Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

La storia vera della nascita, della vita e della morte di una grande impresa


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

Articolo precedente


1. Storia all’interno di un’impresa pubblica.

 

Nel libro "Italia: vizi e virtù" emerge la mia ostilità nei confronti dello stato imprenditore. Questo atteggiamento è frutto di una mia predisposizione politica verso un liberismo economico controllato da regole sicure, ma è anche dovuto alla mia personale esperienza di lavoro in un'azienda di stato, nella quale ho percorso il cammino da impiegato a direttore. Ritengo che possa essere utile descrivere, sia pur brevemente, questa mia esperienza per non fare come certi "professionisti della carta stampata" che parlano di tutto senza aver mai sperimentato nulla. Ne risulta una specie di romanzo.
La società Dino SpA non era sempre stata figlia di un dinosauro di stato, la sua nascita, come società a responsabilità limitata, derivava dai nobili lombi di imprese industriali private e per lunghi anni aveva vissuto secondo le regole dell'impresa privata: dover fare i conti con i bilanci e con le richieste della committenza e vivere nell'incertezza del domani.
Fondata subito dopo la guerra, il patto tra i soci fondatori prevedeva che la Dino si sarebbe occupata di «ricerche ed esperienze scientifiche, acquisizione e sfruttamento di brevetti» in campi che sarebbero stati indicati dai soci stessi. I primi dieci anni di vita della società furono molto tormentati, per le difficoltà finanziarie, per disaccordi tra i soci, ma, fondamentalmente, per l'ostracismo dell'ambiente politico, che vedeva negativamente un centro per l'innovazione tecnologica, che nascesse da un raggruppamento di aziende private.  Purtroppo i soci di Dino si erano illusi che lo stato intervenisse con contributi propri alla creazione di una società che avrebbe potuto contribuire allo sviluppo industriale del Paese e pertanto ne avevano chiesto l'appoggio. Questo fu un errore perché quelli erano tempi nei quali ciò su cui lo stato poteva mettere le mani non poteva prima o poi non entrare nella grande famiglia delle partecipazioni statali.
L'azione corrosiva dell'ambiente politico si concretò nel 1955, quando i soci privati furono costretti a cedere il 50% delle quote di capitale ad una società delle partecipazioni statali.
Fortunatamente, i fondatori della società erano persone di spessore culturale ed umano cosicché, la società, pur attraverso molte difficoltà, aveva sviluppato una propria nicchia di competenze, che la facevano unica in Italia e tra le poche nel mondo. Importanti tecnologie e progetti videro la luce negli scantinati che un socio fondatore aveva offerto ai primi dipendenti della Dino e successivamente in una nuova sede alle porte di Milano. I senior scientist erano invitati a presiedere importanti congressi internazionali, i ricercatori esteri facevano "carte false" per uno stage presso la Dino, le spie industriali russe erano presenti anch'esse con vere carte false. Decenni dopo ricercatori e stagiaire della Dino potevano incontrarsi come presidenti di importanti industrie, rettori universitari, ministri, sottosegretari e quant'altro.
La Dino srl nasce subito dopo la guerra sotto gli auspici di alcuni gruppi industriali con lo scopo di sviluppare tecnologie avanzate nel Paese, la cui ricerca era stata frantumata dal progetto autarchico della dirigenza fascista. La seconda guerra mondiale era passata come un ciclone devastante e anche l'ambiente scientifico era stato travolto dalla disfatta materiale e morale.
Tre giovani studiosi, che non avevano problemi psicologici e morali da risolvere, ma una grande voglia di lanciarsi nell'avventura della ricerca, trovano a Milano sponsor di prestigio nel mondo accademico e industriale e avviano la costruzione di un nuovo ambiente scientifico.
Nel contesto di una nuova cultura e sotto lo stimolo di risorse giovani e motivate nasce Dino srl; la società cresce rapidamente e dai 13 dipendenti del '47, passa ai 40 del '51.
Ma i problemi del finanziamento diventano immediatamente il problema da risolvere quotidianamente e viene pertanto cercato l'appoggio dello stato.  Il consiglio d'amministrazione scrive, infatti, nel 1950, «È necessario che si possa, da parte dello Stato, avere quell'aiuto sul quale si era e si è sempre fatto affidamento fin dal giorno della fondazione». Fu chiaro che le imprese lanciatesi nell'iniziativa della Dino, iniziativa che avrebbe creato ricadute positive per lo sviluppo dell'industria italiana, non erano in grado di progredire in modo significativo senza l'appoggio pubblico. D'altra parte, le competenze tecnico-scientifiche necessarie per raggiungere gli obiettivi strategici della società non esistono sul mercato, cosicché la Dino, nei primi anni della sua vita, deve sobbarcarsi l'onere della formazione di tecnici e scienziati orientati allo sviluppo e all'innovazione delle obsolete industrie del Paese, onere, generalmente, di competenza dello stato.
