Alba come nelle altre sedi del gruppo. • Amava frequentare anche qualche ristorante di Sanremo e in passato aveva «rimbrottato» simpaticamente qualche sindaco perchè non si era adoperato per fare in modo di rendere operativa l’elisuperficie di Pian di Poma. Perchè lui da Alba si spostava prevalentemente in elicottero e una «base» alternativa a Monaco non l’avrebbe disdegnata. «I fondatori dell’azienda erano Pietro, suo padre, che si occupava della pasticceria, e Giovanni, suo zio, che seguiva i mercati. Lui ha chiamato i figli Pietro, affidandogli la produzione, e Giovanni, affidandogli le vendite. Li amava teneramente, al punto da battezzare la barca di famiglia “Papos”, come il nomignolo con cui lo chiamavano da bambini; ma li sottoponeva a prove iniziatiche. La domenica portava il primogenito Pietro nella fabbrica in riva al Tanaro, gli faceva chiudere gli occhi, e spariva: il piccolo doveva ritrovare l’uscita da solo, fidando sul senso di orientamento e sull’olfatto (il quartiere e talora l’intera città, a seconda del vento, profuma di cioccolato). Quando nel ’94 il Tanaro allagò la fabbrica, tutta la famiglia mise gli stivaloni e cominciò a spalare, sotto lo sguardo di Berlusconi atterrato in elicottero» (Aldo Cazzullo) [Cds 15/2/2015]. Di Berlusconi fu generoso inserzionista e amico; lo seguì nella battaglia per la Sme; non nella discesa in campo. Evitò sempre la Borsa come la peste. Investì in Mediobanca [Aldo Cazzullo, Cds 15/2/2015].
«Sa perché ho potuto fare tutto questo? Per il fatto di essere una famiglia e di non essere quotati in Borsa: questo ha permesso di crescere con serenità, di avere piani di lungo periodo, di saper aspettare e non farsi prendere dalla frenesia dei su e giù quotidiani» (a Mario Calabresi nel 2010) [Sta 19/2/2015]. Il gruppo Ferrero non ha mai voluto quotarsi in Borsa. Per le strategie che ha seguito, non ne ha mai avuto bisogno. A conferma che la Borsa non è la sola strada per crescere. Michele Ferrero, infatti, non ha fatto acquisizioni degne di nota nell’evidente convinzione che gli altri non avessero prodotti geniali quanto Nutella, Kinder, Ferrero Rocher, Mon Chéri, Estathè, Fiesta o Tic Tac. La sua storia è stata dunque assai diversa da quella di un Leonardo Del Vecchio che, invece, puntando a costruire una rete distributiva su scala mondiale per piazzare i suoi occhiali disegnati dagli stilisti, si è quotato addirittura a Wall Street ed è cresciuto a colpi di Opa coinvolgendo sempre di più i manager non solo nella gestione ma anche nel capitale di Luxottica.
Sono sue tutte le invenzioni grazie alle quali il gruppo è passato dai mille dipendenti degli anni Cinquanta ai 4 mila del 1960, per poi salire a diecimila nel 1990, fino agli attuali 24.797 (in tutto il mondo). I prodotti di maggior successo sono: Mon Chéri (1956), Tic Tac (1969), Estathè (1972) e Rocher (1982). Ma soprattutto i Kinder Sorpresa, quando ebbe l’intuizione: «Perché i bambini vogliono le uova di Pasqua al cioccolato? Per la sorpresa: allora dobbiamo dargliela tutti i giorni».
Spaventato dal fisco e dai sequestri di persona, portò la famiglia prima a Bruxelles, dove fu processato e alla fine assolto per esportazione di capitali, poi a Montecarlo. Negli ultimi tempi si divideva tra la casa di Cap Ferrat, in Costa Azzurra, e quella di Altavilla, la collina che sovrasta Alba [Aldo Cazzullo, Cds 15/2/2015]
Quando ha lasciato la carica di amministratore delegato, è andato a vivere a Montecarlo. Ma non davvero in pensione. Lì nasce una nuova società, la Soremartec, un centro ricerche che si appaia a quello della sede centrale, studia i nuovi prodotti. Ed è lui anche oggi ad andare ad assaggiarli con un cucchiaino, come da ragazzo in negozio. A Montecarlo a inventare, a Cap Ferrat, nella provenzale Villa Giopi color salmone, a riposare tra i ciclamini. Appena di qua dal confine, a Ospedaletti, c’è il primo alloggio al mare che i Ferrero comprarono con il lavoro: ora in quel condominio ospitano in vacanza dipendenti e pensionati dell’azienda.
«Diffidava dei manager, che cambiava spesso. Ossessionato dal prodotto, sceglieva di persona i dipendenti delle uniche categorie che lo interessavano: chimici e venditori. Non guardava neppure il curriculum. Nascosto dietro un vetro opaco, gli bastava uno sguardo per dare un giudizio, ovviamente in dialetto. Per indicare una persona di buon comando ma poco creativa, diceva: “Chiel lì è mac bun a fé le comisiun”, quello è capace solo di fare le commissioni, di eseguire il compito che gli è stato affidato. Quando trovava una persona estrosa ma non del tutto affidabile, lo definiva «’n artista»; «chiel lì bat i querc», quello lì batte i coperchi, indicava invece che la sregolatezza prevaleva sul genio» (Aldo Cazzullo) [Cds 15/2/2015]. E i collaboratori dell’azienda, che Michele rifiuta di chiamare lavoratori o, peggio, operai, hanno continuato il loro lavoro senza saper nulla di ciò che era successo negli Usa. Si tratta di piccole cose, come le «scappatine» che Michele ogni tanto fa in Via Maestra, soprattutto nel periodo autunnale, quando il profumo del tartufo bianco e del cioccolato si mischiano. Torna a camminare lungo quella che per lui è stata l’origine di tutto. Proprio perché continua a essere convinto che non bisogna mai dimenticare le proprie radici.
«L’Estathè per dieci anni non è esploso, ma io non mi sono scoraggiato, perché ero convinto che ci voleva tempo ma che l’intuizione era giusta e che la Valeria non sapeva ancora che era quello di cui aveva bisogno. Ma poi se n’è resa conto ed è stato un grande successo. Un unico rammarico: averlo lanciato solo in Italia, ma mi spaventavano con le indagini di mercato e non vollero portarlo in Francia e così oggi il mercato estero è già pieno di concorrenti. E poi ci inventammo uno scatolino morbido e leggerissimo che era una novità assoluta e la cannuccia…» (a Mario Calabresi nel 2010) [Sta 19/2/2015].
«Ho incontrato Michele Ferrero cinque anni fa, in una mattina d’agosto, nel suo stabilimento di Alba. Non parlava mai con i giornalisti e non si ricordano interviste o conferenze stampa, la riservatezza, con la fede religiosa e l’amore per la qualità sono state le cifre della sua esistenza. Mi aveva detto chiaramente che mi avrebbe parlato volentieri della sua vita e del suo lavoro ma a patto di non vederla pubblicata sul giornale la mattina dopo. Oggi penso che le parole del suo racconto siano il modo migliore per ricordarlo, per ricordare un genio del “fare” italiano» (Mario Calabresi) [Sta 15/2/2015].
«Gli chiedo allora quale è stata l’intuizione che è sembrata più pazza ma che gli ha dato più soddisfazione: “È successo anni dopo, in Italia, quando pensai che l’uovo di cioccolato non poteva essere una cosa che si vendeva e si mangiava una volta all’anno, a Pasqua. Però ci voleva qualcosa di più piccolo, che si potesse comprare ogni giorno a poco prezzo, ma doveva ripetere quell’esperienza e allora ci voleva anche la sorpresa, ma in miniatura. Pensai alla Valeria mamma, che così poteva premiare il suo bambino perché aveva preso un bel voto a scuola, alla Valeria nonna che lo regalava per sentirsi dire: ‘Sei la più bella nonna del mondo’ o alla Valeria zia che riusciva così a strappare al nipotino quel bacio e quell’abbraccio che faticavano sempre a conquistare. Ma così tanto cioccolato poteva preoccupare le mamme, allora pensai di rovesciare l’assunto tradizionale pubblicizzando che c’era ‘più latte e meno cacao’, quale miglior sensazione per una mamma di dare più latte al suo bambino? Così mi decisi e ordinai venti macchine per produrre ovetti, ma in azienda pensarono di aver capito male o che fossi diventato matto e non fecero partire l’ordine. Poi chiesero a mia moglie Maria Franca se la firma sull’ordine era davvero mia, lei confermò, ma per far partire la cosa dovetti intervenire di persona. Le obiezioni erano fortissime, dicevano che sarebbe stato un flop, che le uova si vendevano solo a Pasqua e allora io sbottai e dissi: ‘Da domani sarà Pasqua tutti i giorni’». Questo fu il 1968 di Michele Ferrero, la sua rivoluzione, quell’anno partì insieme all’ovetto la linea di prodotti per bambini che conosciamo come Kinder Ferrero» (Mario Calabresi) [Sta 19/2/2015].
Per suo volere è nata, nel 1983, la Fondazione Ferrero, che oltre ad occuparsi degli ex dipendenti promuove iniziative culturali e artistiche. Religiosissimo, in ognuno dei venti stabilimenti sparsi nel mondo ha fatto mettere all’ingresso una colonna con la Madonna di Lourdes, dove organizzava pellegrinaggi. «Tutto quello che ho fatto lo devo alla Madonna, a Maria, mi sono sempre messo nelle sue mani e lei devo ringraziare. La prego ogni mattina e questo mi dà una grande forza» (a Mario Calabresi nel 2010) [Sta 19/2/2015]
Di politica non parlava mai. Una volta lo sentirono dire: «Sono socialista, ma il mio socialismo lo faccio io». Costruì un welfare aziendale che si occupava di tutto, dalla sanità al dopolavoro: l’inno delle gite aziendali dei pensionati – «nui suma ansian, ansian d’la Ferero» -, da cantare sulla musica di «Marina», a un certo punto dice: «Dima grasie a monsu Michele», ringraziamo il signor Michele [Aldo Cazzullo, Cds 15/2/2015]
«Ecco cosa significa fare diverso da tutti gli altri. Tutti facevano il cioccolato solido e io l’ho fatto cremoso ed è nata la Nutella; tutti facevano le scatole di cioccolatini e noi cominciammo a venderli uno per uno, ma incartati da festa; tutti pensavano che noi italiani non potessimo pensare di andare in Germania a vendere cioccolato e oggi quello è il nostro primo mercato; tutti facevano l’uovo per Pasqua e io ho pensato che si potesse fare l’ovetto piccolo ma tutti i giorni; tutti volevano il cioccolato scuro e io ho detto che c’era più latte e meno cacao; tutti pensavano che il tè p otesse essere solo quello con la bustina e caldo e io l’ho fatto freddo e senza bustina» (a Mario Calabresi).
• «Mio padre Michele è stato un imprenditore che ha saputo guardare avanti, prevedere il futuro. Progressista. Ha sempre pensato che la fabbrica fosse per l’uomo e non l’uomo per la fabbrica» (Giovanni Ferrero) [lastampa.it 18/2/2015].
(a cura di Jessica D’Ercole e Roberta Mercuri)

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Eugenio Caruso - 5 marzo 2017



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