Ma la Dino deve passare dalla fase informativa e formativa a quella realizzativa; questo passo richiede un congruo aumento di personale e di strutture e quindi i relativi finanziamenti. La relazione del consiglio di amministrazione del 1951 ribadisce «Oggi come oggi gli sforzi dei privati non possono più permettere alla società uno sviluppo adeguato. È quindi indispensabile che il problema venga considerato nella sua vastità e siano trovati mezzi idonei ad uno sviluppo consono alle proporzioni del problema …. la vita della società è oggi strettamente legata alle decisioni che il Governo vorrà prendere al riguardo».
Gli ambienti romani paventano che il governo finanzi attività di ricerca i cui risultati restino di proprietà dei privati; un'azienda pubblica, creata ad hoc, acquisisce il 50% del capitale della Dino che entra ufficialmente nel novero delle aziende pubbliche. In quell'epoca era consolidata, nei politici, l'idea che i soldi dello stato dati ai privati dovessero necessariamente finire male e dare origine a inganni d'ogni genere.
Nel 1964, dopo quasi un ventennio di difficoltà, colpi di mano da parte delle strutture di ricerca governative, gelosie da parte dei professori universitari e ricatti economici, la Dino deve arrendersi; passa definitivamente sotto il controllo di un dinosauro di stato: Brachiosauro, noto con il logo di Brachio, che ne acquista il pacchetto di maggioranza, pari al 70% del capitale. Con gli anni, la percentuale di possesso da parte di Brachio aumenta fino a circa il 98%. Durante la prima assemblea il nuovo socio di maggioranza stabilisce che Dino, pur proseguendo nelle attività finora svolte «curerà in modo particolare i problemi di interesse della controllante», in collaborazione con la direzione ReS di Brachio; il nuovo consiglio nomina presidente e amministratore delegato due alti dirigenti della controllante.
L'autore, giovane assistente ordinario e professore incaricato, nel 1966, viene cooptato dalla Dino per partecipare a un importante progetto di ricerca.
Nel 1968, Dino dipende oramai integralmente dagli stanziamenti pubblici nazionali, annullando completamente la sua origine privatistica e assumendo sempre più le forme e le modalità di un'impresa a partecipazione statale; nello stesso anno viene nominato un direttore generale di estrazione interna, di notevole spessore professionale, che per molti anni gestirà le sorti dell'azienda. In quel periodo la consuetudine spartitoria dei partiti non era ancora arrivata al livello di nomina del direttore generale.
Dal 1971, allo scopo di minimizzare le difficoltà finanziarie della Dino, si stabilisce che vengano definiti degli "ordini quadro" tra la Dino e la direzione ricerca di Brachio. Gli ordini quadro prevedono la definizione di attività da parte della Dino a favore di Brachio, da stabilirsi all'inizio di ogni anno, in modo da delineare l'attività per tutto l'esercizio.
D'altra parte, i costi aziendali sono in continua crescita; tra il 1964 e il 1974 gli incrementi oscillano attorno al 15% all'anno. Il valore della produzione, derivante dagli ordini quadro e da contratti con altri soggetti, non compensa i costi aziendali, tanto che, per l'esercizio '74, la relazione degli amministratori prospetta con chiarezza le notevoli difficoltà finanziarie nelle quali si dibatte la società; nel gioco delle parti, alla chiusura di ogni esercizio Brachio interviene, però, a coprire le perdite.
Nel 1975, considerando le dimensioni e il volume d'affari della società, viene deliberata la trasformazione da srl in spa; la trasformazione dovrebbe spingere la Dino a compiere uno sforzo per differenziare la committenza. L'impegno è severo e, nei fatti, tra il 1977 e il 1980, si registra un aumento della committenza esterna a quella convenzionale (Brachio, Cnen, Cnr), che passa dal 6% all'11% dei ricavi industriali. Nonostante questo sforzo, il confronto tra ricavi e costi, mostra sempre un divario negativo, con la necessità, da parte di Brachio, di coprire le perdite con versamenti in conto capitale.
Alla chiusura dell'esercizio 1979, Brachio decide che non interverrà più a sanare le perdite della Dino; la società dovrà passare dalla fase dell'ex-post (chiedere alla controllante di ripianare le perdite) a quella dell'ex-ante, definire un budget aziendale che, con i ricavi provenienti dagli ordini quadro e con la quota di mercato esterna al gruppo, consenta di chiudere i bilanci in pareggio. Il nuovo consiglio di amministrazione chiede alla nuova dirigenza di formulare «le linee di azione e un piano poliennale finalizzati al raggiungimento dell'autosufficienza economica». Viene, pertanto, istituita una direzione commerciale, predisposto un sistema di contabilità industriale e avviata la prassi della formulazione del budget. Le divisioni operative della precedente organizzazione vengono sciolte e la struttura produttiva viene articolata in unità di venti-trenta persone che fanno capo direttamente alla direzione ricerca. Si cerca di realizzare un'organizzazione flessibile che, nelle intenzioni dell'amministratore delegato, dovrebbe essere in grado di interloquire meglio con il mercato, ma questa valida soluzione viene presto abbandonata per ritornare a una struttura più gerarchizzata.
Nel corso del 1980 viene effettuato un sostanzioso aumento di capitale, sottoscritto solo da Brachio, che serve quasi esclusivamente per la remissione dei debiti derivanti dai finanziamenti in conto capitale iscritti a bilancio fino al 31 dicembre 1979.
Le previsioni dei primi budget si rivelano errate e gli esercizi '80 e '81 si chiudono con forti perdite, cosicché la Dino è costretta ad accedere a prestiti e mutui bancari. In positivo, i ricavi provenienti dal captive market scendono dal 65% del 1980, al 57% del 1982.
Dal 1980, la Dino vede, però, progressivamente crescere il rapporto tra oneri finanziari e ricavi di competenza che raggiunge il valore massimo dell'11% nel 1984. Nello stesso anno la controllante si rende conto che l'indebitamento della Dino comporta oneri finanziari che ne soffocano il conto economico e viene attuato un completo ripianamento delle perdite. Viene ribadita la necessità della differenziazione della committenza e posto l'obiettivo di accrescere l'entità dei ricavi da effettuarsi al di fuori del captive market.
Dal 1985, la drastica diminuzione degli oneri finanziari e una revisione delle tariffe orarie riconosciute da Brachio per le attività svolte dalla Dino, consentono un'inversione di tendenza e, per la prima volta, con l'esercizio 1986, la società chiude con un pur modesto utile. Nella realtà dei fatti il pareggio di bilancio non viene ottenuto grazie al successo delle varie politiche verso il mercato esterno, ma esattamente per l'effetto contrario: dal 1983 i ricavi provenienti dalla controllante hanno ripreso, infatti, a salire: dal 62% del 1983 al 71% del 1986. Eppure il consiglio di amministrazione afferma che il pareggio di bilancio è stato ottenuto nel 1986 «grazie a una tenace e corretta azione organizzativa e di controllo di gestione».
Gli anni successivi, caratterizzati a livello nazionale da un ciclo economico favorevole, confermano la felice congiuntura per la Dino; lo sforzo commerciale inizia a produrre anche ricavi da progetti di ReS finanziati dalla commissione della comunità europea e da progetti di trasferimento tecnologico verso paesi in via di sviluppo finanziati dal ministero affari esteri.
Durante la seconda metà degli anni ottanta, i vari consigli di amministrazione spingono la Dino ad accrescere il volume di servizi sia verso la controllante che verso l'esterno; al termine degli anni ottanta si stabilisce che la Dino debba operare con un giusto equilibrio tra ricerca e servizi secondo la formula del fifty-fifty. Tale suddivisione appare spesso indefinibile perché non si riesce a stabilire dove finisca la ricerca e dove inizi il servizio. Intanto la quota di ricavi da parte della controllante continua a crescere: 76% nell'ottantanove, 84% nel novantuno, 88% nel novantatré.
Nonostante la forte riorganizzazione del 1988, orientata ad offrire tecnologie e servizi al mercato extra Brachio, l'avvio degli anni '90 si presenta con grossi problemi: la cooperazione del ministero affari esteri non porta più i ricavi degli anni precedenti, perché la cooperazione finanzia solo le grandi lobby socialiste, gli sforzi verso una clientela industriale esterna al gruppo dànno risultati modesti, il costo del lavoro ha subìto un'impennata a seguito del rinnovo degli accordi integrativi del 1989, il sistema Paese sta andando incontro a una situazione di crisi, ed infine, l'opinione pubblica inizia a vedere con fastidio il carrozzone degli enti di stato.
Nel 1992 la Dino raggiunge il punto massimo del valore della produzione con circa 140 miliardi, ma questo punto di massimo coincide con il vertice della parabola che condurrà in pochi anni alla scomparsa della società.

 

1 | 2 | 3 | 4

www.impresaoggi.com